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Verità e giustizia per i nuovi desaparecidos

«Per i desaparecidos c’è questa strana condizione per cui il corpo non ricompare e sebbene mia madre ci abbia sempre detto “papà non ritorna”, nella nostra immaginazione di bambini c’era la possibilità che ricomparisse. Perché c’è questo nella testa di un bambino: sente che tutti si sono sbagliati, che potrebbe essere ancora sotto sequestro, che potrebbe aver perso la memoria. Immagini tante cose. Ti dici: “Forse papà se n’è andato con un’altra donna, ha un’altra famiglia. Sarebbe fantastico perché potrebbe tornare, no?”. Invece no. È morto». Cosa significa sopravvivere a un familiare vittima di una sparizione forzata, cioè avvenuta illegalmente per mano dello Stato, è tutto in queste parole di Maria Campiglia, figlia del desaparecido italo-argentino Horacio scomparso nell’ambito del genocidio di “sovversivi” pianificato in Sud America negli anni Settanta dall’internazionale nera del terrore denominata Operazione Condor.
Maria le ha pronunciate di fronte alla cinepresa di Emanuela Tomassetti autrice del docu-film La memoria del Condor che ha vinto il premio Malvinas all’ultimo Festival del cinema latinoamericano di Trieste.
Sono parole semplici quelle di Maria ma che hanno un valore universale. Sono un viaggio nella memoria e al tempo stesso drammaticamente attuali.
Valgono per i desaparecidos del Condor e per i corpi straziati dalla giunta civico-militare di Videla e Massera. Valgono per i 43 studenti messicani scomparsi nel 2014 e non solo.
In Egitto, per dire, svaniscono letteralmente centinaia di persone ogni anno, lo stesso è accaduto in Libano durante la guerra civile e accade tuttora in Turchia e in Siria agli oppositori di Erdogan e Assad. Ed è la sorte che, sempre Erdogan, vorrebbe riservare al popolo curdo, e la criminale politica estera israeliana a quello palestinese. Curdi e palestinesi, nell’indifferenza della comunità internazionale, devono scomparire dalla faccia della terra, come se non fossero mai esistiti. Non è forse anche quello che accadde il secolo scorso agli ebrei, i rom etc durante gli anni del nazifascismo?
A cosa dovrebbe servire la Giornata della memoria che cade il 27 gennaio se non a evitare che accada ancora? Eppure accade ancora. Anche a “casa nostra”. Già perché anche Giulio Regeni è stato desaparecido per una settimana a partire dal 25 gennaio di tre anni fa, proprio mentre cadeva il quinto anniversario della rivolta di piazza Tahrir.
Il corpo del giovane ricercatore fu fatto ritrovare senza vita il 3 febbraio successivo al Cairo, a poca distanza da una prigione dei servizi segreti egiziani, forse solo perché la pressione internazionale si era fatta insostenibile.
Come è noto vi sono palesi elementi di una implicazione nel suo rapimento, tortura e omicidio dei servizi del regime di al-Sisi.
Ma, come leggerete, il caso è ancora irrisolto, non solo a causa dei depistaggi dello Stato egiziano. L’inadempienza del nostro governo è sempre più evidente. In ballo ci sono accordi commerciali per cinque miliardi con l’Egitto, per questo non viene fatta pressione più di tanto dall’attuale governo giallonero, in linea con quello precedente.
C’è infine un ulteriore, drammatico, nesso con l’attualità che inevitabilmente dobbiamo fare ascoltando la testimonianza di Maria Campiglia. Quello con i nuovi desparecidos, i migranti che scompaiono nel Mediterraneo, vittime delle politiche neoliberiste dell’Europa (le merci possono viaggiare, le persone no) e dei governi reazionari – come il nostro – che da un lato fanno accordi che favoriscono i trafficanti libici di esseri umani e dall’altro vietano alle Ong di soccorrere le imbarcazioni in difficoltà e chiudono i porti. E migliaia di persone scompaiono nel deserto e nel Mediterraneo.
Memoria, verità, giustizia. Anche il governo giallonero concorre a violentare queste tre parole. Ma noi di Left non ci rassegniamo e continueremo a denunciare e documentare. Per resistere all’oppressione.

L’editoriale di Federico Tulli è tratto da Left in edicola dal 25 gennaio 2019


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Margarethe Von Trotta: «Intorno alle idee di Rosa Luxemburg si può unire la sinistra»

MADRID, SPAIN - DECEMBER 17: Margarethe Von Trotta poses during 'El Mundo Abandonado' presentation at Golem Cinema on December 17, 2015 in Madrid, Spain. (Photo by Juan Naharro Gimenez/Getty Images)

Mentre la barbarie annega vite umane, mentre si spegne la luce nei cuori e sulle coscienze, il socialismo di Rosa Luxemburg ancora, prepotente, illumina la strada da seguire. In memoria del centenario del suo assassinio, insieme quello di Karl Liebknecht, la regista tedesca Margarethe Von Trotta racconta a Left la “sua” Rosa, paziente ed impaziente. Quella narrata nella sua pellicola, Rosa L., premiata a Cannes nel 1986 per la migliore interpretazione della protagonista femminile Barbara Sukowa.

«La mia Rosa ha una vita privata, è umana, emozionale, determinata, amante della natura, in cui trova calma e conforto, innamorata di Leo Jogiches tanto da desiderare accanto a lui una vita quasi borghese, paziente nella sua malattia ed impaziente nella lotta», spiega la regista.

