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Un baule pieno di personaggi. La straordinaria impresa di Fabio Stassi

Come se  la bruciante verità di Cassandra, grazie al racconto di Christa Wolf, fosse anche la nostra. Come se il medico monarchico e “vate neoclassico”, a cui José Saramago ha dato il nome di Ricardo Reis, fosse lì con noi a dialogare con il fantasma di Pessoa sognando una Spagna finalmente libera. Come se lo stesso Marco Polo, tornato da un viaggio di secoli, fosse capace di incantarci ancora con i suoi racconti di una Mongolia fantastica attraverso la voce di Palomar di Italo Calvino… Sono trecento i personaggi letterari che Fabio Stassi ha chiamato a raccolta  nel suo  Il libro dei personaggi letterari, un volume di seicento pagine edito da Minimum Fax in cui sono racchiusi tutti gli incontri che popolano il suo immaginario. E quello di molti di noi. In occasione della presentazione di questa sua “opera mondo” il 15 marzo alle 18 alla Ibs di Roma , con Matteo Nucci, abbiamo rivolto qualche domanda allo scrittore italo-albanese, che lavora alla biblioteca di Studi Orientali della Sapienza e ha  esordito nel 2006 con Fumisteria, (GBM poi Sellerio, 2015) ambientato nella Sicilia degli anni Cinquanta sullo sfondo della strage di Portella della Ginestra.

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Dietro questo libro si intuisce un lettore forte, la passione per la lettura è premessa necessaria, anche se non sufficiente, per scrivere un libro che abbia un valore letterario?

Prima di qualsiasi altra cosa, sono stato un lettore. Ricordo tutti i libri della mia infanzia e della mia adolescenza. Ha sicuramente modificato il corso della mia vita, ma anche se non lo avesse fatto mi ha dato un piacere che continuo a provare ogni volta che apro un libro che mi attira e che ho voglia di leggere. Ha a che fare con il desiderio e la libertà, è un esercizio che si impara presto e non si smette più. Un apprendistato, e un’educazione, alla fantasia, che per me è una delle forme della sensibilità: ti insegna a mettersi nei panni di un altro, immaginare cosa si prova.  Se hai poi l’incoscienza di scegliere la scrittura come tuo più congeniale mezzo espressivo, leggere è il solo modo per imparare, e non si finisce mai.

L’incontro con alcuni personaggi letterari  può essere determinante, è capitato a molti di noi nell’adolescenza ma anche da grandi. In che modo lo è stato per lei?

Sì, incontrare certi personaggi è stato decisivo, come incontrare certe persone. Ho cominciato con un Lermontov e un Puskin, ma forse il primo personaggio è stato Ursus, il gigante circense che abita L’uomo che ride di Victor Hugo. Un ponte verso un’altra umanità, storta, fuori misura e nomade. Poi è arrivato Sigfrido, in una riduzione per ragazzi: la sua è una favola sulla vulnerabilità che ancora mi impressiona. Di seguito Sandokan, così somigliante a Garibaldi, un eroe anticolonialista e antimperialista, fondamentale per l’idea del mondo che mi sono fatto da ragazzo e che possiedo ancora. La folla di personaggi con cui mi sono imbattuto poi da grande è in qualche modo imparentata con questi. I sudamericani, gli irregolari, i fragili e gli utopisti. È come se i primi personaggi di cui leggi le avventure determino un imprinting.

Quando ha capito che i personaggi che più l’avevano affascinata potevano diventare personaggi di un suo libro?

In uno dei miei quotidiani viaggi di pendolare in treno. Non sono un critico letterario, né uno studioso, non ho canoni da proporre né altre pretese. Avevo cominciato a scrivere le schede sui personaggi e sui libri del secondo Novecento che ho amato di più in terza persona. Poi una mattina ne ho girata una in prima, con molta incoscienza. Ed è stato come trovare una piccola chiave per restituirli. Non si smette mai di cercare la propria voce. Ho pensato che la mia l’avevo frammentata e nascosta in quelle dei personaggi nei quali mi ero riconosciuto di più. Leggere, in fondo, è sempre un’azione.

