È di almeno 20 vittime e decine di feriti, il bilancio provvisorio dello scontro frontale avvenuto tra due treni delle Ferrovie del Nord Barese. L’incidente si è verificato oggi verso le 11 sul binario unico tra Ruvo di Puglia e Corato, in aperta campagna.
«C’è stato uno scontro frontale su un binario unico, alcune carrozze sono completamente accartocciate e i soccorritori stanno estraendo dalle lamiere le persone» ha detto il comandante dei vigili urbani di Andria, Riccardo Zingaro. Subito i soccorsi hanno estratto dalle lamiere un bimbo di pochi anni, che, fortunatamente ancora in vita, è stato trasportato via con l’elicottero. Secondo il presidente della Provincia di Barletta-Andria-Trani, Giuseppe Corrado, il numero dei morti è sicuramente destinato ad aumentare. Il sindaco di Corato, Massimo Mazzilli, ha scritto su facebook che «il disastro è paragonabile alla caduta di un aereo», visto le conseguenze che ha comportato il grave incidente: uno dei treni ha due vagoni rimasti intatti, l’altro solo l’ultimo, e pezzi di lamiera sono sparsi praticamente ovunque.
«Faremo chiarezza» ha affermato il premier, Matteo Renzi, esprimendo il proprio cordoglio per le famiglie. Il Ministro dei trasporti, Graziano Delrio, giunto sul posto, ha chiamato immediatamente la società della Rete ferroviaria italiana (Rfi) – che gestisce l’infrastruttura ferroviaria, ed è partecipata al 100% dalle Ferrovie dello stato (Fs) – per chiedere un «supporto alle indagini e supportare le società coinvolte» (che non appartengono a Fs, ma fanno parte della società Ferrotramviaria Spa). E annuncia una Commissione d’inchiesta per chiarire le cause dell’incidente, ancora sconosciute.
«Cerchiamo di recuperare il ritardo di decenni per le infrastrutture del sud» diceva sempre Delrio nel 2015, rispondendo dopo un articolo del Mattino, a firma di Marco Esposito, dove si denunciava la sproporzione degli investimenti tra nord e sud del paese nell’aggiornamento 2015 del Contratto di programma con la Rfi.
Su 4859 milioni di euro previsti dallo Sblocca Italia e dalla Legge di stabilità 2015, denunciava Esposito, solo 60 sono destinati alla rete ferroviaria del sud, contro i 4799 per il nord. «Per l’esattezza, al Mezzogiorno è destinato il 19 per cento dei nuovi finanziamenti complessivi e l’1,2 per cento se si considerano soltanto quelli ferroviari. Contro il 98,8% di quelli destinati al nord del Paese» conclude poi Esposito.
Secondo il rapporto di Legambiente, Pendolaria, 2015, sullo status del trasporto ferroviario pendolare nel nostro paese, l’Italia viaggerebbe a due velocità diverse: da una parte treni ad Alta velocità sempre più moderni e veloci, in costante aumento a causa dell’aumento progressivo degli investimenti (+7% nel 2015), dall’altra una diminuzione degli Intercity e dei collegamenti a lunga percorrenza (-22,7% dal 2010 al 2014). Dal rapporto emerge come vi sia un grande divario tra il nord e sud Italia, dove i treni regionali sono vecchi, lenti e dove, ogni giorno, tra Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna ne transitino meno rispetto alla sola Lombardia. Legambiente denuncia anche come la maggior parte delle linee non sono elettrificate e a binario unico, cosa che – come abbiamo appreso, purtroppo, dall’episodio di oggi – rende i viaggi nelle regioni del sud insicuri e pericololosi.
C’è poi il caso di Matera, capitale europea della cultura nel 2019, patrimonio dell’Unesco, che è l’unico capoluogo di provincia italiano non coperto dalla rete ferroviaria. Anzi, Matera una stazione ce l’ha, ma non è attiva: i lavori per la sua costruzione cominciarono nel 1986, ma non furono mai terminati. Una città che non esiste, per Fs. Per riparare al danno, le Ferrovie hanno lanciato la formula «Freccia link», collegando la stazione di Salerno – coperta dalle Tav – con dei pullman diretti nella città lucana. Forse Trenitalia – partecipata al 100% da Fs – è troppo impegnata nell’acquisto della società ferroviaria greca Trainose, per la quale ha investito ben 100 milioni di euro, come ha recentemente denunciato il deputato di Sinistra Italiana, Franco Bordo, «Il nuovo management di Trenitalia, invece di fare operazioni estere, pensi alle decine di migliaia di pendolari che ogni giorno vivono sulla loro pelle la drammatica situazione in cui versa il nostro sistema ferroviario», ha sostenuto il parlamentare, che ha poi concluso:«Il trasporto pendolare dovrebbe rappresentare una priorità per l’azienda, non le acquisizioni all’estero». Ma intanto in Puglia è già successo l’irreparabile.
