Home Blog Pagina 955

Otto anni di Obama negli scatti foto del fotografo ufficiale della Casa Bianca

7 marzo 2015 L'anniversario della marcia di Selma, Alabama

Per otto anni Pete Souza, qui sotto, ha seguito ogni passo di Barack Obama e ne ha fotografato la presidenza. Abbiamo raccolto una serie di foto dal suo account Flickr. Alcune sono molto belle

Prima del ballo inaugurale

 

Con Bo, il cane della Casa Bianca

29 gennaio 2010, riunione nello studio ovale

La salita al Cristo redentore di Rio de Janeiro

Sull’autobus dove sedette Rosa Parks

In visita alle popolazioni colpite dall’uragano Sandy in New Jersey

Giugno 2014 Con Putin dopo l’anniversario del 70esimo dello sbarco in Normandia

Aprile 2014, il commento di Obama: «Le due coppie di orecchie più famose di Washington

7 marzo 2015 L’anniversario della marcia di Selma, Alabama

Con gli attori di Hamilton

Con la squadra di calcio femminile degli US, campione del mondo 2015

Obama non ha mai smesso di giocare a basket

A Londra con George, il nipote di Elisabetta II

Con Bill Murray, primo tifoso dei Chicago Cubs, che quest’anno hanno vinto le World Series di Baseball

Michelle Obama con Ellen De Generes, più famosa conduttrice Tv d’America

Dopo l’elezione di Tajani, i socialdemocratici si spostano a sinistra

European Transport Commissioner, Italian Antonio Tajani gives a news conference on European Union's satellite navigation system, Galileo at the EU Commission headquarters in Brussels, Belgium, 07 January 2010. ANSA/OLIVIER HOSLET

Secondo un’analisi del giornalista Sarantis Michalopoulos, pubblicata su Euractiv, l’elezione di Antonio Tajani alla presidenza del Parlamento europeo, potrebbe portare a un riavvicinamento del Gruppo dei socialisti e democratici europei (S&D) al fronte progressista della Sinistra unitaria europea e della Sinistra verde nordica (Gue/Ngl).

Del resto, il candidato alla presidenza del Parlamento del Gruppo del S&D, Gianni Pittella, aveva già annunciato, prima del voto, la fine della “grande coalizione” con il Gruppo del partito popolare europeo (Ppe). E la sfida delineatasi tra Pittella e Tajani ne è stata una diretta conseguenza.

Michalopoulos ha raccolto alcuni commenti dei deputati europei dell’area socialdemocratica. Secondo questi «la partenza di Martin Schulz ha sollevato la maggioranza dei parlamentari S&D, in quanto permette un percorso di “auto-determinazione” politica». Secondo l’analisi di Michalopoulos, il percorso di avvicinamento del S&D al Gue/Ngl sarebbe in realtà già iniziato in autunno e sarebbe una conseguenza della crescita di consensi della destra radicale in Europa.

Le stesse fonti socialdemocratiche di cui sopra (che però rimangono anonime), avrebbero spiegato che, a livello europeo, «è iniziata una fase nuova, guidata da una coalizione tra popolari e conservatori […] Sebbene non sia nostra intenzione bloccare il processo legislativo, dobbiamo prima confrontarci con le forze progressiste nel Parlamento».

Allo stesso tempo, l’area socialdemocratica sta puntando il dito contro il leader del Gruppo del partito europeo dei liberali, democratici e riformatori (Alde), Guy Verhofstadt, il quale sarebbe responsabile del «viraggio vero destra del Parlamento europeo».

Ma il Gue/Ngl è veramente disponibile a un’alleanza programmatica con il S&D? Difficile crederlo dopo anni di scontri su temi fondamentali. Michalopoulos stesso scrive che «dipenderà molto dalla capacità dei due gruppi di trovare un terreno d’incontro su temi come il Ceta», per esempio.

