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Spesso è una truffa, la competizione

C’è questa storia minore, così poco importante anche rispetto ai drammi del momento, che però merita attenzione perché porta con sé un germe che si scrolla e diventa seme e merita di essere letta, così di prima mattina, prima di tutti i bombardamenti e la propaganda che ci piovono in testa.

Il protagonista è uno chef francese, Sébastien Bras, figlio di quel Michel Bras (entrambi in foto, ndr) che ha sbancato negli ultimi anni tra la guida Michelin, libro di culto nel mondo della competizione culinaria. Sébastien Bras ha scritto al comitato esecutivo della guida Michelin per chiedere di essere escluso dall’edizione del 2018, per “tagliarsi fuori dalla competizione” come direbbero i felini briatorini e farinettiani dalle nostre parti:

«Oggi voglio offrire il meglio di me, con la leggerezza di sentirmi libero, senza chiedermi se le mie creazioni soddisfino gli ispettori Michelin o no», ha detto Bras in una lunga intervista a Le Monde, perché «mia moglie ed io vogliamo essere liberi per poter creare senza tensioni, far vivere la nostra Maison con una cucina, un’accoglienza e un servizio che sono l’espressione del nostro spirito e del nostro territorio. A quarantasei anni voglio dare un nuovo senso alla mia vita: professionale, sì, ma anche alla mia vita in generale e di ridefinire i valori essenziali».

Ora, per carità, non che io pensi che questa sia una lezione di vita da archiviare tra i memorabilia di questo secolo, ma l’intervista dello chef Bras mi ha riportato alla frase di un caro amico che da anni mi spiega del “capitalismo morale” che attraversa molto più del lavoro: siamo arrivati al punti, dice lui, per cui ci stremiamo per essere all’altezza e poi ci dimentichiamo esattamente all’altezza di cosa. Che è un po’ quello che dice Bras, che più che dal lavoro di cucina sembra essere schiacciato piuttosto dall’obbligo di “primeggiare in una competizione” che col tempo poi (stando a quel che ci dice lui) ha scentrato il punto.

E succede a noi tutti. Spesso, spessissimo. Così terribilmente affaccendati nella preoccupazione di affaccendarci, così ammaestrati all’esibire la voglia dell’esser primi in tutto, così mitragliati da chi ci dice che “la competizione” è il succo, che alla fine abbiamo distolto l’attenzione da altro che avremmo dovuto tenere d’occhio. Né leggeri né liberi.

Buon venerdì.

Cina, vietato parlare sul web di sesso, sbronze, bombe all’idrogeno e… Nord Corea

epa06184491 Chinese President Xi Jinping waves after he holds a press conference at the 2017 BRICS Summit in Xiamen, Fujian province, China, 05 September 2017. The ninth BRICS (Brazil, Russia, India, China and South Africa) Summit in Xiamen runs from 03 to 05 September. EPA/FRED DUFOUR / POOL

Il sesso, il gioco d’azzardo e la bomba nucleare nordcoreana. Tutto può finire incastrato nelle maglie della censura digitale cinese. Si chiama Great Firewall, grande muro di fuoco, il sistema di controllo di internet del Dragone asiatico. Non più solo temi politici, idee libertarie, notizie sui dissidenti e giornalisti in prigione. Ora in Cina una nuova ondata di divieti sembra riportare il Paese «ad un’era precedente, di pubblica moralità, rafforzata dal partito comunista al potere», scrive il New York Times.

Ci sono 68 diverse nuove categorie da censurare, scoprire e vietare sul web, in quella fetta di mondo che ha più utenti connessi online di qualsiasi altro Paese. Le recenti linee guida dettate dal governo hanno bannato qualsiasi materiale che riguardi le bevute eccessive o il gioco d’azzardo, casi criminali bizzarri o eccessivamente grotteschi, oltre tutto ciò che ridicolizza i leader della rivoluzione cinese o i membri attuali delle istituzioni e della polizia. Inoltre, anche tutto quello che potrebbe pubblicizzare o riguardare una vita agiata trascorsa nel lusso. Continuiamo: masturbazione, stupro, prostituzione sono temi vietati, perché fanno diffondere “valori morali insani”, esattamente come quasi tutto ciò che riguarda il sesso. Song Jie, una scrittrice cinese che pubblica i suoi romanzi online, sa esattamente cosa può scrivere e cosa deve omettere per evitare di essere censurata: tra le parole vietate ci sono gli organi sessuali o il sesso esplicito. I filtri della censura si attiveranno anche se si usano parole che riguardano la tematica in altri contesti.