In perfetto orario, elegante, sorridente. Nella nostra chiacchierata – a margine della proiezione del film organizzata il 21 gennaio a Roma dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico (Aamod) – si rivela tutta l’anima di una regista che ha deciso di raccontare la donna Rosa Luxemburg accanto alla rivoluzionaria, la socialdemocratica, la fondatrice della Lega Spartaco, la prigioniera politica. La voce vera della socialista polacca che la Von Trotta ha ricostruito, dopo aver ereditato il progetto di Fassbinder alla sua morte, è frutto dello studio accurato di oltre 2.500 lettere custodite all’istituto di marxismo-leninismo di Berlino est.

«Ogni giorno dovevo oltrepassare la frontiera per andare a Berlino est – racconta Von Trotta – e non era affatto piacevole ma io avevo esigenza che Rosa comunicasse con me. Il progetto di Fassbinder era un melodramma, c’era addirittura una scena di un abbraccio al tramonto e neppure una, una, delle parole e dei pensieri reali della Luxemburg». Nel realizzare questo film la Von Trotta ha guardato tanto dentro se stessa per capire come rapportarsi con un personaggio tanto “ingombrante” come Rosa.

«La prima volta che essere donna è stato per me un vantaggio nel mondo del cinema – ricorda la regista – è quando mi dissero che dovevo essere io a dirigere il film, dopo la morte di Fassbinder. Me lo chiesero proprio in quanto donna. Allora mi sono guardata dentro e ci ho messo quello che volevo io, quello che volevano le donne di quel periodo storico, gli anni 80 del secolo scorso, quello che voleva Rosa, così determinata pur essendo così piccola, neppure un metro e cinquanta, e con grandi problemi di salute. Sono stata una studentessa, ho letto nella sua anima grazie alle lettere, oltre che alle opere politiche, e ho voluto restituire il suo vero linguaggio: bello, forte, poetico, stringente e sensibile. Le lettere che mandava dal carcere finivano sempre con l’invito ai compagni e ai suoi cari ad essere sereni e ad essere pazienti e questo è un grandissimo messaggio».

Dopo la proiezione, partecipata da oltre 500 persone, Von Trotta ha tenuto una “lezione di cinema” moderata da Pietro Montani. «Quella del pubblico è stata una risposta inaspettata ed emozionante – spiega Aurora Palandrani di Aamod, con gli occhi che brillano di orgoglio -, un calore che ci fa capire che abbiamo fatto la scelta giusta, portando in Italia la grande regista tedesca Margarethe Von Trotta per una serie di incontri propedeutica ad un progetto didattico per le scuole, avviato insieme agli istituti Goethe e Gramsci, su Rosa Luxemburg e la Repubblica di Weimar», Mentre Palandrani ci parla, nella sede dell’archivio si organizzano in fretta altre due proiezione del film, per riuscire ad accontentare i tanti non riusciti ad entrare alla Casa del cinema.

Con Von Trotta, torniamo a parlare del successo dell’iniziativa, del calore dei romani, delle persone che la abbracciano, la applaudono, le stringono la mano, la ringraziano. Le chiedo secondo lei perché tanta partecipazione – all’iniziativa organizzata da Aamod col Centro sperimentale di cinematografia e l’Istituto Goethe alla Casa del cinema di Roma -, perché tanta vicinanza, tanti sorrisi sui volti della gente in sala, nei corridoi, fuori sotto la pioggia di una Roma insolitamente fredda.

«La sinistra in questo momento in Italia si sente persa – risponde Von Trotta – ha bisogno di consolazione e con Rosa si può, per un momento, essere tutti insieme, sconfiggere la barbarie». Con Rosa, con Margarethe, si può.

Vauro e Left censurati da fb per la vignetta che denuncia la deportazione dei rifugiati di Castelnuovo di Porto

Per tre giorni uno dei nostri amministratori degli account social non potrà postare né commentare su Facebook. Questa è la sanzione comminata dal social di Zuckerberg per aver osato pubblicare una vignetta satirica di Vauro – storico collaboratore di Left – in cui si denuncia l’ultima “impresa” del ministro degli Interni contro un esempio virtuoso di integrazione tra profughi di nazionalità diverse e la comunità locale che li ospita. Stiamo parlando del Cara di Castelnuovo di Porto in provincia di Roma i cui ospiti da lunedì mattina sono oggetto di trasferimento coatto su pullman della polizia in altre regioni in base alle norme introdotte con la cosiddetta legge sicurezza approvata lo scorso dicembre. E poco importa ai responsabili di questa decisione se qualche centinaio di persone perderà il lavoro (tra italiani e stranieri) e decine di bambini stranieri non potranno più andare a scuola. Davvero geniale, non c’è che dire, oltre che umano.

