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Gli affari degli Arena sulla pelle dei migranti. Arresti a Crotone

Da una parte della strada statale 106 un gruppo di ragazzi che espongono uno striscione con la scritta "Crotone non ti vuole #maiconsalvini", dall'altra lo schieramento di carabinieri e polizia. Così, davanti all'ingresso del Centro richiedenti asilo di Isola Capo Rizzuto, si attende l'arrivo del leader della Lega Matteo Salvini che visiterà la struttura, una delle più grandi d'Europa, e il campo rom di Crotone, 02 luglio 2015. ANSA/ CLEMENTE ANGOTTI

Il centro di accoglienza per migranti di Isola Capo Rizzuto, a Crotone, nelle mani dello storico clan ‘ndranghetista degli Arena. Un mega affare sulla pelle dei migranti che, spiegano gli investigatori, ha dirottato nelle casse degli Arena 36 dei 103 milioni di euro di fondi europei arrivati dallo Stato tra il 2006 e il 2015.

Questa mattina la Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri ha fermato 68 persone, sequestrando appartamenti e auto di lusso e contestando associazione mafiosa, estorsione, porto e detenzione di armi, intestazione fittizia di beni, malversazione ai danni dello Stato, truffa aggravata, frode in pubbliche forniture e altri reati fiscali aggravati dalla modalità mafiose. Assieme al controllo della struttura per i migranti e alle estorsioni nel territorio tra Catanzaro e Crotone, la maxi operazione condotta da 500 agenti di Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza nell’ambito dell’inchiesta denominata “Johnny” riguarda anche attività legate al gioco d’azzardo e alle scommesse on line.

Tra le persone coinvolte nelle indagini coordinate dal procuratore aggiunto Vincenzo Luberto ci sono anche il parroco di Isola Capo Rizzuto don Edoardo Scordio, e il 38enne Leonardo Sacco, governatore della Misericordia e già vicepresidente nazionale delal confraternita, che gestisce il centro di accoglienza per richiedenti asilo. Per dimensioni la struttura Sant’Anna, posizionata in una vecchia area militare lungo la statale 106, è seconda solo al Cara di Mineo. Da sempre sotto i riflettori per gli interessi delle cosche nella gestione dei migranti, la gestione del centro di Isola Capo Rizzuto – stando agli inquirenti – avrebbe addirittura prodotto una “pax mafiosa” tra le famiglie in conflitto sul territorio, dal momento che la torta da spartire era molto consistente e si era estesa di recente anche a nuovi progetti di accoglienza (due Sprar nella zona e altri appalti a Lampedusa), anche grazie alle relazioni politiche intessute dal governatore della Misericordia.

Sacco ha ricoperto incarichi in diverse strutture e ha rapporti diretti con numerosi esponenti politici, tra cui la parlamentare Dorina Bianchi e il ministro degli Esteri, già agli Interni, Angelino Alfano.Tre anni fa il manager aveva anche indicato al vertice della struttura di accoglienza di Lampedusa una persona imparentata con il fratello di Alfano, Lorenzo Montana, che ha rinunciato all’incarico dopo le polemiche sui suoi legami e sulla mancanza di esperienza in tema di migranti.

Il prete è ritenuto dagli inquirenti il gestore occulto della Confraternita e il collante tra le attività del manager Sacco, suo uomo di fiducia, e quelle criminali degli Arena. Gli interessi del clan nella gestione del Cara erano già emersi nel 2011, quando è arrivata la sospensione del certificato antimafia per la ditta che si occupava della ristorazione nel centro e la conseguente rescissione del contratto. Sotto i riflettori della magistratura è finito anche l’utilizzo, da parte della protezione civile della Misericordia, di un capannone appartenuto a un esponente del clan ucciso nel 2005, e poi nella disponibilità dei suoi familiari.

«Troppe cose non andavano nel centro fra i più grandi d’Europa. Dalla condizione in cui versavano i migranti alla gestione economica. Dalla mancanza di trasparenza alla morte di un ragazzo» ha scritto su Facebook la parlamentare di Sinistra Italiana Celeste Costantino, che più volte ha fatto sopralluoghi e presentato interrogazioni sulla struttura. «Eppure davanti a tutte queste sollecitazioni la risposta era sempre la stessa. Il Ministro Alfano, il Prefetto Morcone hanno sempre detto che era tutto in regola. Diciamo sempre che nella lotta alle mafie ognuno deve fare la propria parte. C’è chi l’ha fatta e c’è chi invece si è voltato dall’altra parte».

