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Reddito di cittadinanza, le promesse che Di Maio non può mantenere

Il vice Premier Luigi Di Maio durante la campagna elettorale in Sardegna, piazza san Cosimo a Cagliari, 12 gennaio 2019. ANSA/FABIO MURRU

La lettura della bozza del decreto legge sul cosiddetto reddito di cittadinanza delude. In particolare delude Bin (Basic Income Network) Italia, studiosi e attivisti in rete in mezzo mondo che si batte per un reale reddito di cittadinanza. Una misura per il controllo e la selezione dei poveri. Chi assumerà un beneficiario per due anni riceverà un contributo non inferiore a 5 mensilità, ricordate gli incentivi del Jobs Act?
Intanto il governo assicura: «I motivi tecnici», come li chiama il premier Conte, che hanno finora rallentato l’iter del decretone su reddito di cittadinanza (RdC) e pensioni sarebbero ormai risolti o quasi. Il provvedimento dovrebbe quindi finalmente approdare in consiglio dei ministri giovedì 17 gennaio, allargando la platea dei beneficiari ad oltre 250 mila famiglie con invalidi, alleggerendo i dipendenti pubblici dal peso dell’anticipo del Tfr e arrivando in tempo utile per far scattare effettivamente le misure chiave della manovra ad aprile, come annunciato. Quello dei tempi non è infatti un problema indifferente, soprattutto per il reddito di cittadinanza per il quale, tra l’altro, Di Maio annuncia «l’obbligo» di spendere l’assegno di 780 euro «entro il mese in cui lo si prende» per aumentare la domanda interna e, con essa, «i posti di lavoro». Di Maio, in attesa di un boom economico anni 60, si prodiga in particolari anche se il forzista Malan dice che non ci sarebbe nemmeno una riga nero su bianco. «Abbiamo costruito un meccanismo per il quale tra lavori di pubblica utilità, doveri di formazione e di accettazione delle proposte di lavoro, chi percepirà il reddito di cittadinanza avrà la giornata impegnata per reinserirsi nel modo del lavoro». Poi, a Di Martedì, ha riconfermato le stime: «Il reddito si rivolge a 5 milioni di persone e 1 milione e 700 mila nuclei familiari: tutti avranno almeno 780 euro, pensionati minimi, invalidi, persone che hanno una disabilità e nuclei familiari» che potranno arrivare a 1.300 euro.

Lo strumento è complesso, coinvolge molti attori (Poste, Caf, Inps, centri per l’impiego) e fare in modo che tutti agiscano con procedure ben oliate e in base alle scadenze previste non sarà impresa semplice. Conte e Tria, il ministro dell’Economia, negano divergenze all’interno del governo ma, ha insistito il presidente del Consiglio, «è normale che ci possa essere qualche tempo in più per affinare».
A mettersi di traverso però era stato Matteo Salvini che, in momenti di tensione interne alla maggioranza dovuti non solo al varo delle nuove norme, aveva minacciato di non votare il provvedimento nel caso in cui non fosse stata risolta la questione disabili. Nell’ultima bozza il problema sembra essere stato superato grazie all’inclusione tra i beneficiari di 254.146 nuclei familiari con invalidi civili, con almeno il 67% di invalidità. Rimangono tuttavia altri nodi sul tavolo, sollevati in queste settimane da esperti e sindacati: come concepito finora il beneficio premierebbe infatti più i single che le famiglie numerose e, allo stesso tempo, disincentiverebbe i lavoratori. A parità di entrate, da lavoro e da reddito, le prime sarebbero infatti tassate e le seconde no. Più che archiviati, i contrasti politici sembrano comunque essersi spostati: dal doppio decreto al dl semplificazioni. Ad accendere il clima, ieri sera, per la prima volta, Alessandro Di Battista ha preso di petto Salvini per la partecipazione alla cena di beneficienza organizzata da “Fino a prova contraria” con la partecipazione di diversi renziani, tra i quali Maria Elena Boschi.

Secondo Andrea Fumagalli, uno degli studiosi del Bin: «Si tratta comunque di un provvedimento che è meglio del nulla o del pochissimo (il Rei) fin qui fatto dai governi precedenti in materia non di sostegno al reddito ma di contrasto alla povertà assoluta. Perché di questo si tratta: di un provvedimento, che per la sua limitatezza e i vincoli imposti non va a incidere in modo significativo sulla distribuzione del reddito, né a invertire la sua polarizzazione, né a garantire la libertà scelta del lavoro in opposizione al ricatto della precarietà. Incide piuttosto a limitare il disagio sociale connesso a situazioni di povertà estrema». Sul sito dell’associazione si spiega che l’obiettivo dichiarato di portare tutti coloro che hanno un reddito inferiore alla soglia di 780 euro mensili appare difficilmente raggiungibile. Con gli stanziamenti previsti, la cifra media che spetta mensilmente a livello familiare sarebbe di 472 euro e, a livello individuale per un numero complessivo di poco meno di 4,94 milioni, numero inferiore ai poveri stimati, di 126 euro al mese. È vero che l’obiettivo della misura è l’integrazione a 780 euro mensili del reddito già disponibile e che quindi non tutti riceveranno l’intera somma. La soglia massima di reddito per chi è proprietario di casa non è più di 780 euro al mese ma di 500 euro. La stima delle famiglie composte da soli stranieri che potrebbero accedere al reddito secondo le tabelle allegate al testo ammonta a 259.000 per una spesa di 1,58 miliardi (18% del totale dei beneficiari, quando i poveri stranieri sono il 35% del totale dei poveri, il doppio). Punto critico, per il Bin, l’obbligo di dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (Did) da parte dei componenti del nucleo familiare maggiorenni. Ogni disoccupato dovrà aderire anche ad un percorso personalizzato finalizzato all’inserimento lavorativo e inclusione sociale e registrarsi sul sistema informativo unitario delle politiche del lavoro.
Tra gli obblighi: la ricerca attiva di lavoro; la frequenza di corsi di formazione e riqualificazione professionale; sostenere test psico-attitudinali e prove finalizzate all’assunzione; accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue a giudizio del Centro per l’Impiego e non dell’interessato, indipendentemente dalla composizione del nucleo familiare, entro 100 km di distanza dalla residenza del beneficiario nei primi 6 mesi di fruizione del RdC e entro i 250 km oltre i 6 mesi; solo nel caso in cui nel nucleo familiare non siano presenti minori o disabili l’offerta è congrua ovunque nel territorio nazionale. In questo caso il beneficiario di RdC che accetta l’offerta di lavoro ha diritto a ricevere 3 mensilità di reddito di cittadinanza dopo l’inizio del nuovo impiego per coprire le spese di trasferimento. «Ne consegue – osserva Fumagalli – che il soggetto beneficiario è indirettamente obbligato, pena la perdita del sussidio, ad accettare di fatto qualunque offerta viene proposta. E, tenendo conto, che la maggior parte dei poveri (53%) sono situati nelle sole regioni meridionali e la maggioranza dei posti di lavoro si trovano invece nelle regioni settentrionali, è facile immaginarsi lo sviluppo di nuovi flussi migratori, finanziati dallo Stato e a vantaggio delle imprese del Nord».
Così, anziché essere una misura per la ridistribuzione del reddito e la riduzione delle diseguaglianze economiche in nome di una maggior libertà di autodeterminazione del lavoro, il cosiddetto RdC si trasforma «in una sorta di indiretta politica dell’offerta, finalizzata ad incentivare assunzioni sotto qualificate a costi ridotti per le imprese». Basterà registrarsi al portale del programma Rdc e assumere per due anni un disoccupato per ricevere sotto forma di sgravio contributivo la differenza fra 18 mesi di RdC meno le mensilità già fruite (se il lavoratore proviene da un Centro per l’Impiego), oppure la metà della predetta somma sotto forma di sgravio contributivo se il lavoratore proviene da un agenzia del lavoro privata. L’altra metà dell’incentivo spetterà all’Agenzia (privata) sempre sotto forma di sgravio contributivo (Art. 8). Così anche le agenzie interinali avranno la loro fetta di torta.

