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L’ultima vittima di Hiroshima. La storia del pilota Usa che sganciò la bomba

Fu il texano Claude Robert Eatherly (1918-1978), pilota e meteorologo, a dare il via libera allo sganciamento della prima bomba atomica della storia, “little boy”, che colpì Hiroshima il 6 agosto 1945. Earthely aveva solo 27 anni, ma era già un esperto nel suo settore. Quel giorno agì sulla base di considerazioni pratiche e razionali: il cielo era sgombro e non c’erano perturbazioni in arrivo su Hiroshima. Le conseguenze furono devastanti: la bomba provocò la morte immediata di 70mila persone. Altrettante morirono poi a causa delle radiazioni e delle ustioni. Tre giorni dopo un’altra bomba, detta “fat men”, fu sganciata su Nagasaki: 39mila persone furono disintegrate e altre 25mila morirono in modo atroce nei giorni successivi. Ma sappiamo anche che effetti devastanti quelle due bombe ebbero sulle generazioni successive.

«Alla fine della guerra i piloti venivano celebrati e acclamati in patria come “eroi sorridenti”, come portatori di pace. Tutti godevano di questa gloria, ma non Eatherly, che rinunciò a trarre vantaggio da tale popolarità, si chiuse nel riserbo e dedicò tutta la sua vita successiva al tentativo di venire a capo della propria colpa e di renderne consapevoli gli altri», scrive Michaela Latini, curatrice del libro L’ultima vittima di Hiroshima (Mimesis), un importante volume che raccoglie l’epistolario fra il filosofo Günther Anders e Claude Eatherly.
«Nella testa del pilota l’ombra lunga del ricordo dell’azione di Hiroshima non si lascia accantonare facilmente: le furie scatenate dal suo gesto e i fantasmi dei corpi in fiamme nell’isola bombardata iniziarono ad affollare il suo sonno», prosegue la germanista dell’Università di Cassino.

Eatherly cade in depressione e tenta più volte il suicidio. «Il matrimonio con l’attrice italo americana Concetta Margetti entra in crisi e gli viene interdetta la frequentazione dei figli.  E compie gesti autodistruttivi e anti sociali: viola un domicilio privato, falsifica un assegno per pochi dollari, «cerca in ogni modo di distruggere l’immagine epica che la società occidentale si è fatta di lui per poter continuare a giustificare se stessa». Ed è proprio questo l’aspetto che colpisce il filosofo Günther Anders che nel 1959 scrive a una lettera a Eatherly, che poi diventerà un ampio e toccante carteggio, di cui Mimesis ha pubblicato nel 2016 la traduzione italiana.
«Il caso di Claude Eatherly non è solo un caso di ingiustizia enorme e prolungata ai danni di una persona ma è anche simbolico della pazzia suicida dei nostri tempi», scrisse il filosofo Bertrand Russell nell’introduzione alla prima edizione  uscita nel 1961. Perché la  decisione di Eatherly fu giudicata folle e lui ostracizzato ,«punito», scriveva Russell perché aveva aveva fatto una cosa inaccettabile per l’America: pentirsi di aver collaborato al bombardamento.

Il caso Eatherly diventa la cartina di tornasole di una cultura americana malata, che è andata in cerca di un nemico esterno e di una missione da compiere per cementificare l’unità nazionale (Basta pensare a Bush e all’invasione dell’Iraq compiuta con il pretesto – poi rivelatosi falso – che il dittatore iracheno possedesse armi chimiche). Un’ideologia religiosa e guerrafondaia che rende ciechi, non permette di vedere che le bombe atomiche colpiscono anche chi le usa. «C’è un effetto boomerang dei mezzi distruzione di massa, non di natura fisica, ma psichica», scrive Robert Jungk nella prefazione all’edizione tedesca di questo epistolario pubblicato da Mimesis «La violenza distruttiva delle armi atomiche – aggiunge Jungk – impone a chi le ha usate un carico psichico che non sono in grado di elaborare consciamente e inconsciamente». È proprio quel devastante effetto boomerang che gli americani cercarono di negare stigmatizzando la decisione di Claude Eatherly di lasciare l’esercito e di rifiutare gli onori. Quel gesto fu letto come un pericoloso attacco alla nazione. Un libro che fa molto riflettere oggi, mentre Putin minaccia di usare armi nucleari nella guerra di invasione all’Ucraina e l’America di Biden incoraggia l’escalation del conflitto anche fornendo bombe a grappolo (proibite) all’Ucraina, scendendo così sullo stesso piano criminale di Putin.