La sinistra di Schulz sconfitta in casa. Il tema della sicurezza consegna la Westfalia al Cdu di Merkel

FILE - In this March 27, 2017 file photo Social Democratic Party, SPD, chairman and top candidate in the upcoming general elections Martin Schulz closes his eyes as he gives a statement after first projections of the state election in German state Saarland have been announced at the party's headquarters in Berlin. A pair of upcoming German state elections could show whether the center-left Social Democrats can win back the momentum they need to deny conservative Chancellor Angela Merkel a fourth term. Sundays vote in Schleswig-Holstein and the May 14 election in North Rhine-Westphalia, Germanys most populous state, are the last tests at the ballot box before a national election in September. (ANSA/AP Photo/Markus Schreiber, file) [CopyrightNotice: Copyright 2017 The Associated Press. All rights reserved.]

Il 24 settembre la Germania deciderà il nome del suo prossimo Cancelliere, a sfidarsi Angela Merkel con la sua Unione cristiano democratica (Cdu) e il socialdemocratico Martin Schulz (Spd). Schulz prometteva di portare la Germania a sinistra, ma i risultati del voto nei Land tedeschi degli ultimi mesi non sembrano dargli ragione e anzi segnano un tre a zero per Angela Merkel. Tutto era iniziato a Marzo (ne avevamo parlato qui) con le elezioni per il rinnovo del Parlamento regionale del Land tedesco Saarland, ma quella che brucia di più è l’ultima clamorosa sconfitta dei socialdemocratici di Schulz, avvenuta ieri nella regione chiave della Renania Settentrionale – Vestfalia. Il land del Nord Reno – Westfalia infatti non solo, con i suoi 18 milioni di cittadini, è il più popoloso della Germania, ma è anche quello più a sinistra, il cuore del partito dell’ex presidente del Parlamento Europeo.
Lo spoglio assegna per ora circa il 34% dei voti alla Cdu di Merkel mentre il centro-sinistra di Schulz si è fermato al 31%, perdendo quasi 9 punti rispetto alle elezioni del 2012 dove si era attestato attorno al 39,1%. Batosta anche per i Verdi alleati di Spd che arrivano a un risicato 6% (la soglia di sbarramento del 5%per entrare nel parlamento regionale è fissata al 5%), un risultato quasi dimezzato rispetto alla tornata elettorale precedente nella quale avevano ottenuto l’11,33% dei consensi. E crollo anche per il partito di sinistra Die Linke, rischia quasi l’esclusione per poi mettersi in salvo con un 5% e garantirsi una rappresentanza.

Le ragioni della sconfitta della sinistra

Cosa ha pesato dunque sulla sconfitta del centro sinistra nella regione in cui la sua vittoria dovrebbe essere stata scontata? A giocare un ruolo fondamentale è stato sicuramente il tema della sicurezza, non è un caso infatti che i partiti che avevano una linea più dura sul tema siano stati premiati alle urne. L’Afd, partito di estrema destra arriva ad ottenere ben il 7,5% dei voti e anche il liberali dell’Fdp accrescono i loro consensi arrivando a un 12%.

 

A pesare sul crollo di Spd che aveva governato il land del Nord Reno – Westfalia negli ultimi 50 anni (dopo i risultati il presidente socialdemocratico del Land si è immediatamente dimesso), sono stati sicuramente anche i fatti di Colonia avvenuti lo scorso Capodanno, quelle molestie sessuali di massa in piazza che avevano sconvolto la Germania e l’Europa un anno e mezzo fa, facendo puntare il dito contro i migranti (e a dir la verità anche contro la Cancelliera del «welcome refugees»). A questo si sono poi uniti i vari attentati subiti negli ultimi mesi in altre città tedesche, contribuendo quindi a fare della sicurezza e della paura il tema centrale di una campagna elettorale in cui la sinistra a quanto pare non riesce ancora una volta a dare risposte concrete finendo per regalare voti alla destra e favorire il centro di Angela Merkel.

Prospettive per le elezioni nazionali del 24 settembre

Le elezioni nazionali sono lontane oltre quattro mesi, eppure il fatto che Spd sia crollata nella sua roccaforte e proprio dove risiedono ben un quinto dei voti dei cittadini tedeschi, mette in discussione le ambizioni di Martin Schulz. Merkel dal canto suo sembra riuscire a reggere con il suo temperamento moderato le spinte populiste che sembrano influire in modo radicale nelle ultime elezioni in Europa, si pensi all’ipotesi poi sventata di una vittoria di Le Pen, e negli Stati Uniti con il successo di Trump. La ragione della tenuta della Cancelliera (è in carica da ben dodici anni) è probabilmente da ricercarsi nei successi economici della sua politica. In Germania la disoccupazione è al 4,1 per cento e solo lo scorso week end il governo ha potuto annunciare non solo un record di esportazioni, ma anche che, di conseguenza, il denaro raccolto dalle sarà maggiore di quello pronosticato: ben 55 miliardi di euro in più entro il 2020.
Una ragione che a quanto pare, oltre alla sicurezza, sembrerebbe convincere i cittadini tedeschi a riconfermare per ora il loro voto per Merkel.