Il sussidio potrà essere usato per tutte le spese già previste per la cosiddetta Carta Acquisti (pagamento bollette, spesa alimentare ecc.). In tal modo, con l’esclusione di una cifra pari a 100 euro (che potrà essere prelevata in contanti), si potrà monitorare gli acquisti «e intervenire se la spesa viene ritenuta non consona allo stato sociale, sino a poter incorrere in penalità e sospensioni del provvedimento nel caso di spese per il gioco d’azzardo».
In definitiva è la prosecuzione di quella «narrazione tossica» sul reddito che, un anno fa, Sandro Gobetti aveva denunciato in un’intervista con Left. Gobetti, ricercatore sociale indipendente, coordinatore di Bin Italia, spiegò che la tassonomia distingue la famiglia del reddito minimo garantito (Rmg) da quella del reddito di base universale e incondizionato. La prima è uno dei punti centrali del modello sociale europeo secondo cui nessuno dovrebbe scivolare al di sotto di una certa soglia. «In Italia – riprende Gobetti – impropriamente, M5s usa la formula reddito di cittadinanza, per indicare invece il Rmg condizionato all’accettazione di un lavoro. In realtà quel termine apparterrebbe all’altra famiglia, quella per cui il reddito è un diritto umano, come la libertà di parola».

Brexit, il Parlamento boccia l’accordo della May. E i Labour preparano la sfiducia

Ieri sera alla House of commons Theresa May ha subito la peggior sconfitta che un governo abbia mai subito nella storia parlamentare britannica, con il voto contrario di 432 parlamentari con solo 202 a favore della proposta del governo. La Camera dei comuni ha dunque bocciato l’accordo trattato dalla May con le istituzioni europee.

Immediatamente dopo, su richiesta dello stesso governo, il Partito laburista ha depositato una mozione di sfiducia che verrà discussa nel pomeriggio del 16 gennaio e votata alle 20 ora italiana. Per quanto possa sembrare paradossale, Theresa May è quasi certa di sopravvivere al voto. Infatti l’Erg (European research group), la corrente conservatrice di Boris Johnson e Jacob Rees-Moog, sostenitori della hard brexit, ha annunciato che voterà a favore del governo e lo stesso hanno fatto gli alleati Nord Irlandesi del Duup (Democratic unionis party). Entrambe le componenti sono state decisive nel voto di ieri sera ma sono immediatamente tornate all’ovile in vista del rischio della caduta di governo.

È probabile dunque che la May resti in sella e continui il balletto che ormai conduce da diversi mesi, nel tentativo di far avvicinare sempre di più la scadenza del 29 marzo 2019 e costringere il Parlamento ad approvare il suo accordo. Infatti se stasera non cadrà, il Primo Ministro ha tre giorni per proporre un piano alternativo al Parlamento. Un piano che però difficilmente potrà discostarsi da quanto già trattato fino ad oggi, anche considerando che Donald Tusk per il Consiglio europeo e Jean-Claude Juncker per la Commisione, hanno già dichiarato che non ci sono alternative al piano già trattato. La May, dunque, collezionando una umiliazione parlamentare dopo l’altra (è già stata sconfitta in Parlamento tre volte negli ultimi sette giorni) continua nella sua strategia andreottiana di “tirare a campare”.

In tutto questo il Partito laburista non ha molte alternative alla strategia che sta tenendo e cioè quella di non farsi schiacciare sulle posizioni oltranziste di chi vorrebbe proporre una cancellazione della Brexit o – forse persino peggio – l’idea di riproporre un nuovo referendum. Una proposta simile sarebbe un regalo enorme alla May e un suicidio politico per il Labour che invece, coerentemente a quanto deciso alla conference di Liverpool, prosegue la linea di chiedere nuove elezioni politiche che legittimino un nuovo governo a riprendere le trattative con le istituzioni europee, anche considerando che gli accordi siglati dalla May e bocciati dal Parlamento, sembrano studiati apposta per impedire al Partito laburista – se riuscisse ad arrivare al governo – di attuare il proprio programma elettorale, vincolando il Regno Unito al rispetto di normative europee molto stringenti nei temi chiave della proposta laburista: aiuti di stato alle imprese, nazionalizzazioni, investimenti pubblici.

Ad ogni modo questa vicenda si rivela sempre di più di vero e proprio disastro storico causato dal Partito conservatore che tiene in ostaggio delle proprie divisioni interne un Paese intero. Stasera vedremo come si svolgerà l’ennesimo capitolo di questa saga che sta assumendo risvolti tragicomici.