Scontro fra treni in Puglia, una tragedia annunciata. Non si investe nelle ferrovie del sud

David Bowie is, il film, la mostra al MamBo e la sua collezione d’arte a Londra
Tutti lo chiamavano il Duca bianco anche se non era nato in un castello di alto lignaggio, ma veniva dalla periferia di Londra. I quarti di nobiltà David Bowie se li era conquistati con una innata eleganza, con la sua divertente ironia e i suoi modi gentili. Anche quando ciò che evocava attraverso i suoi travestimenti faceva sobbalzare i benpensanti. Come quella volta che si presentò in televisione in un programma musicale in prima serata vestito con una luccicante calzamaglia invitando gli spettatori a smettere di essere tali diventando protagonisti della propria vita senza inibizioni. Quel suo guardare dritto nell’obiettivo rivolgendosi direttamente a chi stava dall’altra parte, seduto nel salotto di casa, fu come un battito di ali di farfalla capace di generare effetti a cascata nella musica, nella moda, nel costume. Lo racconta nel film David Bowie is (che è tornato nelle sale italiane dall’11 al 13 luglio distribuito da Nexo Digital) lo scrittore anglo pachistano Hanif Kureishi, autore de il Budda delle periferie (Bompiani), che evoca Bowie stesso nella figura di Charlie Hero.
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Nel docufilm diretto da Hamish Hamilton, Kureishi racconta che l’aver visto David Bowie emergere da quella periferia e dalla sua stessa scuola fu per lui una iniezione di fiducia, un’apertura verso possibilità impreviste, una spinta a superare la rassegnazione di essere destinato a una vita da “invisibile” in quanto figlio di immigrati anglo -pakistani che nella Londra degli anni Settanta erano fra le fasce sociali meno inserite .
«David era uno di noi» è la frase che si sente pronunciare più spesso in questo film, non solo da artisti, ma anche dai fans intervistati al Victoria and Albert Museum di Londra dove si tenne nel 2013 la grande retrospettiva su Bowie, che solo in quella prima tappa è stata vista da più di 300mila visitatori. Dal 14 luglio al 13 novembre quella stessa mostra sarà ospitata dal Mambo di Bologna, come ultima tappa del tour europeo, dopo essere stata a Berlino, a Parigi e in molte altre città. Questo docufilm offre la possibilità di una emozionante visita virtuale, guidati dai curatori del Victoria and Albert museum, Victoria Broackes e Geoff Marsh che raccontano gli oggetti in mostra – disegni, costumi, video, manoscritti originali di Bowie – anche intervistando musicisti ( fra i quali il front-man dei Pulp Jarvis Cocker), giornalisti, scrittori, fotografi e artisti che negli anni hanno lavorato con il musicista e cantante inglese scomparso il 10 gennaio 2016.

Dal loro racconto live e dagli oltre trecento oggetti provenienti dallo sterminato archivio personale di Bowie, emergono aspetti forse non a tutti noti della poliedrica personalità di David Robert Jones, alias David Bowie. Come la sua abitudine di scrivere a mano i testi della canzoni, come fossero poesie, con una grafia morbida, quasi infantile. Mentre potenti incisivi e visionari appaiono i suoi disegni e le serie di bozzetti, quasi uno storyboard per ogni nuovo disco, che di volta in volta lanciava un personaggio, un suo nuovo alter ego, da Major Tom di Space oddity a Ziggy di Ziggy Stardust per arrivare a Diamond dog, che Bowie avrebbe voluto trasformare in un vero e proprio film di animazione.

