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Recovery plan, vietato sbagliare

Prime Minister of Italy Giuseppe Conte as seen arriving on the red carpet with EU flags at forum Europa building. The Italian PM is having a doorstep press and media briefing during the second day of the special European Council, EURO leaders summit - meeting about for the negotiations of the future planning of the next long term budget, financial framework of the European Union for 2021-2027. Brussels, Belgium, February 21, 2020 (Photo by Nicolas Economou/NurPhoto via Getty Images)

Il rischio che il Recovery plan alla fine si traduca in una lista della spesa a tratti insensata è sempre dietro l’angolo. E probabilmente lo sarà finché il governo italiano non consegnerà a Bruxelles – il termine ultimo è fissato il 15 ottobre – la lista dei progetti che dovranno spartirsi i 209 miliardi destinati al nostro Paese. Mentre la discussione parlamentare è entrata nel vivo da una settimana, quel che sappiamo è che i progetti presentati alla commissione interministeriale che fa capo a Palazzo Chigi sono una marea: tra ministeri, agenzie governative, dipartimenti e società pubbliche la lista ufficiale consegnata a Giuseppe Conte comprende 557 progetti, al cui interno c’è un po’ di tutto. Bisognerà evidentemente sfoltire. E non di poco: la prima bozza del Recovery plan, considerando tutti i programmi inseriti, vale oltre 670 miliardi. Più del triplo di quanto riservato al nostro Paese. Questo è il motivo per cui, nei corridoi parlamentari, tanto i dem quanto i Cinque stelle sono consapevoli del duplice pericolo da evitare: bisogna non solo rientrare nei parametri anche economici fissati da Bruxelles, ma occorre anche evitare di finanziare progetti che non mirino al rilancio del Paese.

L’attenzione delle Camere sarà fondamentale, come spiega a Left anche il capogruppo dei Cinque stelle alla Camera, Davide Crippa: «L’Italia ha ottenuto un importante successo ottenendo i fondi più ingenti del Recovery plan. Il Parlamento dovrà avere un ruolo importante di indirizzo e di controllo, attraverso il lavoro delle diverse commissioni competenti sui settori da finanziare, ed è un’occasione storica per il nostro Paese, che non possiamo lasciarci sfuggire. Abbiamo approvato il Dl Semplificazioni proprio per semplificare e sbrurocratizzare il più possibile le procedure amministrative».

E in effetti occorrerà semplificare molto, magari già depennando alcuni progetti, come in effetti già sta facendo da giorni la commissione presieduta dal ministro Enzo Amendola. Se è vero che sanità, innovazione e digitale occupano posti di rilievo, ci sono anche programmi che lasciano piuttosto basiti. Ci si chiede, ad esempio, a cosa possa servire in questa fase un «ammodernamento impianti per la molitura delle olive» per il quale il soggetto proponente, il ministro delle Politiche agricole Teresa Bellanova, conta di spendere 1,2 miliardi. Senza dimenticare la «Costellazione satellitare» per l’osservazione della Terra, presentato direttamente da Palazzo Chigi, per la quale si prevede un costo di 1,1 miliardo. L’Avvocatura dello Stato, invece, chiede al modico prezzo di …

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SOMMARIO

Morto di pacchia. A 15 anni

Dozens of migrants from different nationalities, mainly Somalia, Egypt and Morocco, including 14 minors and 4 women, wait to be assisted by a team of aid workers of the Spanish NGO Open Arms, after spending more than 20 hours at sea when fleeing Libya on board a precarious wooden boat, in international waters, in the Central Mediterranean sea, Tuesday, Sept. 8, 2020. (AP Photo/Santi Palacios)

Abou aveva 15 anni. Portava addosso sulla pelle le cicatrici delle torture subite in Libia. Era denutrito. Era disidratato. L’Open Arms l’aveva salvato nel Canale di Sicilia. È una storia ordinaria delle disperazioni in mezzo al Mediterraneo. Il 18 settembre viene trasbordato insieme ai suoi compagni nella nave “Allegra” per la quarantena. Racconta la sua tutrice assegnata dal tribunale dei minori, Alessandra Puccio, che il ragazzo non parlasse già più, fortemente debilitato: «Solo il 28 un medico se n’è accorto, ma era già troppo tardi. E da quel momento è stato un precipitarsi di eventi, fino alla sua morte, avvenuta oggi all’ospedale Ingrassia», racconta a Repubblica.