Per dirla con uno studioso di Shakespeare come Jan Kott, la grande letteratura  è sempre nostra contemporanea?

Ho sempre creduto negli universali, nel fatto che la letteratura si occupa da sempre dell’amore, della morte, del destino di separazione che ci è toccato in sorte, del dolore, della guerra… La letteratura è un fenomeno atemporale e sovranazionale. Non conosce confini né cronologici né geografici perché è sempre il personaggio uomo che si racconta.

Fra le decine di personaggi che lei ha scelto per questi folgoranti ritratti ce n’è qualcuno che più di altra l’ha riguarda?

Ce ne sono alcuni a cui sono più affezionato, e con cui mi sembra di nutrire una maggiore confidenza. Ma cambiano con l’età. Da ragazzo sentivo molto affine il Pin di Calvino del Sentiero dei nidi di ragno, o anche il tenente di Flaiano di Tempo di uccidere, alcuni personaggi di Fenoglio, l’abate Vella di Sciascia, lo zingaro Mélquiades di Garcia Marquez; oggi, il protagonista di Un’ombra ben presto sarai di Osvaldo Soriano, che se ne va in giro per l’Argentina, in un improbabile e doloroso viaggio di ritorno, e incontra acrobati obesi che guidano camion e con loro si gioca a carte i suoi ricordi.

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Retrato de Fernando Pessoa, José de Almada Negreiros, Fundação Calouste Gulbenkian, 1964

 

Dopo la  pubblicazione di questo libro c’è stato qualche personaggio che ha bussato alla sua porta sucessivamente?

Ce ne sono moltissimi. Continuo a leggere con lo stesso entusiasmo che avevo da bambino. Spesso mi sveglio nel cuore della notte, per il rimpianto di tutti quelli che ho lasciato fuori e le mie gigantesche lacune. Ma non smetto di accumulare schede e appunti, e chissà, tra qualche anno, mi piacerebbe arrivare almeno a 365, fare di questo piccolo dizionario un almanacco laico dei personaggi letterari.

Aspettando il seguito di questa sua opera che direzione sta prendendo la sua scrittura?

A maggio esce con Sellerio un nuovo romanzo che è figlio anche di questo libro. È la storia di un professore di lettere di 45 anni a cui non rinnovano la cattedra. Si chiama Vince Corso. Prima di lasciare l’Italia e andare a cercare lavoro all’estero, Vince tenta un’ultima carta: aprire un laboratorio di biblioterapia in una soffitta di via Merulana. Sorprendentemente, molte donne iniziano ad andare da lui, a raccontargli i loro malesseri, a chiedergli il libro più adatto da leggere. Nel frattempo, scompare una signora nel suo palazzo, ma Vince troverà la soluzione attraverso la letteratura. Perché ogni racconto, ogni romanzo, costituisce e apre sempre un’indagine. @simonamaggiorel

 

Così fan tutti. Condannato a un anno e 8 mesi il figlio di Umberto Bossi

Riccardo Bossi, figlio del leader della Lega, ritratto nel giorno del matrimonio assieme a Umberto Bossi a Varese, 27 agosto 2005. Renzo e Riccardo Bossi, i due figli del Senatur, sono indagati dalla procura di Milano per appropriazione indebita in relazione alle loro spese personali pagate, secondo l'accusa, con i fondi del partito. I due rispondono di appropriazione indebita in concorso con l'ex tesoriere della Lega Francesco Belsito. ANSA/ENZO LAIACONA

Quanti grattacapi, questi figli. Dopo le avventure – giudiziarie, s’intende – del Trota, ora tocca al primogenito del Senatur: Riccardo Bossi. Il Tribunale di Milano lo ha condannato a un anno e otto mesi per appropriazione indebita aggravata: 158mila euro di spese personali con soldi pubblici. Soldi del Carroccio, che il figliolo deve aver preso per una ditta personale, e che sono stati usati, a detta dei magistrati, per pay tv, bollette, noleggio auto, mantenimento dell’ex moglie e salute del cane. Naturalmente, il tutto viene pagato a sua insaputa, come spiega l’avvocato difensore Francesco Maiello, con una tesi che ha un fondo di tenerezza: «Chiunque di noi quando chiedeva i soldi al papà non sapeva da dove lui li prendesse».

