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Certi amori non finiscono

Mentre il governo traballa sotto i colpi dell’inchiesta sui soldi russi e sotto i pessimi rapporti degli alleati che continuano a sputarsi in faccia il ministro dell’interno Matteo Salvini è alla disperata ricerca di qualcosa che gli permetta di parlare d’altro, di buttare la palla in tribuna e di inventarsi un’altra disperata boutade perché i giornali la smettano di parlare dei suoi pessimi collaboratori che giocano a fare le spie come nei film mentre chiedono la carità all’amico Putin.

Se dovessi immaginarmelo, Salvini, me lo vedo con tutti i suoi collaboratori a frugare nei cassonetti, con quei lunghi bastoni metallici a uncino, per trovare qualche straccio di fatto di cronaca nera da usare per la propaganda. Ci ha provato con un tweet patetico sui “rapporti dimostrati tra ONG e scafisti” condividendo un servizio della trasmissione di Porro in cui non si dimostra un bel niente, ci ha provato attaccando Carola Rackete (ancora!) che però non l’ha nemmeno degnato di una risposta e quindi ha tirato fuori dal cilindro la notizia che il Movimento 5 Stelle in Europa governerebbe con il PD. Badate bene, perché la bugia è clamorosa: la Lega decide di isolarsi a livello internazionale e poi si lamenta di vedere tutti gli altri fare gruppo.

E così ieri ha deciso di schiacciare sull’acceleratore e di mandare il suo ennesimo penultimatum a Di Maio e agli italiani. Dice che non si presenterà al Consiglio dei ministri perché non ci sono cose interessanti (ha detto così, giuro) e che ha perso la fiducia “anche personale” nei suoi alleati (chissà quella impersonale, invece).

Così alla fine Salvini, il nuovo che avanza, potrà finalmente tornare nelle braccia di papà Silvio, di Forza Italia e di tutto il cucuzzaro del centrodestra italiano, per rimanere perfettamente allineato a quello che la Lega fa nelle regioni, nelle città e ovunque sia al governo: andare a braccetto con Berlusconi.

Del resto certi amori non finiscono. Fanno dei giri immensi e poi ritornano. Amori indivisibili, indissolubili, inseparabili.

Buon venerdì.

Il coraggio di alzare lo sguardo e immaginare un mondo diverso

epa07597197 A child takes part during a demonstration called 'Global Strike for Climate 2' in Brussels, Belgium, 24 May 2019. Youth and students across the world are taking part in a student strike movement called #FridayForFuture which was sparked by Greta Thunberg of Sweden, a sixteen year old climate activist who has been protesting outside the Swedish parliament every Friday since August 2018. EPA/STEPHANIE LECOCQ

Attraverso l’inquietante vicenda di Savoini abbiamo appreso che l’Italia, oltre ad essere incapsulata nel patto Atlantico, è entrata a far parte dell’orbita russa. È stata annessa per via affaristica e clientelare. Con il coinvolgimento di figuri che Claudio Gatti nel suo libro inchiesta I demoni di Salvini (Chiarelettere) definisce «post nazisti». Quando, come e perché l’Italia ha smesso di essere un Paese europeo per puntare tutto su Putin, (sodale di Berlusconi), che nel suo Paese ha imposto un regime anti democratico e attacca a morte i giornalisti? Con tutta evidenza non è stata una decisione passata attraverso il dibattito parlamentare. Né il Parlamento ne ha chiesto adeguatamente conto a Salvini. Cosa ne pensa il presidente della Repubblica, Mattarella? Dove è finito il giornalismo d’inchiesta sui quotidiani mainstream?

Mentre i grandi giornali raccontano il Russia Gate come se fosse un giallo per l’estate dilettandosi con retroscena di cene di alto bordo e intrighi di palazzo, il governo che ha annunciato di aver abolito la povertà attacca i più poveri, con provvedimenti iniqui come la flat tax e inasprendo ferocemente il daspo urbano. Nel silenzio generale. Di questo modo di trattare le questioni sociali come questioni di ordine pubblico, Roma è stata l’antesignana. Abbiamo ancora davanti agli occhi le scene di sgombero coatto e violento dell’estate 2017 in piazza Indipendenza con l’uso degli idranti da parte della polizia contro persone inermi. Denunciammo quella «operazione di cleaning» (vale a dire “pulizia”: etnica?), così la definì la prefetta che dirigeva le operazioni. Intanto la città governata da Virginia Raggi è diventata la capitale degli sgomberi, accanita contro le frange più deboli. Mentre lascia a CasaPound la libertà di continuare ad occupare impunemente, nonostante il danno erariale da 4,5 milioni certificato dalla Corte dei conti.

