In un articolo del 18 marzo, Repubblica ha festeggiato il ritorno delle nuove immatricolazioni all’università ai livelli pre-crisi del 2007/2008. Peccato che i dati non trovino riscontro nella realtà dei fatti, fa notare la redazione di ricercatori e docenti universitari di Roars. Sul sito vengono messi a confronto i dati presentati dal quotidiano fondato da Scalfari con quelli dell’Ans (Anagrafe nazionale studenti) e dell’Ufficio statistico del Miur. Stando a Roars, La Repubblica ha male interpretato i dati, confondendo le categorie in cui atenei, Ans e ufficio del Miur dividono i nuovi iscritti all’università.
I nuovi iscritti vengono infatti divisi in “iscritti al primo anno” e “immatricolati”. C’è una differenza fondamentale tra queste due categorie, e dalla confusione tra le due è nato l’equivoco dei numeri pubblicati da Repubblica. Gli “immatricolati” sono soltanto coloro i quali si iscrivono per la prima volta nella loro vita all’università. Per “iscritti al primo anno”, invece, si intendono sia gli immatricolati, sia chi è appunto iscritto al primo anno di un corso di laurea ma non è una matricola.
È “iscritto al primo anno” ma non “immatricolato” chi, per esempio, dopo aver iniziato un percorso di studi accademici, ha deciso di sospenderlo, per poi magari riprenderlo in un ateneo diverso, ripartendo dal primo anno di studi. Oppure ancora, è considerato “iscritto al primo anno” chi ha terminato una laurea triennale ed ha deciso di continuare gli studi iscrivendosi ad un corso di laurea magistrale. La differenza tra “immatricolati” e “iscritti al primo anno” è spiegata anche nel glossario sul sito dell’Ans.
Repubblica ha quindi scambiato l’insieme, ovviamente più grande, degli iscritti al primo anno con quello dei “semplici” immatricolati. In altri casi, invece, ha sommato le due cifre, finendo così con il contare due volte molti studenti.
Il grafico seguente riporta la differenza tra “iscritti al primo anno” e “immatricolati” di tutti gli atenei italiani, sia pubblici che privati, rilevati nell’anno accademico 2016/2017 dall’Ans. Come si vede chiaramente, gli iscritti al primo anno sono circa 200mila in più rispetto agli immatricolati.
Passiamo ora ai numeri riportati da Repubblica, che li ha ottenuti rivolgendosi direttamente a 59 università statali su 61 (per le altre due, il quotidiano ha ricevuto i dati dal Miur). Secondo l’articolo del quotidiano romano, i nuovi immatricolati quest’anno accademico sarebbero 321.652, in aumento di 11.804 unità rispetto allo scorso anno accademico. Un aumento di quasi il 4%.
Roars, insospettito dalla grandezza del numero presentato da Repubblica, ha quindi fatto un calcolo per confrontare il numero degli immatricolati di quest’anno con quelli dell’anno accademico scorso. Sui siti dell’Ans e dell’Ufficio statistico del Miur, si possono liberamente consultare tutti i dati degli iscritti all’anno accademico 2016/2017. Se per Repubblica gli immatricolati di quest’anno sono 321.652, e sono 11.804 in più rispetto all’anno scorso, allora basterebbe sottrarre 11.804 a 321.652 per ottenere il numero degli immatricolati nell’anno accademico 2016/2017, ossia 309.848 secondo la stima di Repubblica. Ed ecco che i conti non tornano.

Come si vede dalla tabella riportata da Roars, il numero di immatricolati presentato da Repubblica nei soli 61 atenei pubblici, nell’anno accademico 2016/2017, è di ben 47mila unità superiore a quello dell’Ans. Non solo, il numero degli immatricolati negli atenei pubblici secondo Repubblica sarebbe addirittura superiore a quello rilevato dall’Ufficio di statistica del Miur, che però tiene conto di tutte le università italiane, pubbliche e private.
L’errore del quotidiano diventa ancora più evidente se si vanno a prendere in considerazione i dati delle singole università: secondo Repubblica l’università di Ferrara avrebbe visto crescere i propri immatricolati di ben il 92,6% durante quest’anno accademico, un aumento spropositato per qualunque ateneo. Ulteriore prova dell’equivoco di Repubblica è il dato dell’università di Trento, sul cui sito si può trovare il numero degli iscritti al primo anno e degli immatricolati nell’anno in corso. Per Repubblica i nuovi immatricolati all’università di Trento sono 3.246, ma basta andare sul sito dell’università in questione per vedere che quello è il numero degli iscritti al primo anno, invece che dei nuovi immatricolati.