Il “sorriso politico” (e la vigliaccheria)

Nella combo il ministro alla cooperazione internazionale e integrazione, Cecile Kyenge, e il vice presidente del Senato, Roberto Calderoli (Lega), 14 luglio 2013. ANSA

«Quando la vedo non posso non pensare a un orango» disse di Cecile Kyenge Roberto Calderoli a luglio del 2013 durante la festa della Lega a Treviglio. Erano gli anni in cui l’esponente del governo Letta era la vittima preferita del becero putridume leghista (non per niente lo stesso Salvini al tempo disse “lei è pericolosa”, pensa te). In realtà era banalmente nera, anche se sembra faticoso scriverlo.

Ovviamente era partita la denuncia e Calderoli pochi giorni fa è stato condannato in primo grado a un anno e sei mesi dal tribunale di Bergamo. Sapete come si è difeso il prode leghista? Al solito: «Non ricordo parola per parola quanto ho detto, ma il mio intento – aveva dichiarato Calderoli lo scorso luglio in udienza – era la critica politica al governo Letta, anche per un certo divertimento delle persone presenti, con toni leggeri. Dalle trascrizioni vedo che non ho mai usato la parola ‘orango’, bensì ‘oranghi’, riferendomi a tutto il governo. Intendevo dire che si muovevano come elefanti in una cristalleria: se avessi usato quest’altro paragone, oggi non saremmo in quest’aula». Insomma, si è espresso male e un po’ è stato anche frainteso. Siamo alle solite. Feroci e poi vigliacchetti. Funziona sempre così. Ah, a proposito: Calderoli è l’attuale vicepresidente del Senato del governo del cambiamento. Evviva.

A settembre del 2017 il sindaco leghista di Pontinvrea Matteo Camiciottoli scriveva su Facebook un delirante messaggio contro Laura Boldrini (che è diventata il nemico numero uno nel frattempo) in cui le augurava di avere come ospiti a casa sua gli stupratori di Rimini, «magari le mettono il sorriso», scrisse, con un bell’ augurio di stupro (sai la novità, che fantasia, tra l’altro). Ieri è stato condannato (ma va?) e sapete come si è difeso? Eccolo qua: «Non inciterei mai allo stupro nella mia vita, anzi ritengo che per gli stupratori occorra l’ergastolo. Volevo solo fare una critica politica: se lei è così favorevole a una immigrazione incontrollata, che include anche i delinquenti, allora forse ospitarli le avrebbe fatto piacere». Un «sorriso politico», ha detto il sindaco leghista: «Per questo non mi sono scusato durante la trasmissione ’’La Zanzara’’, era solo una contestazione nei confronti di idee con cui non sarò mai d’ accordo. Per me le politiche messe in atto da Boldrini e da chi sostiene la sua posizione sono uno dei fattori che hanno portato all’accoglienza indiscriminata. E se vuoi l’immigrazione incontrollata devi mettere in conto che possano verificarsi anche gesti come lo stupro di Rimini». Per tradurla semplice semplice: era un’alta critica politica e noi non l’abbiamo capito. Vigliaccheria lessicale, si potrebbe dire.

Eppure il “sorriso politico” è tutto nostro, cari signori: la legge funziona e, prima o poi, arriva. Lo spessore delle goffe giustificazioni con cui i lupi si trasformano in agnelli è il termometro del vostro spessore.

Buon mercoledì. Con un “sorriso politico”.

L’utopia socialista di Rosa “la Rossa”

Rosa Luxemburg addresses crowds at the International Socialist Congress, held in Stuttgart, Germany, in 1907.

Cento anni fa, il 15 gennaio 1919, al rifluire dell’insurrezione spartachista, Rosa Luxemburg veniva assassinata, insieme a Karl Liebknecht, dai Freikorps, i gruppi paramilitari agli ordini del governo del socialdemocratico di Friedrich Ebert e Gustav Noske, e gettata in un canale di Berlino.
Rosa Luxemburg è stata una delle figure più nobili nella storia del movimento operaio internazionale per la coerenza, il rigore, l’intelligenza con cui difese le proprie idee. Marxista libertaria, femminista, internazionalista e consiliarista, Rosa Luxemburg seguì sempre con grande partecipazione le vicende del movimento operaio russo. Paradossalmente però fu proprio in Urss che la sua opera fu censurata, mutilata, distorta. Più in generale nei Paesi del “socialismo realizzato” si cercò di trasformare il suo lascito in un’icona inoffensiva e svilita della sua carica eretica, da mostrare una volta all’anno nelle manifestazioni del Primo maggio. Malgrado ciò le sue riflessioni sulla Rivoluzione russa, rappresentano ancora oggi una miniera poco esplorata e conosciuta. Il suo monito profetico ai bolscevichi a non disgiungere il socialismo dalla democrazia è destinato a restare inscritto per sempre sulle bandiere degli oppressi: «La libertà è sempre la libertà di chi la pensa diversamente».
Rosa, nacque nel 1871 a Zamość una cittadina non lontano da Lublino, quando la Polonia era ancora parte dell’impero zarista, in una famiglia ebrea. Parlando russo fluentemente poté seguire sin dagli esordi il dibattito nel movimento rivoluzionario russo pur militando dopo aver lasciato Varsavia nella socialdemocrazia tedesca. Quando nel celebre confronto interno alla socialdemocrazia russa del 1902-1904 sulla struttura del partito emersero le proposte ultracentralistiche e giacobine di Lenin, Rosa dimostrò quanto esse potessero essere pericolose per il corso successivo della rivoluzione. Per la socialista polacca imporre ai membri del partito un’«obbedienza cadaverica» al potere assoluto del comitato centrale come intendevano fare i bolscevichi rappresentava «il metodo più facile e sicuro per consegnare un movimento operaio ancora giovane alla brama di potere degli intellettuali». Luxemburg concordava con Lenin che la disciplina operaia si forgia “naturalmente” all’interno della fabbrica. Tuttavia aggiungeva che la disciplina capitalista derivava anche da altri due elementi altrettanto decisivi: l’esercito e la burocrazia statale. «L’autodisciplina della socialdemocrazia non è semplicemente la sostituzione dell’autorità dei governanti borghesi con l’autorità di un comitato centrale socialista» sosteneva Rosa rivendicando allo stesso tempo ai lavoratori il diritto a sbagliare: «Gli errori commessi da un movimento veramente rivoluzionario sono infinitamente più fruttuosi dell’infallibilità del più intelligente Comitato centrale».
Allo stesso tempo “la piccola zoppa ebrea”, come la chiamavano con disprezzo i giornali reazionari tedeschi, non pencolò mai verso quelle correnti della socialdemocrazia russa a cui aderì in vecchiaia anche Grigorij Plechanov, il fondatore del marxismo in Russia, che invocavano per la Russia solo una “rivoluzione democratico-borghese” senza mettere in discussione la struttura sociale del Paese. Nel suo scritto Blanquismo e socialdemocrazia del 1906, Luxemburg affermava che…

L’articolo prosegue nel numero di Left del 4 gennaio 2019


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Se i bisogni si incontrassero, invece?

