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Vaccini, l’Europa si è fermata a San Marino

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 03-03-2021 Roma, Italia Politica Lega - incontro Salvini con governo San Marino su vaccini Nella foto: Il leader della Lega Matteo Salvini con il Segretario di Stato al lavoro della Repubblica di San Marino Teodoro Lonfernini dopo l’incontro negli uffici della Lega al Senato sul piano vaccinale Photo Mauro Scrobogna /LaPresse March 03, 2021  Rome, Italy Politics Lega - Salvini meeting with the San Marino government on vaccines In the photo: The leader of the League Matteo Salvini with the Secretary of State at work of the Republic of San Marino Teodoro Lonfernini after the meeting in the offices of the League in the Senate on the vaccination plan

Accade anche che i giornali scrivano che Salvini e Bonaccini si rivolgono a San Marino per discutere con le autorità della Repubblica dei Titani del vaccino russo, lo Sputnik, che questa ha acquistato godendo della sua condizione di Stato extracomunitario. Di fronte alle défaillance dell’Unione europea nella corsa vaccinale, molte cose si mettono in moto, confusamente. Austria e Danimarca dicono che si rivolgeranno ad Israele. Che pensa di usare il vaccino per sponsorizzarsi. La Serbia è nettamente avanti nelle vaccinazioni, avendo deciso di usare tutti i vaccini disponibili. Orbán usa l’empasse europeo per aprire l’Ungheria al vaccino russo e contemporaneamente rompere col gruppo del Partito popolare europeo passando da accusato ad accusatore. I vaccini, russo, già in azione, e cinese, 3 miliardi di dosi previste, sono ragioni di diplomazie palesi e più sotterranee. Il nuovo atlantismo, propagandato da Draghi, non vede per ora piani Marshall vaccinali in arrivo dagli Stati Uniti che sono invece concentrati a vaccinare tutti gli americani in tempi persino minori rispetto a quelli previsti. Biden ha convinto le “sue” multinazionali a mettersi a disposizione. Chi ha il brevetto e chi non c’è arrivato ad ottenerlo si mettono insieme, tutti a produrre.

Mentre scrivo gli States viaggiano a quasi due milioni di somministrazioni al giorno. L’Italia a 100 mila e a livelli analoghi Germania, Francia, Spagna. Quando gli Stati Uniti avranno finito, Bruxelles starà, se va bene, a metà del guado. Arrivano poi notizie di richieste massicce di dosi vaccinali che l’Unione europea farebbe agli Stati Uniti. Ma arriva anche la notizia che la lobby di big pharma scrive a Biden per chiedere di bloccare ogni velleità contro i brevetti.

E, per stare all’Italia, sembra che Draghi abbia…


L’articolo prosegue su Left del 12-18 marzo 2021

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America first, il sovranismo vaccinale di Biden

President Joe Biden, standing left, visits a COVID-19 vaccination site and watches as Dr. Navjit Goraya gives a vaccine to Air Force Col. Margaret Cope, as from left, Pharmacist Deepika Duggineni, White House COVID-19 Response Coordinator Jeff Zients and Secretary of Veterans Affairs Denis McDonough, right, look on at the VA Medical Center in Washington, Monday, March 8, 2021. (AP Photo/Patrick Semansky)

Si chiama Defense production act (Dpa) ed è una legge le cui origini risalgono ai poteri straordinari dell’esecutivo statunitense durante la Seconda guerra mondiale, trasformati in questo speciale provvedimento all’alba del conflitto con la Corea. In estrema sintesi, il Dpa contiene una sezione che autorizza il presidente a controllare la produzione e la distribuzione di beni considerati necessari alla difesa nazionale. Il governo può sia ordinare una maggiore produzione di un particolare bene di cui è presente una scarsa quantità, oppure operare direttamente per eliminare la concorrenza tra industrie rivali ed obbligarle a cooperare. In ultima istanza, se dovesse rivelarsi necessario, si può arrivare anche alla cosiddetta «autorità di allocazione», cioè la facoltà del governo di acquistare i beni prodotti dalle industrie con priorità assoluta su chiunque altro.

Dagli anni ’50 a oggi, il Dpa è stato utilizzato da molti presidenti, sia democratici che repubblicani. Lo ha invocato Donald Trump per sopperire alla mancanza di mascherine e ventilatori e se ne sta avvalendo Joe Biden per adempiere al suo proposito di vaccinare 100 milioni di americani nei suoi primi 100 giorni di mandato. Il Dpa è stato utilizzato per rintracciare i lipidi, le nanoparticelle che rilasciano l’mRna nelle cellule umane, fondamentali per la produzione del vaccino Pfizer: grazie al potere conferito dalla legge, gli ordini di Pfizer sono scattati in testa alla lista d’attesa, diventando prioritari rispetto a tutti gli altri. Biden l’ha usato anche per aiutare Pfizer a procurarsi dei sofisticati macchinari necessari per la fase successiva, l’estrazione dell’etanolo dalla mistura lipidica. È sempre grazie al Dpa che Merck e Johnson&Johnson, due industrie rivali, sono state costrette a collaborare (non senza qualche bonus) nella produzione del vaccino brevettato dalla seconda.

Da quando è arrivato alla Casa Bianca, Joe Biden ha trattato il coronavirus come se fosse un nemico da battere e la guerra da condurre fosse contro il tempo.

Mentre la campagna vaccinale continua e i casi di contagio hanno superato i 29 milioni con quasi 57 mila nuovi casi al giorno, in Texas il governatore repubblicano Gregg Abbott ha messo fine all’obbligo di indossare la mascherina e in Idaho è stata organizzata una manifestazione in cui un gruppo di detrattori del Covid-19 ha bruciato le proprie mascherine in un barile. Attualmente, la priorità del presidente sembra tutta rivolta al salvataggio del suo popolo, con scarso interesse per le sorti europee. Quella attuata da Biden sembra quasi una Dottrina Monroe dei vaccini: l’Europa non si immischia negli affari americani e gli Stati Uniti si tengono ben lontani dall’interferire con ciò che accade nel Vecchio continente. E si è ben capito l’8 marzo al termine di un incontro Stati Uniti-Ue quando il responsabile nordamericano della campagna vaccinale di Biden ha detto chiaro e tondo che in termini di vaccini tutto quello che verrà prodotto negli Usa rimarrà negli Usa fino a quando non sarà vaccinato l’ultimo cittadino Usa.