“Così si distrugge un modello d’integrazione, s’interrompe un’esperienza positiva, si mandano via bambini che frequentavano fino a ieri la scuola qui, migranti che avevano intrapreso un percorso, che hanno ancora aperte cause per il riconoscimento del loro status”, ha dichiarato a Rainews24 il sindaco di Castelnuovo di Porto Riccardo Travaglini. “In 24 ore – ha continuato Travaglini – è stato smantellato quanto di buono era stato fatto in questi anni. In questo territorio abbiamo fatto tanta accoglienza, sono transitati di qui 8 mila richiedenti asilo”. Il primo cittadino, fuori dal Cara, ha fatto allestire una tenda con brandine e coperte: ​”Cinque di loro lasciando il centro ci hanno detto di essere diretti alla stazione Termini, mentre io ospiterò questa notte una donna somala con protezione umanitaria. Non sono per la disobbedienza ma non si può disperdere così un’esperienza positiva di integrazione”.  “Le persone non sono slogan” commenta la Croce rossa di Roma: “La storia dell’Umanità si costruisce soprattutto nella difesa dei valori e dei diritti fondamentali delle persone. Noi, tutti, nell’esercizio di ogni forma di responsabilità ricordiamoci che le donne, i bambini e gli uomini sono un’altra cosa rispetto a ogni forma di slogan. Questo è quanto ci sentiamo di sottolineare stasera rispetto alle notizie sulla chiusura del CARA di Castelnuovo di Porto”.

Ed ecco la vignetta censurata ed eliminata da Facebook: giudicate voi

Tre anni senza Giulio

Per la terza volta, la sera del 25 gennaio migliaia di fiaccole illumineranno piazze e strade di ogni parte d’Italia: si accenderanno alle 19.41, l’ora in cui per l’ultima volta Giulio Regeni diede notizia di sé, esattamente tre anni fa al Cairo. Da quel momento, come sappiamo, Giulio è stato inghiottito dalla macchina repressiva in funzione costantemente dal 3 luglio 2015, giorno del colpo di Stato dell’allora generale e ora presidente Abdel Fattah al-Sisi.
Sin dall’inizio chi conosce bene la situazione dei diritti umani in Egitto ha parlato di un “delitto di Stato”, di una catena di comando, la cui estensione è naturalmente da determinare, che tiene insieme da tre anni chi ha ordinato il sequestro, la sparizione, la tortura e l’omicidio di Giulio, chi ha eseguito quei crimini e chi ha coperto gli autori, depistando, insabbiando e impedendo ogni significativo passo avanti verso l’accertamento della verità. Quasi tutti i tre anni trascorsi da allora sono passati attraverso blande iniziative dei governi italiani. L’unico gesto di “inimicizia”, il ritiro dell’ambasciatore dal Cairo nell’aprile 2016, è stato annullato dal provvedimento di segno opposto, nell’agosto 2017.
Da lì è iniziato un periodo di inerzia, segnato dalla progressiva normalizzazione delle relazioni tra Italia ed Egitto, dall’infittirsi delle visite e degli inviti. Di quell’inerzia, le autorità egiziane hanno approfittato per prendere ulteriore tempo. La situazione dei diritti umani è, se possibile, ulteriormente peggiorata: la morsa nei confronti della Commissione egiziana per i diritti e le libertà – che da subito si era messa a disposizione della famiglia Regeni per fornire consulenza legale e che già nel 2016 aveva visto suoi esponenti finire in carcere – si è fatta più serrata. In coincidenza con l’arrivo del nuovo ambasciatore italiano al Cairo, il 10 settembre 2017 è stato arrestato Ibrahim Metwally, presidente dell’Associazione dei genitori degli scomparsi e collaboratore della Commissione. Poi sono iniziate le intimidazioni e le “visite” negli uffici dell’Ong. Infine, il 10 maggio sono stati arrestati Mohamed Lotfy, presidente della Commissione, e sua moglie Amal Fathy. Mentre Mohamed Lotfy e il loro figlioletto, entrambi con passaporto svizzero, sono stati presto rilasciati, per Amal è iniziato l’incubo.
Su di lei pende una condanna a due anni per un video di denuncia sulle molestie sessuali ed è tuttora in corso un processo per terrorismo. Accuse risibili: per intimidire un uomo, si perseguita la moglie. Una decina di giorni fa, Lotfy ha ricevuto via telefono un vero e proprio ricatto da parte dell’Agenzia per la sicurezza nazionale: fornisci informazioni sulle attività che state svolgendo su Giulio Regeni, altrimenti ci saranno conseguenze familiari. La risposta delle autorità egiziane di fronte all’accelerazione data dalla Procura di Roma a inizio dicembre, quando ha iscritto nel registro degli indagati alcuni funzionari dell’Agenzia per la sicurezza nazionale e di altri organi di sicurezza è stata, in sintesi, quella di prendere Amal Fathy in ostaggio.
In questo scenario, il ruolo delle istituzioni italiane è quanto mai fondamentale: il presidente della Camera Roberto Fico ha dato segno di grande attenzione e sensibilità. Di recente, l’assemblea dei capigruppo della Camera ha deliberato di discutere, a marzo, la proposta di legge sull’istituzione di una commissione di inchiesta sulla morte di Giulio, presentata alla fine del maggio scorso dai deputati di Sinistra italiana.
In quella proposta si legge, tra l’altro, che «anche il Parlamento, in base all’articolo 82 della Costituzione, può dare il suo contributo per approdare definitivamente alla verità, perché, se è vero che ci sarà da accertare una verità giudiziale su questo omicidio, è anche vero che c’è da ricostruire quella storica». La verità storica appare peraltro già evidente. Quando con essa coinciderà quella giudiziaria, un passo avanti importante sarà stato finalmente fatto.
Sperando che arrivi presto. Non vogliamo arrivare a un quarto anniversario senza la verità.