Alla commemorazione del 78° anniversario della bomba su Hiroshima il sottosegretario generale Nakamitsu ha letto il discorso di António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite: “L’ombra nucleare che incombeva sulla guerra fredda è riemersa – ha scritto Guterres – E alcuni Paesi stanno incautamente agitando la sciabola nucleare ancora una volta, minacciando di usare questi strumenti di annientamento. Di fronte a queste minacce, la comunità globale deve parlare all’unisono. Qualsiasi uso di armi nucleari è inaccettabile. Non staremo a guardare mentre gli Stati dotati di armi nucleari corrono a creare armi ancora più pericolose”.

Marx e Google

Insomma quante belle cose che mi regala la rete! Mi dà gratis la posta, Facebook, Instagram addirittura What’s up (lo è diventato dopo i 0.99 centesimi di dollaro iniziali) e poi le news, il traffico, i percorsi, il tempo.
Ma non è una meraviglia? Adesso anche l’intelligenza artificiale, internet mi dà gratis. Per cui per fare un articolo tutti i venti volumi (più aggiornamenti) della Treccani che avevano i miei amici scrittori negli scorsi decenni, si possono usare per fare mura divisorie nei loft post-industriali. Ma anche Wikipedia in fondo serve meno di una volta. Per scrivere un documento, apro una pagina di chat Gpt e mano a mano che ho dei dubbi glieli chiedo. Certo, se mi invento qualcosa, allora Chat Gpt ci mette del tempo a assimilare il punto e all’inizio dice ovvietà.

Da dove arriva il profitto
Gli chiedo: “Mi spieghi la relazione tra Google e Karl Marx?” La risposta di ChatGpt, me la conservo io in nota per non annoiarvi (1), Sostiene che si tratta di due cose ben diverse. L’unica connessione è che Google permette di “accedere a una vasta quantità di informazioni, compresi i testi e gli scritti di Karl Marx”.
Rifacciamo la prova tra un mese e scommetto che avrà ben succhiato quanto segue. La relazione tra Goole e le teorie di Karl Marx è invece fondamentale. Anzi, se non si inquadra Google in termini marxisti sfugge quasi tutta la sostanza di quello che succede davanti a noi. Dicevamo di tutti quei meravigliosi servizi (il traffico, il meteo, l’intelligenza artificiale), sono veramente gratis? Non lo sono: li paghiamo, eccome. Ci si scuserà per la contrazione delle teoria di Marx dal punto di vista che ci interessa, ma ecco come è utile inquadrare la questione. Marx ha scoperto già nell’Ottocento una proprietà che poi verrà chiamata sinergia. Cioè che a volte l’algebra non funziona, ma avviene una sorta di reazione chimica che fa saltare i numeri. Gli economisti prima di lui, per esempio David Ricardo, non riuscivano a dare una spiegazione plausibile a “Come fanno i capitalisti a guadagnare”. I numeri non quadravano. Se il capitalista compra il lavoro al suo valore di mercato e se compra le macchine e le materie prime al loro valore di mercato, come mai il valore del prodotto finito è diventato dieci volte più alto?. Naturalmente Ricardo dava delle risposte, ma erano un poco strampalate come quelle che si davano sulla forma della terra prima che arrivasse Galileo. Marx per affrontare l’impasse, inventò il plusvalore. Certo che io-capitalista compro il lavoro (L) e i mezzi di produzione (M) al loro valore di mercato, ma siccome io e solo io come capitalista posseggo i mezzi di produzione quando il lavoro degli operai è applicato ai mezzi di produzione scatta un miracolo, nasce appunto un “plus” valore. Quel lavoro applicato, inserito, immesso nei mezzi di produzione non crea più la somma algebrica di L+M ma, appunto, molto di più (2). Piccola nota.