Leggi anche:

FranciaLe MondeDomenica si vota per le primarie del Partito socialista. Ma gli ultimi sondaggi indicano che in ogni caso la “lotta” finale sarà tra Fillon e Le Pen

EuropaHandelsblatt L’inflazione aumenta in Germania, ma rimane debole nel resto d’Europa. Come si muoverà la Banca centrale europea (BCE) nei prossimi mesi?

il cinema di Andrej Tarkovskij nello spazio dei sogni

Tarkovskj, Stalker

Un bambino innaffia una pianta rinsecchita. Nonostante sembri ormai andata, il bimbo continua a darle acqua. Un gesto bello ma del tutto inutile sul piano pratico. È una scena di Tarkovskij e una splendida metafora dell’arte che non serve, materialmente, a niente, ma è linfa vitale per la nostra vita interiore.  Come il regista stesso ha scritto in Scolpire il tempo, un libro in cui  parlava del senso più profondo del fare arte e che ora torna in libreria in una nuova edizione curata dal figlio del regista, che come lui si chiama Andrej e che da anni si occupa dell’Istituto Tarkovskij di Firenze dove sono costuditi cinquemila documenti  (compresi i diari scritti a mano dal regista russo), settemila fotografie, e moltissimo materiale video. Una straordinaria miniera per chi voglia studiare l’opera di Andrej Trakovskij. Una restrospettiva nello Spazio Alfieri invita a riscoprirla, dal 26 al 29 gennaio. Giovedì 19 gennaio, intanto, allInstitut Français di Firenze viene presentato Andrej Tarkovskij, il ricordo, un omaggio al regista realizzato da Andrej A. Tarkovskij  realizzato nel 1990, ma praticamente inedito.  Sarà Charles H. de Brantes, direttore de l’Institut International Tarkovskiij di Parigi a presentarlo alle 18, prima del concerto su poesie di Arsenij e Andrej Tarkovskij, Un bianco, bianco giorno, interpretato dal vivo da Stefano Maurizi al pianoforte e da Consuelo Ciai, come voce recitante.

Andrej Tarkovskij

Proprio Firenze  fu la città  che il regista russo scelse come luogo di esilio dopo che  nel corso degli anni Settanta arrivò alla dolorosa decisione di lasciare l’Unione Sovietica. Con lui c’era la moglie Lara mentre il figlio, Andrej rimase a Mosca, in ostaggio. Ebbe il permesso di uscire  dall’Urss solo a 16 anni per andare a trovare il padre che a 54 anni stava morendo di cancro in in ospedale a Parigi. 

In Italia  Andrej Tarkovskij strinse amicizia con  lo sceneggiatore e regista Tonino Guerra, con il quale condivideva un’idea di cinema evocativo e poetico. Mentre l’arte e i paesaggi della Toscana non furono solo uno sfondo, ma diventarono presenza viva in film come Nostalghia  (1983) girato nelle antiche terme di Bagno Vagnoni,  nell’abbazia scoperchiata di San Galgano, nelle terre di Piero della Francesca ad Arezzo, con una indimenticabile scena in cui Domiziana Giordano compare a Monterchi, di fronte alla Madonna del parto. 

Domiziana Giordano in Nostalghia

La pittura è sempre stata una passione del regista, che al più grande pittore di icone russe Andrej Rublev (1966) dedicò un film bellissimo, che si presentava anch’esso come riflessione sul senso più profondo dell’arte.  Quando lo girò Andrej Tarkovskij aveva solo 33 anni. Lavorò alla sceneggiatura insieme ad Andrej Michalkov-Konchalovskij ma il film fu osteggiato dalla burocrazia russa e non riuscì a circolare. Fu  distribuito in Occidente solo anni dopo.  Lo si potrà rivedere su grande schermo a Firenze grazie a questa preziosa rassegna nello Spazio Alfieri, storico spazio del cinema d’autore.  Verrà riproposto, fra molti altri capolavori di Tarkovskij , insieme al coraggioso L’infanzia di Ivan, (1962) che sfidava i dogmi del realismo socialista imperante allora in Unione Sovietica.

Tarkovskij Solaris

Ma da non perdere  anche il fantascientifico Stalker, uno dei film più potenti e visionari di Tarkovskij., l’autobiografico Lo spcchio e il film testamento Il sacrificio (1986) che Tarkovskij girò in Svezia, nella terra di Ingmar Bergman che gli dedicò parole bellissime nel libro Lanterna Magica: «Quando il film non è un documento, è un sogno. Per questo Tarkovskij è il più grande di tutti. Lui si muove con assoluta sicurezza nello spazio dei sogni, lui non spiega e, del resto, cosa dovrebbe spiegare? È un osservatore che è riuscito a rappresentare le sue visioni facendo uso del più pesante e del più duttile dei media. Per tutta la mia vita ho bussato alla porta di quegli spazi in cui lui si muove con tanta sicurezza».