L’editoriale di Riccardo Noury è tratto da Left in edicola dal 25 gennaio 2019


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Prima opposizione: affilare l’attenzione

Il ministro del Lavoro dello Sviluppo economico e vicepremier Luigi Di Maio (D) con Lino Banfi durante l'evento del M5s di presentazione del Reddito di Cittadinanza e di Quota 100, presso il Nazionale spazio eventi, Roma, 22 gennaio 2019. ANSA/ANGELO CARCONI

C’è stato l’aereo di Renzi, con tanto di filmatino funebre. Air Force Renzi, lo chiamavano, e ci hanno promesso che ne avrebbero fatto poltiglia. Anvedi il cambiamento, abbiamo pensato tutti. Hanno raso al suolo le case dei Casamonica. In realtà era il risultato di un percorso che andava avanti da anni, in collaborazione tra la sindaca di Roma e la Regione, ma il ministro dell’Interno ha impugnato la marcia della ruspa come se fosse un’alabarda spaziale e tutti abbiamo pensato “che duri, che fichi, finalmente”.

Ci hanno detto che i fannulloni funzionari ministeriali si divertono, oltre a non lavorare, a cambiare di notte i decreti del governo. L’avevamo sempre sospettato. Che odiosi quei privilegiati strapagati con il posto fisso nel cuore del potere. Non ci hanno detto di chi era la manina. Ma fa niente.

Hanno fatto il pieno con gli stranieri stupratori. Poi in realtà alcuni li hanno assolti. Tutto inventato. Anvedi che pugno duro però, ahò.

Ci hanno elencato portata per portata, la cena dei Benetton per dirci del ponte Morandi crollato a Genova. Finalmente qualcuno che fa i nomi e i cognomi, abbiamo pensato, addirittura che ci illustra il menù. Che forza.

Hanno detto che la domenica tutti i negozi sarebbero rimasti chiusi (ve li ricordate i negozi chiusi?) e noi abbiamo pensato finalmente qualcuno che assume posizioni impopolari, giorni e giorni a parlarne. Niente. Non se ne sa più niente.

Il ministro dell’Interno ha parlato degli ultrà e della sicurezza negli stadi. Anzi, mica della sicurezza: dei buu contro i negri che sono normale atteggiamento sportivo. Giorni e giorni a parlarne. Ha addirittura convocato i tifosi (“però”, abbiamo pensato): non si è presentato nessuno.

L’ultima boutade ieri: Lino Banfi all’Unesco per portare il sorriso in mezzo ai troppi puri laureati che inquinano il mondo.

E mentre noi ci facciamo dettare l’agenda dalle cazzate, in fondo, si muove la ferocia contro gli ultimi, l’isolamento internazionale e non si riesce a sapere esattamente se il Paese in cui viviamo sia pronto al boom economico favoleggiato da Di Maio o alla recessione che, tra gli altri, è scappata sempre a Di Maio.

La prima opposizione che possiamo mettere in atto è affilare l’attenzione. Non farci dettare l’agenda da questa compagine d’avanspettacolo e rimanere sulle domande che riteniamo giuste. Pretendere risposte. Non entrare nella combriccola che si dà di gomito e non si accorge che mentre Lino Banfi impazza altri disperati, ancora, vengono buttati in mezzo alla strada. Perché questi non ce l’hanno con i neri. Odiano i disperati che sporcano la loro narrazione. E la disperazione, ahimé, arriva per tutti.

Buon giovedì.

«Spirito di corpo»

“Mi raccomando dovete avere spirito di corpo… se c’è qualche collega in difficoltà lo dobbiamo aiutare…”. Sono le parole che stanno in un’intercettazione telefonica del 6 novembre 2018 tra un vicebrigadiere dei carabinieri e il maresciallo Ciro Grimaldi, entrambi in servizio presso la stazione Vomero-Arenella, dove si riporterebbe un messaggio del comandante del Gruppo Napoli. “Ha detto – riporta il carabiniere – mi raccomando dite al maresciallo che ha fatto un servizio alla stazione lì dov’è successo il fatto di Cucchi di stare calmo, tranquillo”.

“Spirito di corpo” è quel non dire ciò che si può tacere per evitare casini. “Spirito di corpo” è il non ricordare, il non sapere, il riproporre qualcosa a cui si p assistito personalmente condendola di tutti i dubbi possibili immaginari. Lo chiamano “spirito di corpo” ma è un’omertà con il colletto bianco, inamidato e un completo nero e la barba rasata.

«Spirito di corpo» è la distrazione con cui non vediamo le regole infrante da noi e da quelli a noi vicini, sempre pronti a puntare il dito verso gli altri eppure così indulgenti per le cose nostre.

«Spirito di corpo» è ogni volta che collaboriamo alla promozione di un cretino, un cretino vero, rubando il posto a un meritevole ma con la soddisfazione di avere sfamato la nostra cerchia.

«Spirito di corpo» è quando una verità viene intesa come mezza verità ma poi fondamentalmente è una totale bugia. Per è utile: è risultata credibile senza essere minimamente reale.

«Spirito di corpo», in fondo, se ci pensate, è un modo elegante per indicare il farsi i cazzi suoi solo che suona più alto, perfino militaresco. E il militaresco ultimamente è tornato prepotentemente di moda.

