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Elezioni in Spagna, il bilancio di Unidas Podemos

Innanzitutto un grande abbraccio alle compagne e ai compagni di Unidas Podemos che superano il 14% e sfioreranno i 4 milioni di voti. Un risultato molto importante e superiore a ciò che dicevano i sondaggi. Certo c’è una flessione significativa rispetto a tre anni fa ma in mezzo c’è una campagna furiosa fatta contro di loro anche con metodi da “cloaca” e anche divisioni che sono intervenute. Ma Unidas Podemos ha consolidato una identità di forza di alternativa di società di sinistra. In termini di seggi sono penalizzati molto da un sistema che attribuisce i seggi con un proporzionale per collegi che distorce il risultato.

In realtà Unidas Podemos ha praticamente la stessa percentuale di Ciudadanos ed è vicinissima al Partito Popolare. Il Partito Popolare crolla e patisce la sua crisi e quella del sistema politico spagnolo. Ciudadanos non ne raccoglie l’eredità come partito centrale stando intorno al 15%. La destra neo franchista inquieta ma sta sotto al 10% e sotto le aspettative. Crescono molto le forze autonomiste e indipendentiste progressiste che passano da 25 a 39 seggi. Il Psoe arriva primo, cresce molto ma sta sotto il 30%. Da ultimo la crescita forte della partecipazione al voto dice di una grande domanda politica.

Unidas Podemos in tutta la campagna elettorale ha detto che la crisi del sistema politico si risolve con una alternativa di società a sinistra. Questa deve essere la chiave per affrontare la composizione del governo ripartendo dalla finanziaria che era stata proposta e dalla presenza di Unidas Podemos nel governo. Se invece si andasse verso una alleanza tra Psoe e Ciudadanos che è auspicata dagli establishment spagnoli ed europei (e da Macron) sarebbe un danno per la Spagna e per l’Europa. Riportiamo qui la conferenza stampa fatta a caldo da Unidas Podemos dove si fa una prima analisi del voto che dà continuità alla proposta avanzata in campagna elettorale.

Nella consapevolezza di avere un calo, si rivendica di aver contenuto una pur grave affermazione della destra e di far parte di un possibile blocco progressista che supera le tre destre ed è maggioranza relativa nel Paese. Dati ancora più importanti se si considera l’alta affluenza e la radicalizzazione avvenuta. Si parla di Spagna come nazione di nazioni e dunque di una possibile indicazione al rapporto con gli autonomisti e indipendentisti. Ci si congratula con il Psoe e si chiede di marciare sulla strada di un governo di cambiamento.

La lezione di Mimmo Lucano

Mimmo Lucano durante una conferenza stampa per presentare la conclusione della campagna di raccolta firme per candidare il Comune di Riace al Premio Nobel per la pace 2019, Roma, 30 gennaio 2019. ANSA/ETTORE FERRARI

Si sa come funziona, nella politica che ormai è tutta show, un reality continuo in cui il personaggio conta più delle idee, della sua effettiva rappresentanza e perfino dei suoi progetti per il Paese. Se si vuole fare politica bisogna avere molti seguaciessere diventati nel bene o nel male un simbolo e comparire in televisione. Ecco, un giorno magari ci ricorderemo di politici creati in tutto e per tutto da ospitate televisive ripetute che ne sono state la benedizione (vi ricordate la Polverini nel Lazio? Da sconosciuta a onnipresente) e non è un caso che i politici vengano cercati per un selfie, vengano abbracciati come novelli papa laici, e rincorsi per avere una carezza sulla testa dei propri figli.

Funziona semplice: si rincorre per un motivo qualsiasi una certa visibilità e una volta ottenuta si monetizza con una candidatura regionale, nazionale e europea che garantisce soldi, una posizione e soprattutto l’autopreservazione tra quelli che contano.

Mimmo Lucano ha ricevuto richieste di candidatura da tutto lo spettro di centrosinistra per le prossime europee: gli devono avere detto che stare a svernare in Europa per un po’ avrebbe anche messo a tacere quel suo processo farsa (che la Cassazione ha già smontato) in cui un poveraccio fiero come lui deve svuotarsi le tasche piene di niente per dimostrare di non avere preso nessuna decisione per arricchirsi ma semplicemente per il bene della sua città, quella Riace che da fortezza nel deserto dei tartari sotto la sua amministrazione si era trasformata in uno dei più alti esempi di integrazione. È finito sotto processo per dei muli che raccolgono l’immondizia, per dire. E i cosiddetti matrimoni combinati sono l’unica via d’uscita (sempre che ci siano stati) per dare cittadinanza contro un’orribile legge che semina stranieri.