Il nuovo corso disciplinare del presidente Xi JinPing è stato trasmesso e verrà eseguito alla lettera da tutti, dalla China Net Casting Services Association ai giganti dei social network, come Sina e Tencent, fino all’aggregatore di notizie Jinri Toutiao. Le autorità cinesi temono ripercussioni per il prossimo congresso del partito ad ottobre, è per quello che, pensano in molti, le maglie del controllo si stringono proprio adesso. Per i giornalisti si tratta di libertà di parola, per gli scrittori della libertà di creazione. Per tutti gli altri di libertà di comunicazione, ma se qualcuno si ribella sui social vede ovviamente cancellati i suoi post. Sul popolare sito di microblogging Sina Weibo o su Wechat vengono censurate le barzellette sui test dei missili nordcoreani. Anche l’espressione “bomba all’idrogeno” è stata censurata. Secondo il sito di monitoraggio della censura, Freeweibo, le parole più censurate su Weibo ultimamente sono Nord Corea, bomba all’idrogeno e Brics. È l’emanazione di un’ideologia paternalistica voluta dal presidente, scrivono gli ultimi ribelli online, per quello che lui chiama il “sogno cinese”.

Rashida e le altre. Il dramma delle spose bambine in Italia

Dal film la sposa bambina

All’indomani della chiusura delle indagini sul caso di Rashida, la quindicenne di Torino, alla quale era stato combinato un matrimonio con un uomo più grande di dieci anni (e non era il primo pretendente. I genitori l’avevano in precedenza “promessa” a un cugino, “ma” poi hanno scoperto che era già fidanzato), spunta il caso della tredicenne di etnia rom di Firenze, futura sposa (bambina) di un uomo, connazionale del padre, in cambio di quindicimila euro, di cui quattromila versati dopo dieci mesi dalla stipula dell’accordo che prevedeva la segregazione in casa della minorenne – rispettato per quattro anni – perché imparasse i lavori domestici, dimagrisse e si mantenesse vergine, pena la restituzione del denaro.
Difficile sciorinare numeri e statistiche per quantificare il fenomeno in Italia: «Dati non ce ne sono», racconta a Left, la presidente di Trama di Terre, Tiziana Dal Pra. «Quello più realista – aggiunge – è che l’80 per cento delle ragazze accolte nelle varie comunità di assistenza rischia di contrarre matrimoni precoci o forzati. Ce lo raccontano loro stesse». Non è dunque un problema che riguarda solo gruppi etnici a tradizione islamica, ma trasversale.

Piuttosto, «il comune denominatore – sostiene la presidente di Trama di Terre – è il controllo esercitato sulle donne». Perché, per molti gruppi etnici «non è previsto l’amore che supera la sfera intima. O meglio, è tutto privato e non c’è niente di pubblico: nulla che la donna possa manifestare apertamente di sé, a partire dalla scelta della sessualità». Tradotto, la libertà di esistere, Di essere.
«A dispetto di quello che cambia nel Paese d’origine dove, magari, sono già stati cancellati dal codice penale il matrimonio riparatore o il codice d’onore, nella migrazione in Italia, ma non solo, portandosi dietro un mix tra tradizione, cultura e patriarcato, si sviluppa una grande resistenza», aggiunge Dal Pra. Che continua: «Si approfitta del passaggio per fermare, sospendere il processo di affrancamento, applicando un controllo più ingombrante e agìto perché le ragazze immigrate di seconda generazione potrebbero rappresentare un esempio concreto di libertà».
Coraggiose e incoraggiate, anche, da una scolarità che permette loro, oltre che di studiare materie vietate nei paesi di provenienza, per esempio la filosofia o la sociologia, soprattutto di respirare una possibilità reale. Prendono consapevolezza dei loro diritti e della libertà: stanno rivendicando, anche dolorosamente, l’opportunità di opporsi. Trovando (comprensibilmente) degli escamotage per ovviare a grandi difficoltà che, certamente, la società ospitante non argina: la negazione della cittadinanza, in primis, e il razzismo serpeggiante, quando non conclamato, danno loro «prova evidente di non contemplare i loro diritti, preludio della agognata libertà», conclude Tiziana Dal Pra, lasciandosi andare a un racconto di vita che commuove.
Non solo. L’assenza del sostegno delle istituzioni è, per l’Associazione 21luglio, che da anni supporta le persone in condizioni di grave segregazione, un buco nero in cui «il matrimonio forzato o combinato è vissuto come un modo per assicurarsi una relazione di supporto, spesso una vera e propria forma di mantenimento da parte della famiglia del marito». Ed è per questo che «il matrimonio precoce dipende, più che dalle specifiche culturali dei singoli gruppi – prova ne sia la sua trasversalità – dalle condizioni socio-economiche in cui versano le famiglie», sostiene 21luglio. Che specifica: «Si prenda a esempio l’andamento circolare del rapporto tra istruzione e matrimonio precoce: da una parte, la precocità dell’atto interrompe il percorso scolastico, dall’altra, anche un basso livello di istruzione degli sposi o dei loro genitori, facilita le dinamiche del matrimonio forzato e, più in generale uno scarso investimento delle famiglie sull’istruzione delle figlie, oltre che la mancanza di alternative e opportunità al di fuori della ‘sicurezza’ matrimoniale». Percepita in questo modo, chiude l’associazione 21luglio, «la necessità di protezione e di miglioramento economico possono, invece, facilmente degenerare in forme di schiavitù domestica, violenza sessuale ed economica». Per non dire della costante violenza psichica a cui queste adolescenti sono sottoposte.