Dopo lo sgombero dell’ex Penicillina e dello stabile di via Carlo Felice, fucina di attività sociali, di solidarietà e informazione, nei giorni scorsi è toccato ad una ex scuola a Primavalle. Impossibile chiudere gli occhi davanti all’immagine di quel bambino che cerca di mettere in salvo dei libri, sotto lo sguardo di agenti in tenuta anti sommossa. Impossibile rimanere inerti rispetto alla sua domanda di futuro. E a quella di moltissimi altri ragazzini come lui. Sono quasi un milione e trecentomila i bambini in povertà assoluta in Italia che patiscono anche una povertà di proposta formativa e di istruzione. A questo tema abbiamo già dedicato una copertina e ora vogliamo continuare ad approfondire questo che a noi pare il tema cruciale: il diritto allo studio, il diritto ad alzare lo sguardo, immaginando un mondo diverso, senza confini, senza barriere mentali, senza pregiudizi, per costruire un mondo più giusto e umano.

Così, in occasione del cinquantenario dell’allunaggio, stregati dall’intuizione di scienziati, artisti e navigatori che seppero immaginare spazi più ampi, allargando prima di tutto il nostro spazio interiore, siamo andati a cercare chi oggi non si arrende a questa nerissima realtà e con coraggio guarda oltre mettendosi in viaggio in cerca di un futuro migliore, lottando per i diritti di tutti, cercando modi per portare avanti la ricerca, per far progredire la conoscenza, a vantaggio di tutti. In tempi di crisi della politica e della rappresentanza sono i movimenti antirazzisti e delle donne, i giovanissimi dei #FridaysForFuture a nutrire la speranza del cambiamento, a parlarci di un altro modo possibile di abitare e vivere i rapporti. Mentre esponenti del governo giallonero attaccavano ferocemente la capitana Carola Rackete per aver portato in salvo vite umane, più di un milione di euro veniva raccolto grazie alla generosità di semplici cittadini, a sostegno della SeaWatch3.

Mentre le grandi potenze attuano politiche neoliberiste e di sfruttamento che distruggono la società e l’ambiente, migliaia e migliaia di ragazzi in tutto il mondo scendono in piazza chiedendo un green new deal. «I media devono cominciare a occuparsi seriamente del Climate change, devono trasmettere i risultati dei numerosi rapporti scientifici e le loro conclusioni allarmanti. Dobbiamo informare l’opinione pubblica su ciò che sta realmente accadendo. Quando realizzeranno l’entità del problema, agiranno. Quando sapranno cosa può essere evitato e come evitarlo, faranno ciò che è necessario per farlo. Almeno, è quello che spero» ha detto Greta Thunberg nei giorni scorsi intervistata da Liberation. Questioni complesse in parole semplici. Fiducia nel sapere e lotta tenace. Anche da qui possiamo partire per un percorso di ricostruzione della sinistra che sarà necessariamente lungo e non facile. Non smettiamo di combattere per i nostri ideali. Vogliamo la luna.

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola dal 19 luglio 2019


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L’altra faccia della Terra

ROME, ITALY - APRIL 19: Greta Thunberg attends the ‘Fridays For Future’ rally with Greta Thunberg asking for measures and concrete action to combat climate change at Piazza Del Popolo on April 19, 2019 in Rome, Italy. (Photo by Ernesto Ruscio/Getty Images)

No, non ci siamo stati. Non siamo mai stati sulla Luna. Tutt’al più ci sono stati quei tre. Noi altri tutti telespettatori. Non ci siamo mai stati ma, oggi come allora, molti di noi vogliono la luna. La conquista della Luna fu sia un capitolo della guerra fredda, sia la colonizzazione di un immaginario. E la leggenda del Moon Hoax, la frottola della Luna, sta lì a certificarlo. Tra tutti i complotti è sicuramente il più affascinante e non è oscurantista, perché la luna è di tutti: è l’altro, l’altrove, l’altro mondo, l’impossibile, l’utopia.

A volere la luna erano in parecchi: guerriglieri nelle jungle o nei villaggi che decolonizzavano il paesaggio in Africa o in Latinoamerica, a Praga come nella Torino dell’autunno caldo. Ovunque esistevano soggetti collettivi coi pugni al cielo. «Il 15 gennaio del ’70 venne assassinato a Managua, in diretta tv – racconta Daniele Barbieri, una delle guide astrali di questo articolo – Leonel Rugama, poeta e rivoluzionario, aveva 21 anni. Pochi mesi prima aveva scritto La Terra è un satellite della Luna, una poesia su quanto fossero costate le missioni Apollo mentre “i figli della gente di Acahualinca non nascono per fame, e hanno fame di nascere, per morire di fame. Beati i poveri perché di essi sarà la luna”». Per questo la conquista della luna doveva servire a inibire l’idea stessa di un assalto al cielo.