Il 28 settembre lo visitano, lo rivisitano anche il giorno successivo e il 30 settembre finalmente viene ricoverato in ospedale. È disidratato, non collabora, non parla. Il giorno dopo entra in coma, viene trasferito dal Cervello di Palermo all’Ingrassia. Il 5 ottobre Abou muore. Ora si muove la Procura per accertare eventuali responsabilità e omissioni di soccorso. C’è da capire come possa un quindicenne torturato rimanere su una nave in quelle condizioni e se gli siano state offerte tutte le cure necessarie.

Qualche giorno fa Matteo Salvini ospite della pessima trasmissione di Mario Giordano parlò dei migranti che vengono parcheggiati nelle navi quarantena usando queste esatte parole: «Giordano, ti stanno guardando da una delle 4 navi da crociera, i tremila immigrati clandestini che sono sbarcati e hanno vinto il biglietto premio di 4 navi da crociera a spese degli italiani è una cosa che mi fa imbestialire». Abou quindi probabilmente è morto “di crociera”, oppure è morto di pacchia.

Abou non aveva i genitori, è uno dei tanti minori non accompagnati che arriva sulle nostre coste. Abou è morto in un luogo in cui si riteneva al sicuro. Abou è morto nel giorno in cui il governo dichiarava di avere superato i decreti sicurezza, stando sempre sulla linea criminogena di chi salva le vite in mare. Sarebbe da raccontare a tutti la storia di Abou, per fare cadere una volta per tutte questa feroce narrazione che continua a trattare le disperazioni come se fossero un gioco.

Buon mercoledì.

«Essere antifascisti oggi significa essere contro il razzismo»

ANPI president Carla Nespolo delivers her speech to remember the victims of 1969's Piazza Fontana's bombing, in Milan, Italy, Tuesday, Dec. 12, 2017. (AP Photo/Luca Bruno)

Se n’è andata Carla Nespolo, la presidente dell’Anpi e donna coraggiosa e forte. Ma Carla Nespolo ci ha lasciato una lezione che va tenuta bene a mente, va mantenuta in tasca ogni mattina a quando ci si sveglia e ci si alza per andare in giro per il mondo: essere antifascisti oggi è molto di più del fare memoria, significa esercitare memoria e adattarla ai tempi che sono e allargarla ai nuovi pericoli che avanzano.

«Essere antifascisti oggi significa essere contro il razzismo, contro chi approfitta anche della crisi sociale per far regredire politicamente, culturalmente, moralmente il nostro Paese», disse Carla Nespolo e qui dentro c’è tutta la battaglia che non bisogna avere paura di combattere. C’è in atto da tempo un vile giochetto, appoggiato anche da sedicenti liberali di un sedicente centrosinistra, di incasellare i vizi del fascismo e i suoi orrori in tempi storici che vengono considerati passati. C’è qualcuno anche dalle parti del presunto centrosinistra che insiste nel negare che essere antifascisti oggi significhi combattere i nuovi razzismi che hanno assunto nuove forme.

A proposito di lezioni. C’è un’altro punto da tenere bene in mente che Carla ci ha lasciato: in tutti i suoi interventi la presidente dell’Anpi ribadiva con forza che la Costituzione italiana non sia “afascista ma antifascista” e che quindi sia un obbligo costituzionale essere contro i fascismi, alla faccia dei tanti che non “sono né di destra né di sinistra” (che alla fine sono sempre di destra) e che vorrebbero elevarsi culturalmente facendo gli equidistanti.

Un ultimo punto: Carla Nespolo notava spesso, lo faceva in pubblico e in privato, quanto i sovranismi di matrice fascista fossero stati bravi a crearsi una rete internazionale e a essere in collegamento tra loro e quanto invece gli antifascisti fossero molto più distratti nel percepire e nel mettere in rete le esperienze degli altri. Un’internazionale antifascista, anche a livello europeo, è un progetto politico che urge da anni e di cui si parla pochissimo.

Insomma Carla ci ha insegnato che la memoria si esercita, mica ci si può ridurre a commemorarla. Se quelli che in questi ore mandano messaggi di affettato cordoglio vogliono rimboccarsi le maniche c’è parecchio da fare: il suo manifesto è chiaro.

Buon martedì.

