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Attacco allo Stato di diritto

Il ministro dell'Interno Matteo Salvini al Viminale durante conferenza stampa su ''spiagge sicure'', Roma 6 luglio 2018. ANSA/GIUSEPPE LAMI

Roma, 24 agosto 2017. Nella centralissima piazza Indipendenza, i getti degli idranti della polizia del capo Gabrielli e del ministro dell’Interno Minniti investono volti e corpi dei rifugiati eritrei che si erano accampati in strada. I manganelli d’ordinanza librano in aria e si abbattono sui presenti, tra cui molte donne. Colpevoli, insieme alle loro famiglie, di resistere al nuovo sgombero, dopo che alcuni giorni prima erano stati allontanati dal palazzo in cui vivevano da circa quattro anni, in 800 circa, nella adiacente via Curtatone. Tutto si svolge di fronte agli occhi terrorizzati dei bambini, in lacrime. Il bilancio sarà di più d’una dozzina di feriti, e alcune persone portate in ospedale.

Catania, 24 agosto 2018. Un gruppo di migranti, 150, sopravvivono da giorni bloccati a bordo del pattugliatore della Guardia costiera Diciotti. In gravi condizioni fisiche (casi di tubercolosi, scabbia, polmonite) e psicologiche. A disposizione, due bagni chimici per tutti, un tubo con acqua fredda per la doccia, il ponte della nave come giaciglio. Sono stati soccorsi a ferragosto nel Mediterraneo. I 27 minori imbarcati insieme a loro erano stati fatti scendere, dopo una lunga settimana di attesa. Grazie anche agli interventi di Garante dei detenuti prima, e Procura dei minorenni di Catania poi. «Abbiamo accolto 27 scheletrini», ha commentato eloquente un’operatrice umanitaria di Terre des hommes. A tenere in ostaggio la pattuglia di migranti, mediante un cavillo amministrativo datato 2015 che lascia al Viminale il compito di dare semaforo verde allo sbarco, il ministro dell’Interno, Salvini. Ora indagato per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio.

Rimettendosi alle sue esternazioni, l’assurdo ricatto di tenere sotto scacco ad oltranza una nave dell’esercito del proprio Paese colma di migranti avrebbe dovuto convincere l’Ue ad essere maggiormente solidale nell’accoglienza. Talmente assurdo che l’Ue rimane in silenzio, e tira dritto. Ad accogliere i migranti, poi, si fanno avanti Dublino e Tirana, singoli Paesi. Insieme alla Conferenza episcopale, che ne prende in carico un centinaio e li smista in alcuni Centri che fanno parte della rete italiana di accoglienza. La situazione, dunque, si sblocca. Gli adulti scendono, nella notte tra il 25 e il 26 agosto. Neanche una donna, tra le superstiti, era stata risparmiata da abusi sessuali durante l’odissea che le ha condotte in quella che immaginavano terra amica. Come confermano i medici della sanità portuale.

Diverso luogo, diverso (?) governo, medesima dinamica. Forti con i deboli. E medesime vittime: i sopravvissuti della Diciotti, oltre ad alcune persone provenienti da Bangladesh, Siria, Egitto, Somalia, Isole Comore, sono anch’essi in massima parte eritrei. Fuggiti da una leva obbligatoria che spesso si tramuta in lavori forzati, da persecuzioni e una repressione del dissenso fatta di abusi e punizioni corporali. Violenze che rappresentano il prolungamento ideale di quelle del regime italiano, che nel corno d’Africa aveva insediato la propria colonia. Ma si tratta di considerazioni distanti anni luce dai tweet di Salvini, che grida vittoria. Per ora.

«Il caso Diciotti è gravissimo, da molti punti di vista», commenta Francesca De Vittor, ricercatrice in diritto internazionale all’Università Cattolica. «Innanzitutto, la dichiarazione esplicita di Salvini di aver bloccato per giorni queste persone per ottenere un intervento dell’Europa, rende palese come il trattenimento sia sprovvisto di base giuridica nell’ordinamento italiano e non rientri in nessuno dei casi in cui l’art. 5 della Convenzione sui diritti dell’uomo legittimerebbe…

L’inchiesta di Leonardo Filippi prosegue su Left in edicola dal 31 agosto 2018


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La ferocia, innanzitutto

Questa mattina lo striscione con la scritta "lasciarli in mare quanti voti vale?" Sta campeggiando in una zona del porto dell'isola, nelle vicinanze del molo dove sono ormeggiate le motovedette della capitaneria di porto e dei carabinieri. Promotore della protesta iniziata davanti alla porta d'Europa due giorni fa È Francesco Piobbichi, conosciuto come operatore di mediterranean hop e, osservatorio sulle migrazioni di Lampedusa. Un progetto finanziato con l'otto per mille dell'Unione delle chiese metodiste e valdesi. L'iniziativa promossa, verte a fare in modo che le persone che si trovano a bordo della nave diciotti possano essere portate a Lampedusa e non riportate in Libia. Da 3 giorni, la nave diciotti staziona nelle vicinanze dell'isola.

Bisognerebbe con calma riprendere in mano il caso della nave Diciotti e farne un bigino, uno di quelli che si usavano a scuola per avere le linee generali dell’interrogazione e tenerselo in tasca per i prossimi mesi di governo, per sapere esattamente a cosa stiamo andando incontro, per uscire dal torpore di un’epoca che è molto di più di semplice cattivismo esibito ma che (e sarebbe ora di dircelo) ha i modi e gli stili del fascismo peggiore.