Tarkovkij Sacrificio

 

 

Americani a Roma anti Trump: «Non abbiamo paura e non staremo in silenzio»

C’è chi ha aperto una scuola d’inglese, chi fa l’avvocato, chi lavora nel campo del marketing oppure c’è chi è semplicemente studente. Moltissimi sono millennials. Arrivano da New York ma anche dal Texas, da Seattle o dall’indiana. In Italia per lavoro, per amore, per una scelta di vita. Sono gli Americans expats for change di Roma che in occasione dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca hanno deciso di far sentire la propria voce. Una voce di sinistra, naturalmente.

Saranno impegnati venerdì 20 al Ponte Sisto (Piazza Trilussa dalle ore 15.30, qui le info). Il gruppo, una sessantina di persone, si è formato subito dopo l’elezione di Trump, il 9 novembre. «Di fronte a questo episodio inedito e sconvolgente ci siamo guardati intorno cercando tra noi qualche conforto. Ed è nato un movimento trasversale», racconta in un italiano perfetto l’avvocato Michael Stiefel, a Roma dal 1988. Con striscioni in cui si ribadisce un rifiuto netto contro ogni tipo di razzismo – Bridges not Walls, Love Trump’s Hate, Le razze umane non esistono – gli attivisti vogliono manifestare un pensiero completamente opposto a quello dimostrato da Trump in tutti questi mesi. Una presa di posizione netta da parte di persone che si sentivano rappresentate più da Sanders che da Clinton e che adesso non rinunciano a continuare un percorso a sinistra, per il rispetto dei diritti umani.

«Il nostro messaggio è diverso da quelli che spesso si sentono dagli altri gruppi nei media» afferma l’organizzatrice Tanya Halkyard. È la politica della paura alimentata dall’hate-speech, il muro da abbattere. Quella politica della paura che «tende a menomare i nostri diritti sul luogo di lavoro e in casa, lacerando le nostre comunità e lasciando il futuro del nostro pianeta in bilico», si legge nel sito. Da una parte del mondo anglosassone in questo periodo giungono messaggi che parlano di chiusura e di isolazionismo, come accade in Gran Bretagna con la premier Theresa May che esalta l’uscita dall’Ue e dal mercato comune dopo la Brexit. Per questo motivo, dicono gli Americans expats for change occorre costruire ponti per un dialogo che sia costruttivo.

Sabato 21 si replica al Pantheon. Dalle ore 11 alle 14, in contemporanea con la Womans in March che si svolge in un centinaio di città in tutto il mondo una mobilitazione a cui hanno aderito diverse associazioni: oltre ad American Expats for Positive Change, Democrats Abroad – Italy, Pantsuit Nation Italy e Us Citizens for Peace and Justice.
Racconta Elizabeth Farren, insegnante e scrittrice e madre di due bambini, portavoce del gruppo che ha organizzato la manifestazione nel cuore di Roma e che si è mosso con input individuali. «Noi non rimarremo in silenzio. Vogliamo dimostrare che non abbiamo paura e che non rinunceremo ai diritti delle donne, ai diritti civili, a una democrazia che ci difenda. C’è chi ha paura negli States ma noi no» Elizabeth parla di una “guerra culturale”, di una «polarizzazione che comincia da più di venti anni, ma adesso il vento ha soffiato sul fuoco».

Durante la manifestazione sono previsti interventi di docenti universitari, giornalisti, attivisti impegnati nel sociale: Rula Jebreal, giornalista e scrittrice, commentatrice Cnn e volto noto anche agli italiani, Loretta Bondì, Director, International Projects BeFree Social Cooperative, Casa Internazionale delle Donne, Mary Stuart-Miller – Project Rome/Tiburtina Tuesday – providing food/assistance to homeless/poor,
Marianna Occhiuto – Casa Scalabrini 634 – assistenza a rifugiati e richiedenti asilo politico
Irene Caratelli, Director of Program on International Relations and Global Politics, American University of Rome e Sandro Portelli, professore emerito a La Sapienza, scrittore e grande esperto di cultura americana.