Volunteers with St. John's Bread and Life Soup Kitchen feed the poor and the homeless in New York City. (Photo by © Viviane Moos/CORBIS/Corbis via Getty Images)

Dice quel buonsenso da padre di famiglia che è diventato un feticcio, così idolatrato e svuotato in questi ultimi tempi, che la soluzione migliore per il buon governo di una comunità (che sia una famiglia, un condominio, una bocciofila, una Regione o uno Stato) stia nel mettere insieme i bisogni di tutti i membri, nessuno escluso, con una corsia preferenziali per gli ultimi e con una ricaduta positiva anche dal punto di vista economico.

Lo so, sembra incredibile, vero? Si chiama politica.

E così spulciando tra le notizie che arrivano in questo ultimo periodo (quasi tutte schiacciamenti vendette) mi ha ossigenato leggere ciò che fanno a Pont-Saint-Martin, comune di 3.900 abitanti in provincia di Aosta al confine con il Piemonte, dove il vicesindaco Fabio Badery ha provato a mettere insieme il solito problema delle tasse da abbassare, lo spreco di cibo che viene buttato e la povertà, quella vera, quella che affama le persone.

Ne è uscita una norma che riduce le tasse (per la precisione la Tari) alle attività che producono o distribuiscono beni alimentari e che gratuitamente “cedono, direttamente o indirettamente, tali beni alimentari agli indigenti e alle persone in maggiori condizioni di bisogno”. Per queste attività viene prevista “l’applicazione di un coefficiente di riduzione della tariffa proporzionale alla quantità, debitamente certificata, dei beni e dei prodotti ritirati dalla vendita e oggetto di donazione”. I commercianti devono donare in un anno almeno 50 chili di cibo e hanno diritto a una decurtazione che arriva fino al 20%. Chi aiuta i poveri paga meno tasse.

Semplice, lineare: rendere conveniente la solidarietà è la strada migliore per accendere un meccanismo virtuoso. Il consiglio comunale ha deciso di votare a larga maggioranza il provvedimento (pensa te, senza nemmeno un po’ di scintille su questi maledetti buonisti valdostani) e Pont-Saint-Martin è diventata ancora più bella.

La lezione però sta nell’impopolare volontà di mettere insieme i bisogni invece di contrapporli, amministrando una città con l’intenzione di farne (e mantenere) un unico blocco sociale che sia messo in condizione di non lasciare nessuno indietro e di riconoscere le diverse difficoltà come motore di un cambiamento, mica di una battaglia perenne. Governare le esigenze e le persone, insieme. Da buon padre di famiglia. Politica, appunto.

Buon martedì.

 

Nasce a Roma PopUp Community: contro la crisi andando oltre il concetto di carità

Una rete tra cittadini di una metropoli per reagire alla situazione difficile creata dalla mancanza di lavoro e di servizi. È quanto accade a Roma e l’esperienza si chiama PopUp Community.  La crisi economica del 2007-2008 ha creato una ulteriore divaricazione sociale. Fasce di popolazione prima considerate “garantite” sono scivolate verso la povertà relativa o assoluta. Il welfare, che avrebbe dovuto assicurare almeno un paracadute per le nuove fragilità sociali, in virtù delle politiche di dismissione dell’impianto pubblico nel suo complesso, non ha saputo offrire sistemi di protezione all’altezza della nuova emergenza sociale. Alle amministrazioni locali in questi anni è stato sollecitato, se non imposto, il riordino della spesa pubblica, che si è tradotto, per usare un linguaggio più prosaico, in tagli.

A Roma, in particolare, si somma poi la crisi degli strumenti tradizionali di sviluppo della città, dall’edilizia fino al terziario. Nella Capitale, il crollo è stato verticale: in dieci anni la disoccupazione è passata dal 7,3% del 2005 al 9,5% del 2017. I dati ci parlano di una città in grande sofferenza sociale, in cui crescono prevalentemente i piccoli lavori occasionali e precari e in cui gli stravolgimenti urbanistici degli ultimi decenni hanno ridisegnato la mappa socio-economica. I servizi sociali locali e di orientamento al lavoro, si trovano di fronte all’aumento delle richieste di aiuto, in termini di sostegni economici, integrazioni all’affitto, nuova occupazione. A questo quadro strutturale si sommano i cambiamenti profondi di natura socio-urbanistica che hanno interessato le metropoli e Roma tra queste.

Sempre meno presenti i luoghi di aggregazione in cui si sviluppavano meccanismi di mutuo aiuto e solidarietà, sempre più diffusi luoghi di produzione di valore economico fondato sulla rendita e sulla speculazione predatoria. In questo contesto, non a caso, stanno riprendendo vigore forme di azione sociale dal basso fondate sul volontariato, su una idea di soccorso sociale di natura mutualistica. In alcune aree della città, negli interstizi territoriali, economici e sociali, disimpegnati dal mercato e dalle politiche di welfare, per reazione emergono nuove forme di mutualismo sociale e di produzione di economie di sussistenza e di progetti imprenditoriali cosiddetti dal basso. Esperienze che, in assenza di regolamentazione formale, istituiscono propri legami di solidarietà interna ed esterna, oltre a “regole giuridiche” non autorizzate e che affermano una duplice necessità: da un lato quella dell’autonomia, dall’altro quella di una necessaria relazione strumentale con le amministrazioni locali. In questo modo, vengono a definirsi nuove forme di welfare. Nel corso degli anni, a Roma si sono sviluppate attività concrete di sussidiarietà orizzontale che richiedono capacità di interpretazione e sostegno, soprattutto nello sviluppo delle potenzialità solidaristiche, mutualistiche. Si tratta di proposte di natura civica che, unendo le forze, riescono a mettere in campo risposte concrete a bisogni primari e non solo.