La ferocia, innanzitutto. Sulla nave Diciotti sono stati trattenuti illegalmente (e non serviva un magistrato per saperlo) persone che senza ombra di dubbio sono vittime dei peggiori regimi sparsi per il mondo.

Le donne sono state tutte stuprate (lo dicono gli esami medici effettuati dopo lo sbarco) e alcuni di loro portavano addosso i segni dei lager libici. Feriti, deboli, sfiniti e stranieri: i migranti della Diciotti sono il boccone preferito del ministro dell’Interno Salvini, sempre forte con i deboli e debole con i forti secondo la migliore tradizione parafascista italiana. Però sulla nave Diciotti c’era anche l’equipaggio: uomini della Guardia costiera che sono stati bistrattati e offerti in pasto all’opinione pubblica. Il punto è importante perché dimostra che Salvini è disposto a tutto per ingrassare la propria propaganda: la difesa degli italiani è uno slogan vuoto dietro cui si cela l’ossessione di inventarsi in continuazione nuovi nemici, possibilmente imbelli (per disperazione o, come nel caso dell’equipaggio della Diciotti, per ruolo).

La miopia politica. Solo un imbecille avrebbe potuto pensare che l’Europa scendesse a patti con un governo che sequestra una propria nave. Ma questo governo in realtà è vigliacco due volte: mostra i denti per accontentare i propri elettori per poi ritirare la mano nel momento dello scontro. Come nel caso della nazionalizzazione delle autostrade, su cui la sinistra potrebbe sfidarli per davvero.

Matteo Salvini e Luigi Di Maio alla fine esulteranno per la prossima elemosina dell’Europa. Badate bene: sono gli stessi che hanno esultato quando il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva ottenuto una “ridistribuzione su base volontaria”. Sono convinti che la propaganda possa tenerli a galla ma verrà un giorno in cui stropicciare qualche negro non basterà più per tenere a bada molti dei loro elettori. E allora ci sarà da ridere.

Il Movimento 5 stelle come succursale. Il capolavoro di Luigi Di Maio di regalare il sontuoso risultato elettorale del Movimento 5 stelle a Matteo Salvini procede di gran lena. Ormai se ci fate caso lui e Danilo Toninelli esistono solo come sponda e il terrore di un’eventuale caduta del governo (e quindi l’impossibilità di ricandidarsi secondo lo statuto del Movimento) li ha relegati nel ruolo degli amichetti del bullo che sono sempre con lui ma sono sempre pronti a urlare “non c’entriamo niente”. Se davvero la Lega è in costante crescita nei sondaggi è perché i grillini continuano a permettere a Salvini di prolungare la sua campagna elettorale permanente senza proferire parola. Non gli basterà il presidente della Camera Roberto Fico per recuperare i voti di chi, sul caso Diciotti, ha chiesto scusa ad amici e parenti per avere contribuito a tutto questo.

L’Europa ladrona e l’Italia nuova Padania. Lo schema se ci riflettete è sempre lo stesso: far sentire il profumo di una secessione possibile pur sapendo di non averne i mezzi. È la stessa favoletta di Umberto Bossi che strepitava in canottiera: ora la ladrona è l’Europa cattiva e l’Italia è il paradiso che ha sostituito la Padania. Ma il trucco è sempre lo stesso. Raccontare una liberazione consapevoli della truffa è l’unico modo per i leghisti di esistere. Sembra incredibile che ci si creda ancora. E invece è drammaticamente così.

L’editoriale di Giulio Cavalli è tratto da Left in edicola dal 31 agosto 2018


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Ricordati di ricordare

People during a march and torchlight procession in memory of the Italian researcher Giulio Regeni, who was abducted, tortured and murdered in Cairo (Egypt), in Rome, Italy, 25 January 2018. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Prendo in prestito il titolo di un gran bel saggio di Henry Miller per provare a non rimanere appiattiti sull’agenda che ci vorrebbe tutti contemporanei (ma alla svelta), annoiati del passato e soprattutto contenti della celere scadenza di ogni notizia.

Ieri Abdel Fattah al-Sisi, presidente dell’Egitto, nell’incontro avuto con il vicepremier Luigi Di Maio ha dichiarato, impunito e bolso: «Giulio Regeni è uno di noi». Si è alzata prevedibile la solita ondata di indignazione, l’ennesima richiesta di giustizia e d’altro canto si sono riattivati anche i detrattori.

Ieri, al Festival del Cinema di Venezia, è stato presentato il film di Alessandro Cremonini Sulla mia pelle che racconta l’ultima settimana di Stefano Cucchi. Grandi applausi, grande attesa, grande commozione e inevitabilmente sono tornati a strepitare quelli per cui Stefano era un drogato ed è morto per quello.

Ieri, scivolata molto più in basso, galleggiava la notizia di Genova e del ponte Morandi, si scriveva della disponibilità di Renzo Piano sulla progettazione del nuovo ponte e si litigava su chi debba costruirlo. In sottofondo le accuse a Renzo Piano (per cosa, poi, diventa difficile capirlo), un po’ di accuse incrociate tra nuovi e vecchi governanti e la solita bile sversata un po’ a casaccio.