Nel frattempo, però, l’isolazionismo dell’America First dei vaccini sembra essere stato rotto dalla società di consulenza strategica McKinsey, assunta dal governo Draghi per aiutare l’Italia nell’analisi dei dati e dei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, il programma che deve essere presentato alla Commissione europea nel più ampio bacino del Next Generation Eu. Se Mario Draghi e il suo staff hanno ritenuto McKinsey la società più qualificata per svolgere l’operazione, negli Stati Uniti però non gode di ottima reputazione: lo scorso febbraio ha patteggiato il pagamento di 573 milioni di dollari a 47 Stati, più Washington D.C. e cinque territori, per le sue campagne aggressive nell’incoraggiamento della vendita di antidolorifici a base oppiacea come l’Oxycontin prodotto da Purdue Pharma e altre industrie farmaceutiche americane. L’abuso di oppiacei ha portato alla morte di oltre 450 mila persone negli ultimi 20 anni solo negli Stati Uniti, un dato su cui forse sarebbe necessario riflettere.


Per approfondire, leggi Left del 12-18 marzo 2021

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Caro Pd, senza idee non c’è identità

Uscita dall’oscurità del fascismo l’Italia assunse l’ordinamento repubblicano fondato sulla Costituzione. Quella dei costituenti fu una generazione formata nel ferro e nel fuoco della resistenza alla dittatura, della guerra, della lotta di Liberazione. Aveva combattuto unita nonostante le differenze ideologiche fortissime dalle quali era divisa. E unita, seppur tra distinguo e contrasti di princìpio, costruì l’edificio della nostra democrazia. Popolari, socialisti, comunisti, liberali, repubblicani videro nel partito politico il mezzo attraverso il quale i cittadini, riuniti in base alle proprie idee, alle proprie convinzioni più profonde, avrebbero potuto partecipare alla vita politica e determinare «con metodo democratico» le scelte del Paese.

Per decenni quei partiti hanno combattuto una serrata battaglia di idee e visioni del mondo. Era uno scontro tra forze che orientavano, che indicavano prospettive anche opposte ma che, contemporaneamente, costruivano il Paese. Decenni di sviluppo, affermazioni dei diritti di cittadinanza come l’istruzione, lo Statuto dei lavoratori, il welfare universale pensionistico e sanitario.

La necessità di quella forma di aggregazione politica non è affatto venuta meno, nonostante anni e anni di affermazioni demagogiche sulla morte delle ideologie e la nocività dei partiti stessi. Ma le ideologie non sono affatto morte. Si crede forse che nella rivendicazione di Viktor Orbán e dei suoi simili della “democrazia illiberale” non vi sia una radice ideologica?

Le strategie politiche nascono in base alle idee che generano programmi politici. E non si può, di fronte alla crisi perenne che attanaglia il Partito democratico, non chiedersi: qual è l’identità politica di questo partito? A chi si rivolge? Qual è la proposta programmatica che promuove per «determinare la politica nazionale»?

Quando, dopo la stagione dell’Ulivo e la nascita del governo Prodi II (la lista unitaria dell’Ulivo alla Camera aveva ottenuto oltre il 31%), prese piede l’idea di…


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A pochi metri dalla solita manfrina

Che Matteo Salvini sia terribilmente scomodo in questo governo allargato è un’evidenza negata solo da quelli che per convenienza hanno voluto rivenderci la svolta del leader leghista, tanto per magnificare preventivamente le doti di Draghi nel mondare salvificamente una politica che invece (purtroppo) rimane sempre uguale a se stessa. Che la base di Salvini sia in subbuglio, soprattutto quella più estrema ai limiti del negazionismo che ha accarezzato di sponda in tutti i mesi di questa pandemia è un fatto che basta verificare scorrendo i commenti ai suoi post su uno qualsiasi dei social che il segretario leghista utilizza con veemente frequenza. Anche i molti imprenditori che confidavano in lui per un fulmineo ritorno alle aperture e a una presunta normalità (perfino sfidando i ragionevoli rischi del virus) sono parecchio incazzati.

A questo aggiungeteci che all’interno del partito Salvini comincia a perdere appoggi importanti e a soffrire figure come quella di Giorgetti che viene considerato molto più affidabile dai ceti produttivi del nord, senza dimenticare Zaia che da tempo aspetta solo il momento giusto per provare a tirare la sua zampata e prendersi il partito. Se non bastasse là fuori c’è anche Giorgia Meloni che nella più comoda posizione di oppositrice al governo ha le mani libere per sparare a palle incatenate contro le decisioni di Draghi e dei ministri senza doversi prendere la responsabilità di proporre per forza delle alternative.

E che farà Salvini? Tornerà a essere il solito Salvini. Anzi, ha già cominciato. Nella distrazione generale ha cominciato a spargere un po’ di messaggi di odio e di razzismo: l’8 marzo ha commentato la notizia del referendum in Svizzera sul burqa mischiando un po’ le carte e parlando di «una decisione dei cittadini a difesa dei valori della civiltà occidentale ed europea, contro ogni violenza, discriminazione e sopraffazione»; lo stesso giorno ha scritto che «serve più rigore nel controllo degli sbarchi, anche alla luce del recente allarme dei Servizi di intelligence sui rischi di infiltrazione terroristica: i confini dell’Italia sono confini europei»; il 9 marzo è tornato ai fasti di un tempo annunciando l’intenzione di «confrontarmi al più presto con il Presidente Draghi e il ministro Lamorgese per trovare soluzioni. L’Italia soprattutto in pandemia – e con molti cittadini costretti a casa – non può permettersi sbarchi a raffica, clandestini a spasso e illegalità»; ieri è partito con le solite menzogne sbraitando «che il traffico di esseri umani sia un business per la malavita organizzata e che alcune Ong siano complici era una mia convinzione ed ora lo è anche di diverse procure» e dicendo chiaramente «continuo a pensare che, anche in un momento di pandemia, tornare a difendere i confini sia una necessità».