Qui, il Paese dove Cuffaro insegna ai corsi per giornalisti

L'ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro all'uscita dal carcere di Rebibbia, Roma, 13 dicembre 2015. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

“Identità personale e diritto all’oblio (ex Carta di Milano)”, il titolo dell’incontro nell’aula consiliare dell’ex provincia regionale ad Agrigento. Un corso di aggiornamento per giornalisti che avrebbe dovuto affilare gli strumenti professionali di una categoria ultimamente piuttosto bistrattata.

Accanto ai relatori i giornalisti che partecipavano al convegno si sono trovati anche lui, Totò Cuffaro. Sì, proprio lui, Totò Cuffaro, l’ex governatore della Sicilia condannato per mafia nell’ambito dell’inchiesta “Talpe alla Dda”. Quello stesso Totò Cuffaro che avvisava i mafiosi di essere intercettati e che eletto per essere “argine” ha preferito essere “scivolo” di Cosa Nostra.

Al suo fianco c’era il moderatore dell’incontro, Stelio Zaccaria, il caporedattore della redazione di Agrigento de “La Sicilia”, alla sua destra l’avvocato Salvatore Pennica, la giornalista Teresa Di Fresco, vicepresidente dell’ordine dei giornalisti di Sicilia, e Michelangelo Capitano, il direttore dell’istituto di pena minorile “Malaspina” di Palermo.

Quando Cuffaro ha preso la parola un giornalista (solo uno, uno solo) si è alzato e se n’è andato. Solo dopo il caso è diventato un caso. In questo Paese la meritocrazia è buona solo per la propaganda elettorale; poi ci si ritrova sempre la stessa schiera di falliti, colpevoli o condannati che chissà perché ci fanno pure la morale.

Il Presidente dell’Ordine dei giornalisti siciliani si è difeso dicendo che “Salvatore Cuffaro ha solo portato la sua testimonianza sul carcere a un corso di giornalisti sulla carta deontologica che riguarda le persone detenute, la Carta di Milano, non era relatore e non era invitato. Si è seduto occasionalmente al tavolo dei relatori per parlare della sua esperienza di detenuto e su come la gente detenuta vive il rapporto con gli organi di informazione”.

Si è imbucato alla festa, insomma. Solo che dopo essersi imbucato ha scelto la musica del ballo.

Avanti così.

Buon lunedì.

Otto per chi?

Preparativi in occasione del giuramento delle reclute delle guardie svizzere, Citta del Vaticano, 6 marzo 2017. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Giulio Tremonti ne vanta la paternità, è il protagonista di martellanti e costose campagne pubblicitarie, allo Stato sembra invece non interessare affatto. La Corte dei Conti ne chiede modifiche da anni e da anni resta inascoltata, il contribuente medio ne ignora il funzionamento. Che cos’è? È l’otto per mille, quella quota obbligatoria di Irpef che dobbiamo lasciare allo Stato o alla Chiesa cattolica o ad altre undici cosiddette confessioni di minoranza che hanno stipulato un’intesa ex art. 8 Cost. Obbligatoria, si diceva, a differenza del cinque per mille e del due, di fugace comparsa solo per lo scorso anno. Ma che più che a una tassazione coatta di sostegno ai culti si avvicina in effetti a un sondaggio di opinione: l’intero gettito viene infatti ripartito in base alle sole scelte espresse. Non firmare, anche se il contribuente spesso non lo sa, equivale a destinare la propria quota non allo Stato, bensì alle scelte degli altri. Con questo trucchetto al limite della truffa la Chiesa cattolica nella ripartizione 2016 dei redditi del 2012 con il 36,7 % delle preferenze si è aggiudicata l’80,9 dell’importo complessivo (un miliardo e passa).
La stortura dell’intero sistema, dalla mancata proporzionalità alla pressoché totale carenza di informazione al cittadino, alla opacità perdurante sull’utilizzo dei fondi, così come sottolineate a più riprese dalla Corte dei Conti, è accentuata dal fatto che solo il 45% dei contribuenti esprime una scelta.