Mimmo Lucano ha detto di no a tutti, sempre con il sorriso sulle labbra, figlio della serenità di essere riuscito a realizzare un sogno e ha deciso che si candiderà, sì, ma come consigliere comunale nel comune di Riace. Sì, avete letto bene, consigliere comunale in quel piccolo paese che qualcuno vorrebbe popolato da fantasmi. Rinunciando ai soldi, al potere e alla visibilità.

E ditemi se non è una lezione chiara, quella di Mimmo Lucano.

Buon lunedì.

Quelle singolari analogie tra Erdogan e Netanyahu

epa07479900 People pass in front of a huge banner with pictures of Turkish President Recep Tayyip Erdogan and Binali Yildirim, candidate of Turkish ruling party Justice and Development Party (AKP) reading 'Thank you Istanbul' in Istanbul, Turkey, 02 April 2019. According to preliminary results, CHP candidate for Istanbul mayor, Ekrem Imamoglu, beat the AKP candidate Binali Yildirim, by 25,000 votes in what was viewed as a blow to President Recep Tayyip Erdogan's grip on power, as the ruling party, an Islamist conservative outfit, also lost the capital, Ankara. EPA/ERDEM SAHIN

Nel suo palazzo imperiale di Ankara il presidente turco Erdogan si muove agitato da quando, lo scorso 31 marzo, ha subito un duro schiaffo alle elezioni municipali. Dopo 17 anni di potere incontrastato, il “Sultano” è uscito ridimensionato dalle urne perché è stato sconfitto per un pelo nella “sua” Istanbul, nella capitale Ankara e, in misura ben più evidente, a Smirne, la terza città del Paese. L’emorragia di voti è stata evidente, la rabbia del presidente e dei suoi delfini palpabile. Da settimane Erdogan strepita, denuncia «brogli» e chiede con insistenza il riconteggio dei voti. Soprattutto a Istanbul dove il suo partito (l’Akp) nega il successo del repubblicano Imamoglu (Chp) e promette che combatterà «per vie legali».

La débâcle elettorale di Erdogan non vuol dire però che la «Turchia ha voltato pagina» come hanno osservato frettolosamente diversi analisti: gli islamisti e i suoi alleati nazionalisti del Mhp, che hanno corso insieme nell’Alleanza del popolo, hanno pur sempre vinto le elezioni con il 51,64% delle preferenze contro il 37,5% del principale blocco d’opposizione rappresentato dall’Alleanza della nazione formata dai repubblicani e dai conservatori del Partito del Bene. L’Akp, inoltre, si è confermato come il principale partito nazionale (44%) e stacca i suoi principali rivali del Chp di ben 14 punti percentuali. Dati importanti da tenere in dovuta considerazione, ma che non possono tuttavia colmare la perdita di Ankara (ora in mano al kemalista Yavas) e soprattutto di Istanbul, prima città del Paese, ma anche luogo simbolico perché è qui che il presidente ha iniziato la sua carriera politica e ha rivestito la carica di sindaco negli anni Novanta. Senza poi dimenticare che notizie negative per il leader islamista sono arrivate anche dal sud est del Paese a maggioranza curda: qui i sostenitori del partito di sinistra filo-curdo Hdp (4% di voti a livello nazionale) hanno ripreso le municipalità che le autorità turche avevano tolto loro due anni fa per i presunti legami tra l’Hdp e quelli che Ankara definisce i «terroristi» del Pkk. Poi, però, l’11 aprile cambio di programma: il Comitato turco (Ysk) ha stabilito che diversi sindaci eletti tra le file dell’Hdp non possono assumere l’incarico «perché sono stati precedentemente rimossi dalle loro funzioni per decreti legislative». Che tradotto più semplicemente vuol dire: la volontà popolare qui è stata di fatto cancellata a causa del clima da caccia al…

 

L’articolo di Roberto Prinzi prosegue su Left in edicola dal 26 aprile 2019


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Al gran bazar dei profili internet