Con questo spirito nasce PopUp Community, una iniziativa che unisce cittadini, realtà formali e informali nella promozione di azioni concrete per rispondere alla crisi economica. Una rete del fare e di solidarietà dal basso quella di PopUp che mette in campo distribuzione e socializzazione di pasti gratuiti, sportelli legali, di sostegno psicologico, punti informativi per il risparmio energetico e appuntamenti di informazione alimentare. Il tutto realizzato grazie alla disponibilità di volontari e associazioni attivi sui territori. Interventi che, lungi dal volersi sostituire al servizio pubblico, intendono offrire occasioni di aggregazione sociale e informazione critica sulle conseguenze delle politiche di privatizzazione e dismissione del welfare, ma soprattutto intendono ri-attivare comunità consapevoli attraverso la creazione di Poli civici di mutualismo integrato sul territorio cittadino. L’obiettivo è contrastare quindi gli effetti sociali della crisi economica attraverso la partecipazione e risposte concrete ai bisogni, ma soprattutto attivando spirito e iniziative comunitarie.

PopUp interviene sul contrasto della povertà tramite azioni semplici e pratiche accessibili, supera il concetto di assistenza chiamando in causa la crisi economica e i tagli ai servizi: azioni concrete e risposte immediate, sì, ma per dare corpo all’indignazione nei confronti di un sistema che provoca povertà e deprivazione economica. Così, di fronte alla difficoltà e alla privazione di un diritto, PopUp intende fare leva sul senso di appartenenza, della cooperazione e della collaborazione, mobilitando energie, passioni per cambiare concretamente la città e le condizioni di vita delle persone.
Questa sembra essere l’unica risposta possibile – sostiene PopUp – perché se la battaglia contro il degrado è da ritenersi necessaria, è anche vero che Roma ha bisogno di qualcosa che agisca ancora più nel profondo e che intervenga in senso costruttivo sui legami sociali, sui processi di responsabilizzazione ed empowerment sociale, sulla narrazione positiva della città e delle potenzialità insite nel suo capitale umano.
La comunità in campo per la comunità. Questo è PopUp Community.

Il 16 gennaio a Roma, presso il CSOA La Strada (Garbatella), ci sarà una cena di raccolta fondi per il progetto PopUp Community.

Riace doesn’t stop

When I took my commitment to work in a border land, I thought that the most serious problem to face would be mafias and widespread violence. Instead not. For two years there is a history of oppression against the Riace experience and it started when a person from Reggio Calabria was Minister of the Internal Affairs.
Marco Minniti summoned me to the Ministry, but I didn’t meet him physically. It was an insensitive gesture. They decided the destiny seated at a table: Riace had to end up that way.
While we operate for solidarity and humanity spaces, others works in their offices with oppressive strategies, to determine mortifying results.
While applying as secretary of the Democratic Party, Marco Minniti said: “I am for Riace, I am on the side of his mayor”.
I’d like to understand the meaning of those words. At that time, the judicial authority should have asked him why, acting as Minister of the Internal Affairs, he was making agreements with the clan leaders of Libya to shut people in.
He started fighting the NGOs, the humanitarian organizations and those projects that in any case were giving hope, transmitting the idea that migrants’ reception was not a problem. What happened to Riace could take place in many other sites, not only in Calabria but in the all Europe. So, why does he say those words one year later?
Obviously he does it for propaganda, because he searches political spaces, although he certainly contributed to oppress the Riace experience. I presume that Minniti knew everything when the blockade of funds was arranged to our Municipality, when the public prosecutor was investigating. And he didn’t say anything, he didn’t do anything. So, it means that one year ago we were doing nothing so serious, otherwise he would have to denounce it publicly.
It’s interesting to analyze these words since they indicate that Minniti was perfectly aware that there was nothing serious in Riace.
As a Minister he paved the way to the current drift of our society, to the Salvini decree that we can define the “decree of inhumanity” and that has already produced its effects. Just see what happened in Crotone: due to the fact that those having the humanitarian protection can no longer stay in the Sprar shelters, several people were abandoned on the street. Among them even a little child of six months. What’s the point? What are we talking about? That is a Ministry of inhumanity. No doubt.
But I hope it’ll be possible for Riace to be again the place for a possible dream. In the meantime, I have been investigated for two offences, including aiding illegal immigration. We had so many people in Riace when they made the Minniti-Orlando decree to reduce the possibility of using the refusal from the commissions for the recognition of refugee status.
There were a lot of Nigerian boys who had not received a single denial but two (it was no longer possible to have three, as before).
They didn’t want to come back to their home countries, where they left a hell. Probably they were indebted for their whole lives looking for a solution. It’s true, some of them would have married to get the certificate and therefore the residency permit for family reasons. I only celebrated a wedding and, if I did something, it’s because I saw in their eyes the horror for coming back to their countries.
This can never be considered as an agreement with the clan leaders of Libya to prevent people from arriving in Italy. Simona (Simona Maggiorelli director of the weekly Left ndr) has named Becky Moses, the Nigerian girl victim of such inhuman policies. Her request for asylum had been denied but she didn’t think to marry and the only solution to her life was to move to the tent city of San Ferdinando in the plain of Gioia Tauro. On January 26th she died burnt alive, trying to warm up because it was cold that night.
Who are the responsible? Why was there no trial, no investigation? Which is the value of human life?
Moreover, I was also accused of giving false ID cards. Even Becky arrived at the Municipality to renew her document lost on the bus on December 23rd 2017 and I redid it. A few days later she died. For a strange coincidence, that ID card with my signature remained on the ground, close to her burnt plastic tent. I’m proud I did that ID card.
In the same area, a short distance from Riace, a boy fought for the union rights of the day labourer engaged in the plain of Gioia Tauro. He died last June. Today some people says: “We have to do justice with our own hands”. So, someone decided to kill Soumaila Sacko, because he tried to steal a piece of sheet metal to slide the water off the roof of his hut. Soumaila Sacko was killed.
These young people come to Italy to live and we make them die.
In early December, another 18 years old boy died burned alive in the tent city of San Ferdinando. Do you realize? The same people who have been so attentive to all the bureaucratic aspects, those checking even the lack of a stamp, they caused the closure of the Riace experience and of my personal judicial situation. They inflicted mortifications to my soul and those same people are now running the centre of San Ferdinando.