A Porto Marghera, l’assemblea autonoma produsse un documento, Contro la luna, per dire che…

L’articolo di Checchino Antonini prosegue su Left in edicola dal 19 luglio 2019


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Alberto Lucarelli: Patrimonio pubblico, profitti privati. Per salvare i beni comuni serve una legge nazionale

Tutelare l’ambiente, salvare il territorio dalla speculazione, mettere al centro l’interesse pubblico nella gestione dell’acqua e di altre risorse primarie, valorizzare la funzione civile delle proprietà collettive, materiali e immateriali, a cominciare dal patrimonio storico artistico. Ridare forza al concetto di communitas, alla democrazia partecipativa, attraverso una rilettura della categoria dei beni pubblici è l’obiettivo che si è dato il gruppo di lavoro nato dalla commissione Rodotà di cui ha fatto parte il giurista Alberto Lucarelli che, insieme a Ugo Mattei ed altri, si è fatto promotore di una raccolta firme per una legge di iniziativa popolare in difesa dei beni comuni. Ordinario di Diritto costituzionale alla Federico II di Napoli e co-direttore della rivista Rassegna di diritto pubblico europeo, Lucarelli è stato al fianco di Stefano Rodotà, in particolare nel 2007 e 2008, lavorando per una riforma del regime civilistico della proprietà pubblica, un progetto che faceva tesoro della riflessione sui beni comuni avviata nei Social forum, a Seattle, a Genova, a Firenze.

All’epoca del referendum sull’acqua, di cui Lucarelli con altri redasse i quesiti, furono raccolte migliaia e migliaia di firme. Ora l’obiettivo del comitato Rodotà è ricreare quell’esperienza, raccogliendo «un milione di firme», dice Mattei, per dare un segnale forte di reazione e mobilitazione della società civile contro le politiche neoliberiste di privatizzazione dei beni pubblici e di sfruttamento intensivo a tutto vantaggio del profitto privato.

«C’è una crescente sensibilità verso questi temi, che semplificando molto chiamiamo beni comuni», rimarca Lucarelli. «Lo abbiamo visto anche dai risultati del voto a livello europeo: c’è stata un’apertura di interesse verso la difesa dei beni comuni, in particolare dell’ambiente. L’affermazione dei partiti ecologisti alle elezioni del 26 maggio scorso lo denota. Penso al 22% dei Verdi in Germania, al 12% in Francia. Alcuni sono partiti orientati a mettere insieme istanze ecologiste e sociali» afferma il giurista autore di Beni comuni (2011) e de La democrazia dei beni comuni (2013), ora al lavoro per un nuovo libro su populismo e costituzionalismo.

Diverso è invece il caso Italia dove l’importanza di questi temi è stata colta da molteplici amministrazioni locali, ma è del tutto assente dall’agenda politica di governo. «I beni comuni e sociali sono ormai categorie giuridiche concrete, diffuse nelle esperienze amministrative, ma non c’è una legge in Italia che le recepisca», avverte Lucarelli. «Da assessore per i primi 19 mesi a Napoli mi sono occupato di beni comuni direttamente. Il concetto è iscritto nell’articolo 3 dello statuto del Comune di Napoli. Su questi temi le esperienze giuridiche civili locali si sono realizzate con un pragmatismo visionario e lungimirante. Ma se non c’è una legge nazionale, la categoria dei beni comuni può essere facilmente spazzata via».

Ma quale legge sarebbe auspicabile? Rispetto alla proposta di legge di iniziativa popolare del comitato Rodotà il costituzionalista Paolo Maddalena ha espresso delle riserve, per esempio, perché il concetto di proprietà demaniale, sarebbe scomparso. Il testo non lo elimina, risponde Lucarelli, ma lo destruttura, riorganizza la materia, «per renderla più aderente alla realtà attuale e soprattutto per orientarla a finalità collettive, piuttosto che agli interessi del proprietario». E commentando la spaccatura che si è aperta nel gruppo di lavoro iniziale di cui faceva parte anche Maddalena ammette con rammarico: «Lungo il percorso alcuni compagni di strada si sono persi. Ma bisogna avere il coraggio di ricompattarsi, non solo per la crescente sensibilità che emerge in vari ambiti e perché in tanti stanno capendo l’importanza del tema, ma anche perché le svendite continuano e vanno contrastate».

Accade in molte parti d’Italia, ed anche a Napoli, dove  quando era assessore Lucarelli furono avviate sperimentazioni coraggiose come la ripubblicizzazione dell’acquedotto. Di recente, però, nel capoluogo partenopeo 431 immobili sono stati inseriti in un piano di dismissioni. Fra questi figura anche l’ex carcere Filangieri e altri spazi già individuati come “beni comuni” e “usi civici urbani”. «Alcuni di essi erano sedi di interessanti esperienze dal basso, interamente gestite dai partecipanti», denuncia Lucarelli.

