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La sottile linea nera

Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 29 Ottobre 2020 Roma (Italia) Cronaca : Manifestazione di fratelli d’Italia per il comparto turistico davanti al ministero dei beni culturali Nella Foto : Giorgia Meloni Photo Cecilia Fabiano/LaPresse October 29 , 2020 Roma (Italy) News : Demonstration of Fratelli d’Italia for support tourism workers In The Pic : Giorgia Meloni

L’estrema destra in Italia è in una fase critica di cambiamento. Problemi interni nelle organizzazioni maggiori si legano al nuovo assetto politico nelle istituzioni. È presto per capire quale sarà “l’effetto Draghi” che ha diviso il centrodestra, ma l’approssimarsi di elezioni amministrative in cui i poli si dovrebbero riaggregare e la situazione in alcuni territori consentono di fare una prima fotografia. Le due organizzazioni più rappresentative hanno operato scelte diverse: CasaPound, dopo gli scarsi risultati elettorali, è tornata “movimento”; Forza nuova ha subito una spaccatura che ha portato alla nascita della “Rete dei patrioti”. Abbiamo cercato esperti per parlarne.

Fra loro Federico Gervasoni, bresciano freelance, di cui è appena uscito il nuovo libro Muori presto, che paga il suo impegno di professionista con il dover vivere sotto vigilanza di polizia dopo le minacce ricevute. Quanto scrive infastidisce certi ambienti: «I loro gruppi si sono ritrovati con la chiusura degli stadi e con l’emergenza sanitaria a cavalcare le proteste. Forza nuova a Roma ha gestito il flop del raduno negazionista del 6 giugno con le curve degli stadi. In autunno ha provato a coinvolgere i ristoratori».

Secondo Gervasoni, CasaPound è ormai separata da Fratelli d’Italia da una linea sottilissima: «Con la Lega – dice – hanno sempre avuto più problemi perché una…


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Oltre Fukushima, per cambiare aria

Photographing a crane dance bridge surrounded by cherry blossoms in Aomori sightseeing spot

Adesso si può andare in giro liberamente quasi dappertutto, nella ex “zona proibita”. E fa impressione, per chi questi posti li ha visti durante l’apocalisse, vedere che tutto, e al tempo stesso niente, è cambiato. Lungo la litoranea che dalla città di Iwaki porta alla centrale di Fukushima Dai-Ichi, si trova di tutto: ruderi abbandonati, terreni incolti, depositi a cielo aperto di detriti e sacchi di terra contaminata, raschiata dai campi ma poi lasciata lì, ammucchiata, perché alla faccia della solidarietà nazionale, nessuna provincia, nessuna regione la vuole sul suo territorio, come aveva chiesto il governo. Ma si vedono anche villette appena restaurate, orticelli coltivati, qualche bottega che sembra aver riaperto, perfino un ristorante di cucina italiana, nuovo di zecca. Un lungo striscione sintetizza la situazione: “Tornare o non tornare: che fare?”.

«Noi giapponesi siamo gente paziente, spesso testarda. Non ci rassegniamo alla sconfitta – spiega Hideo, 68 anni, ex dipendente della Tepco (Tokyo electric power company) in pensione e che ora fa l’allevatore di ovini – ma a tornare, a crederci ancora siamo solo noi vecchi. I giovani, compresi i nostri figli, se ne sono andati per sempre. Queste sono terre destinate a morire, siamo gli ultimi abitanti». Hideo è uno dei sopravvissuti alla tripla catastrofe. Era nel suo ufficio di Namie, quando alle 14:46 dell’11 marzo 2011 arrivarono le scosse del terremoto. Forti, fortissime, senza precedenti. Ma siamo in Giappone e i terremoti sono all’ordine del giorno. Le scosse sono sì, un po’ più forti del solito, qualche scaffale cede, ma lui non si scompone più di tanto e non pensa nemmeno a chiamare la moglie, a casa, per sapere se tutto è a posto. La chiama però qualche minuto dopo, quando arriva l’allarme tsunami e lui è già in macchina, terrorizzato, diretto verso casa, mentre dallo specchietto osserva l’ondata di fango e detriti che avanza.

