Home Blog Pagina 799

A Firenze l’ultradestra si rifà il trucco con il volontariato (razzista)

http://azionestudentescafirenze.blogspot.it/ domenica 29 gennaio 2017 Casaggì era massicciamente presente a Roma per la grande manifestazione indetta da Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia.

Su uno degli scaffali c’è una piccola scatola arancione con dentro un quadrato di stoffa grigia. Un tempo era nera, si è stinta con il passare degli anni. «Pezzo della camicia preferita dall’on. Almirante», c’è scritto sul vetro. In via Frusa, nella sede fiorentina di Casaggì, restano le stigmate del passato. È da lì, da un quartiere residenziale della Firenze bene, Campo di Marte, che parte l’offensiva della nuova destra verso le periferie, quelle sì, in crisi nera, verso le strade del centro divorate dallo spaccio. I concetti sono gli stessi di un tempo, ma le parole d’ordine sono cambiate: è una destra nuova, più scaltra, che non indugia sulle celebrazioni esplicite del fascismo, di Salò, del duce, che abbandona in un angolo le reliquie del passato. E che gioca sul filo della contiguità (istituzionale) con Fratelli d’Italia e il lavoro sulle strade tipico dei centri sociali di estrema destra. Un’esperienza toscana che riesce a erodere il terreno di conquista di CasaPound senza esserne la replica.

E la nuova destra si apre un varco dove fino a pochi anni prima non era neppure ipotizzabile. «Sono un militante di Casaggì». Ha esordito così Mattia Micunco, studente diciottenne del liceo Agnoletti di Sesto Fiorentino, quando il 14 novembre scorso era appena stato eletto presidente della Consulta degli studenti di Firenze. Una data epocale: Azione studentesca, la lista di Micunco, ha ottenuto 18mila voti in 45 scuole. E la schiacciante maggioranza nella Consulta. «Il nostro punto di riferimento è Casaggì, i candidati hanno fatto militanza attiva sul territorio», ha rivendicato il responsabile nazionale Anthony La Mantia. In realtà in molti istituti si era candidata solo Azione studentesca, assenti le altre liste. Ma negli istituti tecnici, specie delle periferie, Azione studentesca ha fatto il pieno di voti. «Perché dovrei meravigliarmi? – ha detto lo storico preside dell’istituto alberghiero Saffi Valerio Vagnoli, in un’intervista al Corriere Fiorentino -. La vittoria degli studenti di destra è l’espressione di un disagio che si poteva toccare con mano anche negli anni scorsi. Tanti ragazzi, scoraggiati dal degrado del mondo politico degli adulti, non vogliono sentir parlare di politica. E la rabbia cresce…».

Eppure Casaggì è politica. Per anni si è distinta in città per qualche volantinaggio davanti alle scuole, per i graffiti come quelli sul muro della ferrovia di Rifredi, davanti all’istituto tecnico Da Vinci. Il proselitismo fatto con i tag. Qualche frase…

L’inchiesta di Giulio Gori prosegue su Left in edicola


SOMMARIO ACQUISTA

Marco Rovelli: Il fascismo si sconfigge restituendo ai giovani la fiducia nel futuro

Un giorno mi sono trovato a chiedere a un mio allievo di quinta perché simpatizzasse per le idee fasciste. Non eravamo in classe, ma attorno a un tavolo per pranzare insieme, in un’atmosfera amichevole, dunque in una situazione adeguata. Mi ha risposto dicendomi che il fascismo ha a che fare con il cristianesimo come dimostra lo slogan “Dio, Patria, Famiglia” (e lui è, per tradizione, cristiano praticante), che l’immigrazione incontrollata è un male, e che c’è bisogno di ordine. Ho scoperto poi che nel liceo dove insegno non sono pochi i ragazzi che guardano a destra, e che – magari non dicendosi né sentendosi fascisti – sono comunque attratti da quella costellazione di valori.

Se dovessi dire che cosa spinge una parte della generazione presente verso quei riferimenti, sintetizzerei il tutto in un concetto chiave: paura. I giovani hanno paura. Hanno paura del futuro, prima di tutto, che è la paura peggiore. Lo vedono e lo sentono intorno a loro. La respirano, la paura. La respirano dai fratelli maggiori, dagli amici più grandi, dalle difficoltà che attraversano spesso i loro genitori cinquantenni, e i loro amici. Sanno quanto sarà difficile per loro trovare un lavoro, «costruirsi un futuro». Hanno sentore delle crisi economiche intorno a loro, ma anche delle crisi ambientali, che loro a volta fanno immaginare di essere «gli ultimi uomini sulla terra».