Bossi junior chiamava la segretaria, Loredana Pizzi, girandole la fattura, che comunicava l’importo al papà – con cui Riccardino faceva fatica a parlare per questioni di impegni – e i pagamenti venivano effettuati per ordine del capofamiglia e capopartito. Mai parlato con il tesoriere Belsito. «Lui non c’entra con il partito», ha proseguito l’avvocato. Fa niente se dalla Lega Nord ricevesse 3.200 euro al mese per sponsorizzarla all’estero durante le gare automobilistiche. E poi, è un bravo ragazzo, ci tiene a sottolineare l’avvocato: «il mio assistito è indipendente da quando ha 22 anni: per una sola vola nella sua vita, nel 2011 (anche se il periodo esaminato nell’indagine va dal 2009 al 2011, ndr), ha avuto bisogno del padre, per il resto se l’è sempre cavata da solo». Difficoltà economiche, c’è la crisi, la vita (soprattutto quando fatta a spese dei contributi pubblici), costa.

Quella di Riccardo Bossi è la prima sentenza dopo lo scoppio dello scandalo sui fondi del partito emerso nel 2012. Un probabile apripista per sentenze che seguiranno, non perché, come ha dichiarato l’avvocato, si tratti di una «sentenza mediatica», ma più realisticamente a causa della quantità di persone coinvolte nell’indagine. Fra gli imputati nel processo ordinario (ancora in corso) con l’accusa di truffa ai danni dello Stato, anche il capobastone Umberto, il fratellino Renzo, e sopratutto il tesoriere del Carroccio, Francesco Belsito. Per quest’ultimo, la Procura di Genova ha ordinato il sequestro di beni mobili e immobili: avrebbe sottratto al fisco importi per oltre 7,5 milioni derivanti dall’appropriazione indebita di somme provenienti dalle casse della Lega Nord.

Una prassi talmente estesa, come dimostra la cartelletta “The family” trovata in una cassaforte nell’ufficio romano Belsito, che persino i pm sono comprensivi con Riccardo, che ha potuto dunque beneficiare delle attenuanti generiche e conseguente riduzione di un terzo della pena: «Il malcostume era così radicato nella gestione del denaro da parte degli amministratori – ha affermato il magistrato Filippini nella requisitoria del processo – da abbassare la piena consapevolezza del disvalore» dei loro comportamenti illeciti.

La marea anti-rifugiati arriva in Germania: l’Afd fa un salto in avanti

Supporters of the right-populist AfD (Alternative for Germany) party celebrate after the closing of the state elections in the German federal states of Baden-Wuerttemberg, Rhineland-Palatinate and Saxony-Anhalt, at an AfD election party for the Saxony-Anhalt state elections in Magdeburg, Germany, Sunday March 13, 2016. Three German states were voting Sunday in the first significant political test since the country saw a massive influx of migrants. (Sebastian Willnow/dpa via AP)

Non è stato un vero e proprio tonfo per Angela Merkel, lo è stato per il sistema politico tradizionale e per la Grosse Koalition che guida la Germania. O, più banalmente, anche in Germania è arrivata la marea di protesta che ha toccato con segni molto diversi tra loro tutti e ciascuno i Paesi europei dove si è votato tra 2015 e 2016.