«Sembrava un film – racconta – guardavo dietro di me, l’acqua era sempre più vicina, ho avuto, per la prima volta nella mia vita, davvero paura». La moglie non risponde, i cellulari non funzionano più, ma la trova a casa, assieme alla suocera, sedute a guardare la Tv, che invece ancora funziona. Non c’è ordine di evacuazione, lo tsunami, che più a nord ha travolto centinaia di chilometri di costa e ha già causato migliaia di morti, pare si sia fermato. La loro casa è salva. Ma dopo poche ore arriva il terzo allarme, il nemico invisibile. L’emergenza nucleare. Con tutti i ritardi, le omissioni, le menzogne tipiche degli incidenti nucleari. Loro non vogliono evacuare, resistono un paio di giorni. Poi si arrendono. Lasciano la suocera, che non ne vuole proprio sapere di andarsene e si trasferiscono a Koriyama, nel centro di evacuazione allestito dal governo all’interno del Palazzo dello sport. Da lì, dopo un paio di settimane, finiscono in un…


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Perché non tutti possono sviluppare un vaccino

Firmando un nuovo contratto con Moderna per la fornitura di ulteriori 300 milioni di dosi del suo vaccino per il Sars-CoV-2 nei prossimi due anni, la Commissione europea è arrivata ad assicurare per gli abitanti Ue un totale di 2,6 miliardi di dosi. Il contratto si aggiunge infatti agli altri già stipulati con la stessa farmaceutica Usa e altre multinazionali biotech nei mesi scorsi.
Tuttavia la vaccinazione prosegue con lentezza quasi ovunque. Tra ritardi nelle consegne e improvvisi tagli delle forniture pattuite, ciò che ci si chiede sempre più spesso è perché non si può produrre il vaccino direttamente a livello di Unione europea, attraverso un’industria “comunitaria”. Su Left del 5 febbraio abbiamo già affrontato questo argomento, filtrandolo attraverso la lente dell’esperienza di Cuba che nonostante l’embargo imposto dagli Stati Uniti sta sviluppando 4 vaccini diversi e probabilmente entro poche settimane avvierà la somministrazione di massa ai cubani e ai turisti oltre che la commercializzazione a prezzi low cost presso Paesi che altrimenti non si potrebbero permettere l’acquisto dei vaccini prodotti dalle grandi biotech private. Ora tratteremo la questione da un punto di osservazione diverso tenendo presente che si tratta di un processo complicato, che non si può improvvisare, che segue un’attenta regolamentazione e che soprattutto riguarda un virus sconosciuto solo fino a un anno fa.
Dunque approvvigionamento delle materie prime, nuovi macchinari biotecnologici, brevetti e segreti industriali, etc. Sono questi alcuni dei fattori che rendono difficoltosa la produzione dei vaccini contro la Covid per chi li produce normalmente, oltre naturalmente alla grandissima domanda: miliardi di dosi in un lasso ristretto di tempo. Ora entriamo più nel dettaglio.

Le nanoparticelle lipidiche
I primi vaccini approvati dall’Ema e dalla Fda sono stati quelli di Pfizer-BioNTech e Moderna, che usano come vettore una molecola di mRna per scatenare la risposta immunitaria. Una molecola fragile, difficile da trasportare intatta all’interno delle cellule umane. Per farlo, gli scienziati racchiudono il mRna all’interno di una sfera fatta di nanoparticelle lipidiche. Minuscole molecole di grasso insolubili in acqua che da prodotto di nicchia sono diventate indispensabili per la lotta alla Covid-19. Questa membrana protettiva è in realtà il risultato di quattro strati diversi, di cui il più importante è formato da lipidi cationici ionizzabili. La loro particolarità è che si legano alla molecola di mRna e la trasportano in maniera sicura all’interno della cellula dove la loro carica elettrica cambia, rilasciando così il carico. Fino a un anno fa venivano prodotte in piccolissime quantità, solo ai fini della ricerca scientifica, mentre ora la…


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Perché il Movimento è morto da tempo

ROME, ITALY - FEBRUARY 28: Beppe Grillo, co-founder of the 5-Stars Movement wearing an astronaut helmet, leaves the Hotel Forum following a meeting to decide the leadership of the 5-Star Movement (M5S), on February 28, 2021 in Rome, Italy. (Photo by Antonio Masiello/Getty Images)

Il Movimento cinque stelle è cambiato, «è cresciuto», ci dicono, «è maturato», è passato dall’essere un grande movimento di massa e di protesta, populista e progressista ad essere un piccolo partito moderato e liberale, che aspira a stare sempre al governo comunque sia e con chiunque sia, per diventare l’ago della bilancia di tutti i governi a venire.

Ma si può giudicare un ribaltone di queste dimensioni come una naturale crescita e maturazione? No, non si può, specialmente se si pensa che tutto questo è avvenuto nel giro di pochi anni. «Il Movimento è morto, quel movimento che conoscevi tu», mi dicono alcuni che sanno le cose, «è morto da molto tempo». «Lo vedo bene», rispondo io.