From the intervention of Mimmo Lucano at the Palladium Theatre in Rome, on 20th December 2018, during the evening of launching of the candidacy of Riace to the Nobel Peace Prize 2019. 
Event promoted, among others, by Left, Re Co Sol and VIII Municipality of Rome. To join the campaign: www.left.it

Traslated by Carla Gentili

 

Se il videogame diventa un gioco mortale

Eravamo in una bella biblioteca romana per presentare due volumi sulle dipendenze patologiche (Internet l’amico pericoloso e Droga, uso, abuso e dipendenza, entrambi a cura di Ludovica Costantino, Luguori ndr). Avevamo raccontato molte storie: dalla drammatica vicenda di Carolina Picchio, al racconto di una vicenda personale da parte di una ragazza che invece era riuscita a difendersi da un brutto episodio di cyberbullismo. Avevamo raccontato come occorre utilizzare i videogiochi, alcuni utili per la formazione dei ragazzi, altri pericolosi. Avevamo parlato per ben due ore e raccontato le ultime novità in materia di uso del digitale con bambini piccolissimi. Tutti ricordiamo la vicenda di Carolina, diffamata su internet da “amici” che con una inaudita fatuità e violenza psicologica, la tradirono ignobilmente, proprio nell’amicizia Caterina aveva lasciato scritto: “Le parole fanno più male delle botte…”.
Tutti sappiamo come finì questa drammatica storia che portò al suicidio della ragazza ma anche ad un risveglio generale sulla potenziale pericolosità di internet. E grazie all’interessamento della insegnante di musica di Carolina, la senatrice Elena Ferrara e alla volontà del padre di Carolina, nacque finalmente la legge sul cyberbullismo. Fu davvero un risveglio della legislazione in materia di internet, almeno su certi episodi particolarmente distruttivi. Quella mattina nella biblioteca Nelson Mandela a Roma, fu particolarmente fortunata: si respirava una forte emozione e due ore erano trascorse velocemente, quando si avvicinò a noi una gentile e distinta signora, che ci chiese se potevamo andare nella scuola dove lei lavorava a parlare di tutte queste cose così importanti per gli allievi. Quella signora era la coordinatrice pedagogica della scuola media Svizzera che si trova a Roma. Emerse un racconto che ci sorprese: “Dottoressa, i ragazzini piccoli, quelli dai 11 ai 13 anni arrivano a scuola pieni di sonno. Si addormentano sui banchi. Passano gran parte della notte a giocare con i videogiochi. I genitori non sanno come fare dovreste venire e realizzare incontri con i ragazzi, i genitori e gli insegnanti”. Mentre preparavano i due incontri sui videogame e sulle dipendenze da internet, (sui quali già pubblicammo un articolo su Left ( Gaming addiction, la guerra nella testa, left  18 maggio, 2018) è arrivata una notizia drammatica: un bambino di appena undici anni, la notte del primo gennaio avendo ricevuto il permesso dai suoi genitori di restare alzato un pò di più per giocare ai videogame, viene trovato avvolto in una sciarpa appeso ad un armadio, con il rischio di morire soffocato. Il grave incidente avviene avviene a San Pietro Mussolino nel Vicentino. Il fratello allarmato e disperato allerta i genitori e il bambino viene urgentemente portato al pronto soccorso ma dopo qualche giorno non ce la fa e muore, il suo cuore cessa di battere alle 10.45 dell’8 gennaio scorso. La notizia cosi come velocemente è apparsa nelle cronache così altrettanto velocemente è sparita dalle cronache. E ci ha lasciato tramortiti costringendoci ad approfondire ulteriormente questo mondo dei videogiochi e in generale di internet che per noi adulti è ancora sconosciuto, per certi versi misterioso. Noi lo utilizziamo per fare ricerche, per il nostro lavoro, per comunicare con amici e parenti lontani. Noi adulti lo usiamo in un certo modo, stiamo parlando di adulti sani di mente ovviamente e con la testa al suo posto! E ci sembra davvero incomprensibile come sia possibile rischiare di morire per un video gioco.
Studiando l’argomento a fondo apprendiamo che ci sono giochi che sono delle vere e proprie sfide rischiosissime, in cui vengono cimentati e spronati i giocatori. Apprendiamo che le sfide si spingono fino a portare il giocatore che troppo spesso è poco più che un ragazzino a rischiare la vita per vincere un punteggio. Pensiamo che forse quell’episodio di quel bambino sia stato una tragico epilogo di un “invischiamento” in un gioco che proponeva una sfida pericolosa. Non sappiamo nulla di più della vicenda, ma approfondendo la materia, istintivamente ci viene in mente che occorre proteggere i ragazzini da certi videogame: ma come fare? Studiando studiando i videogiochi veniamo a sapere che ci sono videogiochi di simulazione, di avventura, di azione , i giochi di ruolo , nei quali vi è un combattimento continuo, e il giocatore deve continuamente difendersi senza poter riflettere. In quelli di avventura poi sono intrisi di mistero , di inquietudine per chi gioca. Poi vi sono giochi di strategia nei quali il giocatore costantemente deve attaccare il nemico e le ambientazioni spaziano dal fantasy al medioevo. Insomma abbiamo compreso che da una parte esistono dei videogiochi appassionanti ed utili come narra la nostra pubblicazione e come suggerisce il ricercatore e creatore di videogame utilissimi Ivan Venturi, dall’altra parte e nella maggior parte dei casi, per poter vendere con successo i videogiochi è necessario un elemento anzi più elementi che sono fatti apposta per creare una video dipendenza. Così funzionano le multinazionali che investono sui videogiochi che ormai sono diventati una miniera d’oro.