Nel film si racconta anche la sua grande passione per la lettura, che lo ha portato ad esplorare campi diversissimi del sapere e della letteratura. Benché autodidatta, la curiosità aveva spinto Bowie a leggere tantissimo, tanto che si narra di cassoni pieni di libri e non solo di costumi che lo seguivano in tour. I suoi interessi spaziavano dalla filosofia, alla letteratura fantastica, alla poesia. Passando dai poeti della Beat generation, a Orwell e Bulgakov per arrivare alle filosofie orientali e a Nietzsche, solo per fare qualche esempio. Il film racconta i cento libri più amati da Bowie, oltre ché i dischi che più l’hanno influenzato, fin da giovanissimo scoprendo Elvis Presley e Little Richard e il jazz di Memphis.
Il viaggio cinematografico nelle sale del V&A comincia con i due curatori che esplorano la prima sezione della mostra dove sono raccolte fotografie e testimonianze sull’infanzia di David. Emerge qui la sua precoce passione per il disegno e la pittura che non lo abbandonerà più. E che il cantante e polistrumentista inglese ha vissuto anche come collezionista d’arte. Presto sarà resa pubblica la sua collezione privata in cui primeggiano soprattutto pittori dell’espressionismo tedesco (di cui approfondì la conoscenza nei musei tedeschi, durante gli anni berlinese) e nuova pittura degli anni 60 come quella di Frank Auerbach e poi arte americana, da Basquiat (Air Power , 1984) alla Pop art, arte africana ma anche design con alcuni pezzi di Ettore Sottsass and the Memphis group. Come Bowie disse in una intervista alla Bbc nel 1999, «l’unica cosa di cui sono davvero dipendente è l’arte». La collezione di arte di Bowie sarà in mostra dal 20 luglio al 9 agosto a Londra e in futuro a Los Angeles, New York e Hong Kong.
Una passione, come accennavamo, cominciata sui banchi di scuola, quando era uno studente brillante, ma distratto, secondo una pagella in cui un insegnante annotò come demerito il suo esibizionismo! In una conversazione con Kureishi di qualche anno fa Bowie parlava di «forte determinazione», fin da piccolo. Una spinta interna che unita alla consapevolezza di voler entrare nel mondo della musica lo portò giovanissimo a prendere lezioni di sax e poi di mimo (con Lindsay Camp), lo portò ad interessarsi di teatro kabuki e a molte altre discipline. Al Giappone lo legava anche l’amicizia con lo stilista Kansai Yamamoto che disegnò alcuni dei suoi abiti più futuribili e spettacolari.

In David Bowie is racconta come nacque la loro collaborazione che poi diventò amicizia con il cantante inglese che si divertiva a scorrazzare l’amico giapponese facendogli da taxi, per stupirlo mostrandogli quanto profondamente conoscesse Tokyo. Complice Yamamoto, David Bowie si è divertito ad sperimentare anche con la moda, come raccontano i tanti costumi in mostra, indossati in tour e nei video. Al contempo in canzoni come Fashion, Bowie si divertiva a smascherare il vuoto pneumatico di un mondo fatto di messaggi massificanti. Lui che aveva fatto della telegenia un tesoro invitava a spegnere la tv e a dedicarsi alla lettura.
In mostra c’è il costume del Pierrot di Ahes to Ashes e c’è la marsina con la bandiera, ci sono gli abiti da dandy elegante, da Thin White Duke, ma erano tutte maschere, strumenti per rappresentare, per mettere in scena un nuovo personaggio, che fosse il diafano post-rocker di Heroes, o l’elegante seduttore di China girl, fino all’inquietante uomo che vede solo attraverso una benda forata di Blackstar, il suo album testamento, emozionante e potente.


Omaggio a David Bowie
Una carovana di appuntamenti per ricordare David Bowie. E’ iniziata l’11 luglio con l’approdo al cinema, fino al 13 luglio del film David Bowie is (elenco delle sale su www.nexodigital.it), il documentario sulla mostra evento del Victoria & Albert Museum . Si prosegue poi il 14 luglio con l’inauurazione della mostra “David Bowie is” del V&A accompagnata da un catlogo ricco di testimonianze pubblicato in Italia da Rizzoli. Intanto sui social prende il via l’iniziativa #OmaggioABowie che invita tutti i fan del Duca Bianco a raccontare il proprio legame con l’artista attraverso un’immagine o un testo di omaggio. L’esposizione David Bowie is aperta fino al 13 novembre 2016 nelle sale del MAMbo di Bologna celebra la prodigiosa carriera di David Bowie e la sua inesauribile capacità di reinventarsi senza mai tradire se stesso né il suo pubblico. intanto alla galleria Ono arte di Bologna prosgue la mostra fotografica di cui avevamo parlato in questo articolo Maggiori info sul sito www.davidbowieis.it.