Il loro immaginario è quello di un’arena dove si deve lottare all’ultimo sangue per ottenere ciò che si vuole. Il mondo si fonda sulla selezione naturale malintesa come nell’Ottocento: non l’adattamento, che è ciò che Darwin intendeva, ma la lotta per la vita dove trionfa il più forte. Non ci può essere aiuto da nessuno, nessuna istituzione è al loro fianco. Quella è tutta, indistintamente, “Casta”, per cui…

L’articolo di Marco Rovelli prosegue su Left in edicola


SOMMARIO ACQUISTA

Diritti senza Confini, la lotta contro chi specula sulle nostre vite

Mai come oggi le disuguaglianze sociali e la disumanizzazione di una parte della popolazione, in particolare dei migranti e profughi, hanno raggiunto un livello così alto: sono i dannati della globalizzazione. Nell’era dell’indifferenza, della banalizzazione dei razzismi e delle disuguaglianze sociali, queste privazioni di libertà vengono ridotte a dei “déjà vu”.

La trasformazione del mar Mediterraneo in un cimitero a cielo aperto, con i corpi di esseri umani divorati dagli squali, va di pari passo con la guerra alle povertà nei centri e nelle periferie delle città, ridotte a vere discariche di disagio sociale, devastate e militarizzate. I muri fisici e legislativi eretti davanti a chi sfugge dagli effetti di politiche di devastazione ambientale e conflitti geopolitici ed economici, abbinati alle politiche antisociali dell’austerity, stanno impoverendo milioni di persone con tassi di disoccupazione da bomba ad orologeria. Le misure messe in atto dal governo italiano, in complicità con l’Ue e la Bce, rappresentano un cappio al collo per le popolazioni che ne vivono gli effetti sulla propria pelle. Parliamo di un insieme di dispositivi legislativi italiani (Bossi-Fini con il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro; Minniti-Orlando; decreto Lupi) ed europei (Regolamento Dublino III) che sono di fatto una dichiarazione di guerra alle povertà e agli “esclusi” indipendentemente dalle provenienze geografiche.

Davanti a ciò abbiamo deciso di unirci, in quanto dannati della globalizzazione e delle politiche antisociali, a partire dai bisogni comuni. Perché basta parlare di noi, su di noi, contro di noi, o al posto nostro. Basta fare affari sulla nostra pelle, basta guadagnare voti sulla scelta di accoglierci o di cacciarci, su includerci o escluderci. Non abbiamo bisogno di retorica interessata, abbiamo bisogno di fatti. Il razzismo, lo sfruttamento sociale e lavorativo che viviamo concretamente non è possibile batterlo con la carità né speculando sulle nostre vite. Per tutte queste ragioni saremo in piazza a Roma il 16 dicembre con una manifestazione popolare nazionale. Saremo in piazza perché vogliono trasformare le persone in oggetti invisibili e senza diritti, esattamente come si sente invisibile chi è in un centro d’accoglienza, chi è ancora privo di un permesso di soggiorno, chi non ha un reddito che gli consenta di vivere dignitosamente o chi è sfruttato. Proprio come vengono ridotte a meri numeri le persone colpite dai tagli allo Stato sociale, i senza casa e gli/le student* in alternanza scuola-lavoro. A partire dal lavoro nei territori e dalle pratiche quotidiane, abbiamo condiviso la necessità di coniugare antirazzismo, antisessismo, lotta per la giustizia sociale e la libertà di circolazione e di residenza.

Diritti senza Confini sarà e rimane una lotta. Proponiamo ed invitiamo tutte le realtà laiche e religiose, i movimenti antirazzisti, a condividere e promuovere questa manifestazione nazionale partendo da una piattaforma articolata, che trovate sull’evento Facebook della manifestazione. Chiediamo anche di essere solidali con chi ha minori possibilità di raggiungere Roma per rivendicare i propri diritti e deve sostenere le spese per un lungo viaggio: da Cona a Rignano, la dignità si mette in marcia.

L’articolo di Aboubakar Soumahoro, portavoce della coalizione internazionale dei Sans papiers, è tratto da Left in edicola


SOMMARIO ACQUISTA

La nascita del tempo

Ho recentemente letto con interesse il libretto di Carlo Rovelli L’ordine del tempo (Adelphi). Libro che, malgrado l’argomento estremamente complesso, è un best seller da molti mesi. Rovelli spiega in modo molto semplice alcuni complicatissimi concetti che sono argomento della sua ricerca sulla gravità quantistica a loop. Essa è un insieme di teorie matematiche tramite le quali i fisici tentano di descrivere e spiegare la struttura dell’universo tenendo insieme l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Tutto ciò che insomma è fuori dalla nostra esperienza quotidiana.
L’infinitamente piccolo è il campo della meccanica quantistica, la teoria che descrive ad esempio la struttura dell’atomo e i processi subatomici.
L’infinitamente grande è il campo della relatività generale, la teoria elaborata da Einstein che descrive la struttura e il funzionamento dell’universo.
Quali sono le caratteristiche fondamentali di queste due teorie?