La dipendenza da internet ormai viene riconosciuta da parecchi anni tanto che ormai tutti gli psichiatri, psicologi e psicoterapeuti in generale conoscono bene la IAD 3 sigla con cui viene denominata tale patologia Fu lo psichiatra. Ivan Golberg nel 1995 ad avviare la ricerca su questa nuova patologia legata all’uso improprio delle tecnologie. In seguito la dottoressa Kimberly Young direttrice del Center for Internet Addiction negli Stati Uniti approfondì la ricerca e divenne una guida per tanti ricercatori . Nel 2013 quando venne pubblicato il DSM-5  si tematizzò la patologia da internet e si avvicinò il quadro sintomatologico a quello di chi fa uso improprio di sostanze: si parla dunque di una equivalenza dei quadri clinici con le tossicodipendenze da sostanze chimiche. E andando avanti apprendiamo che a breve verrà introdotta nell’ ICD-11 4 da parte dell’OMS il Gaming disorder .
Stiamo parlando dell’uso improprio di questi videogiochi che producono purtroppo una dipendenza patologica, che si manifesta con la mancanza di controllo nell’atto di giocare, il continuare a giocare nonostante l’emergenza di conseguenze negative e la assoluta priorità rispetto alle altre attività quotidiane. Compreso dunque il sonno che è fondamentale per i ragazzi Dunque ci siamo: ormai anche l’uso dei videogame può diventare una patologia come l’uso di cocaina e di altre sostanze chimiche
La tecnologia ed in particolare l’uso del computer, può diventare una malattia della mente se ne diventiamo schiavi: è stato lo psichiatra Massimo Fagioli a suggerire che noi dobbiamo dominare la tecnologia e non diventarne dipendenti!
Se il nostro rapporto con tale tecnologia diventa compulsivo: per fare sesso, per fare il gioco d’azzardo , per trascorrere il nostro tempo immersi nei videogiochi, anche il videogame nato per giocare può diventare una trappola insidiosa. E studiando i videogiochi apprendiamo che essi per essere un prodotto di successo, dunque una merce che favorisce il mercato delle multinazionali che investono moltissimo sui videogame, come abbiamo accennato, devono avere alcune caratteristiche come la immersività, la presenza sociale, l’esperienza del flusso , tutte caratteristiche che rendono appetibile ed appassionante il videogioco. Ma anche pericolosamente seduttivo. E sono proprio queste caratteristiche che poi ne favoriscono la dipendenza. E’ paradossale ma siamo immersi in una realtà che può produrre dei danni , come abbiamo visto dal caso del piccolo che si è completamente perso…, forse possiamo ipotizzare che sia stato travolto da un videogioco particolarmente affascinante per la sua realtà, non sappiamo…Non possiamo fare affermazioni ma dobbiamo pensare fortemente che egli abbia perduto la sua piccola mente che si era immersa in qualcosa di molto più grande di lui.

Orwell e il grande fratello.  Sappiamo che sui social spesso appaiono video e videogiochi con contenuti decisamente violenti. E che spesso istigano abbondantemente alla violenza anche se in molti casi non esplicitamente . Leggiamo nel volume Internet l’amico pericoloso: “Siamo venuti a conoscenza di un gioco on line interattivo complicatissimo la cui trama sembra generata da una mente molto malata, si chiama Killer 7,e in Thailandia il ministro della Salute lo ha inserito sul sito governativo tra i dieci videogame più pericolosi per i bambini… una misteriosa organizzazione criminale chiamata Heaven Smile, minaccia l’intero globo e i Killer 7 un gruppo antagonista ha l’incarico di salvare il pianeta. Il loro capo è un personaggio che è il vero protagonista, Harman Smith, il killer più famoso del ventunesimo secolo”. Ed in una recensione questo videogioco è descritto nel seguente mondo: “Tutto è studiato ad arte per regalare emozioni, coinvolgere, turbare e incollare il giocatore al monitor dalla prima all’ultima scena del gioco … Non si fa fatica ad essere calamitati nell’assurdo futuro in cui vivono Harman Smith e soci e la voglia di comprendere fino in fondo le trame segrete… sono un fortissimo stimolo a proseguire nell’interpretazione degli eventi di questo gioco. E poi c’è un senso di inquietudine così intenso raramente si è provata una simile angoscia in un vide gioco la paura dell’incomprensibile”.
Sembrerebbe che sia la possibilità di sentire l’angoscia e la paura dell’incomprensibile il mistero dell’invisibile e dell’inafferrabile a rendere irresistibile questi videogiochi agli occhi dei ragazzi”.“Nella prima metà del secolo scorso ed esattamente nel 1948 George Orwell scrisse un libro intitolato 1984 e tra i vari personaggi del romanzo significativa è la figura del grande fratello. Si tratta di un personaggio che nessuno vede mai e ch esercita un controllo sulle menti e le emozioni delle persone facendole precipitare in un mondo senza passato e senza futuro, dove ogni giorno è uguale ad un altro, nella più completa assenza di fantasia e creatività. Orwell crea questo personaggio per poter parlare del potere che controlla e manipola le persone, privandole dell propria umanità le rende fragili e facilmente assoggettabili. Dipendenti. Il romanzo di Orwell ed il videogioco Killer7 apparentemente sembrano avere delle similitudini. Il grande fratello e Harman Smith entrambi invisibili e misteriosi esercitano un potere alienante e distruttivo, anche se in modo diverso, ed entrambi agiscono in una ambientazione che si svolge in un ipotetico ed agghiacciante futuro. Ma Orwell vuole raccontarci qualcosa, renderci consapevoli di un vuoto a cui la società può essere assoggettata propone un confronto e ci invita alla riflessione. Nel videogioco invece l’obiettivo sembra quello di far vivere questo vuoto in assenza di un pensiero critico. Il confronto è con il nulla.”Ci sembrano importanti queste osservazioni e proseguendo :
“ Come Orwell tanti artisti hanno raccontato di questa dimensione che a quanto pare è sempre esistita nelle società: il ” vuoto” come perdita del senso della propria esistenza, dove nulla è mai veramente importante e con la perenne sensazione di non esistere. In epoche diverse e con storie diverse gli artisti hanno sempre ben saputo rappresentare questa “sofferenza” umana ma non ne hanno mai compreso l’origine né hanno saputo darle un nome. Ma perché parliamo di questo romanzo?
Che legame ha con internet? Nella nostra società non esiste (per ora almeno) una dittatura, ma con tutta evidenza stiamo assistendo ad un vuoto culturale affettivo e relazionale spaventoso, si osserva una sorta di frattura fra il passato e il presente, esattamente come viene avviene nel romanzo; le nuove generazioni hanno perso il rapporto con quelle che le hanno precedute e con esso validi punti di riferimento e di confronto. Ed è in questa assenza che internet va ad innestarsi, conquistando una posizione e un valore eccessivo, diventando un vero e proprio pericolo non solo per la mente degli individui ma anche una minaccia per la propria esistenza”. Aggiungiamo a questa importante riflessione che se internet ha migliorato la qualità della nostra vita ed accresciuto le nostre capacità, occorre assolutamente sviluppare un pensiero critico dell’uso che se ne fa e aumentare la nostra conoscenza.
Stare accanto ai ragazzi . Era questa la richiesta di aiuto di quella signora, quel giorno così bello. Sono proprio loro che sono più in pericolo: entrano nella pubertà, stagione già delicatissima e complessa nella quale vi è uno sconvolgimento per il grande cambiamento fisico e psichico: l’adolescenza è alle porte con tutti i suoi sconvolgimenti, fisici e psichici. E’ necessario allora aumentare il rapporto, come sempre quando vi sono grandi cambiamenti come quello che stiamo vivendo e che a volte ci trova del tutto impreparati. E noi andremo nella scuola a parlare con i ragazzi e cercheremo colmare quel distacco generazionale che ci rende inconsapevoli e lontani da loro, che sono il nostro futuro e che occorre amare in un modo più intenso per riuscire a comprenderli.