Ecco il tralier di David Bowie is:
Ricordate Sonita? Per il Guardian è candidata all’Oscar

Gli Academy Awards saranno consegnati la prossima primavera. Generalmente, tocca aspettare gennaio per conoscere le nomination ai migliori doc e l’autunno per le indiscrezioni. Ma Nigel M. Smith, ha già reso pubblico su The Guardian l’elenco dei 10 contendenti all’Oscar per il miglior documentario. Tra loro c’è anche Sonita Alizadeh, che Left ha raggiunto e intervistato all’inizio del 2016. Una buona occasione per riproporre l’intervista a Sonita. E per farle un grande in bocca in lupo.

Il Parlamento inglese contro Blair per la guerra in Iraq. Incluso Jeremy Corbyn
Il rapporto Chilcot sta alzando un polverone anche in casa laburista. Dopo l’endorsement dell’ex vicepremier John Prescott («Blair ha appoggiato una guerra illegale») anche il leader del Labour, Jeremy Corbyn, ha fatto sapere che appoggerà la mozione parlamentare contro l’ex primo ministro Tony Blair. In particolare, il provvedimento accusa l’ex numero uno di Downing street di aver «oltraggiato» il parlamento con «l’inganno» usando informazioni false per ottenere il via libera per invadere e bombardare l’Iraq assieme agli Stati Uniti, allora guidati dal presidente George W. Bush, principale promotore dell’iniziativa. Se il testo venisse approvato, Blair potrebbe essere escluso a vita dagli incarichi pubblici e dichiarato incompatibile con la sua posizione all’interno del Consiglio privato della Corona. Il primo proponente del testo è il parlamentare conservatore Davis David. L’appoggio alla mozione è ampio e trasversale, e coinvolge buona parte delle forze politiche: parte dei Tory, dei Labour, Scottish national party, Verdi e Playd Cymru. I liberaldemocratici – da sempre contrari alla guerra in quanto considerata illegale dall’Onu – valuteranno entro breve se appoggiare la mozione. A favore anche l’ex governatore scozzese Alex Salmond, anch’egli contrario all’intervento.

A volere il rapporto Chilcot, redatto da una Commissione pubblica presieduta da sir John Chilcot, è stato soprattutto l’ex premier laburista Gordon Brown, nel 2009. All’epoca Blair sosteneva, insieme al presidente statunitense George W. Bush, che l’ Iraq di Saddam Hussein fosse in possesso di potenti armi di distruzione di massa, mai trovate. Per il documento finale, concluso nel 2011, la tesi principale è che il governo di allora avesse optato per l’intervento militare senza che tutte le altre opzioni pacifiche fossero state escluse. E la seconda guerra in Iraq ha provocato la morte di 134mila iracheni, un numero che quadruplica tenendo conto della continua instabilità del Paese.
I soldati inglesi morti, poi, sono stati in tutto 179. E alcune famiglie hanno fatto sapere che «si riserveranno il diritto di chiamare in causa alcuni partiti affinché rispondano delle loro azioni nei Tribunali civili», ha reso noto uno dei rappresentanti. Tony Blair lo scorso ottobre si è scusato per gli errori nella pianificazione dell’attacco e ha ammesso che alcune informazioni fossero sbagliate. Tuttavia, non ha mai sconfessato l’attacco, sostenendo di aver comunque agito in buona fede. Blair ha in parte ammesso che la guerra è stata una delle cause che ha promosso l’ascesa di Daesh, sottolinenando però che non è certo stata la causa principale.
Fmi: Per l’Italia altri 10 anni di recessione. Banche fortemente a rischio
L’accorato appello di Confindustria – «Con il no al referendum costituzionale sarà recessione» – è risuonato a molti questa mattina, quando la relazione annuale del Fondo monetario internazionale ha messo il dito nella piaga della crescita debolissima dell’Italia. A quanto pare, che vinca il sì o che vinca il no, lo spettro della recessione non lascerà il Paese per altri dieci anni e la terza economia dell’Eurozona rischia di rimanere bloccata per un totale di vent’anni prima di risalire la china discendente partita con la crisi finanziaria del 2008.