Pablo Picasso e la seduzione del Mediterraneo

Non solo Pompei e la potente seduzione del rosso degli affreschi. Anche Roma accese la fantasia di Pablo Picasso nel 1917 durante un soggiorno di un paio di mesi, esattamente cento anni fa. All’epoca in cui lavorava per i Ballets Russes – e con il giovane pittore Alberto Magnelli a fargli da guida – Picasso andò alla scoperta della capitale. Visitò la cappella Sistina, ma più che le «linee tormentate» di Michelangelo, fu conquistato dalla «linea pura e aerea» di Raffaello nelle Stanze vaticane. Tanto da arrivare a dire che l’Urbinate era riuscito a “volare” più, e meglio, di Leonardo da Vinci.

A Roma, il genio malagueño approfondì lo studio dell’antico e dei “primitivi”, si interessò al barocco e a Bernini in particolare. Ma da alcune lettere di compagni di viaggio, fra i quali Cocteau, sappiamo anche che volle andare a vedere Caravaggio. La full immersion nella storia dell’arte italiana e una certa curiosità per la commedia dell’arte alimentarono la sua ricerca in quel delicato momento di crisi e di ripensamento del proprio lavoro, dopo la rivoluzionaria svolta cubista. È questo il filo che percorre la mostra Pablo Picasso tra classicismo e cubismo 1915-1925  alle Scuderie del Quirinale (22 settembre 2017-21 gennaio 2018), curata da Olivier Berggruen riallacciando i nessi fra arte e biografia picassiana .

Picasso, Pablo in veste di Arlecchino

Dopo la morte della giovane compagna, Eva, il pittore aveva attraversato un lungo periodo buio da cui sembrò riprendersi lavorando alle scenografie degli spettacoli di Sergej Djaghilev, dove conobbe Olga Kochlova , ballerina russa che sposerà nel 1918. Il celebre ritratto del 1917 in cui appare come una bambola di cera, dice molto di quella fase.

Picasso le scattò una foto e proiettò la figura sulla tela, tracciandone i contorni, prima di dipingere. Il risultato è un quadro straniante, che segna il suo ritorno al naturalismo e al classico. Ma a ben vedere non è del tutto vero, c’è uno svisamento in quel quadro: il fondo grezzo nega ogni profondità, così come la posa scelta esclude ogni prospettiva. Olga appare come una figura bidimensionale, lontana, distaccata. L’artista la vedeva così? O con questa presenza algida, immobile, di “vetro”, Picasso coglie e rappresenta qualcosa di invisibile? Forse un vuoto o quella fragilità interna che di lì a poco sarebbe diventata una drammatica voragine? La critica si è limitata a sottolineare il neoclassicismo di Picasso.La mostra alle Scuderie del Quirinale che il 21 settembre viene presentata alla stampa promette nuovi spunti di riflessione.

Picasso, ritratto di Olga

Alle Scuderie del Quirinale si possono seguire le orme di  Picasso ripercorrendo a  a cent’anni di distanza, il viaggio che Picasso fece in compagnia di Cocteau e Stravinsky al seguito della compagnia dei Balletti Russi di Sergej Djaghilev. Dal 17 febbraio 1917 una sorta di Grand Tour che  mise  il pittore  in rapporto con la grande arte romana e etrusca ma anche con la cultura «popolare», della commedia dell’arte, degli spettacoli di marionette, delle cartoline con le giovani donne in costume tradizionale e con i fermenti del Futurismo. il racconto si snoda attraverso un centinaio di opere, prestiti da grandi musei come il  Musée Picasso di Parigi e il Metropolitan di New York: dal Ritratto di Olga in poltrona a quello di Paul, il loro figlio, vestito da Arlecchino; da L’italiana alla natura morta Chitarra, bottiglia, frutta, piatto e bicchiere su tavola; da Il Flauto di Pan alle Due donne che corrono sulla spiaggia.  senza dimenticare  il sipario realizzato per il balletto Parade e per la compagnia di Djaghilev proveniente dal  Centre Pompidou. La mostra delle Scuderie rientra nel progetto Picasso-Mediterranée avviato nel 2015 dal Musée Picasso di Parigi e dal presidente Laurent Le Bon.