Come al solito, quando si trova in difficoltà, estrae dal cilindro migranti e confini che gli hanno fruttato tanta fortuna. Solo che il difficile momento nazionale (e la conformazione di questo governo) renderanno ancora più difficile la sua propaganda e allora urlerà ancora più forte, ancora più feroce, ancora più violento. E tornerà il solito Salvini, la sua conversione si dimostrerà una semplice posa e si ricomincia tutto da capo.

Segnatevelo.

Buon venerdì.

Vaccinocrazia

On 1 March 2021, the Second Lady of the Republic of Ghana Samira Bawumia receives a dose of the COVID-19 vaccine on the launching of the COVID-19 vaccination campaign supported by COVAX in Accra, Ghana. As the global rollout of COVAX vaccines accelerates, the first COVID-19 vaccination campaigns in Africa using COVAX doses began 1 March 2021 in Ghana and Côte D'Ivoire. These campaigns are the among the first to use doses provided by the COVAX Facility’s Gavi COVAX Advanced Market Commitment (AMC). This is an historic step towards ensuring equitable distribution of COVID-19 vaccines worldwide as part of the largest ever vaccine procurement and supply operation. COVAX is co-led by Gavi, the Vaccine Alliance; WHO, the Coalition for Innovations in Epidemic Preparedness (CEPI) and UNICEF which leads the procurement and delivery of vaccines. It is the only global initiative that works with governments and manufacturers to ensure that COVID-19 vaccines are available worldwide, for both high-income and low-income countries.

Mentre il cargo della Qatar estrae il carrello per poter atterrare all’aeroporto internazionale di Phnom Penh gran parte della popolazione cambogiana sta dormendo, lo scalo è praticamente deserto e solo pochi taxi stazionano, a motore spento, all’uscita dagli arrivi. È la tarda serata del 2 marzo e domina il silenzio. Un silenzio surreale che caratterizza ormai da quasi un anno la vita notturna della capitale attanagliata dalle misure anti-covid che, come da noi, obbligano le persone a stare in casa.

Improvvisamente, non appena le ruote del grande aereo alzano sulla pista il classico fumo bianco della frenata, lo scenario cambia. E per qualche attimo sembra di tornare alla vita di sempre quando il flusso continuo di chiassosi turisti transita in questo scalo per poi raggiungere le splendide rovine imperiali di Angkor Wat o le affollatissime spiagge affacciate sul golfo del Siam. Ma di turisti non v’è traccia. Compaiono invece decine di indaffaratissimi uomini in tuta e mascherina che si muovono verso il cargo ormai parcheggiato. Appresso a loro diverse troupe televisive con grandi microfoni e luci abbaglianti, i fotografi e i cineoperatori per immortalare la scena e i giornalisti pronti a intervistare funzionari di governo e operatori di organizzazioni internazionali umanitarie.

È uno storico momento. Il Regno khmer sta per ricevere 324mila dosi del vaccino AstraZeneca Covid-19 attraverso il progetto Covax. Si tratta del primo Paese nel sud est asiatico a godere dei frutti del piano messo a punto durante la primavera del 2020 – da Cepi, Gavi e Oms in collaborazione con Unicef – per rendere possibile un accesso equo ai vaccini Covid-19 sicuri, nel più breve tempo possibile e a prezzi accessibili per tutti i Paesi del mondo.

Le dosi atterrate con il cargo della Qatar sono le prime di un totale di 1,1 milioni che saranno fornite in diversi lotti entro la fine di maggio ai cambogiani. Si prevede che entro il 2021 la…


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Il vaccino è di tutti

Chissà come sarebbero andate le cose se anche l’Unione europea avesse avuto una propria industria farmaceutica. Come India, Cina, Russia e Cuba. Chissà come sarebbe andata fin qui la campagna vaccinale anti-covid se, al posto di un’Europa delle banche, della finanza e dei “rapporti” consolidati con le multinazionali biotech, ci fosse stata un’Europa della salute. O meglio, una sanità pubblica europea. E chissà se a Bruxelles, di fronte alla durissima lezione che da un anno ci sta dando la pandemia, si farà mai largo l’idea di realizzare una industria farmaceutica e una sanità pubblica comunitaria. Su Left lo auspichiamo da tempo, avendo fatto tesoro dell’esperienza che la Covid-19 ci sta costringendo a vivere. Chissà infine se alla Commissione europea e nel governo Draghi abbiano chiaro fino in fondo che da una pandemia si può uscire solo se il vaccino viene somministrato equamente a tutti e in tutti i Paesi colpiti, perché solo così si può neutralizzare l’incubo varianti e raggiungere più velocemente l’immunità di gregge globale.

Stando al blocco imposto da Mario Draghi sull’export di 250mila dosi di vaccino AstraZeneca prodotto in uno stabilimento di Anagni, destinate all’Australia, un dubbio lecito sorge. E aumenta, sapendo che tutto ciò è avvenuto con l’approvazione di Bruxelles e il plauso “personale” di Ursula von der Leyen. Le dosi sono state prontamente redistribuite tra i Paesi Ue, davvero siamo giunti al “prima gli europei”? Non è questa l’idea di Unione che ci appartiene. Tant’è che nei mesi scorsi avevamo applaudito noi Bruxelles per aver deciso di entrare nel progetto Covax mettendo sul piatto 500 milioni di euro per finanziarlo. Stiamo parlando del piano messo a punto durante la primavera del 2020 – da Oms, Cepi e Gavi, in collaborazione con Unicef – per garantire un accesso ai vaccini Covid-19 anche ai Paesi a basso e medio reddito. Sono quelli in cui vivono circa 2/3 della popolazione mondiale, ma fino a oggi su 7,8mld di dosi vaccinali sono riusciti ad assicurarsene solo 2,4mld. Il resto è finito o finirà tutto nei Paesi ricchi. Covax si propone appunto di colmare questo titanico gap distribuendo almeno 2 miliardi di dosi entro la fine del 2021 in almeno 82 Paesi. Ora invece cosa accadrà? E cosa accadrà se pensiamo che l’8 marzo gli Stati Uniti (peraltro mai entrati nel Covax) hanno annunciato per bocca del responsabile nordamericano della campagna vaccinale di Biden che tutti i vaccini prodotti negli Usa rimarranno negli Usa? In pratica fino a quando non saranno immunizzati tutti i nordamericani non una singola dose, fiala o siringa di Pfizer, Moderna e Johnson&Johnson uscirà dal suolo statunitense. Con Biden si rinnova così l’America first di trumpiana memoria. Bruttissimo segnale.