Extinction Rebellion: «Non solo questione di clima: è il modello economico dominante che è tossico»

«Non c’è più tempo. Ribelliamoci per la vita». Con queste parole il movimento ecologista Extinction Rebellion (XR) chiama a raccolta chiunque voglia partecipare alla settimana della “ribellione non violenta” in programma a Roma dal 5 all’11 ottobre. La settimana di grande mobilitazione – in cui si metteranno in atto flash-mob, die-in, ciclo-passeggiate e altri eventi a sorpresa – sarà il culmine di una serie di iniziative di divulgazione organizzate nelle settimane scorse dai gruppi locali in varie città d’Italia: a Torino, Milano, Roma, Padova e altre città.
A Roma il movimento – nato nell’aprile 2019, a un anno quasi di distanza dalla fondazione in Inghilterra – conta un centinaio di iscritti di diversa età e appartenenza sociale. Abbiamo incontrato due esponenti per parlare con loro dell’organizzazione, dei principi e degli obiettivi del movimento.

Cominciamo dalla definizione di movimento ecologista; in realtà, parlando con gli attivisti ci è difficile connotare con un unico aggettivo un’associazione che presenta varie istanze. XR non è solo un movimento ecologista, ma molto di più: si presenta come un attacco frontale non violento a «un sistema tossico – basato sull’estrazione di risorse naturali e sullo sfruttamento dell’uomo – e all’ipocrisia di una politica che sembra aver messo in agenda il tema della crisi climatica, ma sempre in un ottica legata al Pil quindi al profitto», denuncia Rebecca Thandiwe, una ragazza di 35 anni tra le prime ad aderire al movimento a Roma. XR non è nemmeno il tipico movimento caratterizzato da una gerarchia interna, ma è «l’accumularsi di pratiche di democrazia dal basso e di intelligenza collettiva, che pratica atti di disobbedienza civile» dice Andrea De Toma, 33 anni, ricercatore in “Ecologia vegetale” alla Sapienza di Roma. Allora più che etichettare questo movimento con un aggettivo, è utile usare una metafora: Extinction Rebellion è un megafono dei tanti problemi provocati dalla crisi climatica ed ecologica. Un megafono che potrebbe essere affiancato alla clessidra, il loro simbolo identificativo che manifesta l’urgenza di una crisi sentita sulla propria pelle; da qui l’idea di organizzarsi assieme per sensibilizzare tutti sulle conseguenze funeste a cui potremmo andare incontro se non cambiamo il nostro modello di sviluppo.

Ancor prima di elaborare una proposta politica, il primo punto che interessa a XR è che sia detta la verità; ossia che i cittadini siano informati correttamente sullo stato di emergenza che viene confermato dai continui report scientifici sul cambiamento climatico e sul collasso della biodiversità. Il passo successivo è la richiesta ai governi di un’azione immediata e poderosa per arrestare la distruzione degli ecosistemi e della biodiversità e azzerare le emissioni di gas serra già entro il 2025. Un cambiamento così radicale, da un’economia estrattiva a una generativa, non può affidarsi solamente alla politica tradizionale, per cui si propone – come terza richiesta – la creazione di assemblee cittadine con potere deliberativo che affianchino i governanti per favorire la transizione verso una società «in equità ed equilibrio con tutti gli esseri viventi», come si legge nel loro sito.

Se si considera l’ambizione di queste richieste, si capisce bene come parlare solo di cambiamento climatico sia riduttivo. Piuttosto, è la sfida a quello che definiscono a più riprese come «un sistema tossico» la più forte motivazione per scendere in strada a Roma. «Le nostre azioni – dice Andrea – sono rivolte verso target simbolici, come il governo o le grandi aziende, ma nel rivolgerci a loro lanciamo apertamente una sfida a ogni cittadino/a. La nostra volontà è mettere in discussione radicalmente l’attuale sistema socio-economico».
I ragazzi di XR sono consapevoli di come un’informazione chiara, accurata e pervasiva possa giocare un ruolo fondamentale per la loro missione. Ecco perché il messaggio di XR si rivolge anche alla stampa e ai media affinché – recita il comunicato sull’imminente “ribellione” – «raccontando con più incisività la crisi climatica ed ecologica, i suoi effetti e le decisioni sistemiche che la potrebbero mitigare, assolvano al loro immenso potenziale informativo ed educativo nell’aumentare la consapevolezza dei cittadini riguardo alla minaccia esistenziale che incombe». Secondo Andrea, a causa di un deficit di comunicazione, «non c’è consapevolezza di quanto noi esseri umani siamo legati al nostro ambiente. Se ci fosse consapevolezza di ciò, avremmo il substrato su cui far crescere le radici di un vero soggetto politico ecologista». Eppure degli allarmi per prendere in seria considerazione la crisi climatica ci sono stati: «Noi magari ora non ci rendiamo conto del problema, ma nel 2003 c’è stata un’ondata di caldo fortissima in Europa per cui ci sono stati 30mila 000 morti» ricorda Andrea.