Il movimento che conoscevo è morto nel 2015, per l’esattezza, con la lettera ai meetup di Fico e Di Battista, una lettera suicida che ha reciso le radici con i territori da cui il M5s ha tratto tutta la sua linfa vitale e la sua forza propulsiva fatta di idee proposte e programmi, un taglio netto, doloroso e mortifero. Perché lo ha fatto? Per essere proprio quell’ago della bilancia che oggi dichiarano di voler essere, per cui non serve essere un partito popolare e di massa, basta essere parte di un solido establishment formata da pochi, anzi a questo fine risulta addirittura contro producente essere un grande partito di massa, comporta giornate disgraziate e faticose come quelle passate a Taranto davanti ai tarantini a spiegare l’inspiegabile, il tradimento sull’Ilva. Una massa popolare che chiede ragione degli impegni presi è un…


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Dipinti di blu

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 25-06-2020 Roma Politica Camera dei Deputati - dl Giustizia Nella foto Riccardo Molinari, Giancarlo Giorgetti Photo Roberto Monaldo / LaPresse 25-06-2020 Rome (Italy) Chamber of Deputies - Justice law decree In the pic Riccardo Molinari, Giancarlo Giorgetti

«Parliamo di vita, non di fantasia». Così Salvini ha liquidato nei giorni scorsi l’ipotesi di un ingresso della Lega nel Partito popolare europeo. Un’eventualità bollata come remota pure da fonti interne alla delegazione italiana dei popolari all’Europarlamento, interrogate da Left. Sta di fatto, però, che voci di corridoio che corrono nella direzione opposta continuano a rimbalzare. Ad innescarle è stata la giravolta europeista maturata dal segretario del Carroccio. Un passaggio pressoché obbligato per poter aderire alla proposta di Draghi e incassare ministeri e sottosegretari, non privo di effetti collaterali a latitudini più elevate.

A Bruxelles, infatti, la posizione della Lega nel partito Identità e democrazia, contenitore politico degli euroscettici di estrema destra, si è fatta scomoda. Gli azionisti di maggioranza del partito – assieme i leghisti, il Rassemblement national di Marine Le Pen e i tedeschi di Alternative für Deutschland – hanno reagito con disappunto all’abbraccio di Salvini con l’ex governatore della Bce, salvatore dell’Euro e simbolo della burocrazia economica continentale. «È un brutto scherzo», aveva commentato a inizio febbraio Jörg Meuthen, vicepresidente del gruppo Identità e democrazia. Di lì a poco, la forza che ne esprime la presidenza, la Lega, avrebbe orchestrato ai propri sodali una beffa ancora più grande: il semaforo verde al Recovery fund, acceso in dissenso rispetto ai nazionalisti. Ossia la premessa, a detta di molti, per un possibile trasloco nel Ppe. Un’operazione che potrebbe sconvolgere gli equilibri della politica italiana ed europea per come li conosciamo.

Ma andiamo per gradi. Per quale motivo l’ex ministro in felpa e i colleghi incamerati nel suo partito potrebbero intraprendere tale conversione blu? Primo. Per prassi, attorno ai gruppi di estrema destra all’Europarlamento è sempre stato…


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Due chiacchiere con il diavolo, su Zoom

Catholic priest Catholic priest Jesus Higueras from the Santa Maria de Cana parish is seen on a smartphone during a live video streamed mass in Pozuelo de Alarcon, outskirts Madrid, Spain, Sunday, March 15, 2020. Pope Francis has praised people for their continuing efforts to help vulnerable communities, including the poor and the homeless, amid the coronavirus pandemic. The vast majority of people recover from the COVID-19. According to the World Health Organization, most people recover in about two to six weeks, depending on the severity of the illness. (AP Photo/Bernat Armangue)

Molto spesso «stare al passo con i tempi» suona come una frase fatta ma non è il caso del “Primo corso introduttivo sull’esorcismo”. Organizzato dall’Istituto Sacerdos, un ente accademico che fa parte dell’Ateneo pontificio Regina apostolorum con sede a Roma, questo corso, che evidentemente si fonda sulla convinzione forse un po’ antiquata dell’esistenza di Satana, si è difatti svolto online in forma di webinar sfruttando quella “diavoleria” che ormai da un anno ha prepotentemente fatto irruzione nelle nostre vite causa-covid e che risponde al nome di Zoom.