Le manifestazioni di Roma sono strettamente legate anche a quelle di Londra. Anche nella capitale inglese si terrà una doppia protesta, il venerdì e il sabato (info qui). C’è chi ha messo in relazione il movimento pro diritti civili scaturito dall’elezione di Trump a quello di Occupy Wall Street o addirittura alla rivolta contro la guerra nel Vietnam. Vedremo, intanto, come fa notare anche Elizabeth Farren, si tratta di un movimento globale che anche grazie alla rete riesce a organizzarsi e a condividere contenuti…

Caro sciacallo, l’essere Salvini non ti perdona

Qui nelle zone terremotate c’è bisogno di tutto tranne che di Salvini, scriveva ieri la deputata Beatrice Brignone. Quando la natura decide di ostinarsi con lo scompiglio gli avvoltoi sono solo i vigliacchi predatori delle briciole di rabbia che cadono dalla disperazione. Scrivere pochi minuti dopo l’ennesima scossa di terremoto che appiattisce gli scheletri delle case in territori accampati «Continue scosse di #terremoto in Centro Italia, neve e gelo. Altro che “migranti”, che il governo aiuti subito questi italiani!» è una volo in picchiata da sciacallo vigliacco.

Fare campagna elettorale sulla distruzione e il fiaccamento della speranza è un gioco che non funziona più, caro Matteo. Puoi grattare lo stomaco di chi ha ancora un briciolo di miseria e di ignoranza per rispondere alla tua chiamata alla guerra da disperati ma sarà un gioco breve perché prima o poi vinceranno la misura e la memoria.

La misura dice che un conato sugli immigrati non ha niente a che vedere con la cura attiva degli italiani. Se tu ti occupassi di loro avresti molto meno tempo per rilanciare le false notizie di falsi stupri di quegli altri per occuparti di politiche attive in difesa dei tuoi. La rabbia è comandante di un esercito pronto a tradire al prossimo imbonitore e la tua invettiva suona ormai come una litania bolsa e insulsa.

Che hai fatto tu, Salvini, per i terremotati? Quando in Europa si votava per i fondi per i terremotati tu, viscido Matteo, eri assente per qualche tua acrobazia da imbonitore. Parli e non voti. Recrimini e non fai il tuo mestiere. Sei un clandestino del Parlamento Europeo e sei a capo di un partito che in diamanti c’è costato più di qualsiasi orda di immigrati.

Caro sciacallo, l’essere Salvini non ti perdona. Passerai presto come passano i politici, frantumato da un Bossi redivivo o da un Berlusconi che ti rimetterà a cuccia, e i tuoi cani arrabbiati verrano a morderti.

Buon giovedì.

Comincia l’era Trump e la sinistra si attrezza. Venerdì un milione in strada? Ecco cosa succederà

Il 20 gennaio 2008 a Washington c’erano un milione e 800mila persone e il giuramento di Obama fu una enorme festa. Nel 2010 gli Stati Uniti furono attraversati da un grande movimento di destra. A un anno dall’elezione del primo presidente nero, l’idea diffusa dalle talk radio e dai media di destra che questi avrebbe aumentato le tasse e che la riforma sanitaria avrebbe peggiorato le condizioni di copertura degli assicurati (e non ultimo il fatto che l’inquilino della Casa Bianca fosse nero), creò un’onda che portò alla disfatta dei democratici alle elezioni di midterm del 2010. Donald Trump sembra aver creato un movimento ancora prima di essersi insediato ufficialmente.

In questi giorni in decine di città, migliaia di persone hanno manifestato contro l’ipotesi di cancellazione della riforma sanitaria – che Trump vuole fare in maniera spedita, contro il volere del suo partito. Tutti i media locali si dicono sorpresi dalla partecipazione: in Colorado, un rappresentante repubblicano è stato accolto nel suo incontro settimanale da centinaia di persone. È fuggito dalla porta posteriore ripreso da telecamere. Non ha fatto una bella figura. In California, a New York e altrove anche gli immigrati hanno manifestato.