Molto grossolanamente la meccanica quantistica ci dice che la realtà materiale non è continua. A livello microscopico tutte le realtà fisiche si comportano in maniera quantizzata, ossia ogni misura di grandezze fisiche che andiamo a fare avrà in generale valori discreti, non potranno esistere valori arbitrari delle diverse grandezze. Dall’altra parte abbiamo la relatività generale che afferma che lo spazio e il tempo (che vanno considerati come un unicum chiamato spazio-tempo) non sono realtà immutabili, ossia indifferenti a quello che accade in essi, ma vengono modificati – nel senso che vengono “piegati” come fossero un tappeto elastico – dalla materia e dall’energia in essi contenuta. In effetti è possibile pensare che lo spazio-tempo senza che esista materia ed energia in esso non ha alcun senso. Cioè non potrebbe esistere. Il campo di ricerca di Rovelli consiste proprio nell’elaborare una teoria che metta insieme questi due settori della fisica.
Le sue ricerche lo hanno portato a scoprire che anche il tempo e lo spazio hanno le caratteristiche di essere realtà che hanno una natura quantistica, ossia possono assumere valori discreti. Ma la cosa più affascinante che emerge dalla teoria è che le equazioni che regolano le interazioni della materia e dell’energia nello spazio tempo, non necessitano di esplicitare la variabile tempo.

Se la teoria è corretta, ovvero è una rappresentazione esatta della realtà, allora si può pensare che il tempo nell’universo è una grandezza non necessaria per descrivere la realtà. Il tempo, per la fisica, è una realtà come un’altra. Non ha un posto privilegiato nell’universo, come invece ci potrebbe venire da pensare dalla nostra limitata prospettiva.
Allora viene necessario domandarsi: che cosa è il tempo che noi percepiamo e del cui scorrere siamo certi senza necessità di guardare l’orologio?
Qui il discorso si fa più complicato. Non tanto per la fisica ma perché abbiamo a che fare con la nostra percezione, di esseri umani, del tempo. Cosa che ha evidentemente a che fare con la nostra possibilità e capacità di pensare.
Intanto, il tempo come lo intendiamo noi esseri umani, che cos’è per la fisica? Il tempo è la crescita di entropia, ossia la crescita del disordine.
L’entropia è la grandezza fisica che misura quanto è “disordinato” un determinato sistema fisico. La possibilità di “disordinarsi” corrisponde alla possibilità di una trasformazione spontanea, di una evoluzione verso una realtà più “disordinata”, diversa dalla precedente. La trasformazione corrisponde sempre ad un passaggio di energia che modifica il sistema aumentando complessivamente l’entropia.
Un processo in cui l’entropia aumenta si dice essere irreversibile quando il processo inverso è altamente improbabile (in sostanza non può accadere) come fenomeno spontaneo. Per questo l’aumento di entropia è ciò che identifica lo scorrere del tempo per come noi lo intendiamo.

Gli organismi biologici sono complessi sistemi termodinamici che si mantengono in equilibrio assumendo energia a bassa entropia e scaricando all’esterno energia a più alta entropia. L’entropia bassa che viene assunta serve per mantenere ad un valore costante l’entropia interna all’organismo che altrimenti tenderebbe spontaneamente a crescere portando alla morte.
Tutto ciò vale naturalmente anche per l’essere umano. Vale anche per la sua mente? È questa in fondo la vera domanda che si fa Rovelli con questo libro. Cos’è la mente umana? Perché l’essere umano ha un’idea di tempo? E in che cosa questa idea di tempo è diversa da quella degli animali (anch’essi hanno una memoria e hanno una cognizione dei concetti di causa ed effetto)? E come si concilia con l’irrilevanza del tempo per la fisica?
Rovelli afferma che noi esseri umani «disegniamo linee nel mondo, che lo dividono in parti; … le “cose” come i “concetti” sono punti fissi nella dinamica neuronale, indotti da strutture ricorrenti negli input sensoriali … (La nostra identità) è il riflesso dell’idea di noi che cogliamo nei nostri simili».
L’obiezione è immediata: la linea non esiste in natura. Come può un processo neuronale dedurne l’esistenza da una realtà se in quella realtà quella cosa non esiste? Inoltre l’affermazione che la nostra identità deriva da ciò che noi deduciamo che gli altri vedono in noi, al di là di ogni altra considerazione, elimina completamente la realtà del bambino. Prima che egli possa immaginare l’idea che gli altri hanno di lui passano certamente molti mesi. Che cos’è in quei mesi il bambino? Se non ha un’identità allora non è un essere umano! Manca l’idea che il pensiero umano non è solo quello razionale.