Le tragedie da noi tornano a galla solo come banchetto utile agli avvoltoi. I famigliari delle vittime, invece, aggiungono le vertigini di un dibattito dopato al dolore quello vero, silenzioso, quotidiano nemmeno buono per i giornali. E ho pensato che forse avremmo bisogno di perserveranza in questo Paese, intesa come voglia di tenere la luce anche là dove non torna comodo alla politica e alla cronaca. Si dovrebbe decidere ogni mattina di dettarsi ognuno la propria agenda, al di là di quello di cui ci vorrebbero ingozzare. Si scoprirebbe che fa stare bene, almeno con se stessi, ricordarsi di ricordare. Come dice la madre di Giulio: “quando il pensiero si manifesta le barbarie si allontanano”. Farebbe bene a noi e anche a Giulio, Stefano, i genovesi e tutte le altre vittime bistrattate per il gusto della polemica. E sarebbe meno facile, per qualcuno, invocare la vendetta fregandosene della giustizia.

Buon giovedì.

 

Dalla casa internazionale delle donne di Roma all’Europa

«Il Parlamento europeo è l’istituzione europea più avanzata e sensibile alle questioni di genere. Ma non si possono costruire realmente politiche attraversate dall’integrazione della dimensione di genere senza il riconoscimento dell’autorevolezza e dell’autonomia dei luoghi, delle case politiche delle donne» dice l’eurodeputata Eleonora Forenza (GUE/NGL), che il 3 e il 4 settembre ospita al Parlamento Europeo una delegazione composta dalle rappresentanti degli spazi delle donne a rischio chiusura. «In una Europa drammaticamente segnata da una diffusa violenza contro le donne, e sempre più attraversata da razzismi e nazionalismi, proprio gli spazi delle donne, che da sempre praticano internazionalismo e cooperazione, autodeterminazione e sorellanza, sono sotto attacco. In particolare in Italia, dove, purtroppo, il governo sta portando avanti politiche e culture razziste, sessiste e omofobe. Mentre il movimento femminista Non Una di Meno attraversa il mondo, il governo italiano e alcuni enti locali, come il Comune di Roma, provano a chiudere gli spazi, fisici, politici e di libertà delle donne. Siamo qui a dire che non lo permetteremo. Si tratta di una violazione dei principi fondativi dell’Unione europea ed è necessario e doveroso che le istituzioni europee si esprimano chiaramente sulle minacce di chiusura». La Casa internazionale delle Donne, dopo aver ricevuto lo scorso 3 agosto la revoca della Convenzione per l’assegnazione dello stabile di Via della Lungara 19 a Roma, sarà presente all’audizione presso la commissione FEMM e alla successiva conferenza stampa insieme a altri spazi che versano nelle medesime condizioni. «Speriamo che il Parlamento europeo possa esprimersi a sostegno delle libertà civili e democratiche, in difesa degli spazi delle donne, in Italia e a Roma, oggi a rischio chiusura», dichiarano le esponenti della Casa internazionale delle Donne. «Questo impegno corrisponde all’Europa che vogliamo, contro i sovranismi, la discriminazione e la xenofobia.” “Saremo a Bruxelles per condividere la nostra esperienza e allargare la rete della solidarietà femminista europea, per poi tornare nella nostra città con più forza di prima» affermano le rappresentanti di Lucha y Siesta, casa delle donne attiva nel territorio romano dal 2008.

All’incontro parteciperanno anche Beatrice Bardelli e altre attiviste della Casa della Donna
di Pisa. Il 4 settembre relazioneranno davanti alla Commissione diritti delle donne del Parlamento
europeo sul caso Buscemi.

Alla fine degli incontri, sarà pubblicata una lettera a sostegno degli spazi, promossa dall’eurodeputata Eleonora Forenza e firmata da molti dei Membri del Parlamento Europeo, indirizzata al Presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte e alla sindaca di Roma Virginia Raggi. L’audizione in commissione FEMM è prevista il 3 settembre alle ore 17 al Parlamento Europeo (Bruxelles), sala Spinelli 3G3

Rigurgiti di neonazismo in Germania, dalla Sassonia un segnale inquietante

Torneranno in piazza sabato 1 settembre a Chemnitz quelli di Pegida dopo gli scontri di lunedì scorso quando 591 agenti di fronte a un corteo di estrema destra di seimila persone, alcune centinaia delle quali potenzialmente violente, non ce l’hanno fatta a tenere la situazione in ordine. Dall’altra parte un migliaio di antifascisti e antirazzisti dopo che anche parlamentari del Bundestag del gruppo AfD (neonazi) avevano lanciato appelli alla giustizia “fai da te”. E così a Chemnitz, 243mila abitanti nella tedesca Sassonia, i neonazi hanno raggiunto il loro obiettivo: avere i riflettori puntati su una manifestazione di stampo razzista anche con qualche ambiguità proprio nelle file delle forze dell’ordine. Qualcuno, infatti, ha mostrato alla stampa il mandato d’arresto spiccato contro i presunti aggressori del 35enne tedesco ucciso la sera prima in uno scontro a margine di un festival musicale cittadino gettando benzina su un fuoco “social” alimentato dalla pioggia di fake news secondo cui la vittima sarebbe stata uccisa mentre tentava di difendere una donna. «Deve essere chiaro che certe cose nella polizia non saranno più tollerate. Non può essere che gli agenti di polizia pensino di poter forzare le cose, anche se sanno che commettendo così un reato», ha detto alla Taz il vice primo ministro della Sassonia Martin Dulig (Spd). Nei giorni scorsi la polizia locale ha fermato per quasi un’ora un giornalista della Zdf colpevole di filmare un corteo degli islamofobi di Pegida a dresda. Uno dei partecipanti al corteo ha chiesto l’intervento degli agenti contro quelli che chiamano Lügenpresse, “giornalisti bugiardi”. Il manifestante di Pegida è un poliziotto e questo conferma che uno degli ingredienti del complesso cocktail sciovinista (in Germania e in Europa) è l’attivismo di settori xenofobi e neonazi nelle forze di polizia. In Sassonia governa una großeKoalition a guida Cdu che è al timone del Lander dal 1990 e che, di fronte all’insorgere dell’attivismo xenofobo ha sempre provato ad assorbirne elettoralmente i fermenti concedendo spazi fisici e nel discorso pubblico.