Se parlo di “sfruttamento” del lavoro dell’operaio in questo contesto articolo un discorso politico, se invece sottolineo che la chiave della questione è “il possesso” dei mezzi di produzioni allora il discorso è economico (che naturalmente ha ricadute politiche: lo sfruttamento rimane lo stesso anche nei Paesi socialisti infatti, ma è il plusvalore che è ridistribuito).

Tempo versus Privacy
Ora vediamo come questa impostazione si applichi a Google e a tutti gli altri fornitori di servizi “gratuiti” sino all’intelligenza artificiale. Diciamo che io-utente sono il protagonista al posto del proletario ai tempi di Marx. Ma, ecco il concetto chiave, invece del mio tempo, come faceva l’operaio, io “vendo” una quota della mia privacy. Avete fatto caso che ormai Google non funziona più se non vi loggate?. Google vuole sapere molto “di me” (e stare il più possibile con me) per poter trarre il massimo dalle informazioni che gli passo, di norma senza pensarci. Dove vado, cosa compro, dove sono eccetera. Loggandomi fornisco questa informazioni “in cambio di un servizio” per esempio ho un’informazione sul percorso con meno traffico. Quindi non cedo più il mio tempo in cambio di una paga, cedo una quota della mia privacy in cambio di un servizio. Credo che ad Alvin Toffler, il mitico autore di The Third Wave, sarebbe piaciuta messa così.

Ora veniamo a un altro aspetto della questione che è però identico all’esempio classico di Marx. Google detiene i “mezzi di produzione”. Ovviamente non sono le fabbriche, ma enormi server e decine di migliaia di esperti che scrivono algoritmi per estrarre e poi organizzare le informazioni e “venderle” a chi serve.

Se si guarda a un chart ufficiale delle entrate di Google risulta che il 70 per cento deriva da Ads pubblicità (divise in Youtube, Network, Google search e un misterioso “other properties”).

Di che cifra parliamo? Di circa 279,81 bilioni di dollari (4). Non siamo molto familiari con il bilione. Diciamo che il fatturato annuo di google è di 250.304.035.500 euro cioè 250 miliardi e rotti di euro, dalla Ue l’Italia ha ricevuto per il Piano Pnrr 191,5 miliardi di euro).
Sulla base di questi introiti pubblicitari di Google, ho creato un blog abbastanza frequentato. In più di vent’anni non sono ancora arrivato a 100 euro di guadagno. C’è qualcosa che non quadra. E naturalmente quello che non quadra sono le “other properties”. E cosa volete mai che siano le other properties: sono le nostre informazioni prese grezze e poi rimpacchettate attraverso i mezzi di produzione che Google possiede e noi no. Ma non c’è la privacy? direte. Certo che c’è. Ma ricorderete di certo la casella in cui accontento al trattamento dei dati, se no il sistema non va avanti.
Volete la morale? Non c’è. Quando la rivoluzione ci arriva addosso non c’è nulla da domandarsi, soltanto cercare i nostri “come” per viverla.
E la Cina e il Metaverso? Alla prossima.

 

Nota 1 Google e Karl Marx sono due entità diverse che rappresentano concetti e contesti completamente diversi. Google è una delle più grandi aziende di tecnologia al mondo, specializzata nei servizi di ricerca online, pubblicità digitale, software e altri settori correlati. È stata fondata nel 1998 da Larry Page e Sergey Brin. Karl Marx, d’altra parte, è stato un filosofo, economista e teorico politico tedesco. È noto soprattutto per il suo lavoro sul comunismo e sul socialismo scientifico. Marx ha vissuto nel XIX secolo ed è considerato uno dei pensatori più influenti della storia moderna, le sue idee hanno contribuito alla formazione di movimenti politici come il marxismo.. Non c’è una relazione diretta tra Google e Karl Marx in termini di associazione o partnership. Tuttavia, è possibile individuare alcune connessioni indirette. Ad esempio, il motore di ricerca di Google consente agli utenti di accedere a una vasta quantità di informazioni, compresi i testi e gli scritti di Marx, consentendo a chiunque sia interessato di studiare le sue teorie. Inoltre, la diffusione delle idee marxiste e socialiste può avvenire anche attraverso Internet e le piattaforme di condivisione, come i social media, che possono essere accessibili tramite i servizi di Google. In sintesi, Google e Karl Marx rappresentano due ambiti differenti: Google è una società tecnologica che fornisce servizi online, mentre Karl Marx è un filosofo e teorico politico il cui lavoro ha influenzato il pensiero socio-politico. Non esiste una relazione diretta tra i due, sebbene possano essere collegati indirettamente attraverso l’accesso alle informazioni e la diffusione delle idee attraverso il web.