Intanto prosegue fino al 7 gennaio 2018, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia la mostra Picasso. Sulla spiaggia, a cura di Luca Massimo Barbero. Con tre dipinti, dieci disegni realizzati da Pablo Picasso tra febbraio e dicembre del 1937 e una scultura, esposte insieme per la prima volta, il curatore mette in luce i nessi della pittura di Picasso  con il Mediterraneo: un rapporto costante con il Mare nostrum connota tutto il percorso di Picasso cominciato a Malaga in Spagna, e proseguito nella Francia del sud. Nata dalla collaborazione con il Musée Picasso- di Parigi, la mostra si snoda attorno a una delle tele più amate da Peggy, il dipinto picassiano Sulla spiaggia (La Baignade), conservato nel museo veneziano. Anche questa mostra rientra nel progetto triennale “Picasso-Méditerranée”, promosso dal Musée national Picasso-Paris, che coinvolge più di sessanta istituzioni. A Venezia  la mostra sottolinea lo sguardo nuovo di Picasso capace di rileggere in maniera del tutto originale la tradizione, da Giorgione a Tiziano, da Ingres a Manet, Cézanne, Matisse, rileggendone l’iconografia e  le strutture compositive, concentrandosi sulla rivisitazione del  tema del nudo in movimento,  che Picasso ricrea in base a un vissuto personalissimo e profondo.

Il viaggio sulle orme di Picasso in Italia prosegue poi  Genova dove sono esposte  le opere che Picasso. Ci sono le ceramiche e i disegni, le celebri bagnanti e le fotografie  all’interno dello studio e di eccentrici atelier, dal Bateau-Lavoir alle dimore nella campagna provenzale, residenze degli ultimi anni.  Dopo la rassegna da poco chiusa  a Napoli – che ospitava Parade nell’appartamento Reale del Museo di Capodimonte, l’arte picassiana continua ad essere presente in Italia in un trittico di mostre a Roma, a Genova e Venezia.  UN triplice omaggio al suo  genio ludico, passionale, ribelle. In Palazzo Ducale a Genova, al 10 novembre al 6 maggio  si possono vedere le sue  bagnanti mediterranee e i ritratti di donna degli anni Trenta e Cinquanta. Molte delle opere in mostra sono quelle alle quali l’artista era più affezionato, al punto da portarle sempre con sé nel corso degli anni, anche durante i suoi ripetuti spostamenti.La mostra è curata da Coline Zellal e organizzata da Mondomostre Skira in collaborazione con il Musée Picasso di Parigi.

Gloria, finita di botte ma spenta già in vita

A mani nude, con calci e pugni, le hanno rotto una costola che poi è andata a infilzarsi tra il fegato e la milza. Gloria Pompili aveva 23 anni ed è morta di botte il 23 agosto, di sera tardi, dopo il lavoro. Si prostituiva, Gloria, e i suoi aguzzini erano il fratello di suo marito e una sua cugina: loro due, tutte le sere, la accompagnavano da Frosinone fin sul litorale romano per vendersi e poi tornavano notte fonda a recuperarla, contavano i soldi e la riportavano dai suoi due figli, di tre e cinque anni.

Una vita così, schiava della sua famiglia come spesso succede e come raramente si scopre. Solo che quella sera Gloria l’hanno ammazzata e gli omicidi, si sa, portano a galla queste storie che ti vergogni solo a scriverle; queste storie che di solito, se non ci scappa il morto, rimangono sepolte in famiglia e stiamo tutti tranquilli.

Gloria era orfana. Il primo marito, rumeno, finito in carcere e poi il secondo matrimonio e con quel secondo marito egiziano conosciuto grazie a una lontana cugina (Loide Del Prete, 39 anni) . Suo marito Saad Mohamed, 23 anni fa il fruttivendolo ad Anzio. Proprio il fratello di Saad le ha fatto credere forse di potersi ricostruire una famiglia.

Sbagliava, invece. Saad e Loide sono stati i suoi aguzzini: costretta a prostituirsi “per contribuire alle spese”, dice chi la conosceva. Fino a quella sera in cui si è ribellata ed è stata uccisa. “Voleva smettere” dice qualcuno: in molti sono andati a testimoniare per fare chiarezza.

Ma tardi. Troppo tardi. Sempre troppo tardi.

Buon giovedì.