Tre Lander della Germania hanno votato e la prima notizia importante è che l’AfD, Alternativa per la Germania, un nome perfetto per un partito in tempi di scontento, entra nei Parlamenti di Sassonia, Renania-Palatinato e Baden-Wurttenberg, ovunque superando il 10%. Il risultato più clamoroso nello stato dell’est tedesco, dove il partito anti immigrati e anti sistema tradizionale raccoglie il 24%. Il successo dell’AfD è in parte il frutto della alta partecipazione al voto, come si vede nei grafici qui sotto, in ciascuno del Lander la partecipazione è cresciuta almeno del 4,5%. Gli exit polls indicano che, specie in Sassonia, i nuovi elettori hanno scelto la protesta xenofoba: più di metà risponde che ha scelto il nuovo partito per via della posizione sui rifugiati. Si tratta di una scelta di protesta: chi risponde ai sondaggi dice di non ritenere che il partito abbia soluzioni concrete per risolvere i problemi. Nel Lander dell’est la somma dei voti di destra e sinistra (Die Linke) di opposizione superano il 40%, ma per la sinistra, tradizionalmente forte a est, è un risultato deludente: la protesta sceglie il fronte opposto al suo.

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I risultati rimandano comunque un quadro confuso, in cui, a parte l’AfD, tutti perdono e vincono. I Verdi arrivano primi con il 30% nel Baden-Wurttemberg con un programma molto moderato e schierato male sul tema dei rifugiati (il leader locale Kretschmann è anche per una chiusura delle frontiere) e nello stesso Lander crollano i socialdemocratici e la CDU di Merkel che era il primo partito nella regione dal 1952, diventa la seconda forza. Un segnale di un’opinione pubblica profondamente  divisa su quello che è il tema cruciale del momento: a est si vince contro i rifugiati, a ovest pure, ma scegliendo toni moderati. In Renania, la SPD va piuttosto bene ed è destinata a continuare a governare.

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Nel complesso si tratta di un risultato molto federale, nel senso che mette in luce le differenze politiche e sociali dei diversi Lander. E nel complesso ne escono male le forze di governo senza che però si profili all’orizzonte qualcosa in grado di sostituirlo. Il risultato è preoccupante tanto per la Spd che perde voti a Ovest e nessuno sa bene da che parte stia: non in economia, non i materia di immigrazione e rifugiati, quanto per Angela Merkel, che si troverà a gestire una montante protesta anche interna al suo partito per la posizione assunta sui rifugiati. Questa settimana si tornano a riunire i capi di Stato europei per ridiscutere l’accordo con la Turchia, cruciale per la cancelliera tedesca, ma ricoperto di critiche da organizzazioni per i diritti umani e Onu (e anche da parte di diversi leader europei, Renzi compreso).

La cosa più preoccupante di tutte, è comunque l’ingresso, anche in Germania, di una formazione xenofoba nelle istituzioni di ormai 7 Lander. Anche in Germania il clima è avvelenato dalla crisi dei rifugiati. E a farne le spese saranno proprio loro, che sono gli ultimi a cui dare la colpa.

Frauke Petry, chairwoman of the AfD, is photographed through a hole in a window pane that was destroyed by AfD opponents at the gathering of the right-populist AfD (Alternative for Germany) after the closing of the state elections in the German federal states of Baden-Wuerttemberg, Rhineland-Palatinate and Saxony-Anhalt in Berlin, Germany, Sunday, March 13, 2016. Three German states were voting Sunday in the first significant political test since the country saw a massive influx of migrants. (AP Photo/Michael Sohn)
Frauke Petry, le leader del AfD (AP Photo/Michael Sohn)

Bersani, Renzi e le liti «di cui non importa a nessuno» (e che il premier fomenta)

Matteo Renzi e Pierluigi Bersani in una foto di archivio ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Questa volta Bersani glielo ha detto: «governi con i miei voti, con i voti del centro sinistra». Eh già, Matteo Renzi governa grazie a quel premio di maggioranza – previsto da una legge che poi la Corte ha definito incostituzionale – strappato per un soffio al Movimento 5 Stelle dalla coalizione “Italia bene comune”, costituita da Bersani, da Vendola e da Tabacci