D’altra parte io credo che l’idea di fondo di Rovelli è corretta: per conoscere la realtà più profonda dell’universo, la natura più vera del tempo e dello spazio, è necessario conoscere in maniera profonda la realtà della mente dell’uomo. Per fare questo però è necessario superare le affermazioni della Bibbia, dei neuroscienziati e anche dei filosofi, come il citato Heidegger, che dimenticano, o meglio annullano completamente, che l’inizio della vita e della mente umana, è alla nascita, come teorizzato in Istinto di morte e conoscenza da Massimo Fagioli. E che perlomeno per un anno di vita l’essere umano non ha il pensiero razionale e tuttavia è un essere umano perché ha un’identità ben precisa. L’identità della nascita. L’inizio del tempo dell’essere umano è alla nascita, quando il primo stimolo luminoso, il primo fotone, determina la reazione della sostanza cerebrale, prima mai stimolata dalla luce. La reazione è la fantasia di sparizione: il mondo non esiste. Ma dato che evidentemente il mondo resta là dov’è, questa sparizione è una fantasia, è una operazione della mente. È un pensiero, il primo pensiero dell’essere umano! Questo pensiero è la fantasia di tornare alla situazione precedente, quando non c’era lo stimolo aggressivo, la luce. Ma dato che questo è il primo pensiero, il pensiero del prima non può essere un ricordo. È quindi una fantasia che è determinata dalla realtà biologica del corpo come realizzazione di una esperienza avuta senza pensiero, il rapporto con il liquido amniotico del feto nell’utero.

Fagioli la chiama memoria-fantasia. È una memoria perché è un pensiero su una realtà passata (il prima). È una fantasia perché non può essere un ricordo, la mente non esisteva ancora ma era esistente la sensibilità del corpo. Essa diventa certezza dell’esistenza di una realtà umana con cui poter avere rapporto – la “certezza che esista un seno” che è il poi ovvero l’idea che ci sarà un rapporto con un altro essere umano – perché simile a quella avuta prima di nascere e del tutto opposta alla realtà non umana aggressiva della luce e dell’aria.
La nascita è l’annullamento del presente che fa la creazione della memoria del passato e la fantasia del futuro.
La dinamica della nascita è la matrice di ogni possibilità di conoscenza. È il fondamento di ogni rapporto con gli altri che poi si avrà nella vita. Ed è anche la base della creatività umana. È ciò che fa l’idea del prima e del poi. È ciò che fa la memoria e la fantasia umana. Se vogliamo pensarla in termini fisici, la nascita umana, ovvero la comparsa della realtà psichica, è la ribellione della biologia umana all’ineluttabile destino della crescita di entropia del mondo materiale.

È la nascita del tempo dell’essere umano.

L’editoriale di Matteo Fago è tratto da Left in edicola


SOMMARIO ACQUISTA

Filippo Focardi: Lanciamo una mobilitazione culturale contro il neofascismo

Un momento della manifestazione "Firenze antifascista", Firenze, 17 ottobre 2015. ANSA/MAURIZIO DEGL'INNOCENTI

Da un sondaggio fatto nel 2002 per Samarcanda, la trasmissione tv di Santoro, risultava come almeno il 25% dei giovani italiani esprimesse un giudizio positivo sul fascismo e su Mussolini. Mentre solo il 3% si pronunciava in termini favorevoli su Hitler e sul nazismo. Recenti sondaggi indicano che circa il 6% dei giovani italiani esprimono intenzioni di voto a favore dei nuovi movimenti neofascisti come CasaPound (4,7%) e Forza nuova (1%). L’area di consenso della destra estrema risulta però più larga, soprattutto per il successo che riscontrano certe idee e parole d’ordine che denunciano l’immigrazione come minaccia alla società italiana e l’esigenza di difendere i “nostri” valori tradizionali, morali e religiosi. Se si rifacesse ora un sondaggio, focalizzato sul giudizio su fascismo e nazismo, credo avremmo gli stessi risultati, già allora preoccupanti (un quarto degli intervistati esprimeva un giudizio positivo sul fascismo).

Ma risulterebbe cresciuto probabilmente di qualche punto anche il gradimento verso il Führer e il Terzo Reich. Il quadro è molto allarmante. Non solo si assiste ad un crescendo di atti di intimidazione e violenza di matrice neofascista, ma il ritorno del neofascismo sulla scena è contrassegnato da un salto di qualità inquietante: mentre negli anni dei governi di centrodestra era stato alimentato dalla riemersione di un anticomunismo vintage veicolato dalle correnti revisioniste, oggi è alimentato dalle paure e dai sentimenti di ostilità e rigetto nutriti verso gli immigrati da settori consistenti della società, impoveriti dalla crisi e sobillati dalla destra, non solo quella estrema. La mobilitazione del neofascismo, in sintonia con quanto sta avvenendo nel resto d’Europa, si tinge così di una forte connotazione razzista e xenofoba (la lotta contro la presunta «sostituzione etnica» degli italiani). E non stupisce che ciò riporti in auge anche il retaggio del nazismo, coi suoi famigerati progetti razzisti di costruire la «fortezza Europa». Siamo davanti insomma a veri propri movimenti nazifascisti, con una preoccupante capacità di penetrazione fra i giovani.