La relazione evidenzia anche la fragilità del sistema bancario, che – spiegano gli esperti – se ha retto alla prima fase “finanziaria” della crisi, ora deve fare i conti con le pesanti perdite subite di recente e il governo non può fornire aiuti di Stato a istituti di credito gravati da crediti “non performing”, cioè deteriorati anche a causa della fase di stagnazione economica. Gli aiuti sarebbero lesivi della concorrenza e Bruxelles li ammette soltanto in caso di crisi acute. Le sofferenze italiane ammontano a un terzo circa di quelle dell’Eurozona, 360 miliardi di euro, ma in effetti non sono una novità. Il documento dell’Fmi registra una maggiore raccolta di danaro nel 2015, ma al contempo una patrimonializzazione ancora al di sotto della media dell’area euro.
3. Italian banks’ balance sheets massively grew and these banks now are near insolvent and need rescuing. pic.twitter.com/1cjP9n1MGN
— Helen Thompson POLIS (@HelenHet20) 2 luglio 2016
Bassa produttività e scarsi investimenti, disoccupazione all’11%, debito pubblico al 133% del Pil. Questo contesto, spiega l’Fmi, limita le possibilità di governo Renzi di ricorrere a tagli di tasse o aumento della spesa pubblica per stimolare la crescita. Ne risulta un processo di ripresa non soltanto molto lento, ma anche «soggetto a rischi» a causa di un mix di minacce che potrebbero produrre effetti a catena in tutta Europa e nel mondo. Le banche, poi, sono fortemente in pericolo a causa dei ritardi nell’affrontare i problemi relativi alla «qualità dell’attivo» e alla volatilità dei mercati finanziari. Ai problemi “costituzionali” dell’Italia e ai recenti tonfi in borsa dei titoli bancari (scesi di più del 40% del loro valore di mercato), si affiancano infine le dinamiche dei mercati dovute sicuramente alla Brexit e al rallentamento degli scambi globali, che incidono sull’export. «L’afflusso di rifugiati e le minacce alla sicurezza» recita poi la relazione del Fondo mondiale, «potrebbero complicare ulteriormente le politiche».
Una foto scattata con efficacia dall’ultima copertina dell’Economist, con un baratro da cui è già caduta la Mini Cooper con la Union Jack britannica e sul cui ciglio è in bilico un autobus tricolore con la scritta “Banca” guidato da Matteo Renzi. Dopo Brexit, infatti, gli investitori si sono concentrati sui problemi del settore bancario italiano per il timore che la sua instabilità possa danneggiare ulteriormente l’Eurozona a seguito di nuovi fallimenti e un aumento delle sofferenze.
Italy’s teetering banks will be Europe’s next crisis https://t.co/7mLBhR2M81 pic.twitter.com/pZRiOcyBqP
— The Economist (@TheEconomist) 7 luglio 2016
Il presidente del consiglio italiano rassicura che «un accordo compatibile con le regole attuali è assolutamente a portata di mano». La discussione in corso a Bruxelles tra ministri delle Finanze sul bail in e sul salvataggio delle banche italiane, Mps in testa, si annuncia accesa. Il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, anche riferendosi al piano “salva banche” da 150 miliardi evocato dalla Deutsche Bank tedesca, ha già spiegato che a suo avviso «la facilità con cui alcuni banchieri chiedono denaro pubblico è problematica» e che «i problemi delle banche devono essere risolti dalle banche e nelle banche».
Chi spacchetta è perduto. Caffè del 12 luglio
Sei buono e ti tirano le pietre, sei cattivo… Mi è venuta in mente questa canzonetta di 50 anni fa -la cantava Antoine- leggendo l’intervista del premier – segretario a Severgnini del Corriere. “Tutti a dire negli ultimi due mesi: “Renzi devi essere più umile, meno arrogante”. Allora io dico: se do questa impressione forse sbaglio io e tutti subito a dire: “Vedi ha cambiato tono, ha paura”. Dunque? Contrordine del contrordine. “Spacchettamento del referendum? No, non sarà à la carte”. Si voterà più tardi, forse il 2 novembre, per vedere se prima Verdini convincerà Berlusconi e concordare modifiche all’Italicum, depotenziando così il No referendario. Per il resto, ottimismo: “un accordo per le banche è a portata di mano”. Buonismo: “io voglio bene all’Italia, non avrei votato Virginia Raggi ma sappia che dal governo ci sarà piena disponibilità”. Egocentrismo: “Io sono innamorato dell’Europa. Ho messo 80 milioni di euro per ristrutturare Ventotene che cadeva a pezzi”. Lui, li ha messi!