Come riconosce Rebecca, il problema di fondo è la contraddizione tra problemi internazionali e governi nazionali. Per superarla, XR guarda al mondo con un approccio sistemico e cerca di coinvolgere quante più persone possibili. Secondo uno studio di scienze sociali della politologa americana Erica Chenoweth – che XR considera un riferimento culturale – basterebbe la partecipazione del 3,5% della popolazione mondiale per invertire la rotta del Titanic chiamato Terra. Riusciremo a costruire un futuro diverso da quello ora previsto?

La foto è di Maria Giulia Trombini per Extinction Rebellion Roma

Carla Nespolo: Il senso dei partigiani per l’interesse collettivo

Insegnante di filosofia e storia, parlamentare del Partito comunista e da poche settimane presidente dell’Anpi, Carla Nespolo è la prima donna – non partigiana – a ricoprire questa carica succedendo a Carlo Smuraglia, ora presidente emerito. Ma si può dire che ha respirato il clima e la storia della Resistenza, visto che uno zio era partigiano e che viene dal Piemonte, dove la guerra di liberazione fu particolarmente accesa.

Carla Nespolo, lei che guida un’associazione nata da un movimento collettivo, che cosa pensa della Sinistra sempre a caccia di un leader?
Non mi sento di dare un giudizio sul mondo variegato e diviso della Sinistra. Noi dell’Anpi però preferiamo sempre usare il pronome “noi” piuttosto che il pronome “io”. Tutto questo viene dalla nostra storia, ed è qualcosa di utile anche per l’oggi. Durante i terribili venti mesi della lotta partigiana, in cui i partigiani sostenuti dalla popolazione civile hanno combattuto i nazifascisti, il tema era proprio quello dell’unità, del saper stare insieme. Comunisti, socialisti, liberali, cattolici, anarchici, tutti insieme. Con un obiettivo comune che è stato pienamente tradotto nella Costituzione.

Unità anche nello scrivere la Carta costituzionale.
In molti dopo il 1948 si sono sempre chiesti: ma come hanno fatto a scrivere una Carta così equilibrata, in cui i diritti individuali si compenetrano con quelli collettivi? E lo hanno fatto, ripeto, persone con punti di vista diversi, in soli dieci mesi. Questo è potuto accadere proprio perché avevano già fatto un’esperienza di lotta e di pensiero condiviso nella Resistenza. Questa è la nostra radice: unità su obiettivi comuni, cioè costruire uno Stato antifascista libero da tutte le imposizioni, le negazioni dei diritti e gli orrori a cui ci hanno condannato il fascismo e il nazismo. Questa Costituzione non a caso è stata difesa nel referendum del 4 dicembre 2016. I cittadini che sono andati a votare hanno scelto un’identità nazionale e collettiva.

Qual è la sua concezione della politica?
Nessun rifiuto della politica. La politica, intesa nel senso di polis è fondamentale, solo che va depurata di tutti questi leaderismi per tornare a una dimensione collettiva, nel rispetto di tutti i cittadini. Noi come Anpi siamo alternativi rispetto a una visione leaderistica, ma ci tengo a dirlo, lo siamo perché abbiamo anche sperimentato storicamente che è questo che serve a un Paese per renderlo più democratico e più libero.

Rispetto alle difficoltà del presente, con le destre che avanzano, perché la sinistra non riesce a trovare il senso per il collettivo?
Io vedo uno scollamento tra le domande sociali fondamentali e le risposte politiche che vengono date. La cosa da perseguire è sì anche un’unità politica, ma credo che l’unità tra movimenti e persone, nasca dalla costruzione e dalla individuazione di un progetto comune, dal punto di vista sociale, economico e poi anche politico. È una strada difficile, è vero, ci sono rigurgiti nazifascisti ma c’è un’Italia democratica molto forte. Lo abbiamo visto anche dalla reazione all’annuncio del ritorno della marcia su Roma. Noi siamo andati nelle scuole, nelle piazze, nei luoghi di lavoro. E un popolo antifascista c’è nel nostro Paese, bisogna saperlo ascoltare.