I tumulti e la violenza sono serviti a un’esigenza di visibilità dei gruppi nazi. E il primo bilancio di sei feriti, diramato nella tarda serata, è stato rivisto al rialzo: i feriti sono 20, nove fra i militanti di destra, nove fra i contromanifestanti di sinistra (che erano circa un migliaio) e due poliziotti. Ci sono anche dieci denunce di estremisti che hanno sfilato col saluto di Hitler. Anche le forze dell’ordine sono finite sotto accusa per aver sottovalutato l’impatto della manifestazione, organizzata in rete dopo la morte del tedesco in una rissa esplosa domenica durante un festival musicale all’aperto, per la quale sono stati arrestati due giovani immigrati, un siriano e un iracheno.

La caccia allo straniero è iniziata già poche ore dopo il fatto, ma ieri i gruppi di neonazi – cui si sono uniti hooligan, sostenitori di Pegida (il cosiddetto movimento patriottico che lotta contro l’islamizzazione d’Europa) e Afd – sono riusciti a organizzare una cosa in grande, facendo lievitare una manifestazione che avrebbe dovuto vedere non oltre 1500 persone in strada. «L’esplosione delle adesioni non era prevedibile», si è giustificato oggi il ministro dell’Interno del Land, Roland Woeller, di cui alcuni chiedono le dimissioni. Mentre sul caso sono intervenuti anche i leader federali. «Le immagini viste a Chemnitz non possono trovare posto in uno stato di diritto», ha sillabato Angela Merkel, citando «l’odio» e la violenza esplosi nel Land dell’est, dove Alternative fuer Deutschland spopola (stando agli ultimi sondaggi raggiungerebbe fino al 25% dei consensi). Anche il ministro Horst Seehofer (della Csu bavarese) ha stigmatizzato i tumulti: «Voglio dirlo in modo chiaro, il ricorso alla violenza non è mai giustificabile». E da Berlino ha promesso aiuti alle forze di polizia locali, se ve ne fosse bisogno. Intanto politici, amministratori e media si stanno tormentando nell’analisi di questo allarmante segnale dalla Sassonia: non esisterebbe, secondo gli esperti, un movimento centrale in grado di coordinare estremisti e hooligan. Si sarebbe trattato più che altro della veloce mobilitazione di piccoli gruppi, avvenuta ovviamente attraverso i social network. Sigle di hooligan come Kaotic, Ns Boys, i famigerati Reichsbuerger, il Movimento identitario, Der III Weg (che significa “la terza strada”); estremisti arrivati da più regioni, Brandeburgo, Turingia, Bassa Sassonia, Baviera, Westfalia, secondo la ricostruzione del giorno dopo. Il ministro dell’Interno della Sassonia, Roland Woeller, ha spiegato che i gruppi di ultradestra hanno trovato l’appoggio delle frange più estreme del tifo calcistico, non solo a livello locale. Le indagini hanno permesso di appurare che a Chemnitz sono arrivati hooligan provenienti da altre aree del paese. E’ der Spiegel poi, in un commento, a rigettare la parola usata dal portavoce di governo Steffen Seibert, che già ieri aveva messo in guardia dalla «giustizia fai-da-te». Non è questo quello che è accaduto a Chemnitz, incalza il portale del magazine: la morte di un falegname tedesco di 35 anni, che fra l’altro era contro la discriminazione, è stata strumentalizzata. La vera molla dell’odio «si chiama razzismo». Un problema che in Sassonia è stato troppo a lungo, gravemente, sottovalutato. Nel caos, tra domenica e lunedì, sono state segnalate ripetute aggressioni a semplici passanti, a prescindere dalla nazionalità.