Il restante 55% comunque concorre, volente nolente e a sua insaputa che sia, a quel miliardo alla Chiesa Cattolica di cui sopra. Che, fra parentesi, lo utilizza in massima parte per “esigenze di culto”, mentre all’obiettivo originario di sostentamento del clero, abolita la vecchia congrua, va appena il 36% dell’introito. Ai “poveri bimbi dell’Africa” e agli aiuti al Terzo Mondo in generale… l’8,6%.

Al contrario, alcune confessioni “virtuose” hanno rinunciato per anni alle quote derivanti da scelte inespresse, decidendo di trattenere solo quelle a loro esplicito favore. Inoltre, la Tavola Valdese in testa, alcune rifiutano di utilizzare le risorse per esigenze di culto. Purtroppo anche questi tentativi di sottolineare il problema cadono nel vuoto.Anche perché, ulteriore paradosso del meccanismo, lo Stato è di fatto un competitor inesistente. Non si fa alcuna pubblicità, anche se avrebbe potuto utilizzare quanto ricevuto per la ricostruzione e l’adeguamento antisismico degli edifici scolastici. Adesso il problema nemmeno si pone più, visto che fino al 2026 l’otto per mille statale sarà destinato esclusivamente ai beni culturali.

Non aiuta infine che, come da più inchieste segnalato, siano spesso gli stessi Centri di assistenza fiscale non solo a non fornire corrette informazioni, ma direttamente a pilotare le scelte.
Eppure modificare il meccanismo sarebbe anche possibile, oltre che logico e auspicabile. Basterebbe una piccola variazione alla legge 222 del 1985 che è sì di derivazione concordataria, ma non coperta dal diritto internazionale. Ma nessuno che abbia mai, in tutti questi anni e nonostante esplicita previsione normativa, pensato perlomeno di rivedere al ribasso la quota.In ogni caso la torta risulta talmente appetibile che da più parti giungono ostacoli all’allargamento del novero dei beneficiari, come i Testimoni di Geova o le comunità islamiche. O perché no, associazioni esponenziali di cosmogonie atee e agnostiche.
Insomma una partita (di poker?) dal piatto miliardario, ma a carte truccate e sempre con gli stessi giocatori. Non passiamo, però: andiamo a vedere.
*UAAR Unione degli atei e degli agnostici razionalisti

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Il virus invisibile del razzismo

epa04925174 A refugee looks through the fence of the central refugee reception centre of Mecklenburg-Western Pomerania, in Horst, Germany, 11 September 2015. EPA/JENS BUETTNER

Probabilmente, se il 7 maggio scorso il giovane maliano di 31 anni non avesse deciso di suicidarsi lungo i binari in prossimità della Stazione centrale di Milano, davanti a centinaia di passeggeri dei treni in transito, la sua morte non sarebbe finita sui giornali. Era uno dei tanti cittadini stranieri “invisibili” che vivono in Italia nei centri di accoglienza con il permesso di soggiorno per protezione internazionale (ca. 180mila, fonte “Rapporto Osservasalute 2016”). Le cronache riportano che la sua identificazione è stata possibile grazie al rilievo delle impronte digitali. Era nel nostro Paese da almeno un anno e mezzo. E il suo permesso di soggiorno per motivi umanitari era in corso di rinnovo a Modena. Si era lasciato alle spalle un Paese che dal 2012 è lacerato da un conflitto alimentato, specie al nord e da qualche tempo anche al centro, da gruppi di miliziani jiahidisti legati ad Al Qaeda. L’invisibile di Milano era un migrante forzato, uno degli oltre 5mila cittadini maliani arrivati in Italia tra il 2015 e i primi mesi del 2016 per fuggire alle atrocità della guerra. La cause del gesto estremo sono ignote ma fanno inevitabilmente pensare a una grave depressione ed è lecito chiedersi se poteva essere evitato e se il disagio del ragazzo era stato intercettato e adeguatamente seguito nelle strutture in cui ha vissuto. La salute – compresa quella mentale – non è solo un diritto costituzionale, è un diritto umano. Peraltro è pur vero che a volte la diffidenza e la paura di essere rimpatriati, alimentate da campagne stampa xenofobe, nonché una scarsa conoscenza del nostro sistema sanitario, spinga gli stranieri in difficoltà lontano da chi potrebbe curarli. Per fare chiarezza su quali siano le problematiche da affrontare nell’approccio medico con i migranti rifugiati o richiedenti asilo, Left ha rivolto alcune domande a Rossella Carnevali, psichiatra e psicoterapeuta.