Nota 2 Ecco come spiega il concetto marxista di plusvalore Chat Gpt. «La teoria del plusvalore è un concetto centrale nella dottrina economica di Karl Marx, contenuta nella sua opera principale “Il Capitale”. Questa teoria è un elemento fondamentale del marxismo e contribuisce a spiegare la dinamica dello sfruttamento del lavoro nei sistemi capitalistici.
Iniziamo con una breve introduzione al contesto. Secondo Marx, il capitalismo è un sistema economico basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione (come fabbriche, macchinari, materie prime) da parte di una classe di individui, i capitalisti, che detengono il controllo del capitale. Allo stesso tempo, esiste un’altra classe sociale, i lavoratori o proletari, che possiedono solo la loro forza-lavoro e devono venderla ai capitalisti in cambio di un salario per sopravvivere. Nel processo di produzione, i capitalisti assumono i lavoratori e li pagano per il loro tempo di lavoro. Tuttavia, secondo Marx, i lavoratori non ricevono un salario che rifletta pienamente il valore del loro lavoro. Invece, essi producono una quantità di valore superiore rispetto al valore del salario ricevuto. Questa
differenza tra il valore del lavoro che i lavoratori producono e il salario che ricevono è chiamata “plusvalore”. Marx distingue tra due tipi di valore che emergono nel processo di produzione: Valore delle merci: È il valore incorporato in un bene o servizio a causa del tempo di lavoro socialmente necessario per produrlo. Questo valore è determinato dalla quantità di lavoro impiegata per crearlo. Plusvalore: È la differenza tra il valore creato dal lavoro dei lavoratori e il salario che ricevono. Questo surplus di valore è la fonte del profitto per i capitalisti. Marx sostiene che il plusvalore deriva dal fatto che i capitalisti pagano ai lavoratori solo una parte del valore che essi producono durante il loro tempo di
lavoro. La differenza viene quindi appropriata dai capitalisti sotto forma di profitto.
La produzione di plusvalore è una caratteristica essenziale del capitalismo e serve come motore del sistema. I capitalisti cercano costantemente di massimizzare il plusvalore aumentando l’intensità del lavoro, riducendo i salari o migliorando l’efficienza produttiva.
Secondo Marx, il plusvalore è anche responsabile di molte delle contraddizioni e delle tensioni all’interno del sistema capitalistico. Il conflitto tra capitalisti e lavoratori, noto come lotta di classe, è alimentato in gran parte dalla questione dello sfruttamento del lavoro e dalla divisione del plusvalore. In sintesi, la teoria del plusvalore di Karl Marx è una spiegazione critica dello sfruttamento dei lavoratori all’interno del sistema capitalistico e un concetto chiave per capire le dinamiche economiche e sociali del capitalismo.»

L’autore: Antonino Saggio è docente di Architettura all’Università di Roma, saggista e editore

leggi anche le precedenti puntate, eccone alcune:

Chat GPT non ha creato l’intelligenza artificiale, ma ha fatto un salto come Dick Fosbury

Io e internet al tempo del covid

Il “pull factor” non esiste. E adesso?

Il titolo dice tutto: “la ricerca nella rotta del Mediterraneo centrale non favorisce la migrazione”. In parole povere: il “pull factor non esiste”. Non è vero che la presenza di navi nel Mediterraneo induce i migranti a partire. Quindi non è vero il 90% della propaganda della destra di governo e dei per niente esperti che hanno scritto quintali di parole inutili in questi anni.