Ventotene, il libraio Fabio Masi: «Faccio conoscere le storie di uomini liberi»

«Editore per forza. Un libraio al ‘confino’ non può che dedicarsi ai lavori forzati. Quindi ho fatto l’editore perché la grande editoria non era più interessata a stampare libri su Ventotene. Dalla semplice guida fino a testi più importanti. Ventotene è un luogo fondamentale per la storia d’Italia e non solo. E mi sembrava assurdo che ci fosse questo totale disinteresse e disattenzione».
Ci vuole coraggio, ma lui, Fabio Masi, libraio de L’Ultima spiaggia ed editore dell’omonima casa editrice , non si è perso d’animo. Così dopo la scelta di aprire una libreria sull’isola – da aprile ad ottobre – nel 2009 ha scommesso anche sull’editoria.

Un’avventura che ti vede un po’ libraio e un po’ ricercatore di storie…

Fui coinvolto da un libro pubblicato una prima volta nel ’56. Era l’autobiografia di un anarchico, Mariani, che aveva commesso un attentato particolarmente odioso. Nel 1921 aveva messo una bomba al teatro Diana di Milano uccidendo 21 innocenti. Per la gravità del reato viene condannato a 13 anni di isolamento nel carcere di Santo Stefano e riesce a resistere a questi anni durissimi. Non impazzirà e resterà vivo grazie ai libri. Saranno i libri a fargli compagnia. Terminato l’isolamento avrà l’incontro fondamentale con Sandro Pertini che ne resta colpito per la sua forte personalità. Terminata la seconda guerra mondiale Pertini riuscirà a fargli ottenere la grazia e Mariani, tornando libero, riconosce il ruolo fondamentale dei libri. E per sopravvivere farà il libraio. Fino alla fine dei suoi giorni in Liguria, la terra dove io vivo attualmente a parte i sei mesi che trascorro a Ventotene.

E quindi, Ventotene, la Liguria, ma come sei diventato editore?

Da questo libro, la storia di Mariani, ho scoperto che fare il piccolo editore è una cosa divertentissima. E i risultati poi si vedono perché chi viene a Ventotene cerca e compra testi sulla ricca storia locale, per cui oramai siamo arrivati a trenta pubblicazioni. E soprattutto la libreria diventa lo specchio della realtà nella quale opera attraverso le pubblicazioni riguardanti il territorio, sia quelle pubblicate da noi come Ultima Spiaggia che quelle di altre case editrici. Qui in libreria i libri su Spinelli sono i testi più venduti anche rispetto agli grandi autori.

Un buon libraio deve saper organizzare la libreria con equilibrio…

Bisogna non trascurare i bestseller che sono fondamentali per la sopravvivenza della libreria, andando incontro al gusto della maggioranza dei lettori senza dimenticare però i propri gusti e quella che viene definita la cosiddetta “libreria di proposta” con quei titoli spesso pubblicati dall’editoria meno conosciuta. Insomma, secondo me bisogna uscire da questa dicotomia fra piccoli e grandi editori.

Cosa pensi dei grandi editori?

Le grandi catene spesso si dimenticano che il mercato editoriale è composto anche da altri e non solo da loro. Questa è una cosa che mi piace rivendicare con forza. Non è il piccolo che combatte contro il grande per dire “io sono più bello”. Ma per dire che siamo tutti sulla stessa barca e dobbiamo cercare di remare tutti nella stessa direzione. Ci sono gli esempi concreti da seguire, come il mercato francese e quello tedesco.

Ventotene è diventata negli anni un crocevia di incontri.

Assolutamente si. L’esempio clamoroso è del 1943 quando gli americani sbarcarono sull’isola e con loro sbarca il più grande scrittore che abbia mai visitato Ventotene. Era un soldato, o meglio, un reporter dal fronte, il suo nome era John Steinbeck che racconta in maniera molto divertente e dettagliata come gli americani conquistarono l’isola, in un libro pubblicato oggi da Bompiani che si intitola  Cera una volta la guerra che raccoglie tutti i suoi articoli dal fronte. Ma di Ventotene ha parlato anche un altro grande che si chiama John Williams autore di Stoner il quale nel romanzo biografia su Augustus, padre di Giulia, nelle sua immaginazione ha riprodotto un ipotetico diario che Giulia teneva qui dall’isola di Ventotene nel quale raccontava la sua sventura ma anche il suo rapporto d’amore profondo con il padre benché l’avesse esiliata a Ventotene. Fino ad arrivare agli autori contemporanei che sono quelli ospiti del festival Gita al Faro. Tra questi numerosi premi Strega.

Come vedi il futuro delle piccole librerie?