Forse è questo il problema: sapere ascoltare il Paese. Ci si rifugia nel leader che è la soluzione più facile?
Sì, le faccio un esempio, quest’anno è l’ottantesimo anniversario della morte di Gramsci. Ebbene, ciò che scrive lui nelle sue lettere, l’ottimismo della volontà, quella è la base per una buona politica. Naturalmente dobbiamo avere sempre il realismo – e Gramsci lo chiamava il pessimismo della ragione -; ma il nostro realismo ci dice che dobbiamo pretendere, da un lato, che la Costituzione venga applicata, dall’altro, che si combatta il razzismo perché è la base del fascismo. Ed è per questo motivo che il nostro assillo è parlare ai giovani, per raccontare la storia.

Quali sono i nemici dei partigiani oggi?
Il primo nemico è la non conoscenza. Quante ragazze sanno oggi che le loro bisnonne non potevano votare? Il voto, nel ’46, le donne se lo sono conquistate in montagna, facendo le staffette, con la dimensione del popolo che si ribella e quando ci si ribella, allora si può andare avanti. Conoscere per lottare. Noi chiediamo alla parte migliore della gioventù di non arrendersi. Perché le conquiste ci sono state. Io considero quella delle donne come una delle lotte più straordinarie e rivoluzionarie del secolo scorso. E adesso dobbiamo tornare indietro? Dobbiamo essere considerate solo per l’immagine esteriore anziché per il proprio pensiero, per i propri valori professionali? No. E infatti ci sono milioni di donne che stanno dalla parte giusta, dalla parte dell’affermazione di sé. E la liberazione delle donne è la liberazione di tutti.

L’Anpi può servire per ricostruire una cultura antifascista che negli anni si è persa?
Intanto va detto che il mondo delle sezioni Anpi e degli Istituti di resistenza ha fatto un grande lavoro per conservare la memoria. È vero, certe conquiste sembravano acquisite e non è stato così, ma per combattere il fascismo bisogna inverare i valori della democrazia, perché quando ci sono persone che vivono in povertà, le suggestioni sul fatto che il nemico non è il capitale ma quello più disgraziato di te che scappa dalla guerra, è facile che facciano presa. Ma, ripeto, tra i fascisti e gli antifascisti, questi sono molto, molto più forti. Si tenga sempre presente. E lo tenga presente la politica, quando a volte ammette che anche il fascista ha diritto di esprimere la propria opinione. No, il fascismo non è un’opinione, il fascismo è un crimine. Io comunque non penso alla punizione come soluzione, no, penso che la vera soluzione del problema è la conoscenza.

L’intervista di Donatella Coccoli a Carla Nespolo è tratta da Left del 18 novembre 2017


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La calcioisteria

Foto LaPresse - Tano Pecoraro04 Ottobre 2020 Torino - (Italia)Sport CalcioJuventus vs NapoliCampionato di Calcio Serie A TIM 2020/2021 - Allianz Stadiumnella foto: stadio vuotoPhoto LaPresse - Tano Pecoraro04 October 2020 City Turin - (Italy)Sport SoccerJuventus vs NapoliItalian Football Championship League A 2020/2021 - Allianz Stadiumin the pic: empty stadium

Ci sono un migliaio di scuole in cui si sono già presentati casi di coronavirus e che hanno dovuto affrontare tutte le difficoltà che si presentano nell’assicurare il prosieguo delle lezioni. Nelle aziende continuano (non si sono mai fermati) i contagi e mentre i numeri cominciano a preoccupare le autorità sanitarie si stanno valutando le misure da prendere per contenere un’eventuale seconda ondata e per evitare al Paese il tracollo che potrebbe causare un nuovo lockdown. In tutto questo c’è la disperazione, tanta, tantissima, che sta prendendo persone che hanno avuto la vita sfasciata dalla pandemia e che ora che finiranno gli ammortizzatori sociali si ritrovano senza lavoro. Poi, volendo, ci sarebbe anche da discutere di come utilizzare i fondi europei per ricostruire: su quello si gioca la forma futura di Paese, mica bruscolini.

L’argomento più discusso ieri invece è stata la partita della Juventus contro il Napoli poiché la squadra campana ha scelto di non scendere in campo. La vicenda in sé è anche poco interessante: da una parte la Lega Calcio fa di tutto per non fermare il campionato e dall’altra il governo nella persona del ministro Speranza invece invece chiede di fermarsi. Speranza ha detto una frase semplice che viene difficile non condividere: «Si sta parlando troppo di calcio e troppo poco di scuola» ha detto il ministro ma la ridda di voci, pareri e notizie di ieri comunque è stato tutto sulla partita. Per la Lega, in pratica, la lettera inviata dall’Asl alla società napoletana non rientra tra quei “provvedimenti delle Autorità Statali o locali” che possono derogare al regolamento che disciplina la discesa in campo per le squadre con calciatori positivi.