Dopodomani è il giorno dell’inaugurazione e a Washington DC l’autorità che concede i permessi di manifestare hanno consegnato 63 permessi, qualcuno è per organizzazioni pro-presidente come i bikers for Trump, ma la stragrande maggioranza saranno lì a protestare. Ma non c’è solo Washington: l’America è grande e non tutti possono viaggiare. Così venerdì ci saranno cortei e manifestazioni in 50 Stati e in 32 Paesi – a Roma sono previsti due appuntamenti, a Ponte Sisto alle 15.30 di venerdì e a piazza del Pantheon sabato tra 11-14. Si dice che a sfilare saranno circa un milione di persone. Poi, il giorno dopo (ne abbiamo già parlato qui), la città sarà invasa da una marea umana per la Women’s March. Gli organizzatori spiegano che il sostegno cresce a vista d’occhio e che i manifestanti dovrebbero essere 200mila. La Women’s march sarà anche una parata di star tale da annichilire la cerimonia di inaugurazione del giorno prima, dove invece non si riesce a trovare nessuno che voglia andare: l’ultima a cancellare la propria partecipazione è una cover band di Springsteen «per rispetto dell’opinione del Boss».  Scarlett Johannson, Cher, America Ferrera (Ugly Betty), il rapper Common saranno in città e anche in questo caso ci saranno altre marce altrove.

Qui la mappa delle manifestazioni a Washington in tempo reale.

È finita qui? No. La foto che vedete qui sopra è il lavoro riconoscibile di Shepard Fairey, che otto anni fa disegnò il suo Hope con Obama e oggi ha prodotto una serie di manifesti assieme alla Amplifier foundation (scaricabili  qui in alta risoluzione) con un messaggio chiaro: «We the people (le prima tre parole della costituzione) siamo più forti della paura, siamo solidali, difendiamo la dignità». I tre soggetti sono le minoranze contro cui Trump ha promesso muri, espulsioni, controlli. A questa pagina invece trovate un link dove per i primi 100 giorni una serie di artisti Indie produrranno una canzone originale al giorno per protestare e sensibilizzare sui temi dell’ambiente, dei diritti e così via. Tra questi c’è anche Angel Olsen (di cui abbiamo parlato qui).

Sul fronte non artistico, sappiamo che Emily’s List ha pronte 500 borse di studio per preparare 500 giovani donne che intendessero candidarsi a qualche carica elettiva e che un’associazione di 1200 avvocati è pronta a coordinarsi e lavorare pro bono per qualsiasi attivista arrestato nei prossimi quattro anni. E nel frattempo, atto forte e inusuale, già 28 rappresentanti hanno annunciato che non presenzieranno all’inaugurazione. Michael Moore ha fatto un appello a cento giorni di mobilitazione e, naturalmente, sarà uno degli speaker alla marcia delle donne. E, infine, le organizzazioni anti proibizioniste organizzano una fumata di massa all’orario in cui Trump giurerà (le 12 a Washington, le sei in Italia).

Siamo solo all’inizio e il clima è già teso. Una delle ragioni per cui società civile, sinistra e democratici puntano sulla protesta è perché sanno che Trump è il meno popolare tra i presidenti eletti a giurare. Obama nel 2008 giurava con l’80% degli americani che dicevano di apprezzarlo, il presidente che lo sostituirà gode della metà dei pareri favorevoli (tra 40 e 41%). Nessuno mai così male nei quattro sondaggi pubblicati dopo il voto, nemmeno Bush jr. eletto grazie al braccio di ferro in Florida – e nonostante Trump se la prenda su Twitter, con le organizzazioni che “pubblicano sondaggi falsi”. L’altro aspetto che va sottolineato è che agli americani non solo non piace Trump, ma nemmeno le cose che si appresta a fare: la maggioranza è contraria al muro con il Messico, alla cancellazione della riforma sanitaria – con numeri quasi pari – al bando dei musulmani e così via. Venerdì si comincia, è solo l’inizio.

 

Legalità vs sicurezza. Chi sono i due sfidanti alle comunarie M5s di Palermo

Beppe Grillo alla festa del M5S a Palermo, in una immagine tratta da suo profilo Facebook, 24 settembre 2016. ANSA/FACEBOOK BEPPE GRILLO +++ ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA +++

Parte la competizione per la conquista di Palazzo delle Aquile. Dalle 10 alle 19 di oggi, 18 gennaio, si vota per decidere il candidato sindaco del Movimento 5 Stelle a Palermo, in vista delle elezioni comunali di primavera.