Io penso che il mercato del libro cartaceo non morirà mai, come non moriranno le librerie. Il valore aggiunto che crea una libreria sul territorio è enorme sia per la valorizzazione della storia, ma anche perché proprio è uno dei pochi luoghi dove le persone tornano e amano incontrarsi. Io sono conosciuto come il libraio di Ventotene, ma ho la fortuna di “navigare” anche in una libreria a Camogli e una a Genova. Anche lì ugualmente si ripete lo stesso meccanismo. Ed a Genova abbiamo riaperto in una nuova sede chiamandola “L’amico ritrovato” anche  in omaggio al libro di Fred Ulman.

Come trovi le storie dei libri che pubblichi?

Uno tra i libri che abbiamo pubblicato nel 2011 è Mi odisea di Juan Matas nato dall’incontro fortuito all’Ultima spiaggia. Il figlio dell’autore del testo era venuto a Ventotene proprio per visitare i luoghi in cui era stato confinato il padre. Entrando in libreria cominciò a raccontarmi questa storia di cui non ne sapevo nulla. Non solo io ma neanche i ventotenesi. È la storia di nove spagnoli che avevano combattuto contro Franco e una volta persa la guerra, per evitare l’arresto prendono una barca e cercano di raggiungere il nord Africa. Dopo una serie di peripezie vennero arrestati in Italia e mandati al confino di Ventotene. Uno dei nove, il papà del turista che venne a Ventotene nel 2010, scrisse la loro avventura e proprio grazie al figlio ho avuto la fortuna di avere gratuitamente dall’editore spagnolo i diritti per poter pubblicare e tradurre il testo in italiano e portare questa testimonianza anche ai lettori italiani.

Storie di uomini liberi che lottano per difendere il loro pensiero e storie che si incrociano al di là dei confini.
Sì è così. Da questo pellegrinaggio fatto dal figlio nel 2010 nasce poi la traduzione nel 2011 e qualche anno dopo nasce un altro libro ancora. È La figlia del partigiano O’ Connors di Michele Marziani che trae ispirazione per il suo libro sia leggendo Mi odissea di Juan Matas, che da un grande cantante irlandese Christy Moore che gli narrò, durante una cena avvenuta a Dublino, le epiche avventure della V Brigata composta da soli irlandesi che partirono alla volta della Spagna per combattere al fianco dei repubblicani. Tutto questo è raccontato in una bellissima ballata di Christy Moore che si chiama viva la V brigata.

Le storie degli uomini liberi di Ventotene sono un’ispirazione per la libertà di un libraio e un editore indipendente?
Certo, è proprio così. È la storia che si respira qui, il mare, le vite di coloro che vi sono passati. Tutto questo è diventato un mio patrimonio culturale che amo restituire ai lettori.

 

XX Settembre e memoria storica

Alcuni anni fa, a una celebrazione del 25 Aprile, incontrai un partigiano ultraottantenne che si lamentava del fatto che le commemorazioni fossero divenute ormai ritualistiche, e che lo spirito della Liberazione non fosse più così diffuso all’interno della popolazione, specialmente quella più giovane.

Bene: paragonata alla situazione del 25 Aprile, quella del 20 Settembre è comunque incomparabilmente peggiore. Non solo le celebrazioni sono organizzate da un numero veramente limitato di amministrazioni ma, soprattutto, nella situazione attuale, ci farebbe un enorme piacere sostenere che «lo spirito del Venti Settembre non è più così diffuso all’interno della popolazione». Perché presupporrebbe, quantomeno, un’estesa informazione sulla ricorrenza. Purtroppo, la desolante realtà è che la stragrande maggioranza della popolazione non sa nemmeno cosa accadde il 20 settembre del 1870.

E questa “lacuna” (eufemismo), si badi bene, coinvolge anche la popolazione più colta. Per fare giusto un esempio: giorni fa, un attivista laico aduso a consegnare di persona le proprie lettere al quotidiano cittadino ha dovuto amaramente constatare che, all’interno della redazione, quasi nessuno sapesse cosa è successo 147 anni fa.

Questa lacuna, aspetto altrettanto grave, ha pesanti ripercussioni sulla realtà attuale.

Non si sa, ad esempio, che c’era un papa, Pio IX, che governava uno Stato da vero e proprio monarca: lacuna grave soprattutto oggi, quando le gerarchie ecclesiastiche danno ai nostri politici consigli interessati in materia di governo.

Non si sa nemmeno che quello Stato era uno dei più inefficienti e illiberali d’Europa: lacuna grave soprattutto oggi, quando le gerarchie ecclesiastiche danno consigli ai nostri politici in materia di economia e diritti umani.

E non si sa che quel papa era risolutamente contrario all’Unità d’Italia: lacuna grave soprattutto oggi, quando la Conferenza Episcopale Italiana rivendica le radici cristiane del Paese.