Quando ho incontrato Bill Simmons a Roma nel 2015, di Intelligenza artificiale (Ai) si parlava ancora poco. Bill era a Roma per promuovere la sua azienda, nata dall’iniziativa di un gruppo di scienziati che con lui avevano lavorato per pianificare le missioni della Nasa su Marte. L’algoritmo che avevano messo a punto per l’agenzia aerospaziale si occupava di effettuare le correzioni di rotta in tempo reale dei missili diretti sul pianeta rosso. In seguito hanno deciso di utilizzarlo per altro. «Internet fornisce moltissime informazioni che possono essere applicate al marketing. La quantità di dati che abbiamo a disposizione, però, è tale che i normali sistemi non sono in grado di sfruttarne a fondo le potenzialità. Per questo abbiamo pensato di applicare al marketing le tecniche che abbiamo sviluppato per le missioni Nasa su Marte» mi ha spiegato.

Ma di quali informazioni stiamo parlando esattamente? Attraverso l’analisi dei nostri comportamenti su Internet, allora come oggi, chiunque abbia accesso a determinate informazioni può sapere praticamente tutto di noi. Dove viviamo, che cosa ci interessa, chi conosciamo e frequentiamo, dove viaggiamo e, naturalmente, cosa acquistiamo. Tutti dati che forniamo in maniera esplicita ma anche meno immediata. Per esempio quando pubblichiamo una fotografia che, al suo interno, contiene i dati di geolocalizzazione.

I sistemi dell’azienda di Simmons sfruttavano proprio queste informazioni ed erano già allora in grado di processare 2 petabyte di dati (2.147.483.648 megabyte) al giorno, prendendo 1,5 milioni di decisioni al secondo per garantire il miglior collocamento delle pubblicità sul web, combinando le preferenze e i comportamenti dei singoli consumatori con altre informazioni. Nel caso dei servizi di consegna della pizza a domicilio, per esempio, il sistema valutava anche i fattori che potevano rendere più appetibile la pubblicità: se c’erano eventi sportivi in programmazione in Tv, quale fosse il clima in quel momento nella città del potenziale consumatore e quale l’orario più adatto per visualizzare la pubblicità.

Di più: il sistema era in grado di valutare i risultati delle sue azioni e correggerle, migliorando nel tempo la sua capacità di scegliere la pubblicità giusta per ogni singolo visitatore di un sito. Le parole di Simmons, allora, mi avevano aperto a un mondo di cui pochi avevano capito realmente dimensioni e orizzonti, ma soprattutto av…

 

L’articolo di Marco Schiaffino prosegue su Left in edicola dal 26 aprile 2019


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A Malta, in prima linea sul fronte del climate change

People are seen enjoiyng the good weather and the beautiful sunset over Marsaskala, Malta, on February 08, 2019 (Photo by Hristo Rusev/NurPhoto via Getty Images)

In pochi minuti è andato tutto distrutto. Piante di pomodori spezzate, lattughe e ortaggi sradicati. Il vento ha strappato i teli e abbattuto le porte delle serre. Abbiamo avuto oltre 4mila euro di danni. Non ho mai visto niente di simile qui a Malta». Riccarda Ta’ Bona porge lo scontrino e un sacchetto azzurro con frutta e verdura a un cliente. Ha un banco a Ta Qali, il mercato ortofrutticolo all’ingrosso dell’arcipelago-Stato. Uno spiazzo di asfalto spazzato dal vento, sempre più frequente e intenso da queste parti. Qui, il martedì e il sabato i piccoli agricoltori locali vengono a vendere ortaggi a chilometro zero. «Il clima è cambiato. Saranno dieci anni che piove poco. Mentre si creano temporali violenti mai visti prima». Paul fa il contadino da quando aveva 12 anni. Ora ne ha 56 e di tempeste ne ha vissute decine. «Eppure – dice – oggi i danni sono maggiori». «Quasi 50 mila euro buttati via – conviene Manuel Camilleri, coltivatore diretto a tempo pieno – abbiamo perso gran parte del raccolto. Ora chi ci ripagherà?»

Quella del 24 febbraio è stata la tempesta più intensa dall’ottobre del 1982, con raffiche di vento fino a 130 km all’ora e quasi 50 millimetri d’acqua caduti in un solo giorno.

Onde alte oltre 5 metri hanno strappato gli ormeggi delle piccole imbarcazioni, rovesciandole contro i locali del lungomare, nella cittadina di San Julian’s, a Nord, aprendosi la strada fin dentro le insenature più riparate e nascoste. Strade chiuse a causa degli alberi abbattuti dal vento, muretti a secco crollati sotto il peso della pioggia violenta. Persino le linee elettriche sono state danneggiate, mentre la grandine ha imbiancato l’isola. Voli in ritardo o cancellati.