A dirlo è uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Scientific Report, una delle prime cinque riviste più citate al mondo. La ricerca osserva come ne “le missioni di ricerca e soccorso non hanno prodotto una differenza discernibile tra il numero contro fattuale osservato e quello previsto di tentativi di attraversamento”. Lo studio dimostra come “il numero di attraversamenti di frontiera sembra essere guidato da alcuni cambiamenti nell’intensità dei conflitti, nei prezzi dei prodotti di base e delle materie prime e dei disastri naturali, nonché dalle condizioni meteorologiche, dagli scambi valutari e dal traffico aereo tra Nord Africa e Medio Oriente e l’Unione Europea”.

I ricercatori rilevano anche come la diminuzione delle partenze coincida “con le segnalazioni di un deterioramento della situazione dei diritti umani dei potenziali migranti in Libia, durante le intercettazioni e i rimpatri, nonché nei centri di detenzione”. L’unico modo funzionante per non permettere alle persone di sperare in una vita migliore è violentarli, schiavizzarli e talvolta ucciderli.

Ora che è certificato come le teorie di certa destra siano antiscientifiche oltre che razziste la questione è lapalissiana: chi è disposto a scavalcare i più elementari diritti umani per ottenere un beneficio politico? Perché è questo, nient’altro che questo.

Buon venerdì.

Dillo alla mamma, dillo all’avvocato

Fa molto ridere e fa molto preoccupare la querela che Giorgia Meloni ha deciso di presentare nei confronti di Brian Molko, cantante del gruppo britannico Placebo che l’11 luglio scorso dal palco dello Stupinigi Sonic Park a Nichelino (Torino) ha definito “fascista”, “razzista” e un altro paio di improperi la presidente del Consiglio.

Fa sorridere perché Meloni si racconta come maledettamente impegnata quando c’è da fare visita ai migranti morti (o ammazzati?) nel naufragio di Cutro e poi trova il tempo di occuparsi di un concerto, parlare con gli avvocati e firmare una querela. L’idea che non vi fossero altre priorità in un Paese che perde miliardi del Pnrr, che affoga nel cambiamento climatico, che ha la sanità pubblica in demolizione, che da due giorni a mezzo milioni di poveri in più smaschera l’ipocrisia della propaganda. Fa sorridere anche che “l’underdog” Meloni (come ama definirsi) cerchi la rivincita con una band internazionale da 13 milioni di dischi. Finisce sempre così, sognavano tutti di diventare delle rockstar.

Fa molto preoccupare invece che una presidente del Consiglio non sappia distinguere la politica dal mondo che le si muove intorno, credendo di essere “capa” a tutti gli effetti in tutti gli ambiti. Chiunque abbia un briciolo di rilevanza pubblica (perfino coloro che scrivono sul giornale della scuola) sanno benissimo che potrebbero pescare diffamazioni a piene mani dappertutto. L’aspra critica politica al limite della legge tra l’altro è un tratto caratteristico di gran parte dei fan di Giorgia Meloni e della brigata di destra che sta al governo. Ma fa molto preoccupare anche il fatto che Giorgia Meloni insista nell’entrare a piedi uniti nello spettacolo e nella cultura. Come scrive lo scrittore Francesco Pecoraro “Meloni sa che il primo dato strutturale del contemporaneo è la cultura. Se le riesce di sostituire i paradigmi correnti, tutto il resto, cioè la società fascista, verrà da sé. I suoi servi sono già pronti. Altri ne stanno già accorrendo”.

Buon giovedì.

In foto Brian Molko e i Placebo, foto di Alessandro Caniglia, fonte Wikipedia

Silvia Bencivelli: Grazie a quei folli, spericolati sperimentatori!