Grazie a una certa tolleranza da parte delle istituzioni, è proprio a Dresda – 530mila abitanti, a soli 70 km da Chemnitz – che, nel gennaio di tre anni fa, 18 mila persone hanno partecipato a una manifestazione contro gli stranieri e contro l’Islam: debutto in società di Pegida, Patriotische Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes (Europei patriottici contro l’islamizzazione dell’Occidente). Da qualche mese i simpatizzanti di Pegida si ritrovavano ogni lunedì nella città della Germania orientale per reclamare misure più restrittive in materia di immigrazione, evocando i modelli di Australia e Canada. Da allora, se i 120mila i “mi piace” sulla pagina fb dell’organizzazione sono scesi a 55mila non si può dire lo stesso per il radicamento nel senso comune: un sondaggio dello Spiegel svelò che il 34% dei tedeschi era d’accordo con Pegida a pensare che la Germania si stesse “islamizzando” e, tra gennaio e settembre del 2014 ci furno su tutto il territorio tedesco 86 attacchi contro strutture che ospitavano i richiedenti asilo. Pegida, vicina ai partiti dell’estrema destra germanica (alle legislative di settembre 2017 AfD s’è piazzata al terzo posto con il 12,64% e ben 94 deputati, entrando per la prima volta in parlamento) tuttavia, ha riscosso successo perché ha cambiato le modalità con cui comunicare messaggi xenofobi. Non poteva essere altrimenti per una sigla fondata da un pubblicitario oggi 44enne, Lutz Bachmann (precedenti per rapina, traffico di cocaina e guida in stato di ebrezza, estradato dal Sudafrica dove s’era rifugiato), ha saputo «prendere le stesse idee tradizionalmente portate avanti da minacciosi tizi col cranio pelato – cioè istanze anti-immigrazione e anti-islamiche – e arrangiarle in un modo da poterle rendere attraenti per la classe media», scrisse all’epoca Slate.com. Bachmann dovette abdicare il 21 gennaio 2015 dopo che il giornale tedesco Bild aveva pubblicato una sua foto in cui mostrava un taglio di capelli e di baffi molto simili a quelli di Hitler. Ma l’interregno durò solo fino al 24 febbraio quando fu reintegrato come presidente del movimento che ha anche una filiale in Svizzera, fondata il 9 gennaio 2015, due giorni dopo l’attentato alla sede di Charlie Hebdo.

Il Guardian osservò che partecipava «gente della classe media col giaccone e cappellini di cachemire col pon pon assieme a hooligan trentenni con felpe della Lonsdale (le cui lettere NSDA richiamano le iniziali dell’ex partito nazista tedesco, NSDAP)».

L’asilo che respinge i bambini

20090914 - ROMA - EDU - SCUOLA AL VIA PER 8 MILIONI, CRESCONO PROTESTE DEI PRECARI - Alcuni bambini figli di immigrati, nel loro primo giorno di scuola presso la scuola Carlo Pisacane a Roma, uno degli istituti con il novanta per cento di presenze di bimbi di origine straniera, oggi 14 settembre 2009. Studenti in classe in quasi tutta Italia, in questi giorni l'attivita' riprende per circa otto milioni di loro. Ma un terzo degli alunni, secondo stime della rivista Tuttoscuola, avranno la sorpresa di avere nuovi prof. Quasi 200 mila gli insegnanti che cambiano sede quest'anno, 70 mila per scelta, gli altri perche' precari. Intanto, proseguono le proteste. A Palermo sfila statua San Precario. A Nisida sono state promosse in concomitanza con la visita del ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini che, in un'intervista al Corriere della Sera, oggi Gelmini osserva: ''Se un insegnante vuol far politica deve uscire dalla scuola e farsi el ANSA-MASSIMO PERCOSSI -DBA

Monfalcone, 28 mila abitanti in provincia di Gorizia e sede del grande complesso Fincantieri. Lì vengono varate grandi navi da crociera, attività che è almeno in parte riuscita a reggere la crisi. Nei cantieri lavorano operai giunti dal Bangladesh e da tanti altri Paesi, che hanno modificato la composizione sociale del territorio. Il 22% degli abitanti sono cittadini stranieri regolarmente residenti, molti hanno famiglia e il 56% dei minori sono loro figli, che finora hanno frequentato regolarmente le scuole. L’incremento demografico ha determinato che il “punto nascite”, il reparto sanitario in cui si seguono le gravidanze fino al parto, è ancora aperto, mentre nel capoluogo Gorizia è chiuso. A tre anni, bambini e bambine dovrebbero iniziare a frequentare la scuola materna e come ogni anno, nel gennaio scorso, si sono cominciate a definire le sezioni presso i comprensori scolastici, ma a giugno è giunta la “sorpresa”. I dirigenti scolastici di due istituti hanno sottoscritto un protocollo, alla presenza del dirigente scolastico regionale, con cui si determina l’applicazione di una circolare del ministro Gelmini (2010), per cui i “bambini stranieri” non possono costituire più del 45% dell’intera classe. La sindaca della Lega, Anna Maria Cisint ha sottoscritto il protocollo, che ha quindi valore retroattivo. Così accade che 79 bambini, quasi tutti nati in Italia da genitori del Bangladesh, sono stati esclusi. Alle proteste di genitori, associazioni, sindacati, forze politiche ecc. la sindaca ha fornito diverse risposte. Dal “ci pensi Fincantieri” a “li mandiamo nei comuni limitrofi”. Ma anche questa soluzione è stata cassata dalla scarsa disponibilità dei comuni limitrofi. Buon senso vorrebbe che per bambini così piccoli la scuola materna resti “di prossimità”. Basterebbe aprire due o tre classi, assumere altri insegnanti e garantire a tutti questo servizio ma, anche con l’appoggio dell’onnipresente Salvini, la sindaca si è dichiarata pronta a garantire, a spese del Comune, un servizio convenzionato di taxi per raggiungere i bambini inseriti in comuni più lontani, piuttosto che intasare le scuole cittadine. È la risposta leghista alle famiglie “italiane”, che….