Dopo una serie di scarti e rinunce, i pentastellati che asprano a prendere il posto di Leouca Orlando sono Salvatore Ugo Forello, avvocato, co-fondatore e presidente dell’associazione antiracket Addio Pizzo, e Igor Gelarda, poliziotto e dirigente del sindacato di Polizia Consap. Legalità versus sicurezza, verrebbe da dire. Favoriti per motivi diversi, sicuramente non appartengono alla schiera del deputato Riccardo Nuti, spazzata via dall’inchiesta sulle firme false che ha travolto il Movimento 4 mesi fa. Sebbene Gelarda sia considerato vicino al vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, Forello è già stato votato dalla gran parte degli storici grillini palermitani. Entrambi si sono avvicinati al Movimento 5 stelle da poco.

Civilista specializzato in materia d’appalti, classe ’76, Forello si definisce “avvocato per vocazione”: «Vedo nell’attività legale, libera ed indipendente da tutto e da tutti, un importante strumento per tutelare i diritti della persone più deboli e per contribuire a far crescere la legalità e il senso dell’etica. L’essenza del mio “essere avvocato” risiede nell’interpretare il diritto come limite al potere e difesa della libertà e dell’uguaglianza dei cittadini e non già come strumento d’oppressione».

Il secondo invece, che già vanta post sul blog di Grillo, è stato accusato da una parte del Movimento proprio di essere stato calato dall’alto. L’agente di Polizia avrebbe cercato di interfacciarsi direttamente con i vertici, scavallando il territorio. Mossa che potrebbe costargli cara. Inoltre, le sue posizioni fortemente anti-immigrazione non si sposerebbero con i principi di molti degli attivisti M5s siciliani.

Entrambi i candidati hanno firmato il codice di comportamento inaugurato con le amministrative capitoline, che prevede la penale di 150mila euro qualora disattendessero le aspettative del Movimento. «Una clausola che non ha alcun valore giuridico vincolante», ha spiega sul numero di Left in edicola sabato l’avvocato Lorenzo Borré, difensore di diverse cause intentate da attivisti espulsi. Per il semplice fatto che «un incarico pubblico non può essere coartato da negozi di diritto privato».

 

La cosiddette “comunarie” del capoluogo siciliano erano in realtà previste a settembre. Poi sono slittate dopo la denuncia, l’indagine e i primi deputati Cinquestelle indagati (Riccardo Nuti, Claudia Mannino e Giulia Di Vita). Che a loro volta, dopo essersi rifiutati di testimoniare e rilasciare il segno grafico in Procura, erano stati sospesi dal gruppo parlamentare da Beppe Grillo. E, anziché fare un passo indietro, avevano rilanciato con un esposto formale contro gli inquirenti. Il “complotto” ai loro danni sarebbe stato ordito dal fondatore di Addiopizzo ora candidato, colpevole di avere buoni rapporto con la magistratura.

Nel frattempo, proprio alla Procura di Palermo sono arrivate le perizie grafiche richieste dal Procuratore aggiunto Dino Petralia, che coordina l’inchiesta assieme alla pm Claudia Ferrari. In quelle carte, che hanno preso in esame un campione scelto a caso tra le oltre 1.400 firme depositate, c’è la conferma che sono tutte false (“apocrife”) le 200 firme depositate dal Movimento 5 stelle per la presentazione della lista alle elezioni comunali del 2012.

Il leader AfD (in una birreria di Dresda): «Basta vergognarsi per l’Olocausto»

Rows of bodies of dead inmates fill the yard of Lager Nordhausen, a Gestapo concentration camp. This photo shows less than half of the bodies of the several hundred inmates who died of starvation or were shot by Gestapo men. Germany, April 12, 1945. Myers. (Army) NARA FILE #: 111-SC-203456 WAR & CONFLICT BOOK #: 1121

Sabato prossimo a Coblenza si incontrano a porte semi chiuse i leader dei gruppi della destra populista europea. Ci saranno Le Pen, Salvini e Frauke Petry, segretaria dell’AfD, il partito che ospita il raduno del gruppo dell’Europa delle Nazioni e della Libertà al Parlamento europeo. L’’alleanza è forte, cresce e progetta il futuro in un anno di elezioni dove – Olanda e Francia – spera di diventare il primo partito. Non sappiamo cosa aspettarci per il futuro e quanto queste forze siano estremiste di destra. I segnali sono contraddittori: Salvini sta accentuando la sua retorica “prima gli italiani” e ha vinto il premio sciacallo del giorno con il tweet qui sotto nel quale mette assieme il terremoto e i migranti, mentre Le Pen cerca di defascistizzarsi (de-diabolisation, la chiamano). Tra gli oggetti più misteriosi ci sono proprio quelli di AfD, che vengono da un Paese dove alcuni temi sono ancora tabù e la storia si insegna per quel che è stata.