A confermare che qualcosa nel clima è cambiato è Stefano Moncada, docente e ricercatore della Climate Change Platform, la pi…

 

L’articolo di Massimo Lauria e Gilberto Mastromatteo prosegue su Left in edicola dal 26 aprile 2019


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Ascanio Celestini: Vi racconto la storia di vite immaginarie

ASCANIO CELESTINI ATTORE

Ho incontrato Ascanio Celestini dopo uno spettacolo che ha portato al teatro Palladium a conclusione di un laboratorio tenuto in collaborazione con gli studenti del Dams dell’Università di Roma Tre. Ci eravamo dati appuntamento per parlare del suo ultimo libro Barzellette edito da Einaudi ma lo spettacolo aveva creato una atmosfera particolare che mi ha spinto, quasi costretto, a cambiare programma e questo è l’incontro che ne è venuto fuori.

Per chi non lo avesse visto, lo spettacolo si chiamava Storie di persone, quasi fosse il titolo di tutto il suo lavoro di sempre: era infatti il racconto delle vite di varie persone. Vere, immaginarie, reali, surreali, ed è iniziato con la storia di Davide Bifolco il ragazzo che cinque anni fa a Napoli è stato ucciso da un carabiniere il quale sostiene che il colpo sia partito accidentalmente mentre cercava di arrestarlo. Ascanio Celestini nel riportarne la storia, alternando il punto di visita del padre e della madre, ne restituisce una dimensione umana che nessuna informazione giornalistica, pur corretta e esatta, era riuscita a trasmettere.

Provo a chiedergli l’impossibile, a carpire il segreto della sua abilità di narratore e di creatore di atmosfere magiche…

«Si tratta di ridare alle cose il loro valore e a volte è molto semplice. Per raccontare la storia di Davide Bifolco e spiegare che era solo un bambino è bastato dire che prima di uscire di casa aveva detto alla mamma: “Oh mi raccomando preparami il pigiama che stanotte papà non c’è dormo con te”. Un bravo giornalista o un storico – approfondisce Celestini – cerca di raccontare non tanto i fatti della vita quotidiana ma la concretezza della vita, su questo gli storici si interrogano da sempre. Un tempo gli antropologi andavano al porto ad ascoltare i pes..

L’intervista di Alessia Barbagli ad Ascanio Celestini prosegue su Left in edicola dal 26 aprile 2019


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La Spagna al voto, Unidas Podemos baluardo contro i neo franchisti

Domenica 28 aprile la storia la scrivi tu…Questo si può dire di ciascun cittadino e cittadina spagnola riprendendo lo slogan che ha caratterizzato la campagna elettorale di Unidas Podemos. Ormai ci siamo e questo voto sarà sicuramente storico.

Da una parte la speranza di riprendere la bella avventura del governo socialista appoggiato da Unidas Podemos che era arrivato a produrre una legge finanziaria di vero cambiamento prima di cadere per il venir meno dei voti degli indipendentisti catalani. Magari facendo un ulteriore passo in avanti con l’ingresso diretto al governo di Unidas Podemos. Dall’altra il vero e proprio incubo di un governo di tutte le destre che si è fatto più minaccioso dopo che i Popolari hanno aperto alla possibilità di una collaborazione al governo oltre che con Ciudadanos (forza di nuovismo liberale di destra) anche con i neo franchisti di Vox dati in forte crescita. E dopo che un sondaggio uscito in tempo di divieti ha accreditato questa possibilità.

Unidas Podemos ha fatto tutta la campagna elettorale sulla prima possibilità, quella della speranza. E così l’ha conclusa a Madrid ieri sera in una bellissima manifestazione di cui riportiamo il video. Chiari e appassionati gli interventi di tutte e tutti i e le leader della lista di confluenza. La certezza di un voto per il cambiamento laddove il Psoe non esclude ancora il rapporto con Ciudadanos. Un voto non contro la Spagna, come accusa la destra, ma per la Spagna perché la Spagna sono il lavoro e le lavoratrici e i lavoratori, il pubblico, i servizi e le cittadine e i cittadini.