Non si sa neppure che quel papa negava i diritti civili a tutti i cittadini non cattolici (ebrei, protestanti e non credenti): lacuna grave soprattutto oggi, quando il cardinal Ruini definisce «una splendida lezione» un discorso che ha rischiato di creare uno scontro di civiltà con l’islam.

Infine, non si sa che quel papa si espresse contro la democrazia, la libertà di espressione e la libertà religiosa: lacuna grave soprattutto oggi, quando la Chiesa cattolica rivendica spazi sempre più ampi di intervento, dai mezzi di informazione alle grandi questioni bioetiche, con ciò scivolando pericolosamente verso una configurazione in senso “etico” dello Stato.

È triste constatare come si sia caduti in basso. Ma la disinformazione, del resto, coinvolge anche la conoscenza della storia stessa della laicità. Pochi sanno che il concetto occidentale di laicità è nato in Italia, con Dante e Marsilio. E quasi nessuno, nello stesso mondo laico, è al corrente che anche il concetto di libertà religiosa ha un’origine italiana: ma i nomi di Lelio e Fausto Sozzini non sono inseriti nei libri di testo scolastici, non sono citati nei tanti incontri interculturali, non sono nemmeno ricordati dalla toponomastica dei municipi (forse perché dedicare strade agli eretici è ancora oggi alquanto problematico).

Tutto questo per dire che c’è un gigantesco problema di memoria storica. Vi è certamente, in tutto questo, una gravissima responsabilità della classe politica: che, da sola, non sarebbe però bastata a creare un baratro così profondo. Probabilmente le gerarchie ecclesiastiche hanno operato efficacemente. Forse si è sopravvalutata troppo la (presunta?) laicità del popolo italiano. Ma quel che è sicuro è che, per invertire la tendenza, non possiamo limitarci solo a pur doverose rivendicazioni e celebrazioni: dobbiamo anche operare concretamente, giorno per giorno, per la concreta applicazione del supremo principio costituzionale della laicità dello Stato.

Raffaele Carcano, Uaar.it

Questo referendum non s’ha da fare. L’avvertimento di Madrid al governo catalano

epa06214881 People demonstrate outside the regional Economy Ministry in Catalonia during a police search for documents connected with the organization of the Catalan independence referendum, in Barcelona, Spain, on 20 September 2017. EPA/ALEJANDRO GARCIA EDITORIAL NOTE: POLICEMEN'S FACES BLURED DUE TO SPANISH LAW

A Barcellona stamani la Guardia Civil ha eseguito un blitz in diverse sedi del governo catalano ed ha arrestato 14 persone. Tra di loro ci sono i collaboratori più vicini al vicepresidente catalano Oriol Junqueras, come il suo braccio destro Josep Maria Jovè. Ma anche Jordi Graell, direttore del dipartimento di attenzione ai cittadini del governo, e Jordi Puignero, presidente del Centro delle telecomunicazioni. Il chiaro intento del governo spagnolo è quello di impedire il referendum sull’indipendenza della Catalogna del 1 ottobre. Junqueras su Twitter ha ribadito: «Stanno attaccando le istituzioni di questo paese e quindi i cittadini. Non lo permetteremo».

https://twitter.com/junqueras/status/910405737989509120

La mossa di Madrid ha provocato una protesta spontanea davanti alla Generalitat, dove si sono radunate centinaia di persone con cori e striscioni contro le “forze di occupazione”. Persone che hanno invaso anche Rambla Catalunya.

La Guardia Civil ha inoltre effettuato delle perquisizioni in diversi ministeri del governo regionale, alla ricerca di prove sulla organizzazione del tornata elettorale.

Podemos ha parlato subito di «involuzione autoritaria». La sindaca Ada Colau di «scandalo democratico».

https://twitter.com/AdaColau/status/910410999328624640

Ma il presidente catalano Carles Puigdemont non arretra di un centimetro: «Manteniamo la convocazione del referendum del 1 ottobre per difendere la democrazia di fronte ad un regime repressivo e intimidatorio». Il ministro delle finanze spagnolo Cristobal Montoro nel frattempo ha confermato il blocco delle finanze del governo catalano, sancito venerdì a Madrid.

Il quotidiano catalano La Vanguardia sta seguendo gli sviluppi con un pezzo in costante aggiornamento.

Delle prospettive che si aprono in Catalogna alla vigilia del referendum per l’indipendenza ne parleremo nel prossimo numero della rivista, con un articolo di Steven Forti da Barcellona. Left n.38 sarà in edicola da sabato 23 settembre (3€) e in digitale da venerdi (2€).