Il programma del corso, si legge nel comunicato di Sacerdos, «intende presentare, in ambito accademico, un’introduzione al tema del ministero dell’esorcismo e promuovere la conoscenza di suddetto ministero, particolarmente tra i sacerdoti e i laici coinvolti e interessati in questo ambito, affrontando argomenti quali la teologia e il ruolo dell’esorcista, il diritto canonico e alcuni aspetti della psicologia. Questo corso – prosegue la nota – non è assolutamente da intendersi come sostitutivo di quello che annualmente l’Istituto propone in presenza dalla durata di una settimana e che ha come obiettivo quello di presentare in maniera molto più approfondita gli aspetti multidisciplinari dell’esorcismo e della preghiera di liberazione. Il suddetto corso è programmato per l’autunno 2021 in modalità presenziale nella sede di Roma».

Quest’ultimo riferimento è al master di “Esorcismo e preghiera di liberazione” che da tanti anni si svolge al Regina apostolorum. La notizia del webinar sarebbe passata inosservata, e noi non ve la staremmo dando, se il comunicato emesso dagli organizzatori per descrivere i contenuti non fosse stato ripreso integralmente da quotidiani di una certa importanza, come per es. La Repubblica e Il Giorno, dando così una grossa mano alle iscrizioni che, come si legge sul sito sacerdos.org, alla modica cifra di 250 euro hanno dato il diritto di partecipare a sacerdoti e laici in possesso di rigorosi requisiti ai cinque giorni di corso dall’1 al 4 marzo. Ma ad averci colpito non è tanto il fatto che degli esorcisti e aspiranti tali non disdegnino lo “sterco del diavolo” – anche questo probabilmente è un modo per stare al passo con i tempi – quanto la conferma che la stampa italiana perda sempre più spesso l’occasione di celare la sua totale perdita di senso critico (e laico) nel momento in cui ci sono notizie (o presunte tali, come per es. quella relativa a un webinar) che riguardano il Vaticano e il mondo della Chiesa cattolica in generale. Per intenderci, la perdita di senso critico è ciò che accade regolarmente con papa Bergoglio. Ci sono giornali che riportano regolarmente interi passaggi di discorsi pronunciati dal pontefice cattolico durante la celebrazione di una messa, come fossero le considerazioni di uno scienziato sulle caratteristiche di un vaccino anti-covid da lui appena realizzato. Non solo. Questi stessi giornali, ma anche dei “quotatissimi” giornalisti che conducono talk show in televisione, per dirne una, quando parlano del papa usano in continuazione l’epiteto “sua santità”, accettando acriticamente la dimensione clericale che è insita in questa terminologia. Dallo sdoganare l’uso del termine “sua santità” a dare per assodata l’esistenza del diavolo da parte di un media (sedicente) laico il passo a quanto pare è brevissimo. E infatti è ciò che è accaduto. Passiamo oltre.
Come alcuni dei nostri lettori ricorderanno, chi…

 


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Per niente geni ma guastatori

Foto Fabio Frustaci/LaPresse/POOL Ansa17 febbraio 2021 Roma, Italia Politica Senato - Voto di fiducia su governo DraghiNella foto: Matteo Renzi Photo Fabio Frustaci/LaPresse/POOL AnsaFebruary 17, 2021 Rome (Italy) Politics Senate - Vote of confidence on Draghi's governmentthe pic: Matteo Renzi

Eppure l’avevamo scritto più volte proprio su queste pagine che le manovre che hanno portato alla nascita del governo Draghi non avesse nulla a che fare con il civismo e con le competenze, che quella fosse solo la confezione con cui ci è stata messa sullo scaffale ma che dietro, gratta gratta, ci fosse una riflessione politicissima, della politica peggiore, di quella che studia giorno e notte come disarticolare gli avversari e che poi ci si presenta come innovatrice e riformista.

E così accade che ieri il Movimento 5 Stelle in fondo si sia spezzato nel suo asse ormai logorato con Casaleggio e con l’associazione Rousseau (pronta a farsi partito) e che il Partito democratico abbia viste rassegnate le dimissioni di uno  Zingaretti che potrebbe essere molto meno rassegnato di come appare.

Del resto, piaccia o no, la strategia di un fronte formato da Pd e M5s per combattere la destra ha, per il momento, fallito e il fatto che Conte, indicato più volte dal segretario Pd come «punto di riferimento riformista» e «federatore» di questo nuovo centrosinistra, abbia deciso sostanzialmente di diventare organico al M5s ha maggiormente logorato il suo partito.