Eppure si potrebbe anche raccontare che continuano a essere molte le persone che rimangono in quarantena (non giocano a pallone ma come tutti lavorano per vivere, eh) per decisione delle aziende sanitarie, sono molti quelli che ancora faticano a accedere al tampone che invece è iperdisponibile nel mondo del calcio con cadenza praticamente giornaliera.

Qualcuno dice “lo spettacolo deve continuare” e allora si potrebbe raccontare delle persone che lavorano nel mondo dello spettacolo dal vivo e che continuano a non entrare nel dibattito pubblico nonostante stiano facendo la fame e nonostante il futuro sia sempre più nero, legati a doppio mandato al possibile vaccino.

Insomma siamo sempre la solita vecchia calciocrazia che non riesce a comprendere i nervi tesi di un Paese che continua a essere sotto stress e che ha bisogno di messaggi concordanti e che non provochino isterismi. Non è solo una questione sportiva: è una questione di uguaglianza di paura di fronte a una malattia che magicamente sparisce in certi settori in nome del fatturato. Siamo sicuri che sia un buon messaggio, davvero? Siamo sicuri che questa nuova piega di sfidarsi sull’interpretazione delle regole sia salutare per compattare il Paese verso una rinnovata attenzione verso il virus?

Questa è la domanda.

Buon lunedì.

Il diritto a godere della scienza

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 14-09-2020 Roma , Italia Cronaca Fine vita- eutanasia legale Nella foto: Mina Welby, storica sostenitrice del fine vita, assieme ai militanti dell'Associazione Luca Coscioni manifesta davanti alla Camera dei Deputati per protestare contro l'inerzia legislativa del Parlamento a 7 anni dal deposito della proposta popolare per l'eutanasia legale Photo Mauro Scrobogna /LaPresse September 14, 2020  Rome, Italy News End of life - legal euthanasia In the photo: Mina Welby, historical supporter of the end of life, together with the militants of the Luca Coscioni Association demonstrates in front of the Chamber of Deputies to protest against the legislative inertia of Parliament 7 years after the filing of the popular proposal for legal euthanasia

La necessità di misure per uscire dalla crisi ci pone di fronte ad alternative storiche. È tempo che nell’agenda parlamentare entrino non solo le questioni economiche ma anche le libertà individuali, componenti fondamentali dell’idea stessa di democrazia. Come Associazione Luca Coscioni ci possiamo intestare un contributo determinante ad alcune delle più importanti riforme laiche dopo le leggi su divorzio e aborto, come la cancellazione degli assurdi divieti imposti dalla precedente Legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, il testamento biologico e anche il diritto al suicidio assistito, che è già riconosciuto in Italia nessuno ne è a conoscenza, dato che manca una legge. Molte migliaia di persone sarebbero già nelle condizioni di ottenere l’aiuto a morire legalmente dopo la sentenza della Corte costituzionale, della Corte di Assise di Massa e grazie alle nostre azioni di disobbedienza civile.

Siamo uno dei pochi Paesi al mondo dove è possibile ottenere l’aiuto a somministrarsi una sostanza letale. Su questo stiamo seguendo due casi: uno in cui la Asl si è preoccupata di investire il comitato etico come indicato dalla Consulta, l’altro in cui invece hanno risposto con un diniego a procedere, senza offrire opportune spiegazioni. Per questo, serve urgentemente una legge: per stabilire procedure certe, chiarire a tutti le professionalità coinvolte e cosa occorre fare, suddividendo ruoli e competenze, senza il rischio di essere vittime di attacchi giudiziari. Il Vaticano nei giorni scorsi ha bollato come complici di un crimine chi aiuta le persone a morire, riferendosi di fatto anche a…

*-*

L’evento: Il XVII Congresso dell’Associazione Coscioni prevede ancora diverse sessioni e si concluderà l’11 ottobre prossimo. È possibile seguire gli appuntamenti in streaming sul sito dell’associazione

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Conoscere e curare la depressione

Un’indagine sulla depressione, sulle sue cause e la sua curabilità. Così è definito nella prefazione di Annelore Homberg il libro Una depressione di Massimo Fagioli, nelle librerie per L’Asino d’oro edizioni. Ne parliamo con Annelore Homberg e le colleghe psichiatre Cecilia Di Agostino e Francesca Padrevecchi che lo presentano insieme ad Homberg il 4 ottobre a Roma, all’Auditorium Parco della Musica, nell’ambito del festival “Insieme lettori autori editori”.