C’è un punto sostanziale: se alcuni sentono il bisogno di farsi corpo è perché dall’altra parte scorgono qualcosa (in questo caso la legge ma può essere la verità o più banalmente il cosiddetto popolo) che devono ingannare. E questo è il problema. Anche perché «lo spirito di corpo» uccide. Chiedere a Stefano Cucchi.

Buon giovedì.

Vediamo se si capisce con i numeri

Categoria disparità, Primo posto, Elena Longarini, "Osso di seppia": una delle immagini vincitrici di un concorso fotografico sulla disuguaglianza lanciato da Oxfam in occasione della Giornata mondiale dei servizi pubblici indetta dalle Nazioni Unite. Il concorso, dal titolo "Contrasti", è stato promosso all'interno della campagna "Sfida l'ingiustizia", lanciata con l'obiettivo di contribuire a rimuovere le cause che sono alla base della crescente disuguaglianza e promuovere un modello di economia più umana, anche nel nostro paese. ANSA/UFFICIO STAMPA OXFAM ITALIA +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

Accade che 26 super miliardari (una tavolata in pizzeria), da soli, posseggano la stessa ricchezza della metà più povera della popolazione del mondo. Loro banchettano in una pizzeria di Vizzolo Predabissi e fuori per le strade, mica di Vizzolo, mica dell’Italia, del mondo intero, si affannano persone che valgono meno di una mancia.

È chiaro, così?

I 1900 miliardari più miliardari degli altri tra marzo 2017 e marzo 2018 hanno guadagnato altri 900 miliardi di dollari (non si riesce nemmeno a immaginarli 900 miliardi di dollari, cosa sono?, in valigia, nei carretti? nei container?) che significa che ogni giorno hanno accumulato 2,5 miliardi in più.

Non è tutto. Da dove vengono questi soldi? Facile: la ricchezza netta della metà più povera del mondo (sono miliardi di persone, non ci stanno in una pizzeria) è diminuita dell’ 11% e in più la pressione fiscale per i super ricchi è passata dal 62% del 1970 al 38% del 2013.

Venendo a noi, in Italia: il 5% più ricco possiede la stessa ricchezza del 90% più povero. Nel mondo ci sono 3,4 miliardi di persone che vivono con meno di 5,50 dollari al giorno e muoiono (10.000 al giorno) perché non possono permettersi i servizi sanitari di base. Muoiono di povertà, in pratica.

Poi c’è la diseguaglianza di genere, quella che qui da noi viene trattata con un mezzo sorriso. Vediamo se con i numeri funziona. Nel mondo le donne guadagnano il 23% in meno degli uomini che, da parte loro, possiedono il 50% in più di ricchezza e l’86% delle aziende. Le donne, del resto, sono incastrate nella cura della casa e della famiglia, lavoro ovviamente non retribuito. Secondo l’Oxfam, che ha avuto la pazienza di analizzare i numeri, l’appalto del lavoro femminile non pagato varrebbe qualcosa come 43 volte il fatturato della Apple. È la multinazionale della famiglia e della casa che impedisce a molte donne di trovare il tempo per poter guadagnare.

Ora, davanti a questi numeri, provate a pensare alle battaglie campali di cui si riempiono i nostri discorsi e i nostri giornali. Come quella vecchia storia del dito e della luna.

Buon martedì.

Caso Cucchi: il colonnello suggerì «lo spirito di corpo» al testimone. Ilaria: Depistaggi senza fine

ROME, ITALY - OCTOBER 24:Stefano's rye photoduring the Trial against five military police officers for the death of Stefano Cucchi, on October 24, 2018 in Rome, Italy. The trial Cucchi bis, in which five Carabinieri are accused in the beating and death of Stefano Cucchi, a 32-year-old who died on October 22, 2009 at the Sandro Pertini hospital in Rome, six days after being arrested for possession of drugs, (Photo by Simona Granati - Corbis/Getty Images)

«Deve restare tranquillo, bisogna avere spirito di corpo, se c’è qualche collega in difficoltà lo dobbiamo aiutare». Era il 6 novembre scorso quando il comandante del Gruppo Napoli dei Carabinieri, Vincenzo Pascale, parlava al telefono col vicebrigadiere Mario Iorio, in servizio presso la stazione Vomero-Arenella di Napoli. Iorio, a sua volta, doveva riferire i “consigli” del colonnello al collega Ciro Grimaldi che avrebbe dovuto testimoniare al processo per la vicenda di Stefano Cucchi visto che all’epoca era in forza a Roma Casilina. L’intercettazione telefonica è stata depositata oggi dalla Procura. Che si tratti di depistaggio o solo di pressione, da parte dei vertici dell’Arma, l’irruzione dello “spirito di corpo” nella vicenda Cucchi non è un buon segnale nel clima politico avvelenato dalle parole del ministro degli Interni a proposito dei fatti di Empoli, l’ennesima morte di una persona durante un controllo di polizia.