Grazie a quel premio alla Camera e in Senato ai transfughi del centro di Monti, ai transfughi del Pdl guidati da Alfano e ai cavalieri di ventura di Verdini, Renzi ha cambiato 36 articoli della Costituzione, ha svuotato lo Statuto dei diritti dei lavoratori, ha “riformato” la scuola rendendola più gerarchica, varato una nuova legge elettorale che somiglia al Porcellum e che dovrebbe rimettergli nelle mani, quando sarà, tutto il potere, togliendosi il fastidio di doversi cercare una maggioranza in Parlamento

Ha fatto bene? L’Italia grazie alle sue riforme si è messa a correre -come dice- e impartisce lezioni pure alla Germania? C’è chi lo pensa e chi no. Il punto è che non sappiamo quanti siano gli uni e quanti gli altri. Vediamo però che sempre più gente si allontana dal partito che leggittimamente (almeno lì ha vinto le primarie) Renzi dirige, e sempre più gente non depone più la scheda nell’urna, pensando che qul gesto conti ormai poco o nulla.

Così accade che la politica, sottratta ai cittadini, si sfoghi nelle riunioni tra gli addetti ai lavori. Riunioni sempre riprese, diffuse e amplificate sia dai giornali che dalle televisioni. E che tutto appaia, dal di fuori, come una rissa stomachevole. Anche Renzi lo ha detto parlando ai giovani del Pd: «Fuori delle nostre liti non importa a nessuno». Ma allora perchè attizza ogni giorno quelle liti? E chiama e fa chiamare chi non la pensa come lui “gufo”, “perdente”, “sfasciacarrozze”, senza mai entrare nel merito del dissenso?

#Blu e i magnati che si magnerebbero anche i muri

Blu ha cancellato i suoi dipinti. Sui muri degli altri. E in questa Italia bigotta e parruccona il gesto manda in cortocircuito i benpensanti. Blu, artista di strada celebrato nel mondo ma purtroppo nato nel Paese degli obiettori smacchiatori, ha deciso di non accettare l’idea che le sue opere fossero staccate per essere in bella mostra nel presepe culturale dell’ennesima fondazione bancaria. Staccate, sì avete letto bene: hanno pensato, a Bologna, di staccare i murales per «salvarli dalla demolizione e preservarli dall’ingiuria del tempo». E farci una mostra. Un presepe di plastilina su un banco da obitorio, una cosa così. E ne sono pure fieri.

Il titolo della sedicente attività culturale (Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano) nasconde dietro il modernismo internazionale un bacucco personaggio bolognese, Fabio Roversi Monaco, che è passato con la disinvoltura di un bidoncino dell’umido dalla loggia massonica Zamboni – De Rolandis, a magnifico rettore dell’università dal 1985 al 2000, ex-presidente di Bologna Fiere e di Fondazione Carisbo, tuttora alla guida di Banca Imi, Accademia di Belle Arti e Genus Bononiae – Musei della Città come ben scrivono i malpensanti Wu Ming nel loro blog. Ma Roversi Monaco è soprattutto il magnifico (minuscolo) rettore che per il nono centenario dell’Università di Bologna decise di festeggiare con la polizia alla porta per zittire gli studenti contestatori degli alti costi del galà. 21 studenti denunciati e una festa che avrebbe reso barzotto metà arco parlamentare. Era il 1987 e la contestazione universitaria in Italia si profilava all’orizzonte.

Altri tempi, altre epoche, a cui comunque i soliti noti sopravvivono sempre come se la storia fosse solo una disgraziata messa in scena. E non stupisce che oggi gli stessi crociati “del decoloro urbano” siano gli stessi pronti a cullarsi per l’indecoroso degli altri da magnati della street art. Funziona così, qui da noi: sei un artista se riesci a svenderti senza scalfire la tua proiezione di genialità. Gli altri sono anarchici, scontrosi, ribelli e agitatori.

E Blu, con tutta la sua poetica, deve avere ringraziato il dio delle vernici per poter “agitare” qualcosa che è arte, politica e coerenza tutta insieme. Sono talmente bulimici e stolti i nostri magnati che anche cancellando si riesce ad essere artisti. Pensa te.