Un voto che sta nella vita quotidiana delle persone, dei giovani, delle donne alle prese con la precarietà, la violenza, i mille problemi. Un voto che è castigliano, catalano, basco, spagnolo. Un voto per i migranti. Un voto per la Repubblica.

Elezioni in Spagna, Sanchez alla prova del voto e dell’unità a sinistra con Podemos

epa07530861 Spanish Prime Minister and General Secretary of Spanish Socialist Worker's Party (PSOE) Pedro Sanchez delivers a speech during a political rally held in the Entrevias Auditorium, in Madrid, Spain, 26 April 2019. Spain will be holding general elections 28 April 2019. EPA/Chema Moya

Alla vigilia del voto del 28 aprile, nel secondo ed ultimo tesissimo confronto televisivo fra le quattro principali forze politiche spagnole, Pedro Sánchez, segretario socialista, sembra aver sciolto il principale equivoco su cui è ruotata questa campagna elettorale: non è nei suoi piani cercare, dopo il voto, un patto con Ciudadanos. Sul punto delle alleanze, necessarie per governare, i socialisti erano stati molto reticenti, se non ambigui. Le insistenti domande al riguardo di Pablo Iglesias erano rimaste senza una risposta, innervosendo non poco Unidas-Podemos, il principale alleato della breve, ma significativa esperienza di governo dei socialisti nell’ultima legislatura. Eppure è proprio con Unidas-Podemos che era stato concordato un bilancio dello Stato che finalmente metteva un freno al massacro sociale prodotto dalle politiche liberiste che le ultime legislature di destra, comprese quelle indipendentiste catalane, hanno scaricato sulla Spagna.
Ed invece finora il messaggio arrivato dai socialisti sembrava quasi ignorare che il bipartitismo è finito, seppellito dalla rivolta degli Indignados del 2011, e quindi che, per riuscire a governare il Paese, è necessario costruire coalizioni. Il sondaggio a una settimana dalle elezioni prevede due blocchi, tanto quello del Psoe con Unidas-Podemos quanto quello delle destre di PP-Cs-Vox ognuno con un massimo di 174 seggi, quasi sufficienti per governare. Con il Psoe in crescita, il PP e Podemos in calo, e i liberisti di Ciudadanos e l’ultra destra di Vox che conquistano voti.
L’obiettivo dei socialisti è sembrato rivolto a consolidare il Psoe come il partito più votato, una campagna tutta basata sul voto utile, quasi a definire una sorta di autosufficienza socialista per contenere l’offensiva delle destre e governare il Paese. C’è molto opportunismo in questa scelta di trasmettere contenuti di svolta anti-liberista, disegnare un Paese più giusto, con maggiore uguaglianza, soprattutto fra uomini e donne, impegnato a promuovere un nuovo modello energetico per frenare il cambio climatico e poi lasciare nel vago con chi lo si vuol portare avanti. Evitare cioè di dire con chiarezza all’elettorato che questo progetto può andare avanti solo con Unidas-Podemos, che ne richiede una versione ancora più radicale, non fa che confondere e seminare sospetti sulla reale credibilità e affidabilità dei socialisti.
Lasciare poi intendere che è possibile recuperare il partito più liberista di Spagna, Ciudadanos, a questo progetto di nuovo Paese, staccandolo dalla deriva di estrema destra in cui è precipitato, alleandosi con i franchisti di Vox in Andalusia, nasconde o un eccesso di furbizia o peggio una scarsa considerazione dell’elettorato, entrambe le cose destinate a dare risultati opposti da quelli sperati. Altrettanto poco credibile è pensare che, rinviando la scelta delle forze con cui formare una maggioranza di governo al dopo voto, possa attenuare l’accusa, soprattutto di Ciudadanos, di volere venire nuovamente a patti con gli indipendentisti catalani e non. Non lo è perché nessuno può credere che il nuovo Paese che si dice di voler costruire sia realmente possibile senza una soluzione giusta per la Catalogna. Al contrario non avere una scelta forte sulla crisi territoriale, in grado di indebolire contemporaneamente il consenso sociale di cui gode l’indipendentismo nonché quello del nazionalismo spagnolo che liquida le autonomie animato dalle destre, toglie ulteriore credibilità all’idea stessa che sia plausibile un nuovo Paese. In questi ultimi giorni di campagna è augurabile che sia stato speso il valore che racchiude in sé il rilancio del rapporto fra Psoe e Unidas-Podemos, cioè di una possibile scelta unitaria a sinistra.