Che fare dunque? Non basta l’azione sul piano legislativo né quella della magistratura e delle forze dell’ordine, da sollecitare certamente ad una vigilanza più attiva. La permeabilità di tanti giovani, e non solo, al richiamo delle sirene del passato è legata a un terreno favorevole costituito da una percezione sociale del fascismo, superficiale, benevola e assolutoria. Il revisionismo, dagli anni 80 in poi, ha rilanciato vecchi clichés che già abbondavano sui rotocalchi del dopoguerra che ritraevano il fascismo come una dittatura bonaria, con una dose massiccia di retorica e teatralità ma a basso tasso di violenza e repressione. Usando un metro di giudizio comodo ma fuorviante, si tende a giudicare il fascismo comparandolo al nazismo e attribuendo solo a quest’ultimo nefandezza ideologica e vocazione criminale. Anzi, non si esita spesso ad ascrivere al fascismo meriti storici come la bonifica delle paludi o l’arrivo dei treni in orario, che spiegherebbero il presunto consenso degli italiani al regime. “Bravi italiani” contro “cattivi tedeschi”. È una visione banalizzante e falsa che priva il fascismo delle caratteristiche liberticide, oppressive e criminali che storicamente ha avuto.

Nella fase di avvento al potere, dal 1919 al 1922, le camicie nere hanno fatto più morti che non le camicie brune naziste prima dell’arrivo al potere di Hitler. Ed è sufficiente ricordare l’impiego di agenti chimici in Etiopia, i lager di Graziani in Libia o i crimini commessi in Jugoslavia e in Grecia per abbandonare il comodo alibi degli “italiani brava gente”. Ovviamente differenze ci furono (gli italiani – spesso, non sempre – salvarono gli ebrei, i tedeschi li sterminarono), ma finora sono state messe in evidenza per coprire le nostre colpe. Occorre dunque prendere “sul serio” il fascismo e farci i conti senza comodi alibi, riconoscendolo per ciò che è stato: un movimento e un regime ipernazionalista e razzista, fondato sul culto del capo, della gerarchia, della violenza e della guerra (l’Italia di Mussolini è in guerra fin dal 1935 con l’invasione dell’Etiopia!), nemico non solo del comunismo, ma anche del liberalismo e della democrazia, dei principi della rivoluzione francese… Come tutti i totalitarismi, il fascismo è stato anche una “dittatura del welfare”, dispensando lavoro e dopolavoro, pensioni e assicurazioni. Ma questo non cambia la sua natura. Serve in definitiva una coraggiosa mobilitazione culturale, non solo della scuola e dell’università ma di tutte le istituzioni e dei media, a cominciare dalla Tv, per costruire nella società italiana un nuovo senso comune storico del fascismo, una coscienza critica che sappia fare da argine al ritorno dei fantasmi del passato.

Filippo Focardi è docente di storia contemporanea presso l’Università di Padova

L’editoriale di Filippo Focardi è tratto da Left in edicola


SOMMARIO ACQUISTA

Smascherati i neofascisti nelle scuole

Un graffito del Duce ben visibile, come si vede dalla foto, nella sala di lettura del polo universitario di Novoli. La segnalazione anonima è arrivata alla redazione di controradio

Quattro dicembre, istituto tecnico “Faraday” di Ostia. I rappresentanti d’istituto organizzano un incontro per mettere in luce le «problematiche inerenti l’integrazione giovanile». A partecipare all’evento, Luca Marsella, neoeletto consigliere di CasaPound. Inevitabile, considerando che in quella scuola il Blocco studentesco, braccio giovanile della formazione politica neofascista, ha raccolto l’85% dei consensi, eleggendo tre rappresentanti d’istituto e due alla consulta degli studenti. Un plebiscito. Com’è stato un plebiscito il risultato raggiunto in tutto il X Municipio di Roma, con gli oltre duemila voti degli studenti. E così anche ad Ascoli, dove il 56% dei voti è andato al Blocco studentesco; o a Viterbo dove sia la presidenza che la segreteria della consulta sono targate Bs. E poi Milano, Napoli, Lecce, Venezia. E Abruzzo, dove ci sono rappresentanti alla consulta di Teramo, Pescara, Chieti e L’Aquila. In totale il Blocco ha collezionato oltre 56mila preferenze nei licei e istituti di tutta Italia. Numeri che hanno consentito di avere oltre 200 rappresentanti.