Buon lunedì.

Quel che sappiamo delle bombe ad Ankara e Grand Bassam

ALTERNATIVE CROP OF ANK108. Members of emergency services work at the scene of an explosion in Ankara, Turkey, Sunday, March 13, 2016.The explosion is believed to have been caused by a car bomb that went off close to bus stops. News reports say the large explosion in the capital has caused several casualties. (Riza Ozel/ Hurriyet Daily via AP) TURKEY OUT

Una strage nel resort turistico perpetrata presumibilmente da al Qaeda a pochi chilometri da Abidjan, in Costa d’Avorio e una bomba tra le stazioni degli autobus ad Ankara hanno fatto strage tra turisti e cittadini della capitale turca.

La bomba di Ankara

Damaged vehicles are seen at the scene of an explosion in Ankara, Turkey, Sunday, March 13, 2016. The explosion is believed to have been caused by a car bomb that went off close to bus stops. News reports say the large explosion in the capital has caused several casualties. (Selahattin Sonmez/Hurriyet Daily via AP) TURKEY OUT

La bomba di Ankara è esplosa alle sei del pomeriggio in un’area affollata, dopo, ha riportato una Tv, si sono sentiti spari (ma la notizia non è confermata). I morti sono almeno 34, e 125 i feriti. Il governo turco ha chiuso Facebook e gli altri social network e limitato fortemente la circolazione delle notizie. Erdogan ha promesso di «mettere in ginocchio il terrorismo». Nelle scorse settimane in Kurdistan l’esercito ha usato mezzi brutali, proprio con questa giustificazione.

Tutti i sospetti puntano a frange della lotta armata in Kurdistan che rifiutano il dialogo con Ankara (che a sa volta non lo cerca) e non seguono la linea di apertura dell’Hdp e neppure quella della sola guerriglia o attacchi a luoghi come caserme di polizia ed esercito come in genere fa il Pkk. Il governo sembra orientare le sue accuse proprio a questo gruppo, o tende a fare confusione sulle differenze tra Pkk e altri gruppi armati più radicali. L’ultimo attentato simile, che meno di un mese fa ha fatto 20 morti ad Ankara era stato rivendicato dai Falchi per la liberta del Kurdistan (TAK). Difficile essere certi della matrice: un mese fa Erdogan ha persino cercato di imputare la strage all’YPG siriano, alleato del Pkk, mentre l’ISIS ha portato a termine almeno 5 attacchi terroristici in Turchia nell’ultimo anno.

A ottobre scorso, a una manifestazione del Hdp (il partito di sinistra e filo curdo), sono morte più di cento persone. Certo è che la Turchia, stretta tra la guerra in Siria e quella in Kurdistan, dove l’esercito conduce operazioni durissime contor gerriglia e civili, sta diventando un Paese altamente instabile. E che queste bombe renderanno più difficile la pace nelle zone curde del Paese.

 

L’attacco sulla spiaggia a Grand Bassam

LARGE FILE SIZE OF AGR102. A soldier, center, stands guard outside the Etoile du Sud hotel were gunmen attacked people in Grand Bassam, Ivory Coast, Sunday, March 13, 2016. At least six armed men attacked beachgoers outside three hotels Sunday in Grand-Bassam, killing several civilians and special forces, sending tourists fleeing through the historic Ivory Coast resort town. (AP Photo/Christin Roby )

In Costa d’Avorio la dinamica è molto diversa: un gruppo armato si è presentato a Grand Bassam sparando su chi andava in spiaggia, turisti (quattro occidentali morti) e locali. Hanno attaccato alberghi e, poi, sono stati neutralizzati – non sappiamo se uccisi. I morti in totale sono 16. L’attacco è stato rivendicato da “al Qaeda nel Maghreb islamico”. Il commando era ben armato e i suoi componenti portavano passamontagna.