E l’idea di “vaccino bene comune” che fine ha fatto? Tra luci e ombre a quanto pare se ne stanno facendo portatori Paesi come India, Cina, Russia e Cuba. Ciascuno a modo suo. L’Avana ha intenzione di vendere a prezzi low cost ai Paesi sotto embargo Usa il Soberana 02, il suo vaccino in fase sperimentale più avanzata, dopo averlo somministrato gratuitamente ai cittadini cubani. Ogni centesimo guadagnato dalla vendita sarà reinvestito in ricerca e salute pubblica.

All’esempio cubano abbiamo già dedicato una nostra copertina, degli altri ci occupiamo in maniera approfondita nelle prossime pagine. Scoprirete così che, se da un lato l’Europa, dopo aver accettato le condizioni capestro di aziende private, ora sembra voler tentare di uscire dall’angolo con il sovranismo vaccinale, India, Cina e Russia vanno a spron battuto nella direzione opposta. Nella direzione cioè della distribuzione dei vaccini ai Paesi che rischiano di rimanere indietro. Tutto ciò sta cambiando gli equilibri globali e i confini delle aree di influenza soprattutto nel cosiddetto sud del mondo. In particolare in Africa, dove India e Cina si trovano a giocare una partita delicatissima a colpi di milioni di dosi distribuite in decine di Paesi, molto simile a quella che le vede già protagoniste nel Sud est asiatico. Un’altra partita importantissima si è disputata l’11 marzo al Wto. Supportate da oltre 400 organizzazioni non governative internazionali, Sud Africa e India hanno chiesto più volte all’Organizzazione mondiale per il commercio di valutare la sospensione dei brevetti sui vaccini che impediscono ai due Paesi di produrre su scala mondiale le dosi anti-covid. Un’approvazione dell’istanza consentirebbe di contenere ovunque l’epidemia realizzando le necessarie dosi di vaccino in tempi relativamente brevi e a costi accessibili per tutti. Ma fino all’ultimo diversi “big” del Wto si sono schierati compatti contro questa eventualità: Australia, Brasile, Canada, Giappone, Norvegia, Svizzera, Gran Bretagna, Stati Uniti. Ed Unione europea.

Essendo andati in stampa prima della riunione al Wto non sappiamo come è andata a finire (ma non siamo ottimisti)*. Di certo c’è che le aziende farmaceutiche, nonostante abbiano ricevuto finanziamenti pubblici di svariati miliardi di euro, possiedono il brevetto sul prodotto finale e quindi il pieno controllo su produzione, prezzo e distribuzione dei vaccini. «Ciò permette loro di non condividere la tecnologia, mantenere la proprietà intellettuale e limitare la ricerca, lo sviluppo e la fornitura di vaccini efficaci, accaparrandosi la maggior parte delle enormi ricompense finanziarie. Se questa situazione perdurerà, 9 persone su 10 nei Paesi poveri e a basso reddito non potranno essere vaccinate quest’anno, perché Moderna, Pfizer/BioNTech e AstraZeneca, nel 2021 produrranno vaccini per appena l’1,5% della popolazione mondiale». Sono queste alcune righe di un appello rivolto al primo ministro Draghi dal Comitato nazionale per l’Iniziativa dei cittadini europei che raccoglie 67 realtà nazionali (tra cui Left) sostenitrici dell’iniziativa presso il Wto, affinché l’Italia si faccia promotrice di questa istanza in sede europea dove si combatte la stessa battaglia. La logica del profitto non può più prevalere sul diritto alla salute delle persone. Di qualsiasi persona.

 

*Aggiornamento dell’11 marzo 2021 ore 20 – La riunione al Wto si è chiusa – come purtroppo avevamo previsto – con un nulla di fatto e un nuovo rinvio. L’accordo sulla sospensione dei brevetti è stato nuovamente bocciato dai Paesi ricchi.


L’editoriale è tratto da Left del 12-18 marzo 2021

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San Fatturato

Foto Claudio Furlan - LaPresse 06 Ottobre 2020 Cremona (Italia) News Assemblea Generale Associazione Industriali di Cremona presso CremonaFiere Nella foto: Carlo Bonomi Photo Claudio Furlan - LaPresse 06 October 2020 Cremona (Italy) Assemblea Generale Associazione Industriali di Cremona In the photo: Carlo Bonomi

La sentite l’aria che tira? A volte basta mettere insieme un po’ di pezzi, provare a ricomporre le tessere per farsi un’idea del punto in cui siamo, anche perché la preoccupante uniformità di pensiero che si respira ottunde le sensazioni e non c’è niente di meglio delle sensazioni ottuse per inseguire interessi particolari che così sfuggono più facilmente.

Ricapitoliamo: a inizio pandemia si sviluppa un pericoloso focolaio nella bergamasca che provoca una strage di cui abbiamo memoria per i camion militari costretti a trasportare le bare. Ci si interroga (anche la magistratura) sul perché non sia stata istituita per tempo una “zona rossa” che avrebbe potuto limitare i danni e Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia, rilasciò una sconcertante intervista in cui disse testualmente che erano «contrari a fare una chiusura tout court così senza senso» e di averne parlato direttamente con la Regione: «Ci siamo confrontati, ma non si potevano fare zone rosse. Non si poteva fermare la produzione», disse.