Con il titolo Eroica, forte e visionaria il bel libro di Silvia Bencivelli edito da Bollati Boringhieri, cattura l’attenzione facendo pensare a un romanzo d’amore appassionato. E in fondo lo è, anche se l’oggetto d’amore è la sperimentazione medica. E appassionata è anche l’autrice, giovane medico, che si è perfezionata alla Scuola superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste. Bencivelli racconta la scienza nel suo evolversi. Lo fa brillantemente con libri, programmi radiofonici (Rai Radiotre) e tv (Rai cultura). In attesa di ascoltarla dal vivo al Festivaletteratura di Mantova (9 settembre) e a Pordenonelegge (16 settembre) per questa nostra conversazione partiamo dal sottotitolo “storie di medicina spericolata”. Leggendo il libro si ha la sensazione che la medicina lo sia stata parecchio e per centinaia di anni: dalla chirurgia sperimentale di John Hunter, personaggio formidabile, quasi romanzesco, al discusso Werner Forssmann che per primo sottopose sé stesso al cateterismo cardiaco fino agli studi sull’Hiv.

Quando l’austerità odora di fascismo

Il libro di Clara Mattei Operazione austerità. Come gli economisti hanno aperto la strada al fascismo (Einaudi, 2022), frutto di un lungo lavoro di scavo archivistico, fa una comparazione fra la politica economica inglese e quella italiana all’indomani della prima guerra mondiale: entrambe, nonostante la differenza dei regimi – autoritario dopo la marcia su Roma in Italia e liberale nel Regno Unito – reagiscono ai provvedimenti redistributivi del periodo della guerra e dell’immediato dopoguerra, nonché all’antagonismo sociale. Questo da un lato spingeva al riformismo sociale le classi dirigenti e, dall’altro, tendeva a configurare un modello di sviluppo diverso dal capitalismo: dai consigli di fabbrica dell’Ordine nuovo al socialismo gildista in Gran Bretagna. La reazione a queste tendenze fu l’imposizione di un modello austeritario (fiscale, monetario e industriale) basato sulla compressione dei salari e dei consumi, sulla limitazione della spesa pubblica per limitare l’inflazione e su politiche fiscali antiprogressive. Questa politica economica ha prodotto una redistribuzione al contrario delle risorse, a vantaggio di pochi risparmiatori e investitori (che possono rimborsare il debito e rilanciare la produzione) e a detrimento del lavoro dipendente, ritenuto improduttivo o poco produttivo e tendenzialmente (troppo) consumatore.

Anna Maria Ortese, l’amica creativa

Gli ultimi anni Trenta e i primi Quaranta del Novecento sono, nella biografia della Ortese, quelli di più fervide amicizie femminili. Per almeno tre di esse disponiamo di una splendida documentazione, in forma di epistolario – destinatarie Paola Masino, Adriana Capocci Belmonte, Marta Maria Pezzoli -, che ci permette di esplorare un’area specialmente protetta della vita di una donna quale è quella della confidenza con una sua simile, resa partecipe e testimone di primo grado della propria intimità e del proprio divenire. Tramite di un accrescimento di vitalità e di fiducia in sé stessa, garanzia di letizia e di positività del sentire, del pensare e dell’agire, e sollecitazione a perseguire l’intensità dell’esistenza, l’amica si rivela anche per la Ortese colei che consente di accedere a ciò che vi è di eccellente nelle relazioni umane, lo sguardo leale e limpido, depurato da passioni torbide quali l’invidia e la gelosia, in cui vedersi restituita un’immagine fedele e probante di sé. Ed è presenza così prossima e dolce, così idonea a compartire uno stesso patrimonio di progetti e di affetti da evocare facilmente la dimensione della sorellanza: di una sorellanza, quanto meno, elettiva, ma che ben poco differisce da quella di sangue, stante che nell’uno come nell’altro caso si tratta comunque di un ricevere forza dal non essere sole.