«Una crescita preoccupante e che dovrebbe invitare tutti a riflettere», come ammette anche Giammarco Manfreda, coordinatore nazionale della Rete degli studenti medi, un movimento scolastico di sinistra. Anche perché la galassia delle organizzazioni studentesche di destra è molto più ampia di quel che possa sembrare. Slogan fascisti, striscioni col consueto font littoriano, volantini su cui spicca, fiero, l’uomo italico col coltello tra i denti. L’orizzonte è vasto e le associazioni si moltiplicano. Fanno propaganda nei pub di riferimento, nelle palestre e nei centri sociali gestiti direttamente da esponenti di estrema destra.

È il caso di Azione studentesca, altro movimento di destra (vicino a Fratelli d’Italia, che spesso e volentieri mette a disposizione piccoli budget e sedi di partito) che negli ultimi anni è cresciuto tanto a Firenze, potendo contare sull’appoggio dello storico Casaggì, spazio occupato da fascisti e neofascisti dal 2005. E, proprio nella culla del renzismo, Azione studentesca ha conquistato la consulta provinciale con 18mila preferenze, conquistando 32 seggi su 58. Stesso identico risultato anche a Prato e a Pistoia. E a Rieti, dove i militanti di Azione studentesca sono riusciti a organizzare, con il placet dell’amministrazione locale, un convegno in consiglio comunale. «La risposta identitaria al modello mondialista», il tema. In linea col loro slogan («Tutto per la patria») e con il programma che portano all’interno delle scuole. «Combattere, perché non si ha altra scelta – recita il manifesto – difendendo la nostra Patria dall’invasione migratoria… restituendo una dignità alla nostra Nazione».

Non c’è tuttavia da sorprendersi: nell’orizzonte estremista c’è chi chiede…

L’inchiesta di Carmine Gazzanni prosegue su Left in edicola


SOMMARIO ACQUISTA

Svezia, l’anonima nonnina che affronta i neonazisti al supermercato a colpi di carrello

La nuova eroina antifascista scandinava ha ottanta anni, fa la spesa tutti i giorni da sola e gli svedesi l’hanno conosciuta con un video virale che il giornalista del quotidiano di sinistra Etc ha condiviso su Twitter. «È troppo triste», dice la donna – di cui non si conosce il nome – guardando i neonazisti in marcia nei pressi del supermercato Ica Maxi a Molndal, a sud di Gothenburg. «Sono arrabbiata, vengono qui a distruggere, ora ci vado dritta contro, ci vado dritta contro e li investo», dice la donna anziana. «Con il carrello della spesa?» chiede il giornalista. «Si. Con il carrello. Sarebbe giusto, no? Penso che sia troppo triste».

La donna dai capelli bianchi aveva di fronte le teste pelate dei membri del Nmr, il “movimento nordico di resistenza”. In svedese: Nordiska Motståndsrörelsen. In norvegese: Nordiske motstandsbevegelsen. In finlandese: Pohjoismainen vastarintaliike. In danese: Nordiske modstandsbevægelse. In una parola sola: neonazisti.

I neonazisti scandinavi stavano predicando la «rivoluzione nordica», la violenza per «ripristinare la purezza della razza ariana nella società», la deportazione di tutti i «non-nordici», la fine della collaborazione militare con la Nato per combattere «per una società nazionalsocialista», quando la donna anziana ha deciso di opporsi a loro.

Intervistata dopo da tutti i media, ha detto che non «pensava al rischio, perché la sua rabbia contro i neonazisti era così forte che aveva preso il sopravvento». Così con il carrello della spesa ha affrontato i membri dell’Nmr, un movimento nato nel 1997 dal gruppo della “resistenza ariana bianca”, ovvero un gruppo di giornalisti del Folktribunen, un magazine nazionalista, apertamente razzista, che pubblicava articoli sulla «cospirazione ebraica», che voleva far sparire dalla terra «la razza settentrionale».

Il gruppo promuove oggi idee antisemite, si oppone non alla migrazione, ma alla migrazione dei «non bianchi» ed è la testa d’ariete di tutti i movimenti del suprematismo bianco che si sta diffondendo da Helsinki a Stoccolma. Ha dipartimenti nazionali diversi, dalla Norvegia alla Finlandia, sotto l’effige nera e minacciosa dei nazisti scandinavi uniti. Membri dell’Nmr sono legati alle esplosioni nelle strutture che ospitano rifugiati arrivati in Nord Europa, alcuni di loro per quelle bombe sono finiti in manette, ma poi sono stati rilasciati. Sono 200mila i migranti che sono riusciti a raggiungere la Svezia, – il numero pro capite più alto d’Europa -, nel 2016. 