Poi, pensateci: in un anno di pandemia abbiamo visto puntare il dito un po’ contro tutti, siamo passati dagli anziani che pisciano il cane ai corridori agli spiaggiati agli aperitivisti alle scuole – presumibilmente saremmo passati anche ai cinema e ai teatri, ma sono chiusi da un’eternità – e chi poi ne ha più ne metta. Niente su fabbriche e pochissimo sui pendolari. Il mondo del lavoro (soprattutto quello produttivo) sembra immune al virus, se fate la rassegna stampa di quest’anno.

In compenso certa stampa si è lanciata in un piuttosto ridicolo sforzo per dirci che fare il rider è un lavoro bellissimo: ve li ricordate quei giorni in cui si leggevano articoli che favoleggiavano di ciclisti che guadagnavano 4mila euro al mese (poi si scoprì che non era vero) tanto per convincerci che chi non trova lavoro è uno sfaticato e chi è povero è un fallito? Ecco, tenetelo a mente.

Poi. Qualche giorno fa Bonomi ha rilasciato un’intervista da brividi in cui ha chiesto di avere più possibilità di licenziare per rilanciare il lavoro. E nessuno che gli ha riso in faccia, pensa te.

Poi ve la ricordate Letizia Moratti che chiedeva di vaccinare in base al Pil? Prese gli applausi dei soliti turboliberisti ma poi fece un po’ marcia indietro. Bene: ieri Regione Lombardia (la disastrosa regione che non riesce a vaccinare poco più di qualche manciata di anziani che dovrebbero essere una priorità) ha annunciato in pompa magna di avere stretto un accordo con Confindustria (questa volta alla luce del sole) per vaccinare i dipendenti nelle aziende. Qualcuno ha fatto notare che forse ci sono altri problemi a cui dedicarsi e loro hanno risposto che sì, sì ma hanno fatto la conferenza stampa solo così per dire.

Tutto questo mentre ci si prepara per l’ennesima volta al lockdown che ci permetterà di uscire per andare a lavorare, di respirare aria aperta per tornare indietro e addirittura di avere una libera uscita per andare a comprare cibo.

Straordinario.

Buon giovedì.

“O i brevetti o la vita, vaccini per tutti”. Il Comitato Right2cure scrive al governo

Al Presidente del Consiglio
Dott. Mario Draghi
p.c. Alla Presidente del Senato
On. Maria Elisabetta Alberti Casellati
p.c. Al Presidente della Camera
On. Roberto Fico

Il Comitato nazionale per l’Iniziativa dei cittadini europei (Ice)/Petizione europea “Right2cure – No profit on pandemic” “Diritto alla Cura, nessun profitto sulla pandemia” che raccoglie 67 realtà nazionali, ritiene che sia giunto il momento di rivolgere un appello formale al nostro governo.

Alla fine del secolo scorso, il monopolio della proprietà intellettuale nel trattamento per l’Hiv ha ritardato di ben 10 anni la cura con la terapia antiretrovirale salvavita delle persone affette da Hiv in Africa, America Latina e Asia rispetto a quelle che vivevano negli Stati Uniti, Unione Europea, Svizzera, Regno Unito e Giappone. Ciò ha portato a milioni di morti tra la fine degli anni ’90 e la metà degli anni 2000, fino a quando le barriere dei brevetti non sono state abolite e sono diventati disponibili i farmaci generici per il trattamento dell’Hiv.

Evitiamo che lo stesso scenario di morte si riproduca con la pandemia da Covid-19. Tedros Adhanom, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ha dichiarato infatti che, a metà gennaio, 40 milioni di persone erano già state vaccinate in 49 Paesi ad alto reddito, mentre nei Paesi a basso reddito, solo 25 persone avevano ricevuto un’iniezione. Ancora una volta, i Paesi cosiddetti “in via di sviluppo”, privi di tutele a garanzia dei diritti fondamentali, come quello alla salute e alla vita, devono lottare per accedere ai vaccini e ai farmaci contro un’epidemia globale, com’è quella da Covid-19.

Questo accade, perché le aziende farmaceutiche, nonostante abbiano ricevuto finanziamenti pubblici di svariati miliardi di euro, possiedono il brevetto sul prodotto finale e quindi il pieno controllo su produzione, prezzo e distribuzione dei vaccini. Ciò permette loro di non condividere la tecnologia, mantenere la proprietà intellettuale e limitare la ricerca, lo sviluppo e la fornitura di vaccini efficaci, accaparrandosi la maggior parte delle enormi ricompense finanziarie.

Se questa situazione perdurerà, 9 persone su 10 nei Paesi poveri e a basso reddito non potranno essere vaccinate quest’anno, perché Moderna, Pfizer/BioNTech e AstraZeneca, nel 2021 produrranno vaccini per appena l’1,5% della popolazione mondiale (People’s vaccine alliance, su Oxfam international). Possiamo ben dire che la proprietà intellettuale è il più grande ostacolo all’accesso equo, tempestivo e universale ai vaccini salvavita e, in ultima analisi, al superamento della pandemia.

In un mondo globalizzato, infatti, in assenza di una risposta realmente inclusiva, il virus continuerà a circolare e a mutare, vanificando gli sforzi economici e sociali fatti dalla popolazione mondiale nel rispettare le restrizioni implementate dai governi durante gli ultimi dodici mesi.

Ci sono però delle opzioni che permettono di superare le limitazioni del sistema dei brevetti, almeno per tutta la durata della pandemia, e che invitiamo i governi ad utilizzare. Vi chiediamo pertanto, di sostenere a livello europeo la proposta che è sul tavolo dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) da diversi mesi e che chiede la sospensione temporanea del sistema dei brevetti per i prodotti Covid-19, almeno fino a quando non si sarà raggiunta l’immunità mondiale.

La proposta, presentata dall’India e dal Sudafrica all’inizio di ottobre, che non costituisce un attacco al diritto di proprietà intellettuale in quanto tale, permetterebbe a tutti i Paesi del mondo di non considerare alcune delle disposizioni sulla proprietà intellettuale stabilite nell’accordo Trips, senza incorrere in sanzioni.

Ad oggi oltre 100 Paesi hanno accolto o sostenuto la proposta, mentre quasi 400 organizzazioni della società civile in tutto il mondo, unitamente ad organizzazioni internazionali come l’Oms, Unaids, Unitaid e la Commissione africana per i diritti umani e dei popoli, esortano i governi a sostenere con urgenza la proposta di sospensione temporanea dei brevetti.