Strumento di partecipazione dal basso è anche la raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare del comitato Rodotà. In tempi di crisi della democrazia rappresentativa iniziative simili possono essere un mezzo di mobilitazione ma anche di azione politica? «Se ripercorriamo la storia degli ultimi trent’anni vediamo che dopo la caduta del muro di Berlino l’Europa è passata da un modello socialdemocratico diffuso a un “nuovo” ordoliberismo», premette Lucarelli.

«A partire dal trattato di Maastricht si sono rese evidenti le radici del trattato del 1957, che hanno fortemente impattato sui singoli Stati. Ci sono stati atti europei regressivi. E anche oggi – approfondisce – vediamo che, dopo un voto  che ha mostrato segnali di interesse verso l’ecologia, i beni comuni e i diritti dei lavoratori, le nuove nomine vanno in tutt’altra direzione. In particolare quella di Christine Lagarde ai vertici della Bce. In questo quadro di crisi della rappresentanza – precisa il giurista – i processi di democrazia partecipativa possono contribuire a costruire spazi di discussione. Ma non si tratta di contrapporre la democrazia diretta a quella rappresentativa, né di sostituirla con altro. Il Parlamento europeo è un simulacro della rappresentanza, è una struttura inter governativa… occorre tornare a mettere le orecchie a terra per ascoltare cosa si muove».

L’intervista di Simona Maggiorelli al giurista Alberto Lucarelli è stata pubblicata su Left del 12 luglio 2019


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La professoressa sospesa e le promesse

Ricordate Rosa Maria Dell’Aria? È la professoressa di Palermo che insegna all’istituto industriale Vittorio Emanuele III e che venne sospesa perché non avrebbe «vigilato» sul lavoro di alcuni suoi studenti di 14 anni che, durante la Giornata della memoria, avevano presentato un video nel quale accostavano la promulgazione delle leggi razziali del 1938 al “decreto sicurezza” del ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Ci fu un gran clamore in quei giorni. La sottosegretaria leghista ai Beni culturali Lucia Borgonzoni (quella che candidamente ammette di non leggere libri) era intervenuta su Facebook commentando: «Se è accaduto realmente andrebbe cacciato con ignominia un prof del genere e interdetto a vita dall’insegnamento. Già avvisato chi di dovere». Lei parlò della «più grande amarezza e la più grande ferita» della sua vita professionale. «Quel lavoro non aveva assolutamente alcuna finalità politica né tendeva a indottrinare gli studenti, che da sempre hanno lavorato in modo libero come essi stessi hanno dichiarato anche agli ispettori arrivati in istituto a fine gennaio». Dell’Aria ha spiegato di non aver visionato in anticipo la parte della presentazione con le immagini contestate e ha aggiunto: «Il video è il risultato dell’elaborazione dei ragazzi, si era parlato di diritti umani e nella loro elaborazione hanno fatto l’associazione tra il decreto sicurezza e la lesione dei diritti umani». Ha spiegato che il suo lavoro di insegnante consiste nel «modificare il libero convincimento laddove possa essere offensivo, denigratorio o osceno», ma non quello di reprimere le opinioni: «Il mio modus operandi è cercare che i ragazzi si formino un pensiero libero, critico, che siano attenti ai fatti della realtà e che imparino a ragionare e a pensare. Che si formino delle opinioni».

Di Maio le telefonò addirittura. “Farò di tutto – disse il vicepremier nel corso del colloquio con la docente – perché lei venga reintegrata il prima possibile. Prima che lo Stato perda è bene che si ravveda”. Salvini annunciò la revoca della sospensione e disse che avrebbe inaugurato il prossimo anno scolastico nella sua scuola.

Bene. La sanzione non è mai stata annullata, invece. È lei stessa a raccontarlo. Come se le promesse valessero da sole senza farle seguire dalle azioni. A posto così. “Ci tengo alla dichiarazione di illegittimità – ha detto – perché si percepisce già tra i colleghi, tra gli studenti la preoccupazione di non poter più dire in futuro: io la penso così. Forse ci vogliono allineati. E invece noi dobbiamo continuare”.

Buon giovedì.

Trump condannato dalla Camera Usa per le frasi razziste contro le deputate dem, ecco come è andata

epa07719406 Democratic Representatives Rashida Tlaib (L), Ilhan Omar (C-L), Alexandria Ocasio-Cortez (C-R), and Ayanna Pressley (R) speak about President Trump's Twitter attacks against them in the US Capitol in Washington, DC, USA, 15 July 2019. Without identifying them by name, President Trump tweeted that the minority lawmakers should 'go back' to their countries. Three of the four freshman congresswomen are natural-born US citizens. EPA/JIM LO SCALZO

La Camera dei Rappresentanti americana, a maggioranza democratica, ha approvato una risoluzione che condanna «i commenti razzisti che hanno legittimato paura e odio nei confronti dei Nuovi Americani e delle persone di colore» del presidente Donald Trump contro quattro deputate progressiste appartenenti a minoranze etniche. La decisione è arrivata a seguito di una seduta convulsa, durante la quale la speaker dem Nancy Pelosi è stata ripresa dai colleghi per aver violato le regole vigenti, che vietano di definire il presidente razzista o di dichiarare razzisti i suoi commenti, in un acceso discorso. La risoluzione poi è stata approvata con 240 voti a favore e 187 contrari. Ai democratici, compatti, che hanno votato a favore si sono uniti solo quattro repubblicani, il congressman texano Will Hurd, (l’unico rappresentante afroamericano del partito), Brian Fitzpatrick (Pennsylvania), Fred Upton (Michigan) and Susan Brooks (Indiana); e un indipendente, Justin Amash.