La Costa d’Avorio è un Paese relativamente tranquillo, che dal 2002 conosce ondate di violenza a causa di divisioni tra musulmani del nord e cristiani del sud. La verità è che in questo caso l’attacco arriva da oltre confine: sia in Mali che in Burkina Faso ci sono gruppi attivi che hanno portato a termine attacchi simili a novembre e gennaio scorsi.

Nelle settimane passate il governo aveva aumentato la sicurezza ai confini, ma senza effetto: i terroristi non solo lo hanno passato ma si sono spinti piuttosto a sud. In questi mesi l’Africa occidentale è teatro di attacchi da parte di gruppi autoctoni e, come sembra il caso di oggi, di gruppi esterni provenienti dal Maghreb.

 

La rivoluzione mancata

rivoluzione francese

Il regista Mario Martone ha riacceso i riflettori sulla rivoluzione francese mettendo in scena La morte di Danton di quel genio visionario che fu Georg Büchner. Lo ha fatto con un allestimento (fino al 13 marzo al Piccolo di Milano e poi in tour) che dietro il dramma storico indaga il versante umano e «i nervi scoperti » della Rivoluzione, portando in primo piano quelle contraddizioni laceranti che poi la fecero naufragare nel sangue e nel Terrore.
Con differenti mezzi e strumenti, ad andare alla ricerca delle radici profonde e “invisibili” della rivoluzione, sul versante del pensiero, era stato un paio di anni fa il collettivo Wu Ming con il monumentale romanzo storico L’armata dei sonnambuli (Einaudi) che arruolava il medico e ipnotista Franz Anton Mesmer fra gli ispiratori dei giacobini.
Ora a dare nuova linfa al dibattito arriva l’altrettanto monumentale saggio di Jonathan Israel La rivoluzione francese, Una storia intellettuale dai diritti dell’uomo a Robespierre (Einaudi). Un volume che dipana per oltre mille pagine una affascinante tesi sulle origini e sul drammatico epilogo della rivoluzione, argomentando in modo colto e avvincente una tesi scomoda, per certi versi spiazzante, che ha fatto storcere il naso a non pochi commentatori. Innanzitutto perché, come aveva già aveva iniziato a fare nel volume La rivoluzione della mente (2011), Israel non segue la strada consueta di cercare le cause del terremoto rivoluzionario in ragioni economiche e materialistiche. La crisi congiunturale che la Francia attraversava negli ultimi decenni del Settecento, le finanze dissestate dello Stato, la carestia, la rivolta dei contadini e gli altri conflitti sociali restano sullo sfondo in questo nuovo saggio dell’eminente studioso che insegna Storia moderna all’università di Princeton. Non sono cancellati, ma sono messi fra parentesi, perché al centro della sua ricerca c’è l’analisi del pensiero dei principali protagonisti della rivoluzione francese, c’è lo studio e l’interpretazione dei riferimenti filosofici che animarono le loro azioni, e c’è, soprattutto, una coraggiosa denuncia della fede nascosta, dell’alienazione religiosa di molti rivoltosi, a cominciare da un leader come Maximilien de Robespierre, devoto del filosofo Jean-Jacques Rousseau e affetto da «puritanesimo morale», populismo demagogico e xenofobo.[…]


 

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Il fronte interno di Angela Merkel

German Chancellor Angela Merkel looks out of her car window as she arrives for an EU summit at the EU Council building in Brussels on Monday, March 7, 2016. European Union leaders are holding a summit in Brussels on Monday with Turkey to discuss the current migration crisis. (AP Photo/Virginia Mayo)

Non poteva immaginare un momento peggiore, per elezioni importanti come le regionali del 13 marzo, Angela Merkel. All’estero come in casa, la Cancelliera vive un momento di grande difficoltà. Isolata dai suoi alleati storici, è costretta a stringere alleanze inedite per uscire dall’angolo. A Bruxelles si vocifera addirittura che il vertice Ue, rimandato dopo gli attentati di Istanbul, sia stato calendarizzato pochi giorni prima delle elezioni regionali proprio per mettere in difficoltà lei e il suo partito. Che sia vero o no, su una cosa la stampa tedesca è unanime: l’esito di queste elezioni segnerà il destino politico di Frau Merkel, tanto in Germania quanto in Europa. La portata della sconfitta elettorale potrebbe prefigurare perfino una sua uscita di scena con ripercussioni a livello europeo. E in un momento in cui l’Unione è più debole che mai, il ritiro di una figura come la sua non sarebbe indolore.