Solo un piccolo gruppo di membri dell’Omc, tra cui la Commissione Europea, anziché unirsi al movimento di solidarietà globale che chiede la deroga, ha scelto finora di non sostenere l’iniziativa.

Eppure, dovrebbe essere chiaro che, se le popolazioni non sono protette, più a lungo il virus circola tra esse, maggiore è la probabilità che si verifichino mutazioni più trasmissibili che colpiscono tutti i Paesi, compresi quelli che si oppongono alla proposta di deroga, aumentando la complessità del controllo e prolungando la pandemia.

Di fronte alla tragedia che ha colpito il mondo, è imperativo che tutti gli strumenti di prevenzione, tracciamento e monitoraggio, contenimento e trattamento siano disponibili tempestivamente.

Opporsi alla proposta di India e Sudafrica all’Omc, oltre ad essere insostenibile moralmente è semplicemente sbagliato e significa non cogliere un’opportunità unica per evitare una tragica ripetizione del passato. È in gioco il diritto alla salute di miliardi di persone.

Chiediamo quindi al governo italiano di sostenere la proposta di India e Sud Africa per la sospensione temporanea dei brevetti e di battersi, affinché la Commissione europea faccia altrettanto.

La logica del profitto non può prevalere su quella della vita degli esseri umani.

Oltre a questa iniziativa, che riveste un carattere di urgenza per affrontare una situazione specifica, segnaliamo l’importanza che il nostro Paese e l’Unione Europea lavorino per la creazione di un’azienda pubblica europea, per lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di farmaci, vaccini e dispositivi medici.

Confidiamo che il governo prenda la decisione di mettere in atto questa scelta innovativa.

Cordiali saluti

Comitato promotore italiano
Vittorio Agnoletto, Silvio Garattini, don Luigi Ciotti, Gino Strada, Raffaella Bolini, Riccardo Petrella, Maria Bonafede, Marco Bersani, Monica Di Sisto, Roberto Morea.

Invitato internazionale d’onore: Franco Cavalli, oncologo, già presidente dell’Unione Internazionale contro il Cancro, Svizzera.

Elenco aderenti al Comitato italiano al 5 marzo
1)  ACEA ODV
2)  ACLI
3)  ACS
4)  ACU – ASSOCIAZIONE CONSUMATORI UTENTI
5)  AGORÀ DELLA TERRA
6)  AGORÀ DEGLI ABITANTI DELLA TERRA
7)  ARCI
8)  ASSISTENZA SOCIOSANITARIA
9)  ASSOCIAZIONE AMICI DI ANGAL ONLUS
10)  ASSOCIAZIONI CITTADINI DEL MONDO
11)  ASSOCIAZIONE DOSSETTI
12)  ASSOCIAZIONE LAUDATO SÌ
13)  ASSOCIAZIONE MEDICI PER L’AMBIENTE
14)  AOI – ASSOCIAZIONE ONG ITALIANE
15)  ASSOCIAZIONE PER UN’EUROPA DEI POPOLI
16)  ASSOCIAZIONE PLANET 2084 ONLUS
17)  ATTAC ITALIA
18)  CGIL
19)  CIPSI
20)  CISL
21)  CNCA
22)  COBAS
23)  COMITATO NAZIONALE PER LA DIFESA DELLA COSTITUZIONE
24)  COMITATO STOP TTIP UDINE
25)  CDC – COORDINAMENTO PER LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE
26)  COI – COOPERAZIONE ODONTOIATRICA INTRNAZIONALE
27)  CUB
28)  DICO 32
29)  EMERGENCY
30)  FISH – FEDERAZIONE IT. PER IL SUPERAMENTO DELL’HANDYCAP
31)  FORUM ACQUA
32)  FORUM GORIZIA
33)  FORUM PER IL DIRITTO ALLA SALUTE
34)  GRUPPO ABELE
35)  GRUPPO PALLADE
36)  GRUPPO SOLIDARIETA’
37)  IFE ITALIA
38)  IL MANIFESTO
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La pillola della libertà

Nel 1957, sessant’anni fa, la Food and Drug Administration (Fda) degli Stati Uniti d’America autorizza la vendita di un nuovo farmaco capace di contrastare i disturbi mestruali. Si tratta di una combinazione di due ormoni (un estrogeno e un progestinico) messa a punto nel 1951 da Carl Djerassi, in collaborazione con Luis Miramontes and George Rosengkranz, e sperimentata clinicamente dai medici John Rock, Celso-Ramon Garcia e Gregory Pincus nel 1954. Nulla di eccezionale. Non fosse che ben presto si scopre che, per l’effetto combinato dei due ormoni, il farmaco inibisce l’ovulazione nelle donne. Così, tre anni dopo, nel 1960, la Fda approva l’utilizzo della Combined oral contraceptive pill (Cocp), la prima pillola contraccettiva. A partire da questa data, il farmaco viene distribuito in tutto il mondo con il nome di Enovid e con effetti sociali e culturali enormi. Nota ormai semplicemente come la pillola, la COCP fornisce un contributo determinante a realizzare quella che molti considerano la più importante rivoluzione del XX secolo: la rivoluzione femminile.
Proprio per questo non è il caso di celebrare la ricorrenza fermandosi non più di tanto sui meccanismi di funzionamento, ormai ben noti, del farmaco.

Conviene invece fermarsi sui suoi effetti sociali e culturali: enormi, appunto, e, ancora oggi, niente affatto esauriti. E già perché la Cocp di Carl Djerassi, più semplicemente “la pillola”, se assunta quotidianamente da una donna, ne inibisce l’ovulazione. E, dunque, consente di evitare le gravidanze indesiderate. Inoltre costa poco, è facile da assumere, è sganciata dal rapporto sessuale e ha un’efficacia che non può essere neppure lontanamente paragonata a ogni altro precedente sistema di contraccezione. È per tutto questo che la pillola ha un immediato e clamoroso successo: nel 1961 negli Usa la assumono già 400.000 donne; che salgono 1,2 milioni nel 1962 e a oltre 3,5 milioni nel 1963.