Lo scorso novembre 2016 a Stoccolma 600 energumeni in nero si sono scontrati, bastoni alla mano, con gli antifascisti, armati solo di palle di neve. I neonazisti erano scesi in strada per celebrare la vittoria alle elezioni di Donald Trump nello storico distretto di Gamla Stan per raggiungere il Parlamento. Perché con l’elezione dell’uomo del muro e delle fake news al potere, il gruppo aveva capito «che la rivoluzione mondiale stava iniziando». Tra i membri, c’era Vera Oredsson, della gioventù hitleriana, tra ragazzi di 20 e 30 anni che marciavano cantando «impiccali, impiccali». Gli slogan di morte erano rivolti contro la famiglia Bonnier, che possiede l’impero mediatico svedese ed è tra le famiglie ebraiche più ricche d’Europa. Gli antifascisti e antirazzisti uniti sono riusciti a fermarli.

I sedicenti membri del movimento di resistenza nordica vogliono «rimpatriare i non europei» e «riprendere il potere dall’élite globale sionista», rinnegano l’olocausto, guardano ad Hitler come un modello politico, ma anche dell’agitatore razzista rumeno Corneliu Codreanu, il fondatore della Guardia di ferro, un’organizzazione ultra-nazionalistica. Negli ultimi 18 mesi le manifestazioni dell’Nrm sono aumentate, ma i gruppi di sinistra della regione hanno sempre risposto prontamente. Colpo su colpo, bandiera contro bandiera.

Questo purtroppo non è bastato ad evitare che i neonazisti scandinavi il 9 novembre riuscissero a celebrare la Kristallnacht, la notte dei cristalli, in cui le SS arrestarono 30mila ebrei e bruciarono i loro negozi, le loro case, le loro sinagoghe in tutta la Germania. In Finlandia, Nrm è stato dichiarato illegale, ma dopo pochi giorni, per il giorno dell’indipendenza del Paese, nonostante il divieto, i neo-nazisti finlandesi sono tornati a camminare per la capitale, Helsinki, con le loro bandiere. È la prima volta in quaranta anni che un gruppo viene estromesso dalle autorità ed è accaduto dopo che un membro dell’estrema destra ha attaccato un passante che lo aveva criticato, ferendolo gravemente. L’uomo è morto in ospedale di emorragia interna, all’assalitore gli altri membri del gruppo nero hanno dato un premio. Da quando il sangue di un innocente che si opponeva a loro è stato versato, la società civile si sta facendo bastione contro “i neri”.

L’ultimo ad aver versato sangue contro le bandiere con le svastiche è un poliziotto svedese della capitale scandinava, colpito nel tentativo di bloccare una rissa tra il ragazzo di estrema destra e un anarchico lo scorso 2 dicembre. Se le autorità di Helsinki hanno legiferato che il gruppo non può riunirsi e manifestare, in Svezia si interrogano sulla democrazia e sulla libertà di parola, anche per loro, i “neri” nazisti del 2017, che sono i primi a combatterla.

Solo pochi giorni fa, al festival letterario più grande di tutta la Scandinavia, a Stoccolma, i palchi degli autori sono diventati come quelli del ring del pugilato, quando gli organizzatori della fiera hanno deciso che per la libertà di parola, anche la destra estrema del paese meritava di dire la sua e organizzare conferenze. Per la Fiera del libro di Gothenburg i neonazisti hanno organizzato una marcia per supportare una loro pubblicazione, la Nya Tider, e per capitalizzare visibilità. “Nya tider” vuol dire in svedese “tempi nuovi”, quelli che i neri credono stiano arrivando per loro.

Non la pensa così il primo ministro Stefan Lofven che ha dichiarato: «Con migliaia di cittadini una linea netta è stata tracciata contro i nazisti». Non la pensano così molti svedesi, dai giovani antifascisti alle nonne di Svezia che fanno la spesa. Molti hanno paragonato l’anziana con il carrello del supermercato alla foto storica di Hans Runesson, dove una donna colpisce un nazista con una busta della spesa a Vaxjo, Svezia, il 13 aprile 1985, cioè trent’anni fa. Segno che in Scandinavia invece i tempi non sono cambiati e l’onda nera non bagnerà più niente, mai più.

E così a sinistra Fassino ha partorito il topolino

Piero Fassino, Partito Democratico, durante il convegno dal titolo''Cattolici democratici in campo'', Roma 25 Novembre 2017. ANSA/FABIO FRUSTACI

Avrebbe dovuto essere il “grande mediatore” in grado di ricucire i rapporti tra il Partito democratico e le diverse anime a sinistra e invece Piero Fassino si porta a casa una “coalizione” spelacchiata che assomiglia terribilmente alle tante liste civetta che fino alle prossime elezioni spunteranno un po’ dappertutto. Ieri è stata presentata la lista “Insieme” (con tanto di simbolo di ulivista memoria) che comprende i Verdi, il Psi di Riccardo Nencini, l’ex ministro Giulio Santagata, vicino a Romano Prodi, e probabilmente qualche esponente ex di Sel (si sussurra il nome di Dario Stefàno).