Nel comune-simbolo del Carroccio apre il Museo del ricordo (del fascismo)

A soli tre giorni di distanza dalla festa della Liberazione, ad Adro, in provincia di Brescia, paese leghista e roccaforte dell’ex sindaco Oscar Lancini (ora è vice) verrà inaugurato il “Museo del ricordo”.

Proprio il 28 aprile, giorno listato a lutto per l’estrema destra nazionale, poiché anniversario della morte di Benito Mussolini.

Saranno dunque le ex scuole materne di via Padania, ad ospitare la collezione di documenti, armi, proiettili di vario calibro e cimeli che raccontano e rievocano in gran parte il periodo peggiore della nostra storia, ovvero il Ventennio fascista.

Il “Museo del ricordo”, curato dall’imprenditore settantunenne Tullio Gaibotti, in passato creò polemiche arrivate da più parti in quanto accusato di revisionismo e di esaltare il mito della guerra. In particolare, a finire nel mirino erano state le numerose fotografie del Duce e quelle di studenti universitari in camicia nera, esposte in bella mostra in mezzo a tante altre divise della Rsi.

Ora il trasloco, dalla piccola sede privata di Cologne, dove è nato nel 2005, agli ottocento metri quadrati dell’ex scuola dell’infanzia di Adro. La collezione è composta da documenti legati al periodo storico compreso tra il 1918 e il 1945, tutte le parti politiche di quegli anni sono coinvolte.

Domani mattina, all’apertura ufficiale della mostra, prevista alle ore 9, parteciperanno le autorità comunali al gran completo e l’intera manifestazione sarà accompagnata dalla fanfara “Arturo Scattini” di Bergamo.

Un evento che in questi giorni è stato ampiamente pubblicizzato e sostenuto sui social da gruppi identitari della zona come Forza Nuova, i MOS di Palazzolo sull’Oglio e altri personaggi nostalgici.

Nuova bufera perciò nel paese dell’eurodeputato e vice sindaco Lancini, leghista di ferro e conosciuto alle cronache nazionali per aver tappezzato con settecento simboli verdi del “Sole delle Alpi” l’istituto comprensivo scolastico nel 2010. Lancini aveva già fatto scalpore qualche mese prima, distinguendosi per la scelta di negare la mensa ad alcuni bambini (per la maggior parte stranieri) le cui famiglie in difficoltà economiche non riuscivano a pagare la retta. Tutte provocazioni sensazionalistiche, compresa la proposta della taglia da 500 euro, premio per i vigili urbani capaci di scovare clandestini sul territorio.

E sebbene siano in molti a respingere ora con fermezza le accuse di nazionalismo o di propaganda dal Museo del Ricordo, l’idea di esibire pubblicamente reperti e cimeli neri, con l’obiettivo finale di promuovere un giorno attività didattica per le nuove generazioni rimane decisamente ambigua e preoccupante.

Mi domando quale possa essere il valore pedagogico e istruttivo nella diffusione di questi materiali. Sicuramente, la conoscenza della storia non viene trasmessa esibendo simboli di guerra e di morte, piuttosto spiegando e ricordando eventi tragici, in modo da impedire che possano ripetersi in futuro. A questo serve infatti l’apprendimento della memoria. Dicono inoltre che fascismo e antifascismo siano roba vecchia, superata e persino dimenticata. Eppure, a Predappio, la Betlemme del Duce, almeno tre volte l’anno, centinaia di persone in divisa nera continuano ad arrivare per commemorare la nascita, morte di Mussolini (domani) e anniversario della marcia su Roma. Solo folklore?

Con la Sinistra per una nuova cultura politica

Thousands of youth strikers take part in a protest march against the governments lack of action on the climate change and destruction of the environment on 12 April, 2019 in London, England. The 3rd UK-wide youth strike is part of a global FridaysForFuture movement inspired by Swedish teenager Greta Thunberg who protests in front of the countrys parliament every Friday since September 2018. (Photo by WIktor Szymanowicz/NurPhoto via Getty Images)