 

Per questo stupisce e preoccupa che un leader locale del partito tedesco, Björn Hocke, capo di AfD in Turingia e ala destra e nazionalista del partito, si sia lasciato andare a commenti sulla storia tedesca. In una birreria, poi. Per capirsi, Hocke, nel suo comizio di Dresda ha detto che la Germania deve smetterla di sentirsi colpevole e operare una svolta nel modo di ricordare il periodo nazista davanti a una platea di anziani e giovani del suo partito.

Hocke, ha parlato del monumento all’Olocausto di Berlino, il memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa inaugurato nel 2005 nei pressi del Bundestag, come di «monumento della vergogna» e definito l’idea della storia che sta alla base della coscienza tedesca contemporanea come «un piano di rieducazione cominciato nel 1945 e volto a tagliare le nostre radici…ci sono quasi riusciti…il nostro stato mentale continua ad essere quella di un popolo sconfitto. Noi tedeschi siamo gli unici che hanno costruito un monumento alla vergogna nel cuore della loro capitale».

L’ex insegnante di storia si lamenta del fatto che ai bambini tedeschi non vengano insegnati i grandi successi scientifici del Paese , anche lamentato del fatto che agli scolari tedeschi non vengono insegnati i risultati scientifici e artistici del Paese.

L’AfD ha preso due milioni di voti (7,1%) alle europee del 2014, ma nel Lander dove si è votato nel 2016 (Berlino, Baden Wurttenberg, Meclenburgo-Pomerania, Sassonia e Renania Palatinato) oscilla tra il 12,6% e il 24,4%.

Quanto all’Olocausto, i numeri sono quelli qui sotto, non solo riferiti agli ebrei, ma anche a Rom, polacchi e serbi, omosessuali, piccoli criminali. Numeri che suggeriscono che sì, la Germania fa bene a insegnare la storia come la insegna e che, semmai, Italia, Giappone e molti altri Paesi farebbero bene a imparare dal modo in cui i tedeschi hanno affrontato il loro passato senza giustificarlo. Almeno fino a oggi.


Quanti morti ha fatto l’Olocausto

Ebrei: fino a 6 milioni
Civili dell’Urss: circa 7 milioni (di cui 1,3 civili ebrei inclusi nella cifra di 6 milioni per gli ebrei)
Civili polacchi non ebrei: circa 1,8 milioni
Civili serbi (sul territorio della Croazia, Bosnia ed Erzegovina): 312.000
Persone con disabilità rinchiuse in istituti: fino a 250.000
Rom: 196,000-220,000
Testimoni di Geova: circa 1.900
Piccoli criminali, persone da comportamenti sociali non consoni: almeno 70.000
Omosessuali: centinaia, forse migliaia (ma molti potrebbero essere elencati tra i piccoli criminali e persone da comportamenti sociali non consoni)

Dove sono morti gli ebrei

Complesso di Auschwitz (tra cui Birkenau, Monowitz, e sottocampi): circa 1 milione
Treblinka 2: circa 925.000
Belzec: 434.508
Sobibor: almeno 167.000
Chelmno: 156,000-172,000
Rastrellamenti: almeno 200.000
Morti in altre strutture: almeno 150.000
Operazioni e vagoni con camere a gas nell’Unione Sovietica occupata dai tedeschi: almeno 1,3 milioni
Rastrellamenti in Unione Sovietica (tedeschi, austriaci, ebrei cechi deportati): circa 55.000
Uccisi o torturati a morte in Croazia sotto il regime Ustascia: 23,000-25,000
Morti nei ghetti: almeno 800.000

Come ha reagito l’Europa alla “hard Brexit” annunciata da Theresa May

epa05724460 Britain's Prime Minister Theresa May delivers her keynote 'Brexit speech' at Lancaster House in London, Britain 17 January 2017. May was quoted as saying that staying in the single market would keep the UK under the influence of EU law, a move that would be contrary to the result of the referendum on 23 June 2016. EPA/FACUNDO ARRIZABALAGA / POOL international pool

“Meglio lasciare l’Ue del tutto, che firmare un cattivo accordo”. Questa, in estrema intesi, la posizione di Theresa May, il Primo ministro britannico che, ieri, martedì 17 gennaio, ha delineato la strategia per le negoziazioni della Brexit del Regno Unito.