Oggi in tutto il mondo la assumono oltre 100 milioni di donne. Tanto che, nel 2015, secondo il Global Market Insights, il mercato mondiale dei farmaci contraccettivi ha fatturato 6,1 miliardi di dollari.
Carl Djerassi, morto nel 2015, non ha mai vinto il Nobel, malgrado la pillola che ha messo a punto sia stata, insieme, causa ed effetto dei nuovi stili di vita che, a partire dagli anni 60, si sono imposti negli Stati Uniti e altrove. In realtà, l’impatto che la pillola ha avuto sulla società, non solo occidentale, è difficile da sopravvalutare. Non a caso già venti di anni fa il settimanale inglese The Economist l’ha eletta a scoperta scientifica più importante del XX secolo. Per più motivi, peraltro correlati tra loro.

Primo: la pillola ha dato un formidabile contribuito al controllo delle nascite e alla drastica riduzione del numero di figli per donna prima nei Paesi occidentali e poi in molti Paesi di tutte le altre parti del mondo. Nel 1970 in Bangladesh una donna aveva in media sette figli. Oggi, ricorda la rivista Nature in un suo recente editoriale, grazie anche a quel farmaco, una donna in quel Paese non supera in media i due figli. In breve: se la crescita della popolazione nel mondo ha rallentato il suo ritmo lo si deve anche alla pillola di Djerassi.
Secondo e, forse, ancor più importante fattore: la pillola ha disaccoppiato il sesso dalla riproduzione, fornendo un contributo ancora una volta decisivo alla “rivoluzione sessuale” scoppiata, non a caso, negli anni ’60 dello scorso secolo.

Non basta. la pillola ha contribuito anche a modificare il ruolo che ha la donna nella società e, quindi, ad accelerare la “rivoluzione femminile”, che, come abbiamo ricordato, molti considerano la più grande rivoluzione sociale del XX secolo.
La pillola, infatti, è stata uno degli strumenti principali che in maniera diretta hanno contribuito a restituire alle donne la gestione del proprio corpo, compreso il sistema riproduttivo. Ma ha svolto anche una funzione più ampia. Ha dimostrato alle donne che potevano assumere la piena gestione del proprio corpo, a partire dal proprio sistema riproduttivo.

Si è dunque imposta come una delle cause che hanno generato diversi movimenti culturali e politici per l’affermazione di nuovi diritti di cittadinanza uguali per tutti e fondati sulla libertà e la responsabilità individuale. «Il corpo è mio e lo gestisco io», è diventata l’idea su cui sono stati ricostruiti i rapporti tra medicina e società e, forse, su diritto e società.
Di recente uno studio di epidemiologia ha dimostrato che l’uso dei contraccettivi favorisce l’aumento sia l’aumento del livello medio di educazione sia il reddito delle donne tanto negli Stati Uniti quanto in Europa. Tra gli anni 60 e 70 del secolo scorso, per esempio, dimostra uno studio citato da Nature, l’iscrizione all’università delle ragazze americane è risultato maggiore del 17% tra quelle che utilizzavano la pillola prima dei 18 anni.

Una simile carica dirompente non poteva non suscitare reazioni. Se per alcuni la pillola è diventata il simbolo di libertà e responsabilità individuale, per altri è diventata il simbolo stesso del male e di quel suo succedaneo che è la società multietica.
Insomma, la pillola è stata avversata da più parti. Religiose e non. La Chiesa cattolica ne è stata (e ne è ancora) una feroce avversaria. Porterà, si diceva e si dice, alla dissoluzione della famiglia e dunque della società. Non è avvenuto. Si è anche cercato di dimostrare che la pillola ha pesanti effetti collaterali sulla salute delle donne. Non è vero. Gli effetti collaterali ci sono, ma sono di scarsa entità. Molto maggiori sono i benefici. I principali riguardano, certo, la sua azione anticoncezionale: che è sicura e immediatamente reversibile. Ma ce ne sono anche altri, enumerati da Carlo Flamigni in un suo volume, Il controllo della fertilità: la regolazione del ciclo mestruale; il minor numero di cisti follicolari; il contrasto dell’endometriosi, delle infezioni pelviche, delle micropolicistosi ovariche.

Un studio di qualche anno fa, condotto per quattro decenni su 46.000 donne, ha dimostrato non solo che la pillola non fa male. Le donne che la assumono, infatti, vivono in media di più e che per loro si riducono i rischi di morire prematuramente per tutte le cause di morte, incluso cancro e malattie cardiovascolari. Insomma, pur non mancando effetti collaterali non desiderati, la pillola «fa bene». Ma il compleanno sessantesimo compleanno della pillola non può ridursi a una mera celebrazione. I problemi aperti sono molti. Intanto in molti Paesi l’accesso alla contraccezione da parte delle donne è molto difficile, se non propriamente impedito.

Ma i problemi non vengono solo dai Paesi più poveri e/o da quelli dove il protagonismo delle donne è inibito. Al contrario, nuovi problemi stanno emergendo anche lì dove la “rivoluzione femminile” è nata e si è sviluppata più rapidamente. Sempre Nature ricorda come l’amministrazione del nuovo Presidente Usa, Donald Trump, sta mettendo in discussione la possibilità di accedere ad aiuti diretti da parte di Paesi e organizzazioni che propongono la contraccezione. La proposta di budget federale, per esempio, taglia di ben 523 milioni di dollari i fondi del Dipartimento di Stato e dell’Agency for international development destinati ai servizi di contraccezione nei Paesi in via di sviluppo. Un recente rapporto Guttmacher Institute, un istituto di ricerca di Washington che si occupa di medicina della riproduzione, sostiene che gli effetti di questa politica potrebbero essere rilevanti e persino tragici. Ogni taglio di 10 milioni ai fondi per la pianificazione familiare, infatti, impedisce a 433.000 donne di assumere contraccettivi. Tra queste almeno 128.000 subiscono una gravidanza indesiderata. E tra queste, ancora, molte sono costrette a ricorrere all’aborto clandestino.