«Questo è stato detto al teste carabiniere che poi un mese dopo tenterà di ritrattare la sua deposizione già resa al pm Musarò il 22 ottobre – ricorda Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano -. Spuntano ancora atti falsi. Anche la deposizione del maresciallo Speranza, fatta alla Corte d’Assise di Roma pochi mesi fa, diventa imbarazzante alla luce di ciò che emerge da questi nuovi atti. La Giustizia non ha nessuna autorità su queste persone. E questi pubblici ufficiali dimostrano di non aver alcun rispetto e nemmeno timore di fronte ad essa. Qualcuno si mangerà cappuccini e brioche ma io mastico amaro. Depistaggi nel 2009, depistaggi nel 2015, depistaggi oggi». «Continuiamo a sostenere di aver fiducia nelle Istituzioni – insiste Cucchi – a tentare di distinguere ruoli e comportamenti. Confesso che talvolta mi sento una cretina. Davide contro Golia? Dieci anni fa il ministro della Difesa disse a gran voce che i carabinieri non c’entravano con la morte di Stefano Cucchi. Sei anni di processi contro imputati sbagliati. Davide riuscirà a vincere? Davide siamo tutti noi cittadini che chiediamo solo che la legge sia uguale per tutti e tutti uguali di fronte alla legge. Siamo noi i tribuni di turno? Non lo so. Magari perderemo ma di sicuro le nostre non sono farneticazioni».

Lo “spirito di corpo” è quel particolare tipo di omertà che già all’epoca del processo Diaz fu individuato dal pm Enrico Zucca, nell’incipit della sua lunga requisitoria, come una delle cause che rendono più difficili degli altri i processi contro persone che indossano una divisa. E che rendono particolarmente difficile la vita di chi, indossando una divisa, si assume la responsabilità di infrangere quell’omertà: ad esempio Riccardo Casamassima, l’appuntato che, con la sua testimonianza, ha riaperto il processo per la morte di Cucchi. Il militare ha presentato nei giorni scorsi una denuncia alla procura militare e ordinaria nei confronti del comandante generale dell’Arma, Giovanni Nistri che – sostiene – lo avrebbe «screditato» durante l’incontro avvenuto lo scorso ottobre tra il comandante generale, il ministro della Difesa Elisabetta Trenta e la Cucchi, descrivendolo come «una persona non per bene». «L’incontro – spiega il legale – riguardava il processo Cucchi, non certo Casamassima. Il comandante ha pronunciato parole atte a screditare il mio assistito davanti a tutti, ministro compreso. Ora ci affidiamo alla magistratura, sperando faccia chiarezza su quanto accaduto». Intanto domani, scrive Casamassima su Facebook, «dovrò affrontare un nuovo procedimento disciplinare con tanto di processo e commissione».

Tornando alle intercettazioni, depositate oggi a piazzale Clodio, Grimaldi, all’epoca dei fatti in servizio presso la stazione Casilina di Roma, è stato sentito come testimone il 6 dicembre scorso. Nell’intercettazione Iorio riferisce al collega quanto dettogli dal colonnello: «Mi raccomando dite al maresciallo che ha fatto servizio alla stazione – afferma nella intercettazione Iorio riportando al maresciallo Grimaldi le parole del colonnello – lì dove è successo il fatto di Cucchi…di stare calmo e tranquillo…». E ancora Iorio riferisce al collega quanto dettogli dal superiore: «Mi raccomando deve avere spirito di corpo, se c’è qualche collega in difficoltà lo dobbiamo aiutare».
In aula, Grimaldi disse: «il 27 ottobre 2009, in occasione della visita quadrimestrale del comandante in Stazione, il collega Colicchio era arrabbiatissimo e, andandosene, ebbe con me un breve sfogo. Mi disse “mi volevano fare cambiare l’annotazione, ma li ho mandati aff…”». Nei giorni successivi «capii che l’annotazione in questione – ha aggiunto – riguardava il servizio svolto nella notte in cui Cucchi era stato ristretto presso la camera di sicurezza della stazione di Tor Sapienza». Per quanto riguarda il resto, il maresciallo Grimaldi ha detto di non aver mai visto Cucchi. Quando in caserma arrivò il 118 «gli infermieri entrarono nella cella insieme con Colicchio; io restai sulla porta. Ricordo che Cucchi era coperto e non voleva farsi visitare; l’infermiere riuscì solo a prendergli i parametri vitali». Fu Colicchio «a dirmi che era molto magro e, commentando gli articoli di stampa successivi alla morte, mi disse “ma come si fa a picchiare uno così?”. Mi raccontò che Cucchi aveva la cinta rotta e alla richiesta di cosa fosse successo, rispose «me l’hanno rotta l’amici tua». Nei giorni successivi alla morte, «il piantone mi passò una telefonata del maresciallo Mandolini (uno degli imputati, accusato di calunnia, ndr) e mi chiese d’inviargli l’annotazione di servizio del militare che lo aveva piantonato quella notte; e se durante la notte Cucchi avesse compiuto gesti di autolesionismo in camera di sicurezza. Gli risposi che non mi risultava nulla del genere».