Certe esperienze possono minare la salute di un individuo in misura molto profonda? «Certo, ma questo non basta altrimenti i migranti che arrivano in Italia dopo aver sfiorato la morte ogni secondo del loro viaggio dovrebbero ammalarsi tutti, invece non è così. A seconda della storia di vita e dello sviluppo dell’identità, ogni essere umano è in grado di resistere in misura maggiore o minore agli eventi avversi o traumatici o alle delusioni e quindi cadere o meno nella malattia. La migrazione, in quanto cambiamento radicale della vita dell’individuo, rappresenta di per sé un fattore stressante ma la reazione a tale evento non è sempre patologica e dipende da diversi fattori, individuali e non». Ciò detto, aggiunge Carnevali, «gli immigrati hanno una vulnerabilità alle patologie mentali maggiore rispetto a quella della popolazione ospitante: un rifugiato su 10 soffre di disturbo postraumatico da stress (Ptsd), uno su 20 di depressione, e maggiore è anche l’incidenza di schizofrenia tra gli immigrati di I ma soprattutto di II generazione».

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Palestina, disobbedienza civile per la dignità

TOPSHOT - Palestinian protesters clash with Israeli security forces following a protest in support of Palestinian prisoners on hunger strike in Israeli jails, near the Jewish settlement of Beit El, north of the West Bank city of Ramallah April 27, 2017. / AFP PHOTO / ABBAS MOMANI (Photo credit should read ABBAS MOMANI/AFP/Getty Images)

Tra resa e deriva terroristica c’è un’altra strada praticabile. La strada della rivolta popolare non violenta, della disobbedienza civile. È una lezione straordinaria che ci viene dal Venezuela e da una terra martoriata, oppressa: la Palestina. E a dare una lezione di coraggio e un messaggio forte di resistenza sono i palestinesi incarcerati nelle prigioni israeliane. Nel disinteresse, colpevole, dei media internazionali, da giorni migliaia di prigionieri palestinesi hanno avviato uno sciopero della fame. E a darne conto è l’uomo-simbolo della resistenza palestinese: Marwan Bargouthi, l’ex segretario generale di al-Fatah in carcere dal 2004 in Israele dove sta scontando cinque condanne all’ergastolo per aver pianificato attacchi mortali contro israeliani durante la Seconda Intifada.  Non c’è una famiglia palestinese che non abbia avuto un suo membro incarcerato. È la ferita di un popolo. Una ferita mai rimarginata. «Se mio padre è un terrorista, lo è stato anche Nelson Mandela», ha affermato al quotidiano israeliano Haaretz Aarab Barghouti, il figlio di Marwan. Può apparire un parallelo forzato, ma esso contiene una rivendicazione al diritto alla resistenza di un popolo sotto occupazione contemplata anche dalla Convenzione di Ginevra. «Mio padre, era e resta un sostenitore della soluzione dei due Stati (Israele e Palestina) e della applicazione della legge internazionale e delle risoluzioni dell’Onu per entrambi i popoli. Allo stesso tempo è convinto che questo governo israeliano, queste controparti israeliane, non siano partner per un accordo. Perché portano avanti ogni giorno le politiche di occupazione più dure e aggressive, dalla costruzione delle colonie nella nostra terra alla demolizione delle nostre case…», afferma, in una intervista al Manifesto, Qassam Barghouti, figlio 32enne del dirigente politico palestinese, a sua volta ex detenuto in Israele dove ha scontato una condanna a quattro anni.

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Il Mediterraneo dei diritti perduti

TOPSHOT - Migrants and refugees are rescued during an operation at sea with the Aquarius, a former North Atlantic fisheries protection ship now used by humanitarians SOS Mediterranee and Medecins Sans Frontieres (Doctors without Borders), on May 24, 2016 in the Mediterranean sea in front of the Libyan coast. / AFP / GABRIEL BOUYS (Photo credit should read GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images)