Il tema della depressione sembra di strettissima attualità: cosa può accadere dal punto di vista psichico alle persone in questi tempi di Covid-19?
Francesca Padrevecchi: Con l’inizio del 2020 ci siamo trovati per molti mesi ad affrontare un’emergenza pandemica straordinaria, che ci ha colto di sorpresa e completamente impreparati. Questa grave situazione, che continua tuttora, ha minato qualsiasi sfera della vita personale di ciascuno, da quella sanitaria, professionale, economica, a quella relazionale e sociale, per non parlare di studenti ed insegnanti attualmente impegnati in una ripresa dell’anno scolastico che sembrava impossibile. Il lungo periodo di incertezza e precarietà per il futuro che stiamo vivendo può portare tutti ad un abbassamento del tono dell’umore, cioè ad una tristezza fisiologica. Il discorso della depressione va però impostato in modo diverso. È necessario precisare che l’emergenza Covid-19 non è la causa all’origine di questa malattia. Semmai può essere un fattore precipitante che fa slatentizzare, cioè fa venire fuori una depressione che era già presente nel soggetto ma mascherata o che non presentava sintomi manifesti. Sembra paradossale ma potrebbe anche accadere che questa emergenza che ha portato a scontrarsi e a dover affrontare varie problematiche economiche, possa essere per alcuni una scappatoia dalla depressione, perché costringe a mantenere alta l’attenzione solo verso il miglioramento delle performance finanziarie, mettendo così a tacere i turbamenti interiori e i suoi sintomi, per cui sembra che la persona stia piuttosto bene e sia solo affannata nella risoluzione dei problemi materiali.

Massimo Fagioli scrisse questo testo tra il 1990 e il 1992 proponendo una ricerca sulla depressione, a partire da un caso clinico. La sua ricerca ha una portata valida a livello globale, per tutti?
Annelore Homberg: C’è, sì, un caso clinico ma è trattato in modo insolito. Perché la scrittura è tutt’altro che scontata, dalla qualità letteraria alta, e poi perché, pur attenendosi a una realtà clinica individuale – i sogni sono di una paziente con ricorrenti episodi di depressione grave – il saggio rimanda costantemente all’evoluzione dell’Analisi collettiva, del grande gruppo che l’autore ha avuto in cura per decenni. In quanto a contenuti tuttora attuali e che valgono in tutte le latitudini, citerei subito, a mo’ di esempio, l’affermazione che «il depresso sente ma non vede». Vuol dire, riassumendo per sommi capi, che…

Il libro: Una depressione (L’Asino d’oro edizioni) dello psichiatra Massimo Fagioli viene presentato il 4 ottobre a Roma all’Auditorium Parco della Musica (sala Sinopoli, ore 11), nell’ambito del festival “Insieme lettori autori editori”. Al fianco di Annelore Homberg, che firma la prefazione del volume, intervengono le psichiatre Cecilia Di Agostino e Francesca Padrevecchi. Info su www.insiemefestival.it

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Helena Janeczek: La mia storia fatta di tante culture

20 MAY 2008, ROME, ARGENTINA THEATRE: FIRST DAY OF LITERATURES FESTIVAL. IN THE PICTURE THE ITALIAN WRITER, HELENA JANECZEK. © PIERGIORGIO PIRRONE / MARGOPHOTO / Lapresse *** Local Caption *** 00577486

Scrittrice di rara coerenza tematica e sguardo internazionale, con i suoi libri Helena Janeczek, figlia di genitori polacchi di origini ebraiche, nata a Monaco di Baviera ma da molti anni residente in Italia a Gallarate, attinge alla memoria storica, a una narrazione memoriale e a personaggi o storie di eventi lontani che però parlano al presente, come per esempio ne Le rondini di Montecassino, ma anche in Lezioni di tenebra, dove attraverso la vicenda biografica di sua madre rivive il dramma della deportazione. Ha ricostruito con abilità e passione anche la vicenda umana e politica di Gerda Taro, fotografa di guerra e compagna di Robert Capa, in La ragazza con la Leica (Guanda), romanzo con il quale ha vinto il Premio Strega 2018. Un personaggio che vive la sua passione per il reportage e la testimonianza, la sete di realtà che è anche quella di molti giovani di oggi rispetto ai drammi dell’immigrazione e della povertà, dei conflitti bellici, quindi una nuova forma di cittadinanza attiva nel mondo globalizzato.