L’articolo è tratto dal numero di Left in edicola


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Mercoledì 29 agosto alle ore 19, a Monfalcone (presso “Osteria Contemporanea Brocante” di viale San Marco 44) la presentazione del n. 34 del settimanale Left che in primo piano riporta articoli riguardanti la tragedia di Genova e un’inchiesta sulla scuola in Italia con un articolo dal titolo “L’asilo che rifiuta i bambini” riguardante la vicenda del protocollo d’intesa tra il sindaco di Monfalcone Cisint ed i dirigenti scolastici che ha comportato l’esclusione dalla frequenza di 76 alunni stranieri residenti nella città dei cantieri.dalla Scuola dell’Infanzia. All’iniziativa interviene il giornalista ed autore dell’articolo di Left Stefano Galieni che sul tema della scuola, in primo piano nel settimanale in edicola da sabato 24 agosto, si confronterà, in un momento di dibattito, con il segretario regionale della Flc Cgil Adriano Zonta, la consigliera comunale di La Sinistra di Monfalcone Cristiana Morsolin e l’avvocato blogger Marco Barone . L’iniziativa è promossa dalla Federazione di Gorizia del Partito della Rifondazione Comunista / Sinistra Europea in collaborazione con La Sinistra di Monfalcone

Il rientro

Quando da bambini si tornava dalle vacanze il rientro era soprattutto il cambio d’odori. Meglio: il ritorno agli odori abituali, i ritmi abituali, la sera che ricomincia a farsi sera alla stessa ora di sempre, il pranzo e la cena che ricalcano i sapori conosciuti e i ritmi che si rincollano al collo con la scuola, i compiti, gli stessi amici, le stesse sgridate, gli stessi vizi, tutto quello che c’era e che a fine vacanze sbucava feroce a ricordarti che ci stava ancora.

Il rientro comunque era confortante. Quello che lasciavi a casa in fondo era il cordone ombelicale con la tranquillità, il porto sicuro sui cui approdare dopo la traversata, la sintonia ritrovata.

Il rientro dalle vacanze in queste ore vede due torvi figuri rinchiusi in un angusto loculo prefettizio in quel di Milano che vorrebbero convincerci che avere paura sia l’unica strada per l’autodeterminazione. Ieri ci hanno spiegato che sono alleati come funesti creatori di paure per alimentare il bisogno di protezione (e i protettori sono la stessa brace dei nemici: una masturbazione politica) e mentre ieri si parlavano addosso sudaticci si ricoprivano di complimenti come due adulteri che promettono di lasciare le mogli ma non lo faranno mai. Si sono promessi amore eterno e intanto Orban aveva già chiarito di fottersene dei migranti di Salvini. Un grande inizio, davvero. Hanno parlato perdendo bava dai denti e dandosi pacche falsamente cortesi sulle spalle. I giornalisti presenti, inquinati dalla ferocia che sudava dai muri, si sono dimenticati di sottolineare la vera singolarità dell’incontro: contava l’assenza del presidente del Consiglio, utile burattino di un governo che gli ha lasciato il goffo ruolo di ombra solo quando serve.

Fuori dalla finestra di quei due lupi rabbiosi Milano offriva una piazza di critici compagni che si sono criticati per anni. Gente che ha avuto la sensazione di assomigliarsi tantissimo (ognuno con le proprie diverse sensibilità) e che finalmente si ritrovava insieme. Gente che ride, canta, difende la Costituzione e sente un’irrefrenabile voglia di osare una solidarietà svenduta troppo spesso. Gente eterogenea, per carità, che decide di concentrarsi su come potremmo essere noi piuttosto che inventarsi l’uomo nero. Diversi tra loro ma rispettosi. Solidali. Senza bile e senza bava.

Ecco, il rientro forse è quella piazza fuori dalla finestra della Prefettura in cui pascolavano Orban e Salvini. Problematico, difficilissimo da tenere insieme, tutto da costruire ma rassicurante rispetto al buio. Chissà come hanno rosicato, quelli, guardando la piazza.

Buon mercoledì.