Il Regno Unito avrà prestissimo un nuovo premier e sarà Theresa May. Vale la pena di sottolineare che questo accade perché persino la legge maggioritaria uninominale britannica è migliore dell’Italicum. Infatti lì nel collegio si eleggono i deputati, non il premier. Se il premier, come è successo con Cameron, fa default, i deputati che hanno vinto le elezioni in quattro e quattr’otto si trovano un nuovo leader e lo mandano a Downing Street. Da noi, con l’Italicum, è invece il premier che trascina in Parlamento 120 deputati, vincendo al turno di ballottaggio, mentre altri cento, nella qualità di segretario e candidato, li aveva imposti come capi lista. Davvero fanno ridere coloro che dicono che l’Italicum possa andar bene solo sostituendo il premio alla lista con quello alla coalizione. Da queste riforme, cucite a misura di un premier che si credeva un portento e ora rischia il posto, bisogna tornare indietro in modo radicale. E -ormai è chiaro- non si potrà fare se non dopo la vittoria dei No.
Voglio dare quel che ho alla vedova di Emmanuel. Il razzista di Fermo si è pentito, almeno a sentire il suo avvocato. Penso che abbia ragione don Albanese quando dice che anche lui è una vittima. Ma intorno all’omicidio commesso da Amedeo Mancini si sta svolgendo un balletto indegno. Noi razzisti? Scrivono i giornali della destra e lo ripete pure Salvini. Quando mai. Amedeo ha sbagliato a mollare quel pugno letale ma è stato provocato. Il nero Emmanuel non è rimasto al suo posto, non ha ascoltato a capo chino l’insulto “scimmia africana” lanciato alla moglie, alla madre del figlio ucciso da Boko Haram. Ha reagito e come diceva il preside cattivo nel film Les Coriste, “A ogni azione corrisponde una reazione”. Amedeo ha reagito alla reazione, perché sta ancora in carcere?
Noi razzisti? Mi ha gettato contro Alessandro Sallusti, in un recente duello nel quale ci ha coinvolti Luca Telese, in piazza a Carrara. “Noi siamo favorevoli all’ingresso di quote di immigrati” (ndr: che vengano a fare da badanti ai vecchi non auto sufficienti, che raccolgano i pomodori tutto il giorno sotto il caldo e per qualche euro). “Ma rispettino le leggi, non diano fastidio”, se ne stiano al loro posto. Lo slogan è: “Prima gli italiani”. Vuol dire che tra un italiano senza molta voglia di lavorare, tra un assistito che va al bar o allo stadio a fare l’ultrà, tra uno che chiede graduatorie separate per la casa (E Fassino gli dice che ha ragione), o che pretende finanziamenti per “salvare” un’attività improduttiva, e dall’altra parte un migrante (magari di religione islamica) con genio e voglia di successo, uno che ha rischiato la vita per non affogare, uno pieno di speranze e di progetti -come ha detto il vescovo di Fermo-, perciò capace di portare la sua voglia innovare nel paese che ha scelto vive e dopo lavora, dovremo scegliere l’Italiano. In realtà non lo sceglieremo davvero -il suo processo di proletarizzazione proseguirà inevitabile- ma gli diremo che lo scegliamo, lo faremo sentire importante, e pur gabbandolo conquisteremo. Non è razzismo? Sì, non è solo razzismo: c’è in questo atteggiamento il germe del nazional socialismo. “Abbiamo in Germania 5 milioni di disoccupati? Abbiamo 5 milioni di ebrei di troppo” si leggeva in un manifesto degli esordi. Se vi capitasse di leggere Mein Kampf -l’ho scritto e lo ripeto- scoprireste che per gran parte quel testo offre al popolo tedesco uno scudo contro qualsivoglia concorrenza. La fine è nota
Theresa May, una nuova Thatcher per il Regno Unito post Brexit?