Nel testo della delibera vi sono soprattutto richiami ai padri fondatori e agli ex presidenti. L’immigrazione «ha delineato ogni passo della storia americana, tutti gli americani, eccetto i discendenti dei Nativi e degli afroamericani in schiavitù, sono immigrati o discendenti di immigrati», si legge nel testo. Viene evidenziato, inoltre, che il patriottismo non si definisce per razza o etnia, «ma per devozione degli ideali costituzionali di equità, libertà, inclusione e democrazia».

Approvare una tale risoluzione – che tecnicamente è una dichiarazione di opinione e quindi non giuridicamente vincolante – criticando la condotta del Presidente è cosa rara. Secondo un report del 2018 del Congressional research service, è successo solo quattro volte che il Congresso votasse per approvare la censura o la condanna del Presidente. L’ultima era stata nel 1912, quando William Howard Taft era stato accusato di tentare di influenzare un’elezione del Senato.

Tornando ai fatti, durante un Comitato direttivo Alexandria Ocasio-Cortez, Rashida Tlaib e Ayanna Pressley avevano testimoniato sulle pessime condizioni in un centro di detenzione per migranti che avevano visitato. I dem avevano già più volte criticato l’amministrazione di Trump dei controlli alle frontiere, sostenendo che i migranti sono detenuti in condizioni inumane. Dopo la testimonianza, il tycoon ha affermato che, al contrario, le condizioni del centro avevano ricevuto «ottime recensioni».

In seguito, domenica 14 luglio, Trump aveva invitato in un tweet Ocasio-Cortez, Tlaib, Pressley e Ilhan Omar, quattro donne elette alla Camera dei Rappresentanti, nessuna bianca, a tornarsene nel loro Paese d’origine. Aveva poi rincarato la dose, citando anche l’attuale senatore della Carolina del Sud, Lindsey Graham: «Sono anti-semite, anti-americane, la loro agenda politica è disgustosa e gli americani la bocceranno… sappiamo tutti che Ocasio-Cortez e le altre sono un branco di comuniste, che odiano Israele e il nostro Paese». «Quando si scuseranno con il nostro Paese, il popolo di Israele e con l’ufficio del Presidente, per il linguaggio volgare che hanno usato e per le cose terribili che hanno detto? Tante persone sono arrabbiate con loro e le loro azioni sono orribili e disgustose!», aveva continuato Trump. In ogni caso, aveva aggiunto, «se non sono contente di stare qui, possono andarsene». «Queste sono persone, a mio avviso, che odiano l’America», aveva concluso.

Secondo Nancy Pelosi, «ogni singolo membro di questa istituzione, democratico o repubblicano, dovrebbe unirsi a noi nel condannare i tweet razzisti del Presidente». L’appello, che sottolineava con veemenza quanto i commenti dalla Casa Bianca fossero «disgustosi, vergognosi e razzisti», è caduto praticamente nel vuoto tra le fila del Grand Old Party (Gop).  Se infatti si è trattato di uno schiaffo senza precedenti nei confronti di Trump, la risoluzione ha anche mostrato la compattezza dei repubblicani nel sostenere il Presidente. L’atto da poco approvato potrebbe ora aiutare a contrastare Trump e le sue politiche nei tribunali americani, soprattutto per quanto riguarda l’immigrazione.

Approfittando della risoluzione, Al Green – deputato democratico del Texas – ha formalmente presentato alla Camera una richiesta per l’impeachment di Donald Trump. Non è la prima volta che Green intraprende questa strada con l’obiettivo di spingere la Camera ad affrontare il nodo dell’impeachment nel breve termine. L’iniziativa di Green è simbolica e con tutta probabilità non sfocerà in alcun risultato, anche se la Camera è costretta a votare in settimana. Le accuse dovranno essere confermate dalla commissione di Giustizia e poi dall’intera Aula a maggioranza semplice. La partita chiave, tuttavia, si giocherebbe in Senato, attualmente controllato dai repubblicani, dove per essere approvata la rimozione dall’incarico del Presidente dovrebbe essere votata da una maggioranza di 2/3 degli onorevoli.