La nota della Squadra mobile fa parte di una serie di atti che la Procura ha depositato nell’ambito del processo che vede imputati cinque carabinieri. Tra i documenti messi a disposizione delle parti dal pm Giovanni Musarò, anche i verbali di testimonianze raccolte nelle ultime settimane negli uffici di piazzale Clodio. Tra le persone sentite anche il maresciallo Davide Antonio Speranza, in servizio presso la stazione Quadraro dei Carabinieri di Roma all’epoca della morte di Cucchi. Nel corso dell’audizione, il militare è tornato sulla vicenda delle note di servizio modificate tirando in ballo due degli imputati: Roberto Mandolini e Vincenzo Nicolardi. «Mandolini quando lesse la nota – ha fatto mettere a verbale Speranza – mi disse che non andava bene e che avrei dovuto cestinarla perché avremmo dovuto redigerne una seconda in sostituzione della prima. Il contenuto di tale annotazione fu dettato da Mandolini e lo scrissi io, alla presenza anche di Nicolardi, quindi stampammo e la firmammo a nostro nome». Parlando delle due versioni delle note di servizio, Speranza afferma che nella prima versione si affermava che «Cucchi era in stato di escandescenza» mentre nella seconda versione, sul punto, si afferma che «è doveroso rappresentare che, durante l’accompagnamento, non lamentava nessun malore né faceva alcuna rimostranza in merito». Tra gli atti depositati, infine, c’è anche un ordine di servizio in cui compare la scritta «bravi» nello spazio dedicato alle note dei superiori. Sul punto il maresciallo afferma: «Non so dirvi per quale ragione, nella parte dell’ordine di servizio dedicata alle annotazioni dei superiori è scritto “bravi”, considerato che avevamo fatto una mera azione di routine e che nel momento in cui l’ordine di servizio fu redatto Cucchi era già morto». Sul punto è stato ascoltato anche il comandante della stazione dei carabinieri del Quadraro, Dino Formato, il quale afferma di non sapere per quale ragione fu redatta una seconda annotazione.

Marx beyond ideologies

Written with passion and an eager attitude, the new book by Paolo Ferrero, Marx oltre i luoghi comuni (Marx beyond clichés), Derive e Approdi editions,  has already been reprinted.

The success of this book is also due to it’s dialogic form. It helps in deconstructing clichés and ideological beliefs about Marx essays, which should finally be read in their real and true meaning.

To help in this sense a keen summary about the evolution of Marx’s thought by Bruno Morandi can be find inside this book, imagined specifically for young people.

«Last year many youths saw the movie The Young Karl Marx by Raoul Peck and I asked myself: what could they read to deepen their knowledge? Since there were many specialistic books, the idea of a more lively one popped into my mind immediately. I thought that a book about Marx real life, not only about what was already known, should be very useful».

And it is a very strange affair indeed the one concerning the author of The Capital, that actually wrote only the first volume of his masterpiece as we know it. In this new essay Ferrero reconstructs the story of the many loose papers that Marx wrote and signed but not made published, mostly written to “clear his mind”. And he tells us about a unexpected Karl Marx: a voracious reader that usually spent many of his nights studying and writing; always in the middle of the political battle, avoiding to shut himself in an ivory tower, making tough decisions and suffering for being censored and ostracised. Reading the pages of this book, we see that Marx wasn’t only a philosopher, even though he wrote his dissertation about Democrito, spent most of his time fighting Hegel ideas and studied Feuerbach thought for many years. Marx, however, doesn’t turn up to be a pure writer neither, also if he wrote many poems for his fiancée Jenny and was very fond of Shakespeare writing.

«Marx was not just a philosopher nor just a writer. He was a revolutionary man that always faced the consequences of his actions: as his family did, in particular his wife.» Continues Paolo Ferrero, «Marx could have been a Professor at the University, Jenny could have been a Baroness, nevertheless they chose to fight for Freedom and Justice.»

Combining the story of Marx life and the analyses of his philosophy, Ferrero investigated on some of Marx opinions about certain events of his times, like the Paris Commune.

«This affair is actually perfect to explain Marx’s approach to politics, that was very different from the attitude of the Communist movement afterwards. Marx advised against insurrection, he knew it was doomed to failure, but then, when it happened, he did everything he could to help. He tried to support contacts between people. He tried his best all the time. When masses decided to move Marx tried immediately to understand their effort, he tried to see what caused it, what it was linked to. And he did all this, in every moment, with a generous amount of empathy. Finally he wrote a marvellous paper on the positive aspects of the Commune, proposing in this way that people can always learn from their mistakes.

This opinion was very different from the one held by Stalinist leaders that «harshly criticised the Paris Commune thinking it was only a petit bourgeois and anarchic act of no importance».

In Marx beyond clichés Marx attitude towards life, his open mind and his humanism are very well described, beyond dogmas and determinism. Nevertheless the creed about him says something else. It tells us of a Marx concerned only about the “magnificent and progressive fate of the proletariat”. What was Engels role in systematising Marx thought and in putting it in a rational cage with no key?

«The most part of marxist philosophy was actually written by Engels and Kautsy.» answers Ferrero. The story of the socialism as an automatic consequence of the changes in economy is due to their ideas. «The demolition of Berlin Wall proved that those ideas of socialism as a result of the development of the capitalism were wrong. Marx told us something different.» What do you mean? «He tells us that capitalism produces an enormous wealth that can be used for social purposes, for general benefit, for the evolution of human beings, for individual freedom, of men and women; or can be used to determine disasters. It is what we are living through: the destruction of the environment, the barbaric worsening of general living conditions, unemployment, wars, racism.» While we are talking COP24 Katowice, the ONU conference on climatic changes, is taking place. And is not Marx outdated from this perspective? «He was a great humanist, a philosopher of modernity and capitalism. He talked about the capitalism of the nineteenth century but when he predicted the current dilemma between new possibilities and tragedy he was talking also about the capitalism of 2050.»