Da domani, mercoledì 13 luglio, la Home Secretary uscente Theresa May sarà la 76esima inquilina del numero 10 di Downing Street e la seconda donna a ricoprire il ruolo di primo ministro in Gran Bretagna dopo Margaret Thatcher. Dopo sei anni di mandato di David Cameron, che l’ha “incoronata” definendola «capace della leadership di sui il Paese ha bisogno», la sfida di May con la responsabile per l’Energia dello stesso esecutivo, Andrea Leadsom, è terminata molto prima del previsto per il ritiro della contendente.
A guidare i Tory e il governo sarà dunque l’euroscettica ma unica candidata alla guida dei conservatori a sostenere – in maniera blanda e soprattutto per fedeltà al premier Cameron – il Remain. Ora però il segretario agli Interni May assicura che la scelta della Brexit sarà un successo per il Paese. Una mossa per ricompattare un partito lacerato dalla campagna per il referendum: non a caso che nell’accettare l’investitura ha tessuto le lodi del premier uscente e della sua avversaria Leadsom. Theresa May ha assicurato di poter garantire «una leadership forte e collaudata», in grado di guidare il Paese in «tempi difficili dal punto di vista politico ed economico» e di negoziare le condizioni più vantaggiose nelle trattative post-Brexit con l’Unione Europea, costruendo un nuovo ruolo per il Regno Unito nel mondo.
Originaria di Eastbourne, Inghilterra meridionale, Theresa Braiser May ha studiato Geografia a Oxford dove era già impegnata con i giovani Tory. Deputata dal 1997, quando divenne primo ministro Tony Blair, May si è distinta come spirito critico dei Tory (appena nominata ha criticato i privilegi) e non ha mai nascosto le sue posizioni euroscettiche e molto severe sulle politiche migratorie. Non a caso è ricorrente, anche prima che May fosse indicata alla guida del governo, il paragone con l’unica donna finora inquilina del numero 10 di Downing Street: Margaret Thatcher.
La ministra dell’Energia Andrea Leadsom, sostenuta da molti parlamentari euroscettici, ha rinunciato a correre per la carica dopo una verifica sul sostegno tra i parlamentari Tory, inferiore al 25%. Così ha comunicato la decisione di ritirarsi spiegando che nove settimane di campagna per il ballottaggio tra le due contendenti sarebbero state destabilizzanti: «Le imprese hanno bisogno di certezza» ha detto Leadsom, «un governo forte e unitario deve muoversi rapidamente per impostare un nuovo assetto indipendente per il le relazioni economiche del Regno Unito». Nessun cenno, invece, alla polemica sulla sua presunta maggiore adeguatezza legata al fatto di essere madre (mentre May non lo è).
A poche ore dalla nomina del primo ministro May da parte della regina Elisabetta, si cerca di capire quale sarà la sua squadra. Il cancellier dello Scacchiere potrebbe essere il ministro degli Esteri uscente Philip Hammond, oppure Chris Grayling, leader per la campagna per il Leave. Il ministero degli Esteri potrebbe andare al cancelliere George Osborne. Per ora i parlamentari Tory sembrano convergere su un punto: la soddisfazione per aver scongiurato una nuova pericolosa campagna elettorale.
L’europeo (e l’Europa) dell’abbraccio di quel bambino
C’è un video che circola in queste ore un po’ dappertutto: un bambino, evidentemente tifoso del Portogallo di cui indossa la maglietta, consola un tifoso francese adulto dopo il triplice fischio della finale dell’Europeo. L’adulto all’inizio sembra quasi sorpreso da quel piccolo consolatore che ha l’ardire di interrompere la delusione. Già, sono soprattutto i bambini ad avere il coraggio di ribadire che la tristezza sarebbe un momento da non consumare mai da soli.
Lo spilungone francese accenna un ringraziamento. Il piccolo tifoso osa ancora: non è convinto di avere fatto abbastanza, il francese ciondola come se quella consolazione sia solo una cortesia da buona educazione, in punta di piedi lo insegue per qualche metro e gli dice qualcosa. A quel punto, qualsiasi sia stata la frase ascoltata il tifoso francese si scioglie in un abbraccio. Il piccolo portoghese risponde stringendo. Un adulto e un bambino con quella forma tutta sbilenca di due altezze così diverse che vogliono rimanere attaccate.