L’attacco di Trump alle neo deputate ha suscitato enormi critiche negli Stati Uniti ma anche fuori dai confini nazionali. Per esempio, gli ha risposto con durezza la premier britannica Theresa May, sostenendo che le parole del Presidente americano sono «completamente inaccettabili». Ecco come la questione razziale, mai sopita, domina nuovamente il dibattito politico americano.

Aggiornamento del 18 luglio 2019

Con 332 voti a favore e 95 contro, la Camera Usa, controllata dai dem, ha deciso di mettere da parte e rinviare la risoluzione per avviare l’impeachment di Donald Trump accusandolo di aver screditato la presidenza con i suoi commenti razzisti contro quattro deputate progressiste di colore.

Da Macron a Di Maio (passando per Ursula von der Leyen)

Con 383 sì e 327 no Ursula von der Leyen viene approvata dal Parlamento Europeo per soli 9 voti di scarto sulla maggioranza richiesta.

Sono circa 50 voti in meno di quelli presi 5 anni fa da Juncker.

Dopo anni di crisi si è “letto” il voto europeo come una conferma del proprio operato e si è fatto un percorso intergovernativo che ha negato quel poco di democrazia avviata con gli spitzenkandidat indulgendo in trattative poco edificanti producendo questo risultato.

Un totale continuismo programmatico che non affronta sul serio nessun problema della sofferenza di chi vive in Europa o di chi vorrebbe arrivarci che invece è drammatica.

Conoscendo bene lo stile Ue ne ritrovo nel discorso di Ursula von der Leyen tutti gli elementi.

Bene ha fatto il Gue a porre i termini concreti che non trovano risposta.

1) Si pone fine alla stretta della austerità costruita con six pack, two pack e fiscal compact?

2) Come si esce dall’impianto liberista di Maastricht?

3) Che significano salario minimo europeo e assicurazione europea sulla disoccupazione? Perché non si prevede un livello contrattuale europeo che preveda armonizzazione salariale e delle attribuzioni sociali? La “assicurazione” europea per la disoccupazione è come la previdenza integrativa europea privata che bisogna pagarsi?

4) Dove sono i canali legali per i migranti per entrare in Europa?

5) Dove sono le misure concrete che servono a ridurre sul serio le emissioni e non registrare semplicemente la riduzione derivante da chiusure e spostamenti d’impianti?

I Cinquestelle e il Pd si accodano. Blanditi i “populisti” per separarli dai “sovranisti”.

Divisi i socialisti. Decisivi i popolari con i loro tanti sovranisti e i liberali resi ancora più liberisti da Macron.

Gue e Verdi sono una robusta opposizione di alternativa che dimostra che la dialettica non è tra governance e sovranisti. Si conferma l’importanza di questi due gruppi che in Italia si è fatto di tutto perché non avessero rappresentanza e nel cui voto io mi riconosco.

Lo strappo di Macron ha comunque ottenuto il risultato voluto anche se con molti rischi.

La UE ha una “nuova” maggioranza risicata ma più “politica”.

Non è quella di cui si è straparlato in campagna elettorale “da Macron a Tsipras” ma “da Macron a Di Maio”.

I liberali di Macron sono al centro e la Germania del dopo Merkel e della Spd in crisi converge pagando prezzi nelle alleanze interne ed esterne ma restando il Paese più forte. Sanchez ha garantito la maggioranza dei socialisti compreso il Pd.

La maggioranza parlamentare è striminzita ma allargabile facilmente perché la Spd verosimilmente non starà all’opposizione e gli stessi verdi dopo lo schiaffo della esclusione dovranno tenere e non sarà facile.

Sui paesi a guida sovranista si farà un riequilibrio nelle nomine.

Resta l’Italia dove la partita sarà complessa. Ora Conte dovrà garantire una nomina di peso. Ma un leghista potrebbe non passare il voto di Strasburgo. Sia per i cinquestelle che per la lega le scelte non sono facili. Anche Salvini ha bisogno di risultati e può pensare che gli serva che il governo sia suo anche formalmente.

Vedremo.

Intanto, come ho già scritto, è bene ricordare che dei 327 voti contrari (più gli astenuti) una buona metà sono di sinistra.

*

Articolo pubblicato su Transform! Italia

«Mi occupo di vita reale»

'Focaccia e gelato al volo nello splendido borgo di Boccadasse, a Genova, prima di rientrare a Roma. Che colori stupendi!'. Cosi' il vicepremier e ministro dell'Interno, Matteo Salvini, sul suo profilo Twitter. PROFILO TWITTER DI MATTEO SALVINI +++ ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA +++ ++ HO - NO SALES, EDITORIAL USE ONLY ++