Due ordini di ragioni, una interna e una internazionale, rendono cruciali queste elezioni europee. Sul piano interno si potrà verificare quanto le scelte del PD e del M5S siano riuscite a rendere una formazione che raccoglieva poco più del 17 % dei consensi, il più forte partito politico del paese. Perché di questo si tratta: da un lato il PD, piuttosto che evitare il peggior esito per il governo per il paese, ha scelto di rendere l’attuale maggioranza l’unica possibile, quasi a voler punire un’opinione pubblica che gli ha voltato le spalle; dall’altro il M5S ha deciso di assecondare l’iniziativa di Salvini, facendolo apparire come il vero uomo forte del governo: cavalcando temi quali la legittima difesa, l’invasione degli stranieri, la “famiglia tradizionale”, la “flat tax “, il sovranismo nazionalista, cioè temi di destra, la Lega ha per mesi dominato la scena politica lievitando nei consensi. Ora, dopo questo disastro – che se fosse stato programmato a tavolino non avrebbe potuto avere maggior successo – PD e M5S chiedono un voto per raggiungere il secondo posto nella graduatoria delle forze politiche. Sembra che in palio vi sia una medaglia d’argento in una competizione sportiva, e non una prospettiva di cambiamento da offrire a un paese stremato dalla crisi.

Sul piano europeo, la crisi economica si è trasformata in crisi sociale, politica e istituzionale. Dalla Brexit al movimento dei giubbotti gialli, fino alla formazione in Italia di un governo costituito da due partiti marginali o inesistenti 10 anni fa, la rabbia dei popoli ha colpito il cuore dell’Europa. Ad occidente di quest’area di crisi radicale abbiamo una Spagna sul punto di votare ancora. Ad oriente l’area attorno alla Germania soffre meno della crisi, ma mostra anch’essa segni di cedimento. Nell’insieme la stabilizzazione appare molto lontana.

In questo contesto la sinistra storica è parte del problema, non certo della soluzione. Appiattita all’ideologia neoliberista, come vediamo dai vuoti slogan di Macron e dall’ecumenismo di Zingaretti essa trova la propria ragion d’essere solo nel costituirsi come argine al “sovranismo antieuropeista”, senza essere in grado di affrontare il cuore del problema: la protesta anti europea prospera proprio grazie alla condizione di abbandono che vivono quelle classi sociali che alla sinistra facevano riferimento. Così i vecchi assetti politici e le cosiddette forze anti establishment si giustificano l’una grazie all’altra, diffondendo indifferenza, paura, sfiducia: nulla sembra poter cambiare nella politica odierna.

Le forze che, in Italia, hanno costituito la nuova lista della “Sinistra”, hanno invece una fisionomia ben definita: superamento dell’austerità, Geen New Deal, difesa del lavoro e dello stato sociale, chiusura dei paradisi fiscali, accoglienza e solidarietà, temi questi che inutilmente cercherete nei programmi delle altre forze politiche. Il rifiuto di opachi accordi con chi in questi anni è stato corresponsabile delle devastanti politiche antisociali, è il necessario punto di partenza per raccogliere consensi. Le competizioni elettorali, però, sono anche occasioni per dibattere, diffondere idee, costruire alleanze e organizzarsi. Va quindi posto al centro della campagna elettorale non solo la critica alle politiche economiche neoliberiste, ma anche alla cultura politica che le sostiene.
Una delle idee più devastanti di questi decenni è stata il “trickle down” (sgocciolammo verso il basso): essa afferma che l’arricchimento dei più ricchi è un bene in quanto, in ultima istanza, ciò porta un maggior benessere per tutti. Questa idea, vera e propria proposta di secessione sociale, trova applicazione anche nei rapporti tra aree economiche e paesi. A essa va sostituita l’idea che i sistemi sociali sono come una catena, la cui capacità di tenuta non è legata all’anello più forte, ma a quello più debole. La crisi sociale europea, esplosa con il disumano trattamento subito dalla Grecia (uno dei paesi più fragili), si è rapidamente estesa a tutta l’Europa, mostrando quanto le sorti dei popoli siano intrecciate.

Left si propone da tempo come luogo di discussione per costruire una nuova cultura politica che ponga al centro il valore del rapporto tra le persone, e non lo sfruttamento del lavoro e della creatività altrui a fini di profitto. Sarà presente anche in questo difficile passaggio della vita politica del paese. Si tratta di lavorare affinché questa nuova cultura, ormai diffusa, possa essere anche forza politica.

L’economista Andrea Ventura è candidato per la Sinistra nella circoscrizione Centro Italia alle prossime elezioni europee

L’articolo di Andrea Ventura è tratto da Left del 26 aprile 2019


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