Gli incontri

I due incontri  si tengono il 14 gennaio ( via Malpighi 14, ore 19,30) e il 21 gennaio (via Nomentana 335 ore 14) alla scuola svizzera di Roma. Oltre alla curatrice dei due volumi, la psichiatra e psicoterapeuta Ludovica Costantino partecipano Manuela Atzori (psicologa e psicoterapeuta), Susanna Baldini (educatrice), Concetta Guarin (avvocato), Fina Rumore (logopedista), Antonino Scordo ( esperto web),  Pier Polo Tinto (matematico), Emanuela Rampelli (psicologa in formazione), Arielle Bowden Smith, Vittoria Cappellani ( studentesse).

 

Li disprezzano perfino i terremotati

Nella perpetua guerra tra poveri per instillare rabbia i sovranisti di casa nostra infilano l’ennesima perla (in termini semplici si direbbe bufala) pur di secernere un po’ di bile e affamare i disperati, alla continua ricerca di un nemico trafugato tra gli straccioni con buona grazia di chi invece ne gode seduto nei posti di potere. L’ultima patetica illazione (che ovviamente ha fatto il pieno di clic sui social e nei discorsi da bar) è una foto che dovrebbe ritrarre le tende dei terremotati di Amatrice coperte dalla neve a dimostrazione del fatto che mentre “i migranti godono di tutte le comodità” invece i “nostri italiani” debbano fare i conti con le precarie condizioni e con il gelo.

Sono talmente fessi questi petulanti oliatori seriali che non si sono nemmeno resi conto di avere reso virale un’immagine che ritrae invece il campo profughi di Arsal, in Libano, che in questi giorni è stato flagellato dalla tempesta “Norma” che ha distrutto gran parte dei giacigli, dei materassi e dei viveri a disposizione dei profughi siriani fuggiti dalla guerra e ospitati nel campo. In quello stesso campo, a causa della tempesta, lo scorso 8 gennaio ha perso la vita una bambina siriana di otto anni e molti altri bambini non hanno avuto a disposizione latte per più di una settimana.

Ma se non stupisce che la notizia sia stata ribattuta con foga da Primato Nazionale e altri goffi megafoni della becera destra suprematista (e razzista) italiana fa comunque specie che sia stata rilanciata (con una foto di Amatrice del 2017) dall’account ufficiale di Forza Italia (ah, i moderati),  e poi l’immancabile Giorgia Meloni che quando c’è da prendere una sonora cantonata accorre subito in prima fila (“Presidente Conte, non è che sull’aereo col quale vuoi andare a prendere i migranti a Malta c’è posto pure per i terremotati di Accumoli e Amatrice sommersi da una montagna di neve?” ha twittato il 9 gennaio tutta fiera la leader di Fratelli d’Italia con una foto che invece risale al 2017 a corredo della sua figura barbina).

Intanto i terremotati continuano a essere usati come spot elettorali, mica come persone, per diventare clava contro i nemici politici e poi essere dimenticati un minuto dopo. In questi 7 mesi di governo, al di là della propaganda, non è accaduto niente: nessuno sgravio fiscale, nessuna risposta ai cittadini che provano a rialzarsi. Nulla.

Anzi, c’è di peggio: è lo stesso sindaco di Amatrice a perdere le staffe. «Resto davvero allibito – ha dichiarato il primo cittadino in una nota ribattuta qualche giorno fa dalle agenzie – Siamo tutti adulti e vaccinati e sappiamo che quando si vuole visibilità, quando si avvicinano le elezioni, si usa qualsiasi mezzo. Chi è qui queste cose le vede davvero di cattivo gusto. Parlare di Amatrice e degli amatriciani va fatto ma usare immagini false è poco corretto e denota pochezza culturale. Se volete parlare di Amatrice fatelo – ha detto il sindaco – ma parliamo di cose serie, senza fare allarmismi o facendo paragoni che non c’entrano nulla».

Insomma, li disprezzano perfino i terremotati. A voi le conclusioni.

Buon lunedì.

 

 

Gita al Colosseo con vista sul cemento

Aerial shot of the Colosseum in Rome, Italy

«Presto il Colosseo di Roma potrà contare su uno spazio dedicato ai servizi per i visitatori accogliente, flessibile e sostenibile… L’appalto, del valore di oltre 231 mila euro, è curato da Invitalia, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo, che opera in qualità di Centrale di committenza per il ministero per i Beni e le attività culturali – Parco archeologico del Colosseo». La pubblicazione del bando il 7 novembre 2018 ha costituito l’esito di una decisione presa da molto tempo. Si tratta di realizzare una struttura, in prossimità dell’Arco di Costantino, tra via Vibenna e via di San Gregorio, per ospitare tre attività principali: punto informazioni, biglietteria e libreria.
«La realizzazione del Centro servizi consentirà di portare all’esterno le attività di supporto alla visita che attualmente sono all’interno del monumento, favorendone la piena fruizione e migliorando l’offerta di servizi al visitatore», informa un comunicato pubblicato prima della procedura di gara per l’affidamento della progettazione e del coordinamento della sicurezza in fase di progettazione della struttura.
Un progetto, quello del Centro servizi, che rientra nel più ampio piano di conservazione e valorizzazione del Colosseo finanziato dal gruppo Tod’s. Progetto dalla gestazione tutt’altro che lineare, però. Al punto da finire, insieme ad altri interventi, ad agosto 2016, sotto la lente della Corte dei Conti, in particolare per le tempistiche.
Già perché, nonostante un portavoce dell’azienda affermasse che il bando sarebbe stato chiuso nel 2016 e l’opera sarebbe stata completata «entro due anni», è rimasto tutto fermo. Anche a causa…

L’articolo dell’archeologo Manlio Lilli prosegue su Left in edicola dall’11 gennaio 2019


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