L’uomo che si fotografa seminudo nel letto con la sua fidanzata, l’uomo che spande sui social le sue colazioni, i suoi pranzi, le sue cene, le sue birre, i suoi aperitivi, i poliziotti che accarezzano i gatti, le sue felpe, i suoi travestimenti con le divise delle forze dell’ordine, la sua pancetta in spiaggia, i baci linguosi con la sua nuova fidanzata, le sue vacanze in montagna, l’uomo che porta su un palco una bambola gonfiabile per rappresentare la Boldrini, l’uomo che si fotografa mentre manda bacioni come un beota sulla banchina, l’uomo che ha innescato una polemica sulla Nutella, l’uomo che va allo stadio abbracciato al peggior pregiudicato della curva, l’uomo che è andato in copertina con addosso solo una cravatta verde, l’uomo che ogni giorno spande veleno sui negri e sui rom, l’uomo che aveva nominato sottosegretario un amico di un amico degli amici di Cosa Nostra e continua a difenderlo, l’uomo che ha rateizzato 89 milioni di euro in ottant’anni, l’uomo che non ha mai lavorato in vita sua (e lo dice anche una sentenza di Cassazione), l’uomo che si è accanito per mesi contro Mimmo Lucano, quell’uomo lì ieri ha detto che lui si occupa solo di “vita reale”.

Può succedere solo da noi che a una frase del genere non si alzi una ola dalle Alpi alla Sicilia per mandarlo a quel Paese. Dice che si occupa talmente tanto della vita reale da non avere tempo per andare in Parlamento a chiarire perché Savoini fosse il suo braccio destro nei numerosi viaggi in Russia. Aveva detto nei giorni scorsi di non conoscerlo e ieri ha confessato di conoscerlo da 25 anni: lo sconosciuto più famigliare che si possa immaginare. Se la prende con gli alleati perché non lo difendono abbastanza e si limitano solo ad annullarsi facendosi calpestare.

Parla di tasse ma non gliene fotte niente delle tasse: deve solo parlare d’altro e purtroppo per lui non ha Ong in arrivo. Qualunquismo e benaltrismo a braccetto e all’ennesima potenza. Il Parlamento ridotto a un votificio. E una vita “reale” che non assomiglia a quella di nessuno di noi. Chissà quanto dura, questa barzelletta.

Buon mercoledì.

#RibelleCiao, le donne della sinistra Cgil alla conquista dello spazio politico

Le bandiere della pace, le bandiere della Cgil, le bandiere No Tav, lo striscione che chiede lo sciopero generale «subito!» per abrogare la legge Fornero. È la festa nazionale, tenutasi a Torino a fine giugno, di “Riconquistiamo tutto”, la minoranza di sinistra interna alla Cgil. Il titolo è evocativo: «Ritorno al futuro 1969-2019, perché il nostro futuro è nel nostro passato», partendo dagli operai della Pirelli in sciopero nell’autunno caldo del 1969. Nell’ambito di questa tre giorni di lavoro, è spiccata una giornata colorata di fucsia, rappresentata dalla prima assemblea nazionale di #RibelleCiao, le donne dell’area, quelle donne che non si sono chiuse in un teatro a discutere tra di loro, secondo l’idea dell’allora segretaria Camusso che convocò l’assemblea Belle Ciao, ma appunto, si sono ribellate e hanno costruito, dove hanno potuto, lo sciopero globale femminista dello scorso otto marzo.

«#RibelleCiao non è solo un hashtag, è uno slogan che è soprattutto uno spazio politico»: è nettissima Eliana Como, portavoce dell’area Riconquistiamo tutto, quando parla del femminismo delle operaie, delle impiegate, delle precarie, delle insegnanti, delle infermiere, delle pensionate, delle studenti. Quando ripete che non può bastare la contrattazione di genere, i convegni e le belle parole. Che quello che interessa non è il potere alle donne, ma la disparità salariale, le condizioni di lavoro spesso umilianti con le cosiddette pause fisiologiche per le mestruazioni, il mobbing alle donne che si impegnano politicamente o le molestie sessuali all’operaia in cambio dell’assunzione; la cassiera infastidita dal cliente, l’infermiera che subisce le battute allusive del collega, del medico o del paziente, le continue richieste di essere sempre di bella presenza e sorridente se vuoi fare la commessa, la hostess in fiera o l’insegnante di sostegno.

Il percorso di Eliana Como è un percorso femminista iniziato non in un collettivo, ma in una fabbrica manifatturiera di Bergamo, ad altissima presenza femminile, dove lei svolgeva lavoro sindacale. Quando si racconta dice che per lei, per la sua storia e il suo modo di essere, il femminismo è qualcosa di strutturale. «Il mestiere di sindacalista dentro la Cgil non è mai facile se sei una donna, se sei giovane, o almeno percepita come giovane, con un corpo pieno di tatuaggi e di piercing, ma non imponente fisicamente e che quindi non incute timore e riverenza. Vengo dall’area dei metalmeccanici, ma non ho quel physique du rôle adatto alla parte di portavoce secondo l’immaginario dominante, ma sono le nostre idee a imporsi nei meccanismi burocratici del sindacato, oltre ai corpi, le idee di tante lavoratrici proprio come me. Vorrei rendere quest’area più femminista o almeno più comoda per le donne che ci stanno dentro».