L’articolo di Roars fa anche notare come non sia la prima volta che Repubblica commetta degli errori nell’affrontare il tema dell’università italiana. Già nel 2011, il quotidiano aveva pubblicato un articolo in cui sosteneva che il numero di pubblicazioni scientifiche da parte di ricercatori italiani fosse crollato di ben 12mila unità. Anche questo numero si è rivelato falso.
Nel 2012 invece, su Repubblica è comparso un articolo che celebrava La Sapienza di Roma come la prima università italiana, secondo una studio pubblicato dalla Classifica accademia delle università mondiali (Arwu). Purtroppo il giornalista di Repubblica non si è accorto che la posizione della classifica che lui citava, elencasse gli atenei in ordine alfabetico, e non per qualità dell’insegnamento.






«Il giudizio da parte della Commissione del bando è stato lusinghiero soprattutto perché ci siamo rivolti ad un target complicato come le donne migranti e richiedenti asilo» racconta il presidente di Liberi Nantes, Alberto Urbinati. E che il target fosse complicato a Liberi Nantes lo sapevano bene, visto che già in passato avevano provato a guardare a questa tipologia di donne con progetti analoghi, senza però riuscire nell’obiettivo. Per ragioni numeriche (le migranti e richiedenti asilo sono molte meno rispetto agli uomini), economiche (mancavano fondi, che ora invece ci sono) ma soprattutto culturali. «Queste donne – prosegue Urbinati – sono abituate nella migliore delle ipotesi a stare a casa, fare figli, non contraddire mai l’uomo. Il fatto di dire loro “se vuoi puoi metterti le scarpe e giocare” è rivoluzionario, va al di là di come si percepiscono loro stesse”. Ed è proprio il cercare di superare la loro dimensione di partenza uno degli obiettivi del progetto. «Vogliamo scardinare un po’ di limiti che loro stesse ereditano al netto di alcune difficoltà oggettive. Spesso queste donne hanno bambini da giovanissime, ma anche qui cerchiamo di fare il massimo per agevolarle, con un servizio di baby sitting. Perché non è detto che se sei mamma non puoi andare, volendo, a farti una corsa. Prima di essere mamma o donna sei una persona e hai diritto ai tuoi spazi di libertà».
Allo stato attuale il progetto ha ricevuto una quarantina di adesioni (su un numero di beneficiarie previsto di circa 100), raccolte da Liberi Nantes facendo girare il tutto nei centri d’accoglienza (con contatti diretti di operatori e operatrici conosciuti dall’associazione), Sprar e associazioni che lavorano con donne migranti, rifugiate e richiedenti asilo. Ospitate a Roma e Provincia. Ora bisognerà coinvolgere quelle donne. «Il primo passo sarà quello di conquistare la loro fiducia» – spiega il presidente di Liberi Nantes. «Queste 40 adesioni sono arrivate da parte di donne che i vari centri o associazioni ci hanno detto essere interessate. Ora bisogna concretizzare la cosa. Andremo nelle varie strutture a fare dimostrazioni, far giocare le ragazze e coinvolgerle il più possibile. Per trasformare quelle adesioni in reale partecipazione». Nella pratica, dopo questa prima fase di reclutamento, il progetto partirà a breve con una cadenza di due allenamenti a settimana, prevalentemente al campo XXV Aprile, riguardo il calcio, l’atletica, la ginnastica e la danza terapia. Una volta al mese invece toccherà alle escursioni. Un’attività ambiziosa, per la quale lo stesso Urbinati è consapevole dei rischi. «Siamo alla fase iniziale di un progetto pilota consapevoli che potrebbe fallire. Che magari non tutte le donne porteranno avanti la cosa nel corso dei mesi, anche perché il tempo nel quale noi le vedremo è limitato. Una volta uscite dal campo, finita l’escursione, torneranno alla loro vita. Per noi però è una sfida». Una sfida che sarà anche materia di studio. All’interno del progetto è prevista infatti un’attività di documentazione realizzata grazie alla collaborazione con la cooperativa sociale IndieWatch, finalizzata alla produzione di materiali in italiano e inglese su tutto il percorso del progetto, per poter mettere al servizio di tutti l’esperienza, “così da capire e studiare quanto fatto”, precisa Alberto. Una sfida che però parte con idee e obiettivi chiari e precisi, condensati al meglio nel nome del progetto: S(Up)port Refugees Integration. «Abbiamo voluto giocare sulle parole sport e support – conclude il presidente di Liberi Nantes – mettendo l’Up tra parentesi che per noi sta a significare l’alzarsi. Ovvero lo stare in piedi sulle proprie gambe, magari più forti a fine percorso, che consentiranno così a tutte di affrontare meglio il mondo che le circonda». Gambe più forti, per andare anche più lontano.