Nel mare al largo della Libia, nella notte tra il 6 e 7 maggio, il radar permette di capire ciò che sta accadendo in quel preciso momento meglio di un qualsiasi rapporto ufficiale. Nell’immagine del tracciato – pubblicato da La Stampa – si vede un grande punto verde al centro, la nave della Ong, e una trentina di puntini gialli, i gommoni con i migranti che si avvicinano fino a circondare l’imbarcazione umanitaria. Nessuna traccia dei mezzi targati Frontex. L’agenzia europea che ha il compito di presidiare le coste, non c’era con i suoi mezzi in quel braccio di mare del Mediterraneo centrale ormai segnato da una lunga scia di sangue. Eppure il primo fine settimana di maggio è stato eccezionale per il numero di partenze dalle coste libiche. Oltre 7mila persone hanno attraversato il Mediterraneo per raggiungere l’Italia e domenica 7 maggio, secondo quanto ha riferito l’Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni) in un naufragio si sono salvate 7 persone mentre 113 sono quelle disperse. Un’ennesima tragedia che porta, secondo l’Unhcr il numero delle vittime dall’inizio dell’anno a oltre 1150. Sui gommoni fatiscenti – a cui gli scafisti tolgono anche il motore in vicinanza delle imbarcazioni delle Ong – viaggiano 100-150 persone e a bordo, a differenza di qualche tempo fa, non ci sono telefoni satellitari. Rintracciare quei puntini gialli diventa così sempre più difficile da parte di chi effettua attività di soccorso in mare. Siamo di nuovo in una fase di emergenza, tenendo conto che sono già oltre 43mila gli arrivi nel 2017? «Così non può continuare», scrive in una nota ufficiale Filippo Grandi, l’Alto commissario Onu sui rifugiati. Che chiede di «affrontare le motivazioni alla base delle migrazioni» e di offrire «alternative sicure a queste pericolose traversate» a tutte quelle persone che hanno bisogno di protezione internazionale e che vogliono raggiungere l’Europa o per ricrearsi una vita lontano dalle guerre e dalla fame o per ritrovare i familiari partiti prima di loro.

Le Ong criminalizzate

L’escalation di sbarchi avviene in un momento particolare. Da qualche settimana nei confronti delle Ong, dopo le dichiarazioni del procuratore della Repubblica di Catania Carmelo Zuccaro, infuria quella che Riccardo Noury, portavoce di Amnesty international Italia non esita a definire una campagna mediatica «fatta di insinuazioni, sospetti, attacchi senza prove concrete». Il rischio è quello di delegittimare e stigmatizzare l’attività di quelle organizzazioni non governative che hanno sostituito in qualche modo Mare nostrum, l’operazione di salvataggio promossa dal governo Letta subito dopo la tragedia del 3 ottobre a Lampedusa e terminata il 31 ottobre 2014, quando subentrò la missione Triton di Frontex, che, però, non ha come obiettivo la ricerca e il salvataggio. E gli effetti si vedono. Nel rapporto 2016 della Guardia costiera, le Ong hanno salvato 46.796 persone nel Mediterraneo centrale, la sola Frontex (eccetto unità italiane) 13.616. «Se si cominciasse a sequestrare le imbarcazioni e a criminalizzare le attività delle singole persone a bordo delle navi umanitarie, questo vorrebbe dire oltre al danno la beffa», continua Riccardo Noury. Il danno, perché le Ong «volontariamente hanno preso il posto dei Paesi europei che hanno rinunciato a questa attività di ricerca e soccorso in mare» e la beffa, ovviamente, perché mentre fanno questo lavoro scomodo poi vengono penalizzate. E lo sono già, perché le donazioni stanno diminuendo e questo è un danno enorme. Il 3 maggio davanti alla Commissione Difesa del Senato il procuratore di Catania ha parlato di nuovo dei presunti legami tra organizzazioni non governative e i trafficanti di esseri umani libici. Prove concrete non ci sono ma le informazioni, ha detto Zuccaro, si basano sui dati forniti da Frontex e dalla Marina. Di un documento dell’agenzia europea si era cominciato a parlare a dicembre dello scorso anno, oggetto anche di un’inchiesta del Financial Times.

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Rifiutare l’oppressione del neoliberismo è più che mai vitale, parla Luis Sepùlveda

MILAN, ITALY - APRIL 23: Luis Sepulveda attends the 'Io Leggo Perche'' Photocall on April 23, 2015 in Milan, Italy. (Photo by Vincenzo Lombardo/Getty Images)

Nel tuo ultimo romanzo, Fine della storia pubblicato in Italia da Guanda attraversi latitudini e ripercorri momenti storici diversi, combinando fatti realmente accaduti e finzione. In queste pagine e nel personaggio di Belmonte quanto c’è della tua storia personale?

Belmonte e io condividiamo molte cose; abbiamo lo stesso passato da militanti, siamo stati quasi negli stessi posti e abbiamo conoscenti in comune.

Hai dedicato il libro alla tua compagna, la poetessa Carmen Yáñez, la prigioniera 824 di Villa Grimaldi. In questo centro di tortura della polizia segreta di Pinochet “regnava” Miguel Krassnoff che ha accumultao condanne per 460 anni di carcere per crimini di lesa umanità. Anche tu sei stato prigioniero della dittatura. Cosa ha significato a livello personale indagare su fatti di quel periodo storico per la costruzione del romanzo?