In the second half of the book the intent to set Marx free from fundamentalist interpretations of his thought becomes more specific.

Stalinism as well as Togliatti faults are to blame. «Except for people like Rosa Luxemburg and Antonio Gramsci, many communists from the twentieth century were rationalist, positivistic and made a religion out of communism» Ferrero admits «Catholicism tells us that we’ll be saved after death, that kind of marxism tells us that we’ll be saved before death, but it doesn’t says when. After all these mistakes we are now able to overcome the prehistory of socialism. And Marx can help us.» Can you say how? «According to Marx, economic equality is not a goal, it is a precondition for the independent evolution of men and women. His message is full of love for freedom.» Marx lesson is very useful if we want to expose ideologies for what they really are, see and refuse the invisible violence in the dominant culture. Marxism is helpful to fight racism too, especially when Marx thought is told to be xenophobic and orthodox communist politicians say that he refers to migrants as a «reserve army».

«This is the typical dull use of left-wing words, used to carry on conservatory ideas. It’s a classic for fascists.» Ferrero warns «We must remember that Fascism was a left party that became a right-wing party. Its words were left-wing watchwords made to be their contrary.» And nowadays, goes on Ferrero, former Minister and Vice President of the Party of European Left, «there is a new social movement, very similar to the fascist one, saying it fights for people, for rebellion, for equality, that is actually bringing forward old ideas as the necessity of hierarchy, inequality, and fascism itself. All this confusion doesn’t belong to Marx.» Since, as you say, he is essential to understand the present. «Marx helps us to see what is hidden behind ideology, which don’t let people open their eyes to see that things can change for the best.» And what about racism? «Racism is based on the idea of lack: “food and wealth are not enough for everybody so we must defend ourselves from the poor”. Instead, Marx makes us notice that our crisis is due to overproduction, not to insufficiency. Mankind has never been so rich; the problem is that the wealth is strictly owned by the 10% of population. Taking it out on migrants is not only abominable, it’s useless.»

Traduzione di Ludovica Valeri

Perché non prendono l’aereo?

Siamo a 170 morti in pochi giorni nel Mediterraneo. Uomini, donne, bambini. Gli unici tre superstiti hanno ripetuto fino alla sfinimento quella frase che indica tutta ls mostruosità degli accordi che il governo italiano ha siglato con la Libia: «Meglio morire in mare che tornare in Libia», hanno ripetuto ai soccorritori. È sempre la solita frase, basterebbe questo per capire che si continua ad affidarsi allo Stato sbagliato del mondo per cercare una giusta soluzione.

Ma non bastano 170 morti per spostare nemmeno di un millimetro le posizioni oltranziste di chi usa l’immigrazione come clava elettorale. no: 170 morti per loro sono semplicemente un segno – sul bilancio generale che comunque sventoleranno con soddisfazione. Se l’obiettivo è che non sbarchino allora il fatto che si adagino cadaveri in fondo al mare è un oggetto collaterale che concorre comunque al risultato finale. Anzi, dice il ministro dell’inferno, che anche questi morti sarebbero colpa “delle Ong” e, tutto i intorno, i suoi seguaci ricominciano con questa farsa del “perché non prendono l’aereo?”.

Eh, già. Allora cerchiamo di capire perché non prendono l’aereo.

La spiegazione, al di là dei complottismi che vanno per la maggiore è molto semplice: l’Europa è una fortezza. Le quote per i flussi migratori sono praticamente inesistenti (nonostante, tra l’altro, serva forza lavoro) e attualmente esiste la possibilità di ingresso solo per investitori di somme considerevoli, come lavoratori autonomi o imprenditori oppure lavoratori altamente specializzati (ovvero altamente retribuiti).

L’Europa è chiusa anche per chi volesse fare domanda d’asilo: la domanda, infatti, non può essere fatta nelle diverse ambasciate ma prevede la presenza fisica nello Stato in cui ci suole fare accogliere. Chiedere asilo nei consolati di un Paese qualsiasi potrebbe essere visto addirittura come un atto di ostilità.

E allora perché non prendono l’aereo per venire qui e chiedere asilo? Semplice. Come ha spiegato bene Marco Paggi, avvocato e socio dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI): «Se un funzionario ministeriale del proprio Paese con un bel posto di lavoro e un bel reddito si presenta al consolato italiano dicendo ‘ho comprato un pacchetto Valtur per me e per tutta la famiglia per 20 giorni,’ il visto turistico glielo danno di corsa. Se, invece, a presentarsi è una persona che dichiara di non avere lavoro, o di averne uno insufficiente, e dice di voler andare in Italia in vacanza ospite da amici, al consolato gli diranno che intende abusare del visto per turismo per poi restare illegalmente alla scadenza, e glielo negheranno. È fin troppo evidente.” Altra considerazione da fare è che in alcuni Paesi in guerra (Siria) o in una situazione di dittatura (Eritrea), non ci sono viaggi di linea per l’Europa oppure è vietato lasciare il proprio paese per emigrare.

C’è di più: quando ai migranti viene concesso di sfruttare un corridoio umanitario sono centinaia le persone che arrivano senza doversi imbarcare (con viaggi finanziati dall’8×1000) e con tutti i controlli e le sicurezze. Purtroppo si tratta di un’eccezione, mica di una regola.

Ecco tutto. Sperando di avere contribuito a un po’ di chiarezza.

Buon lunedì.