May ha messo in chiaro che le priorità assolute sono la sottrazione del suo Paese alla giurisdizione della Corte europea e il blocco dell’immigrazione. Inoltre, ha fatto intendere che, nel caso in cui non si dovesse arrivare a un accordo mutuamente vantaggioso sul commercio, il Regno Unito potrebbe tranquillamente optare per un’opzione radicale, che vedrebbe il Paese trasformarsi in un centro di gravità finanziario e competitivo assoluto.

D’altra parte, ha anche detto di voler rimanere un partner dell’Europa e che il Regno Unito ha tutto l’interesse a vedere un’Ue integra e prospera.

Immediate le reazioni un po’ ovunque in Europa a un discorso che riflette la volontà del governo conservatore di affrontare la trattativa con Bruxelles a muso duro, .

Il network britannico “3Millions” ha chiesto la protezione immediata e unilaterale dei diritti dei cittadini europei presenti sul territorio britannico prima dell’attivazione dell’art. 50, necessaria per l’inizio delle negoziazioni ufficiali.

Dalla Scozia, si è subito fatta viva Nicola Sturgeon, il Primo ministro: «La prospettiva di un’uscita dura rischia di essere economicamente catastrofica». Poi ha sottolineato che, a questo punto, un referendum sulla fuoriuscita della Scozia dal Regno Unito, «diventa più probabile».

Il negoziatore ufficiale della Commissione europea, Michael Barnier, ha risposto a tono alle parole di Theresa May. «Pronti non appena lo è il Regno Unito. Solo la notifica [di attivazione dell’art. 50] può far partire le negoziazioni», ha scritto su twitter.

Guy Verhofstadt, negoziatore per conto del Parlamento europeo, ha descritto come illusioni le idee di Theresa May: «Non ci sarà nessuna situazione in cui l’uscita dall’Ue dia prospettive economiche migliori rispetto al farne parte». Ma ha anche detto che è un bene ci sia «una posizione netta».

Anche il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha mandato  un messaggio via twitter: «Un processo triste, tempi surreali, ma almeno un annuncio realistico sul Brexit. L’Ue a 27 Stati è pronta a negoziare [dopo l’attivazione dell’art.50]».

Dalla Germania le voci sono ambivalenti, come riporta Handelsblatt.  Il Ministro degli esteri, Frank-Walter Steinmeier, è contento che si «sia fatta chiarezza» sulla posizione del Regno Unito. Allo stesso modo, Sigmar Gabriel, Segretario generale del Partito socialdemocratico (Spd) e Vice-cancelliere ha detto che la «decisione di May è coerente. Ora conta iniziare rapidamente le negoziazioni ufficiali». Più cauto l’economista Marcel Fratzscher, Direttore dell’Istituto per la ricerca economica (Diw) di Berlino: «Per il Regno Unito i costi legati a un’uscita “dura” saranno elevati». Secondo il portavoce per gli affari europei del Partito dei verdi, Manuel Sarrazin, May starebbe «commettendo un grave errore».

La Francia, dal canto suo, si era fatta sentire già prima dello discorso di Theresa May. «[I britannici] stanno improvvisando, passano da posizioni concilianti a scenari di un’uscita dura», aveva detto Michael Sapin, il Ministro delle Finanze.

In Danimarca, il Primo ministro Lars Løkke Rasmussen non ha polemizzato sulla scelta di Theresa May e ha auspicato un dialogo «costruttivo», sottolineando l’interesse comune «a rafforzare il commercio e combattere il terrorismo».

Leggi anche:

FranciaNovitineMarine Le Pen conferma la sua posizione sulla Crimea: «Non è mai stata Ucraina»

PoloniaRadio PolandIl Primo ministro Beata Szydlo annuncia un rimpasto di governo