L’acqua è vita, ma non in Veneto. Le mamme NoPfas contro l’inquinamento

L’acqua è vita. Ma nella provincia di Vicenza e nella zona del Veneto interessata dall’inquinamento delle sostanze cancerogene Pfas, questa affermazione non corrisponde a verità.
155mila persone in quella che è definita zona Rossa A, 800mila in un’area che si allarga sempre di più, fino a raggiungere il delta del Po. Cosa sono i Pfas, la cui elevata concentrazione nelle acque in Veneto ha spinto le mamme NoPfas, che denunciano la situazione costituite in comitato dal 2017, a 5 giorni di presidio 24 ore su 24 sotto il tribunale di Vicenza?
Per capirlo pensate a un uovo e 100 mila aghi, quelli che sono stati utilizzati per scoprire cosa scorre nelle vene di altrettanti cittadini compresi nella fascia di età 14-65 anni. Uno studio che si protrarrà fino al 2026 e che vede impegnati tecnici sanitari, ambientali e agricoli. La sigla Pfas, sta per impermeabilizzanti perfluoro-alchilici. Un business miliardario perché, il potere anti-aderente di queste molecole, consente di impermeabilizzare indumenti come il kway, far scorrere liquido nei freni dei jet, produrre anestetici e colliri e cucinare senza il cibo si attacchi alle pentole.
Mai negli anni però ci si è chiesti dove e come il sistema industriale scaricasse i residui di questa lavorazione così fruttuosa. La risposta oggi è chiara: nelle falde acquifere e le indagini sanitarie in corso hanno già individuato contaminazioni in oltre 400 siti della rete idrica veneta.
E chi inquina ha un nome, la Miteni, industria chimica con sede a Trissino, in provincia di Vicenza.
La storia inizia nel 2009, anno in cui la Convenzione di Stoccolma inserisce i Pfas nella lista degli «interferenti endocrini»: quelli che, resistendo a oltranza nell’ambiente, restano «per secoli» potenziali agenti patogeni di tumori all’apparato endocrino, gravidanze a rischio, fino all’Alzheimer. In uno scenario del genere, non bastano i filtri a carbone che hanno fatto tornare potabile l’acqua dei 24 comuni veneti contaminati, si ha la sensazione di vivere dentro un disastro ambientale.
E qui ritorna il nostro uovo, quello prelevato nell’ autunno 2017 dal personale sanitario dell’Arpa in un pollaio in provincia di Verona e che, una volta esaminato, si scopre contaminato da 21,2 microgrammi di Pfas.
Qui si concentrano le preoccupazioni delle mamme NoPfas che, davanti al tribunale, attendono nelle tende, nel gazebo che le protegge dal sole e dalla pioggia di questa bizzarra coda d’estate, la chiusura dell’inchiesta nelle mani dei pubblici ministeri. Michela Zamboni, Michela Piccoli, Carmen Brendola e le altre mamme sorridono, offrono thé freddo, spiegano, indossando magliette con su i nomi dei loro figli e la concentrazione di Pfas nel loro sangue e a vederle così, amichevoli ma determinate, vorresti avere il rimedio per succhiare via il veleno da dentro i loro bambini ed anche da dentro di loro, da dentro le viscere di una terra generosa e fiera che, tra inquinamento delle acque, smog e cementificazione selvaggia, sta pagando un prezzo davvero troppo alto.

*

Elena Mazzoni è responsabile nazionale ambiente del partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea

Senza scendere negli inferi (a Rocca di Papa)

I migranti rimasti a bordo della nave Diciotti dopo lo sbarco di 13 di loro per motivi sanitari, Catania. 25 agosto 2018. ANSA/ORIETTA SCARDINO

C’è un primo livello di discussione. È il piano terra. Forse la cantina. In cantina si potrebbe rispondere al ministro dell’Interno Salvini che ancora una volta ha incassato la figura del feroce ma malinconico bufalaro, sbugiardato dai fatti e, al solito, forte con i deboli ma bistrattato dalla realtà (quella stessa realtà che chiamano poteri forti per non farsi irridere dal resto del mondo). Il ministro Salvini, in pratica, ha sequestrato una sua nave nel porto di Catania con la promessa di mostrare il pugno di ferro contro i migranti e contro l’Europa ottenendo il risultato di smistarne una quarantina tra l’Albania e l’Irlanda (e già così sembra l’inizio di una barzelletta) e ben cento a Rocca di Papa, zona castelli romani. Per intendersi a Rocca di Papa finiranno quelli che, secondo il pomposo grido di vittoria dei rabdomanti di sterco tifosi di Salvini, avrebbe dovuto prendersi “la Cei”. Così aveva twittato il ministro. E tutti i suoi tifosi convinti che andassero in uno Stato straniero sotto sovranità divina e invece eccoli qui nel territorio italiano. Verrebbe da dire a Salvini che per l’ennesima volta il ricatto sulla pelle dei disperati ha portato un risultato zero. Nisba. Niente. Nulla. Anzi: ha risparmiato i 35 euro, dice. Un balsamo per i disoccupati italiani, senza dubbio.

Sarebbe curioso tra l’altro sapere cosa ne pensino i cittadini di Rocca di Papa, sì, proprio loro, che nelle ultime elezioni hanno votato Lega (al 17,66%) e Movimento 5 Stelle (al 34,37%) per liberarsi dallo straniero. A meno che domani Rocca di Papa non chieda di uscire dall’Europa. E la risolvano così.

Poi c’è un altro piano. Il primo. Sopra la soglia dell’umanità potabile. Ed è il pianerottolo dove bisognerebbe suggerire all’opposizione di non cadere in tentazione e di non attaccare leghisti e grillini lì giù nei loro inferi. Al primo piano bisognerebbe raccontare di quanto sia patetico che un Paese di 60,6 milioni di abitanti abbia perso 10 giorni per discutere di 100 disperati. Si potrebbe discutere di come le 11 donne sulla Diciotti siano state tutte e 11 stuprate dagli scafisti (e infatti sono state loro a testimoniare per il loro arresto, ah, le donne), proprio come gli altri due stupri di questi ultimi giorni. Si potrebbe parlare del fatto che gli stupratori appartengano alla razza degli stupratori (mica degli egiziani, dei marocchini e nemmeno degli allievi poliziotti) e si dovrebbe riflettere su quelle 22 riunioni in Europa in cui c’era da discutere della revisione degli accordi di Dublino (proprio sulla redistribuzioni dei migranti negli stati membri dell’Unione Europea) a cui il prode Salvini non si è mai degnato di partecipare. Si potrebbe anche spostare la discussione sugli oppressi, come unica categoria a cui prestare attenzione e dedicare cura. Gli oppressi, tutti.