Dentro quell’abbraccio si sciolgono anche le nazionalità, meglio ancora i tifi, la differenza d’età, il rischio di sembrare patetici, la voglia di prendere sul serio tutti bambini inclusi, la vicinanza di una passione al di là del risultato personale, la fratellanza dell’essere nello stesso posto nello stesso momento e la comunione di un momento.
Quando l’ho visto giuro che ho pensato che tutto quello che ci sarebbe da dire in questi giorni era tutto in quell’immagine. Poi ho pensato che forse sarebbe retorico. E alla fine l’ho scritto. Figurarsi se abbiamo il diritto di inibirsi noi, davanti a quei due.
Si negozia su Ttip e salva banche. Ma nei posti di comando il libero scambio c’è già
L.O.V.E.: libertà, odio, vendetta, eternità. O, come meglio noto, “Il Dito” di Maurizio Cattelan. Proprio lì, al centro di Piazza Affari a Milano. Proprio di fronte a Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa. Gli undici metri della scultura rappresentano una mano intenta nel saluto fascista con tutte le dita mozzate tranne il dito medio, che ieri è diventato una “I” per dire StopTtip. La trovata – riuscitissima a giudicare dal tam tam mediatico – arriva in vista dell’apertura, oggi 11 luglio, del 14esimo tavolo di negoziato per il Trattato transatlantico per il libero scambio. «La cartolina di auguri per la ripresa dei negoziati sul Ttip vuole augurare ai negoziatori che si troveranno a Bruxelles di trovare il coraggio di prendere atto del fallimento di un progetto che non fa gli interessi dei cittadini ma solo quelli dei potenti della finanza», commentano dalla Campagna.
Via al 14° round, a Bruxelles per una settimana. A che punto sono i negoziati? Sarà per l’esito del referendum su Brexit, sarà per via delle campagne elettorali che incombono (si vota negli States e in Francia, per esempio), ma non si contano più i passi indietro sul Ttip: dagli Usa – con tutti i candidati alle presidenziali, da Trump alla stessa Clinton – alla Francia – «Posso dirvi francamente che non ci può essere un accordo sul trattato transatlantico», ha detto il primo ministro Valls – l’utilità dell’accordo di libero scambio viene messo in discussione. Persino il ministro dello Sviluppo economico della fedele Italia, Carlo Calenda, ammette: «Il Ttip secondo me salta». Ma per il momento i negoziati continuano, il mandato dei negoziatori non è cambiato e l’obiettivo resta quello di «riuscire a chiudere prima della fine dell’amministrazione Obama».
Mentre ci si sforza per portare a casa entro il 2016 questo «regalo per la finanza», come lo chiamano gli oppositori del Ttip, l’Europa pensa a un fondo salva banche. In Italia è ormai certo che il Monte dei Paschi di Siena dovrà essere salvato con soldi pubblici. E – come prevede la clausola del bail in – a pagare saranno prima gli azionisti, poi gli obbligazionisti, poi i correntisti più ricchi e infine gli Stati. Nel caso di Mps, le obbligazioni subordinate, «per complessivi 5 miliardi – riporta il Corriere – sono in mano a 60mila piccoli risparmiatori e a vari investitori istituzionali. Un mix che potrebbe scatenare il panico in caso di bail-in». Il fallimento di Mps, insomma, comporterebbe un rischio troppo grande per tutte le altre banche. Allora meglio salvarne una per salvarle tutte. Non a caso la tedesca Deutsche Bank propone un fondo europeo di 150 miliardi netti.
José Manuel Barroso Fmr. Pres of European Commission Appointed Non-Exec Chairman of Goldman Sachs Intl & GS Advisor https://t.co/0SEcKxNGqP
— Goldman Sachs (@GoldmanSachs) 8 luglio 2016
Intanto, una notizia arriva e passa stranamente in sordina: l’ingresso dell’ex presidente (in carica dal 2004 al 2014) della Commissione Ue, Manuel Barroso, nel colosso statunitense Goldman Sachs. L’ex capo dell’Esecutivo europeo alla guida (sarà presidente non esecutivo) di una delle più grandi banche d’affari al mondo. Nei posti di comando il libero scambio è già realtà.