Non è mai semplice affacciarsi sull’abisso dell’orrore. L’inchiesta è stata soprattutto una conferma di ciò che sapevo già. Tuttavia mi ha permesso di mettere in ordine le informazioni e trasformare dati, nomi e notizie in letteratura. In ogni caso, affrontare situazioni del recente passato che hanno a che fare con i campi segreti di detenzione, con la tortura e le sparizioni forzate, è qualcosa che faccio con completa delicatezza e pudore, per rispetto verso le tante persone che hanno subito questi crimini.

L’ombra di quello che eravamo e dei fatti che sono accaduti in quegli anni in America Latina, ci accompagna sempre. Pensi che manchi una memoria collettiva, al di là di quella personale, che consenta di evitare che la storia si ripeta?

Il problema non è se ci sia o no memoria collettiva. Il problema è l’intenzione di annientare la memoria collettiva, di cancellare la storia e tutti quei fatti che oggi risultano scomodi al potere. Per esempio mentre ti rispondo, in Argentina, il governo di Macri sta liberando dei delinquenti condannati più volte per crimini contro l’umanità. Si tratta di torturatori, assassini, ladri di beni delle vittime della dittatura civico-militare degli anni 70. La legge dell’obbedienza dovuta (emanata nel 1987 allo scopo di sollevare i militari dalle responsabilità, senza possibilità di prova contraria, ndr), le amnistie, gli indulti, le liberazioni di criminali “per ragioni umanitarie” hanno avuto e hanno come obiettivo l’oblio dei crimini, l’eliminazione della memoria collettiva e della storia.

Sempre per Guanda è appena uscito in Italia Vivere per qualcosa, un dialogo a tre con José “Pepe” Mujica e Carlo Petrini sulla felicità. Cos’è la felicità per Luis Sepúlveda e per chi e cosa vale la pena vivere?

L’intervista a Sepulveda continua su Left in edicola

 

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Robot alleati dell’uomo. Le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale

Accogliamo e pubblichiamo  l’interessante contributo alla discussione sull’impatto della robotica sul mondo del lavoro di Paolo Gambacciani e Lorenzo Cei studenti del corso di laurea specialistica in Politica Istituzioni e Mercati, dell’Università di Firenze