Non si tratta di uno scenario astratto. Non molti anni fa si è già verificata una situazione analoga. Un altro studio citato da Nature, relativo a quattro Paesi dell’Africa sub-sahariana, ha dimostrato che il numero di aborti è rimasto costante tra il 1994 e il 2001, per poi crescere rapidamente dopo che un altro presidente repubblicano, George W. Bush, tagliò i fondi per gli aiuti al controllo delle nascite.
Insomma, celebrando i primi sessant’anni della “pillola” e le rivoluzioni che questo farmaco ha determinato, ricordiamoci che nessuna progresso per la condizione delle donne è dato per sempre. E che ogni obiettivo va sempre, continuamente riconquistato.

(da Left del 24 giugno 2017)

Per leggere il libro di Left “La lezione di Pietro Greco”  

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Commissariate la Lombardia

Foto LaPresse - Claudio Furlan 03/03/2021 - Milano (Italia) Conferenza stampa sul piano vaccinale in Lombardia presso l’auditorium della Regione Nella foto: Letizia Moratti Photo LaPresse - Claudio Furlan March 3, 2021 Milan (Italy) Press conference on the vaccination plan in Lombardy at the auditorium of the Region In the photo: Letizia Moratti

La sentite intorno quest’aria tutta concorde? Sembra una pacificazione e invece è lo stallo che si crea quando partiti e poteri si allineano, lo fanno spesso in nome di una non meglio precisata “unità nazionale”, quando tutti insieme si deve uscire da una “crisi” e questa volta funziona perfettamente in nome dell’epidemia. Accade che partiti lontanissimi tra loro si trovino seduti nello stesso governo, quelli che si erano sputati addosso fino a qualche minuto prima e quelli che hanno spergiurato un milione di volte “mai con quelli là” e accade che anche l’osservazione di ciò che non funziona improvvisamente si ottunda.

La Lombardia, ad esempio. La campagna delle vaccinazioni anti Covid in Lombardia è una drammatica sequela di errori e di ritardi, di incomprensibili scelte e di gravi inadempienze. Qualcosa che grida vendetta ma che soprattutto meriterebbe un dibattito politico nazionale, una parola, un ammonimento, almeno uno sprono, qualcosa qualsiasi.

In Lombardia accade che alcune persone che non hanno diritto al vaccino riescano a prenotarlo e a farlo tranquillamente per un link del sistema regionale che presenta un’evidente falla. L’ha scoperto Radio Popolare e lo confermano lombardi che raccontano di averlo ricevuto nei gruppi di watshapp. «Ho fissato l’orario – racconta una testimone – e dopo dieci minuti ho avuto la mail di conferma per andare lunedì 8 marzo alle 12.05 all’ospedale militare di Baggio. Non ci credevo fino in fondo, ma quando sono arrivata lì incredibilmente ho verificato che ero davvero in lista». I direttori sociosanitari dicono che non hanno nessun modo per controllare le liste che sarebbero tutte in mano all’Asst. Tutto bene, insomma.

Il magico software regionale tra l’altro convoca i cittadini (vale la pena ricordare: quasi tutti anziani) con un preavviso di poche ore, la sera precedente. Alcuni sono costretti a fare chilometri e chilometri nonostante abbiano punti vaccinali molto più vicini. Alcuni addirittura hanno ricevuto invece due messaggi: «Ho ricevuto la convocazione dopo pochissimi giorni dall’iscrizione – racconta Maria Grazia alla consigliera regionale (Lombardi Civici Europeisti) Elisabetta Strada – ahimè però ho ricevuto due sms, a distanza di qualche ora, il primo mi convocava in piazza Principessa Clotilde alle ore 11 e il secondo ad Affori alle 16. Non sapevo quale dei due messaggi fosse corretto e al numero verde mi hanno risposto che non lo sapevano nemmeno loro. Sono andata dove mi era più comodo». Ovvio che se la gente non si presenta all’appuntamento i vaccini poi a fine giornata vadano buttati. In Regione giacciono interrogazioni che chiedono conto di quante dosi siano state sprecate finora: nessuna risposta, ovviamente.

All’8 marzo su oltre 720mila over 80 lombardi circa 575mila hanno aderito alla campagna e ne sono stati vaccinati 150mila. Dei 140mila che non hanno aderito non si sa nulla: non sono riusciti a prenotarsi? Non sono informati? Rifiutano il vaccino?

Poi ci sono gli errori di gestione degli spazi: ad Antegnate, provincia di Bergamo, è stato previsto un punto vaccinale nel centro commerciale del paese. Per un errore di pianificazione domenica 28 febbraio c’erano in coda quasi duemila persone. Sempre anziani, ovviamente assembrati. A Chiuduno, sempre nella bergamasca, il punto vaccinale è invece in un centro congressi che potrebbe gestire 2600 vaccinazioni al giorno e si viaggia a un ritmo di 800.

Perfino Bertolaso ha dovuto ammetterlo: «Il sistema delle vaccinazioni degli over 80 continua a funzionare male, a creare equivoci, ritardi», ha dichiarato. Addirittura Salvini: «Problemi nella campagna vaccinale della Lombardia? Se qualcuno ha sbagliato paga, e quindi anche della macchina tecnica di Regione Lombardia evidentemente c’è qualcuno che non è all’altezza del compito richiesto». Ora la Regione Lombardia ha deciso di appoggiarsi al portale delle Poste, scaricando di fatto il gestore Aria, un carrozzone voluto da Fontana e soci per “guidare la trasformazione digitale della Lombardia”. Ottimo, eh?

Stiamo parlando della regione che ha collezionato un terzo dei morti per Covid di tutta Italia, della regione che ancora oggi sta vedendo i suoi dati peggiorare più di tutti. Serve una testimonianza? Eccomi qui: padre dializzato, invalido al 100%, ovviamente ultraottantenne e per ora l’unico segno di vita è un sms di scuse per il ritardo.

Tutto questo dopo un anno di sfaceli politici e organizzativi. Ma davvero, ma cosa serve di più per commissariare la Lombardia?

Buon mercoledì.