I barbari di Kabul

«Dal 2015 in poi è stato l’inferno, non lasciavo uscire i miei bambini nemmeno per giocare con i vicini in strada per la paura che potessero incappare in uno scontro a fuoco. Da un paio d’anni invece la città quanto meno è sicura. Abbiamo anche l’elettricità quasi tutto il giorno, almeno qui nel sud. Il vero dispiacere è per le mie figlie che non possono frequentare la scuola superiore e devono restare sempre a casa. Spero che questo cambi presto». Hamir snocciola la propria storia mentre gli occhi rimpallano tra i mille ostacoli delle strade impolverate di Kandahar. Nel viavai del bazar a due passi dai villini arabeggianti di Aino Mina i venditori di fichi appena maturi creano un cordone ai lati del marciapiede rallentando il traffico in un imbuto di urla e mani agitate. All’improvviso una jeep tappezzata dei colori mimetici dell’esercito mujaheddin taglia la strada lasciando appena il tempo per una sterzata di fortuna. Hamir con un movimento delle sopracciglia indica la bandiera bianca con i glifi neri dell’Emirato islamico dell’Afghanistan che svolazza indifferente a un angolo del parabrezza. «Ci dovevi essere prima Gulalai Saib, per vedere in che situazione vivevamo». Queste ultime parole scivolano via con un tono più basso, quasi a scavare a fondo in un passato scritto ancora nelle facciate dei palazzi crivellati e sulle macerie di ponti mai più ricostruiti. E in effetti basta uno sguardo al di fuori del finestrino per leggere nella realtà attorno le cromature sfiorite di un Paese stretto nel limbo di una guerra sì chiusa, ma mai del tutto.

Maurizio Ambrosini: L’accordo con la Tunisia è un manifesto di crudeltà

Al di là di tanti discorsi retorici, come quelli pronunciati dalla presidente Meloni alla conferenza sulle migrazioni di Roma, la dura realtà ci dice che per i migranti non ci sono vie di accesso sicure e legali verso l’Europa e l’Italia. «Nei fatti assistiamo a politiche migratorie a tre velocità», denuncia il sociologo Maurizio Ambrosini, curatore di Rifugiati e solidali (Il Mulino) e autore di Stato d’assedio, perché la paura dei rifugiati ci rende peggiori (in uscita per Egea).
L’accoglienza è intermittente ed è improntata a un criterio selettivo, rileva il professore ordinario dell’Università di Milano che il 9 settembre approfondirà questo tema al festival Con-vivere a Carrara, dialogando con Left.

Professor Ambrosini, il governo Meloni nonostante proclami blocchi navali apre ai lavoratori ma selezionando e discriminando?
Seguendo un trend già in atto in Germania, Francia, Spagna e Giappone, il governo punta ad attrarre lavoratori specializzati ma anche a media e bassa qualificazione. Semplicemente dice: ne abbiamo bisogno. Rilevo che il governo Meloni prevede di far entrare 450mila lavoratori immigrati in tre anni. Molti di più rispetto al decreto flussi che era di 80mila. Se un governo di centrosinistra avesse fatto una politica simile le destre sarebbero insorte con manifestazioni di protesta.

Immigrazione, ecco gli effetti delle politiche disumane di Italia e Ue

Era facile prevederlo, purtroppo. Il 2023 rischia di passare alla storia come uno degli anni più tragici per il numero di vite perse nella guerra che si combatte contro migranti e richiedenti asilo. Soltanto considerando il primo trimestre, secondo l’Onu, è stato l’anno più letale dal 2017 con 441 morti. La strage di Steccato di Cutro ci ha toccato più da vicino ma il naufragio di Pylos, i continui affondamenti di imbarcazioni nei pressi del porto tunisino di Sfax, al largo delle coste libiche o maltesi, persino vicino alle Canarie, in pieno oceano, impongono di comprendere il problema in generale e di non considerare i singoli eventi come isolati. La guerra silenziosa a cui, attivisti di spessore come il diplomatico Enrico Calamai o l’avvocato Arturo Salerni hanno dato la definizione di “migranticidio”, sta subendo un’escalation dovuta, ad avviso di chi scrive, a ragioni prettamente politiche che mostrano il profondo cinismo su cui si basano i principi della fortezza Europa. Man mano che vanno avanti le inchieste, portate avanti più dalla società civile e dal mondo dell’attivismo antirazzista che dalle istituzioni preposte, emerge l’ipotesi affatto peregrina secondo cui le stragi che si sono verificate non siano frutto di fatalità o di errore umano ma di vera e propria scelta. Già da anni il Mediterraneo centrale ed oggi anche l’Egeo, vedono ridotta la presenza di mezzi di soccorso nonostante il passaggio costante di imbarcazioni.