Il World Economic Forum stima che entro il 2020 oltre 7 milioni di lavoratori saranno sostituiti da robot o da “programmi intelligenti”. Già da alcuni anni, molte imprese hanno cominciato a sostituire i propri dipendenti con queste macchine. È successo di recente in Giappone, dove una compagnia assicurativa, la Fukoku Mutual Life, per aumentare la sua produttività del 30%, ha licenziato 34 suoi impiegati per sostituirli con Watson, il nuovo sistema d’intelligenza artificiale dell’IBM.
La scienza e il progresso possono anche danneggiare gli uomini, ma questo succede quando nascono dalle domande sbagliate; non si può pensare che qualsiasi innovazione, come quelle della robotica, sia automaticamente da interpretare in termini catastrofici o allarmistici. La sfida dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AI*IA) è proprio questa: possiamo indirizzare la ricerca verso il bene sociale?
Su questo, lo scorso 11 maggio presso la Scuola di Scienze Politiche Cesare Alfieri dell’Università di Firenze, si è tenuto un convegno dal titolo Uomo e Robot: metamorfosi di un’alleanza. Il convegno ha cercato di inquadrare i progressi dell’intelligenza artificiale per inquadrare i possibili usi di questi nuovi mezzi.
Le funzioni e le mansioni che le macchine possono compiere sembrano già straordinarie e, proprio per questo, oggetto di crescente attenzione e discussione. Queste tecnologie possono non solo sostituire gli umani per funzioni meramente ripetitive, automatiche e pratiche, ma sono anche in grado di pianificare strategie e produrre strumenti di supporto alle decisioni.
Se in un primo momento, queste impressionanti conquiste della scienza e della tecnologia sembrano foriere più di difficoltà che di benefici per il genere umano, non dobbiamo però cedere alla tentazione di assecondare qualche luogo comune, immaginandoci un futuro alla Blade Runner.  A dirlo è lo stesso Piero Poccianti, vicepresidente dell’AI*IA, “a obiettivi giusti corrispondono strumenti giusti”.
Come spiega la docente di economia politica all’Università di Firenze, Anna Pettini,i prodotti della nuova ricerca possono essere utilizzati per l’uomo e non contro l’uomo, per facilitare le esperienze lavorative e non per sopprimerle, come strumenti di supporto nella protezione dell’ambiente, alla misura del benessere, o nei compiti più alienanti dell’industria. Proprio questa varietà di soluzioni e ambiti di applicazione è stata approfondita nel corso del convegno.
D’altro canto, è risaputo che a innovazioni e a scoperte radicali sono sempre seguiti drastici cambiamenti, cui hanno fatto seguito la scomparsa di alcuni lavori, insieme alla creazione di nuove opportunità. La stampa, ad esempio, ha fatto perdere il lavoro ai copisti, però ha permesso al sapere di diffondersi. Gli esempi di questo tipo, in relazione all’applicazione e all’uso della scienza e della tecnologia, sono moltissimi. Si tratta ora di distinguere tra quelli che tengono conto del bene comune.
L’importanza del convegno è stata quella di affrontare la domanda: “Possono le scienze informatiche e ingegneristiche e le scienze sociali contaminarsi per fare sì che una società futura, dominata dalla robotica, sia indirizzata verso dei fini giusti?”
È palese che l’intelligenza artificiale creerà novità nel mondo del lavoro, ma se queste macchine fossero inserite in un contesto dove non ci fosse un modello economico che punti unicamente alla massimizzazione del profitto, esse potrebbero non portare a una crisi occupazionale.
L’idea, come afferma Amedeo Cesta (Presidente dell’AIIA), è allora quella di invitare le persone e gli studiosi “a battersi perché le macchine siano un sostegno dei più deboli e non solo uno strumento per i più ricchi”.
La robotica è una ricerca in piena espansione. Considerati gli “ingredienti” del suo successo, la facile previsione è che tale sviluppo conoscerà nel prossimo futuro un ulteriore incremento. C’è dunque la necessità di governare questi processi. A questo proposito, uno dei primi segnali provenienti dalla politica è stato lanciato dall’amministrazione Obama attraverso due documenti nei quali si invita alla necessità di far coesistere opportunità di sviluppo economico e sociale da una parte, e protezione per le fasce di popolazione svantaggiate da tali innovazioni, dall’altra.
Alle domande socialmente rilevanti e al dialogo fra le scienze dovrà poi rispondere la politica. In tal senso, l’incontro tenuto a Firenze risponde alla necessità di instaurare un dialogo virtuoso. E magari, chissà, potremmo immaginare un mondo in cui alla ricerca informatica si chiederà di garantire maggiore sicurezza del lavoro, minore ripetitività, e perciò più tempo e possibilità di realizzare creatività, fantasia, e rapporti umani validi che sono gli ingredienti di una società realmente prospera.

“Roma moderna” e non solo. A Roma in mostra gli scatti di Insolera

Roma moderna è un testo sacro, riferimento per architetti e urbanisti, lettura obbligata per generazioni di militanti romani, della sinistra e non solo. È il ritratto di Roma, la sua storia urbanistica (e quindi sociale e politica). E il suo autore, Italo Insolera, professore e architetto, è forse il più noto degli urbanisti italiani.

Meno noto è che, nato a Torino il 7 febbraio 1929 e morto a Roma il 27 agosto 2012, Insolera è stato anche fotografo e che il suo lavoro di studio dell’Italia è stato quindi documentato in centinaia di scatti. Alcuni di questi sono in mostra a Roma, al Museo di Roma in Trastevere, dal 12 maggio al 9 luglio. Sono 50 fotografie, inedite, scattate tra l’immediato dopoguerra e gli anni Ottanta.

«Le sequenze giovanili – scrivono le curatrici Cristina Archinto e Alessandra Valentinelli – ritraggono la Roma in cui Insolera si laurea nel 1953, la Sicilia e l’Abruzzo dove lo conducono i primi incarichi professionali; è l’urbanista maturo che fotografa in Sardegna o in Valnerina e al taglio sobrio delle architetture sostituisce i segni dell’uomo su città e paesaggi. Negli anni Settanta Insolera torna a indagare le “Mirabilia Urbis” descritte dall’amico Antonio Cederna; uno sguardo critico che si traduce in immagini sempre più contrastate, vitali, sferzanti, svelando la tensione ideale che tanto ha caratterizzato i suoi saggi e oggi ne ripropone l’attualità».

Left vi propone un’anteprima della mostra con questa gallery e, insieme, vi lascia un video dal sito di Rai Storia. Insolera, nel filmato, che è del 1962, presenta la prima edizione di Roma moderna, aggiornata poi nel 2011 con Paolo Berdini. Buona visione!