Una lista che, bisogna dirlo, riesce a lasciare addirittura perplesso uno come Tabacci, storicamente sempre forte di stomaco, che con il suo partito (?!) Centro democratico ha deciso all’unanimità di non prenderne parte. Il deputato Capelli (che di Tabacci è il braccio destro, nell’enorme galassia della sua formazione politica) ha detto che il vero problema è Renzi: «Nulla di personale ma anche alla luce delle sue ultime dichiarazioni, “prenderemo oltre il 30 per cento, saremo il primo gruppo in Parlamento”, sembra di risentire il Berlusconi del 2011 che diceva che tutto andava bene e che la crisi non c’era perché i ristoranti erano tutti pieni».

Sparito Campo progressista di Giuliano Pisapia. Addirittura “perplesso” Casini. Qualcuno lancia l’idea di una “lista civica Gentiloni” (cosa c’è di più civico di un presidente del Consiglio, del resto).

Avanti così.

Buon venerdì.

Via libera al testamento biologico, videocronaca di una giornata storica

Via libera dal Senato al provvedimento sul biotestamento. I sì sono stati 180, 71 i no e 6 astenuti. Il testo diventa dunque legge dello Stato. Alla votazione è seguito un grande applauso in aula.

All’esterno del Senato, in piazza Montecitorio, i festeggiamenti della associazione Luca Coscioni con Marco Cappato, che ha commentato la vittoria: «Grazie a tutti coloro che si sono esposti in prima persona. E ora si approvi l’eutanasia legale per chi è sottoposto a sofferenza insopportabile o malattia irreversibile». E Mina Welby: «Oggi ha vinto Piergiorgio»

I video della giornata

 

 

 

 

A 22 anni dagli Accordi di Dayton, la Bosnia vive ancora il suo incubo

E11-12.5.96-MEMICI (BOSNIA)-CRO: Un giovane musulmano di Bosnia siede tra le macerie della moschea di Memici, un villaggio posto a circa 30 chilometri da Tuzla. Al villaggio devastato dalla guerra, che prima dello scoppio del conflitto etnico era popolato prevalentemente da musulmani, stanno facendo gradualmente ritorno gli abitanti dopo l'applicazione degli accordi di Dayton. LI O.Andersen / ANSA

Il 14 dicembre 1995, a Parigi, venivano firmati gli Accordi di Dayton, formalizzati nell’Ohio (Usa) neanche un mese prima.
Gli Accordi – che, tra le altre cose, riconoscevano l’intangibilità delle frontiere – mettevano fine formalmente (nella realtà, ad esempio, l’assedio di Sarajevo sarebbe durato fino al febbraio dell’anno dopo, giungendo al record assoluto di 1.445 giorni) al conflitto bosniaco-erzegovese del 1992-1995, lasciando un Paese devastato e rimandato strutturalmente indietro nel tempo di mezzo secolo, oltre a circa 104.000 morti sul terreno.
I numeri di quella guerra fanno paura e sarà bene ricordarne qualcuno, anche a beneficio dei tanti negazionisti e dei troppi nazionalisti ancora oggi intenti a disseminare odio e a girare il coltello nella piaga di un dopoguerra particolarmente doloroso e instabile. Oltre alle vittime, di cui sopra (il 68 per cento circa delle quali appartenenti al gruppo musulmano-bosniaco, il 26% circa a quello serbo-bosniaco, poco più del 5 per cento a quello croato-bosniaco, più un migliaio di “altri” a chiudere le statistiche dell’orrore), relativo alle vittime accertate di quella guerra, vanno senz’altro ricordati i 2,2 milioni circa di sfollati, gli 1,5 milioni di profughi che ancora oggi costituiscono in gran parte la diaspora bosniaca all’estero, i circa 16.000 desaparecidos e alcuni degli episodi più spaventosi, come i 10.701 morti del genocidio di Srebrenica, il ritorno dei campi di sterminio in Europa (ad esempio Omarska nei pressi di Prijedor), la pulizia etnica integrale di Višegrad e molti altri ancora.

Oggi, ventidue anni dopo, ancora molti irresponsabili continuano a soffiare sulle braci ancora calde per far piombare di nuovo la Bosnia Erzegovina nell’incubo. Alle persone di buon senso e dotate di umanità il compito di raccogliere tramandare memoria per fare sì che non si ripeta di nuovo.