È proprio questo lo spirito della prima assemblea nazionale delle #RibelleCiao tenutasi a Torino, ed è anche una scommessa divertente, sprezzante del sarcasmo e del mugugno dei maschi che, per ora, non sono ammessi. Uno spazio di sorellanza dove discutere cosa fare e come, perché il prossimo 8 marzo è dietro l’angolo, sarà di domenica e questo, per chi si interessa soprattutto dello sciopero dal lavoro produttivo può essere una difficoltà in più. Bisogna inventarsi forme di sciopero diverse, convincere la Cgil che non è sufficiente esporre qualche fazzoletto viola, ma occorre sfidare le abitudini consolidate nel sindacato per entrare in comunicazione con il movimento Non una di meno. È importante esserci in quel movimento femminista, con la propria autonomia anche, ma nel rispetto reciproco. Ed è sicuramente una scelta sbagliata il fatto che la Cgil non ci sia, non si senta coinvolta.

Un rapporto non facile, per linguaggi e pratiche diverse. Quando le femministe di Nudm rivendicano il reddito per l’autodeterminazione, Eliana Como preferisce parlare di riduzione dell’orario a parità di salario, di un’altra politica salariale, del rispetto della sicurezza che troppo spesso nei luoghi di lavoro è tarata sul maschile, del controllo sui ritmi e sui tempi, del contrasto ai part-time involontari, alla precarietà e al lavoro domenicale e festivo. Ma sa bene, e non si stanca di ripeterlo in una assemblea vivace e partecipatissima, che il welfare contrattuale, a danno di quello pubblico già ampiamente danneggiato da tagli e privatizzazioni, non lo vuole, piuttosto vorrebbe un sindacato disponibile a lottare per congedi parentali uguali tra maschi e femmine o congedi retribuiti per donne vittime di violenza. E rifiuta nettamente quell’idea che vorrebbe le donne non al lavoro, ma confinate a casa a sfornare figli e ad accudire alla famiglia. Le idee non mancano. Adesso c’è anche lo spazio politico dove elaborarle, uno spazio che serve a tutte e tutti, perché se la Cgil secondo lo statuto è una organizzazione mista, non può più permettersi la comodità di essere neutra.

Eravamo quattro amici al bar. E Siri. E un missile

Non si sa cosa altro debba succedere per considerare superato il limite della decenza. La giornata di ieri è un piccolo bigino della legislatura, un riassunto degli atteggiamenti, delle nefandezze e della dignità istituzionale che è finita sotto l’ultimo tappeto dell’ultimo cesso dei palazzi di governo.

Il ministro Salvini (che non vede l’ora che arrivi una Ong per poter parlare d’altro rispetto al cumulo di balle sul caso Savoini-Russia) ha incontrato i sindacati che andrebbero incontrati dal ministro del Lavoro e dal presidente del Consiglio. Niente male come ennesimo scavalcamento che provoca al massimo qualche incazzatura bisbigliata nei retroscena politici. Di Maio e Conte ormai sono aloni istituzionali. E cosa fa il ministro dell’Interno per rendere il tutto ancora peggio di quello che già è? Si porta dietro Armando Siri. Sì, quello sotto inchiesta che è stato dimesso da sottosegretario. Evidentemente non è degno di fare il sottosegretario ma va benissimo per i sindacati. Già.

A Torino sequestrano armi a un gruppo di neofascisti. Un profluvio di armi, pronti per andare alla guerra. C’è addirittura un missile aria-aria. Non hanno ancora trovato l’aereo, forse nascosto in qualche sgabuzzino. Si parla tanto di terroristi che arrivano sui barconi e intanto questi hanno un arsenale. Ma niente. A Salvini non scappa di dire niente. Chissà perché.

Poi. Di Maio e Conte chiedono a Salvini di riferire in Parlamento sul caso dei fondi russi. Secondo voi li ha ascoltati? Ha detto una cosa qualsiasi? Un uomo che scappa dai processi si fa problemi a scappare dal Parlamento? Ma no. Niente. Niente. Quei due non sono aloni, sono macule istituzionali.

A Roma intanto si sgomberano di notte, con un esercito che sembra pronto per partire alla guerra, trecento disperati. I destrorsi esultano al nome della legalità. Solo che tra quei trecento ci sono ottanta bambini e anche italiani. Altro che prima gli italiani. Prima o poi verranno a prendere anche voi.

La donna uccisa a Savona dall’ex marito, Deborah Ballesio, aveva denunciato ben diciannove volte. Non è servito. Non si leggono i commenti di quelli che difendono le nostre donne. Beati loro che non se ne sono accorti.

Avanti così.

Buon martedì.