La questione che tiene banco sul fronte interno come sul fronte europeo è la Flüchtlingspolitik, la politica in materia di rifugiati e richiedenti asilo. Dopo lo slancio ottimista di fine agosto, il motto “wir schaffen das” (“ce la possiamo fare”) è stato archiviato a metà dicembre con la promessa che il numero dei rifugiati si sarebbe drasticamente ridotto nel 2016. Ora, la sfida elettorale della Merkel si gioca tutta in questa promessa. Se il vertice Ue riuscirà a convincere l’opinione pubblica tedesca che le cose stanno effettivamente cambiando, che il numero dei richiedenti asilo è destinato a ridursi, la Cancelliera ha qualche speranza di non perdere le elezioni.
Al momento, i sondaggi danno la Cdu in calo rispetto alle elezioni del 2012 in tutte e tre le regioni in cui si voterà. Anche lì dove sognava di strappare il governo della regione alla Spd, come in Rheinland-Pfalz, o dove la Cdu era il primo partito, come in Baden-Württemberg. Ma il vero terremoto è atteso a est, in Sassonia, dove il partito xenofobo AfD, totalmente contrario alla politica sui rifugiati della Cancelliera, è dato addirittura al 19 per cento.
Meno drastica sull’esito delle elezioni e del futuro di Angela, è l’opinione di Matthias Krupa, Die Zeit: «La situazione della politica interna tedesca viene spesso drammatizzata. Finora non c’è nessun serio antagonista alla Merkel e per quanto lei si trovi nel momento più difficile della sua cancelleria, non è prossima alla caduta. Nemmeno nelle elezioni di domenica». […]


 

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La metro di New York invasa da manifesti che annunciano: i musulmani stanno arrivando

Questa settimana la metropolitana di New York si è popolata di strani manifesti che annunciavano in un tono tra l’ironico e il minaccioso “The Muslim are coming”, i musulmani stanno arrivando. Non si tratta della trovata di qualche potenziale elettore di Donald Trump, bensì della pubblicità di un docufilm che si intitola appunto “The muslim are coming” e che mira ad abbattere alcuni degli stereotipi più diffusi sugli arabi con l’ironia.

Protagonisti del film sono una serie di attori e comici di origine araba che con una serie di battute metteranno a nudo i paradossi razzisti.
I manifesti di promozione, dopo un primo straniamento, hanno suscitato la reazione divertita dei passanti sono stati affissi in 144 luoghi, eccone alcuni:

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«Gli investimenti languono, mentre la corruzione dilaga». A colloquio con Vincenzo Visco

In una recente eNews Renzi confronta i risultati del suo con quelli dei precedenti governi: più 0,8 il Pil nel 2015, meno 2,3 con Monti, meno 1,9% con Letta. «I numeri sono quelli», mi interrompe subito Vincenzo Visco, «ma non è corretto associare un numero a un presidente del consiglio. Monti e in parte Letta hanno gestito una recessione di cui non erano responsabili, Renzi gestisce una ripresina che non è attribuibile a lui».
Ripresina, tutto qui? «Il rimbalzo è stato tenue e l’economia è in difficoltà, Renzi o non Renzi. Il dibattito serio che si dovrebbe aprire è perché l’Italia non cresca». Secondo Luca Ricolfi del Sole24Ore la produttività forse ha smesso di calare, ma certo è più bassa che in tutti i principali Paesi europei. De Benedetti auspica uno shock fiscale, alcuni commentatori neoliberisti consigliano al governo di proseguire sulla scia del Jobs act e della riduzione del potere sindacale di contrattazione, lasciando in piedi, come chiede Federmeccanica, solo il contratto d’azienda.


 

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