 

 

Una commedia su Stalin mette in crisi il Cremlino

Un film può destabilizzare uno Stato? Un cinema può diventare teatro della protesta? Forse no. O forse si. Il ministro della Cultura in Russia sta decidendo se vietare la diffusione di una commedia straniera nel Paese, perché “è opera compiuta dall’Ovest per destabilizzare la Russia”. Il film in questione è La morte di Stalin, la cui proiezione in Russia potrebbe generare un’ondata di manifestazioni, ma soprattutto, far arrabbiare i comunisti russi, che hanno già definito l’opera “rivoltante”.
Basato su un fumetto dallo stesso titolo, il film avrà per protagonisti Nikita Khrusev, interpretato da Steve Bushemi, e Vyacheslav Molotov, che sarà Michael Palin. La morte del capo supremo dell’Urss è l’inizio della storia che riguarda la lotta per il potere dopo, appunto, la sua morte. La produzione del film è britannica e francese, l’autore ha un nome italiano e nazionalità scozzese: si chiama Armando Iannucci, ed è l’uomo che sta dietro le satire politiche in onda nel Regno Unito, come Veep e The Thick of it.

Pavel Pozhigailo, ufficiale della camera pubblica statale, ha riferito che il ministero della Cultura russo non permetterà la proiezione del film se deciderà che si tratta di un potenziale “incitamento all’odio”. Ormai è questione di Stato, cioè di Cremlino. Anche Dimitry Peskov, il portavoce del presidente, ha rinnovato la sua fiducia nella scelta e nella decisione del ministro, da cui dipenderà la possibile o la mancata distribuzione del film, già in uscita in Europa e Nord America il prossimo mese.

Film si, film no: in Russia proiettare film è tornata ad essere questione di Stato da quando nelle sale cinematografiche è arrivato Matilda, ovvero la storia di una ballerina polacca amante dello zar Nicola II, giustiziato dai comunisti e poi canonizzato come santo dalla chiesa russa. Film e fiamme: gli ortodossi di tutto il Paese hanno minacciato di bruciare i cinema che non si sarebbero rifiutati di proiettare Matilda. “Se quello di Stalin è provocatorio come Matilda, allora non bisognerà proiettarlo, se ci sarà pericolo, allora insisteremo affinché non attenga la licenza di proiezione” ha detto Pozhigailo.

I prezzi stracciati di Ryanair? Li pagano i lavoratori. Ovvio

epa06213821 A cancelled Ryanair flight is seen on a departure board at Stanstead Airport in Stanstead, Britain, 19 September 2017. The Ryanair airline has cancelled more than 200 flights due to a scheduling error for staff leave. More than 400,000 passengers will be effected between now and October 28. EPA/NEIL HALL

In un anno più o meno 700 comandanti piloti hanno lasciato Ryanair per andarsi a prendere un posto di lavoro presso le compagnie concorrenti. Per frenare l’emorragia il capo della compagnia irlandese, Michael Hickey, ha spedito a tutti i piloti della compagnia una lettera con cui li invita per quanto possibile a “rinunciare” a dei giorni di permesso nelle prossime settimane (anche per ridurre il “taglio” di voli che sta facendo infuriare i clienti in tutto il mondo) e prova a lisciarli offrendo bonus dai 6 ai 12.000 euro oltre alla promessa di restare almeno per un anno.

E la parola “bonus” suona, ancora una volta, in tutto il suo vuoto sciocco: qui si tratta semplicemente di una crema (che bene venga) all’interno di una compagnia che si è spinta a proporre contratti di lavoro dove dei diritti venivano negati in nome della “politica aziendale”: i piloti Ryanair, per dire, non prevedono né ferie né malattie. E questo estremo tentativo rappresenta semplicemente due aspetti che forse sarebbe bene tenere a mente anche qui da noi, anche e soprattutto in previsione della prossima campagna elettorale.

Primo: i lavoratori, tutti, lavorano dove vengono rispettati e pagati dignitosamente e anche se questo può disturbare i padroni continueranno a cercare sempre un approdo più dignitoso. I voli cancellati da Ryanair in questi giorni non sono banalmente “ferie non pagate” come insistono a dire i vertici dell’azienda ma sono piuttosto il collasso di una società che insiste a voler essere low cost facendo pagare ai lavoratori il prezzo del presunto “risparmio”.

E qui tocchiamo anche il secondo punto: se qualcosa costa poco è perché c’è qualcuno che sta pagando l’abbattimento dei costi e quel qualcuno sono sempre i dipendenti e i collaboratori. E forse varrebbe la pena ricordarsene perché la ricaduta poi, con tutti i suoi diversi giri, arriva in testa a noi anche se continuiamo a disinteressarcene. Sì, anche su di noi. E per questo ci dovrebbe essere una soglia, nel reddito ma anche nel costo orario del lavoro, sotto cui non ci si può permettere di andare. Ed è un compito della politica, questo.

Buon mercoledì.