Ma salire di un piano significa avere voglia di farlo, avere le spalle larghe per affrontare il fango e avere voglia (appunto) di alzare l’obiettivo. Aspettiamo. Speranzosi.

Buon martedì.

Accoglienza temporanea, un aiuto concreto per i bambini da Bosnia e Bielorussia

“Quando ero piccolo, i miei genitori veri mi hanno abbandonato e sono rimasto in istituto fino a sette anni. A giugno del 2008, quando avevo sette anni, c’è stata una sorpresa: sono arrivato in Italia, dove una famiglia mi stava aspettando. Appena l’aereo atterrò, subito mi misi a piangere, ero così impaurito che non smettevo di piangere. Dopo che ho conosciuto meglio i miei genitori, mi sono sentito felice perché avevo avuto la sicurezza che la nuova famiglia, papà mamma e sorella italiani, mi volevano molto bene. Ho imparato subito l’italiano perché sono un tipo chiacchierone, mentre a scrivere mi ha insegnato mia madre che è una maestra di scuola primaria. Quando ho visto per la prima volta il mare, sono rimasto molto incantato, perché non lo avevo mai visto…dopo un po’ di giorni siamo andati a Matera e là ho conosciuto R., una bambina quasi coetanea di cui mi ero innamorato. Pure R. era innamorata di me. Adesso che siamo più grandi e siamo molto amici, ci sentiamo spesso. Ogni volta che riparto per la Bielorussia mi sento sempre molto triste e mi incoraggia il pensiero di tornare. La mia speranza è restare per sempre in Italia con la mia famiglia e avere tanti amici e una fidanzata”. Aveva sette anni V. – che ora ne ha diciassette – quando è atterrato in Italia. Partito da Vyscemir, nella provincia di Rechitza, in Bielorussia, V. è uno dei tanti bambini inseriti nei programmi solidaristici di accoglienza temporanea nelle famiglie italiane. Che, finalizzati, in origine, ai minori provenienti dalle aree contaminate, sono diventati, ormai, soggiorni di ‘socializzazione’, tesi a far conoscere ai minori coinvolti una realtà altra rispetto a quella che hanno sempre vissuto. Provenienti, principalmente, dalla Bielorussia, dalla Bosnia Erzegovina e dalla Federazione Russa, i bambini stranieri raggiungono le famiglie italiane, i cui genitori hanno, mediamente, più di cinquant’anni e vivono, soprattutto, nel Nord Ovest del Belpaese, dove viene ospitato un terzo dei minori, che hanno fra gli otto e i dodici anni.
Sebbene, nell’ultimo biennio, si è registrato un calo degli arrivi sia per la crisi economica che ha investito gli italiani sia per un cambiamento culturale e organizzativo della vita delle famiglie, dal 1986 – anno della catastrofe nucleare di Chernobyl – a oggi, sono stati migliaia, oltre cinquecentomila negli ultimi venti anni e quasi ventimila fra il 2016 e il 2017, i bambini stranieri che hanno vissuto l’esperienza dell’accoglienza. Che, a leggere le loro testimonianze raccolte nel dossier Minori stranieri. Il fenomeno dell’accoglienza temporanea in Italia negli anni 2016-2017, redatto dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali, per tutti è stata di stimolo per immaginare la loro vita futura. Per alcuni, anche l’opportunità di imparare che il mondo “può essere pieno di bontà e premura, disinteressati”.
“…La mia storia (…) mette in evidenza come può cambiare la vita grazie alle persone che non sono indifferenti alla vita degli altri”, scrive L.L. Sono storie di paure che svaniscono e di coraggio mai sopito. Di gratitudine e di nuove consapevolezze. Di scoperta e di conoscenza. Di nuovi impulsi e di possibilità. Di incontro e di confronto. E di straordinaria normalità. “(dopo aver mangiato un gelato italiano): voglio diventare italiano! Voglio tornare ogni anno”, dice S. di nove anni.
E S. di ventisei, ricorda “un viaggio lungo, eravamo tanti, era notte e mia sorella che va in un’altra città e io che ho sette anni e sono solo. Un signore grande mi sorride e mi parla in una lingua strana, mi porta in una casa dove tre bambini dormono. Ho un po’ paura, anche la signora sorride, mi abbraccia e la mattina sei occhi dicono ‘ciao’ e vanno a vedere i cartoni…ero in Italia!…da un po’ non avevo più famiglia nel mio paese…ma dopo natale sono partito. Ricordo che volevo tornare dalla famiglia italiana, mi aiutava, mi insegnava, dava coraggio, se avevo problemi e gioie era con me. Ricordo i giochi, le litigate con i fratelli italiani, era bello capire cosa dicevano, io insegnavo parole russe e non avevo più paura. Ricordo la scuola di italiano, la montagna, Venezia, Firenze, Roma e il cibo diverso, il pesto, la pizza e lo stadio, perché il calcio è la mia passione. Ricordo come ero contento quando la famiglia veniva a trovarmi, conoscevano il mio paese e i miei amici. Ho studiato come i fratelli italiani anche se era faticoso, ho preso la laurea e la famiglia mi era vicina. Ricordo la felicità al mio matrimonio, tutta la famiglia, gli zii e amici italiani sono venuti. Ho capito che, in tanti anni, anche se lontani siamo stati capaci di essere sempre vicini”.