Hai affermato una volta «Di italiano ho: un figlio, un passaporto, un codice fiscale». Quale è stato e quale è oggi il tuo rapporto con il nostro Paese, e come vivi questa appartenenza plurima con culture, luoghi, lingue?
Al festival “La grande invasione” ho presentato l’ultimo libro di Tishani Doshi, narratrice e poetessa indiana che scrive in inglese e, soprattutto, ha una madre gallese. Durante il nostro incontro, Doshi ha detto che questo libro – la cui protagonista torna dagli Usa nella sua città nativa, Madras, per stabilirsi in una zona rurale del Tamil Nadu – rispondeva al bisogno di mettere in luce come le appartenenze plurime, esaltate come ricchezza nel suo primo romanzo, avessero anche un risvolto doloroso e problematico: l’essere percepiti e sentirsi ovunque degli outsider. Mi ha colpito molto perché negli ultimi anni e in modo apparentemente paradossale, visto che nel 2018 mi è capitato di vincere il Premio Strega, ho vissuto qualcosa di analogo. Proprio quell’estate vennero bloccate l’Aquarius e la Diciotti, proclamata la “politica dei porti chiusi”, preparati i cosiddetti decreti sicurezza. La questione identitaria è diventata politicamente e culturalmente centrale nel mondo intero. Dove l’identitarismo è declinato dalla destra egemone, come in Italia, diventa impossibile non sentirsene toccati quando la propria storia è…

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Capitani poco coraggiosi

Italian Deputy-Premier and Interior Minister, Matteo Salvini, gestures as he addresses the Senate in Rome, Thursday, July 11, 2019. Opposition lawmakers want to question Italian Interior Minister Matteo Salvini about allegations a Russian oil deal was devised to fund his pro-Moscow League party. Democratic Party lawmakers are demanding that a parliamentary inquiry be held. (AP Photo/Gregorio Borgia)

Eccoci qui al giorno del martirio. Matteo Salvini si gioca la carta del vittimismo dopo essere uscito con le ossa rotte dalle elezioni regionali e dopo avere dovuto ingoiare i successi nel proprio campo di Luca Zaia in Veneto e l’ascesa di Giorgia Meloni con i suoi candidati in tutta Italia. Ora la carta per giocarsi il solito patriottismo d’accatto è quella di apparire come vittima del sistema giudiziario (lezione perfettamente imparata dal suo padrino Silvio Berlusconi) e tentare di rivendere come grido di libertà una sua scelta che cozza con il diritto nazionale, il diritto internazionale e il diritto marittimo. Il 3 ottobre, come sempre accade quando c’è di mezzo il leader leghista, va in onda una fragorosa narrazione distopica della realtà che ci presenta Salvini come salvatore della Patria e come colpevole di avere compiuto gli atti che gli italiani chiedevano. Il trucco è sempre lo stesso: contrapporre alla legge una presunta volontà popolare (anche su questo Silvio Berlusconi è stato un precursore) prefigurando una magistratura che vorrebbe combattere politicamente una certa parte politica dimenticandosi quali siano le leggi.

Un punto importante, fondamentale: un processo, qualsiasi processo, serve a chiarire i fatti e le cause e le responsabilità di alcuni eventi e qualsiasi politico maturo, soprattutto se di una certa rilevanza nazionale come Salvini, dovrebbe avere la responsabilità di affrontarlo convinto delle proprie ragioni e interessato a illustrare i propri comportamenti. Per questo il vittimismo suona già stonato.
Salvini è accusato di avete impedito, quando era ministro dell’Interno nel luglio 2019, lo sbarco per più di tre giorni di 116 persone tratte in salvo nel Mediterraneo centrale dalla nave della Marina militare Gregoretti. Il caso Gregoretti segue a ruota l’accusa che il Tribunale dei ministri (che sono strutture create ad hoc nelle Corti d’appello ogni volta che bisogna processare un ministro per un presunto reato svolto nell’esercizio delle sue funzioni) avanza contro Salvini anche per il blocco in porto della nave Diciotti della Marina militare (quella volta, nell’agosto 2018, le persone salvate erano 144). All’epoca Salvini disse di non…

L’articolo prosegue su Left del 2-8 ottobre 2020

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