Ma nella discussione generale, con tutte le sensibilità che ci sono in campo, continua a sfuggire che il Partito democratico guidato da Zingaretti in Parlamento sia una truppa scelta in tutto e per tutto dal principe guastatore segretario precedente, quello che ora con i suoi fuoriusciti guida il suo partito personale e che continua ad avere stretti rapporti con molti rimasti ancora nel Pd. In sostanza: in un partito che è sempre stato dilaniato dalle correnti (che favoleggiano di ricambio e poi invece sono sempre lì, perfino sempre con gli stessi capibastone) continuano a resistere anche le scorie di una corrente precedente che è stata fortissimamente maggioritaria.

Ha buone ragioni Zingaretti nel denunciare (peccato, su Facebook) la «guerriglia quotidiana» e le «vergognose polemiche sulle poltrone» (a proposito, quando lo si scriveva si veniva additati come visionari, ricordate?) ma per coloro che sanno fare politica solo architettando sgambetti, solo dedicandosi alla costante usura del leader in carica, solo occupandosi di preservare il proprio piccolo spazio di potere, solo immaginando un mondo di continui nemici interni, solo dedicandosi a strategie di cortile, per quelli il Pd è il campo perfetto per potere esercitare le proprie brutture. Ed è così da anni.

Una cosa è certa: questo governo è perfetto per riabilitare la destra e per fare implodere il centrosinistra. Qualcuno evidentemente ne era consapevole. Ora fatevi due conti. Sono quelli che si credono geni e invece sono solo guastatori.

Buon venerdì.

Not in my name

È durata poco la sverniciata di blu che Matteo Salvini si era dato nelle settimane scorse, dicendosi disposto ad accettare l’adozione della legislazione europea sui migranti. Dal doppio petto è presto rispuntata la felpa di CasaPound.
E dunque eccoci qui di nuovo a contrastare le politiche xenofobe di Salvini e i suoi attacchi alle Ong ree di salvare vite umane. Uscito dalla porta grazie al governo Conte due sostenuto dall’alleanza M5s-Pd, il Nostro è rientrato dalla finestra del governo Draghi ricavando per la Lega importanti ruoli chiave. Un film già visto che ci riporta alla mente tante copertine di Left che gridavano “Not in my name”, che denunciavano il suo essere forte con i deboli, il suo flirtare con gruppi di estrema destra che si auto definiscono fascisti del nuovo millennio, il suo baciare il rosario e, con il senatore Pillon, intimare alle donne di tornare a casa a fare figli, in nome della famiglia “naturale”, del contrasto alla denatalità.
Fin da quando furono varati abbiamo dato fiera e strenua battaglia ai decreti Salvini, basati sulla falsa narrazione xenofoba e paranoica che paventava un’invasione di immigrati che in Italia non c’è mai stata. Abbiamo contrastato politicamente il suo invocare la chiusura dei porti denunciando l’inaccettabile violazione di diritti umani, della Costituzione che all’articolo 10 tutela il diritto d’asilo, dei trattati internazionali e della millenaria legge del mare. Lo abbiamo fatto con la forza delle idee e di una visione lunga che ha radici nella storia profonda della nostra specie umana che si è evoluta proprio grazie al rapporto con il diverso di sé, mettendosi in cammino non solo per bisogno, ma per desiderio di conoscenza. Abbiamo dato battaglia con gli strumenti che ci offrono la storia e la cultura e ora, grazie al governo Draghi, ci ritroviamo non solo il leghista Nicola Molteni, fiero sostenitore dei decreti salviniani nel ruolo di sotto segretario agli Interni, ma anche la leghista Lucia Borgonzoni come sottosegretaria alla Cultura, ovvero colei che si è vantata di non leggere libri.

E allora ripartiamo da qui, da tutto quello che negli anni abbiamo rifiutato e combattuto: la deriva sovranista e xenofoba imposta da Salvini, la barbarie di politiche liberiste che hanno aumentato le disuguaglianze che hanno indebolito i diritti, a cominciare da quello alla salute. Nel frattempo la pandemia, dolorosamente, ha mostrato a tutti quanto sia criminale la ricetta liberista della aziendalizzazione della sanità che tratta la salute come merce. Ha reso macroscopicamente evidente quanto l’ottica del nazionalismo egoista sia miope e fallimentare per uscire dalla crisi sanitaria ed economica. In un momento così grave e importante della storia mondiale ci dobbiamo gettare a capofitto nell’impresa di ricostruire il Paese. Abbiamo la possibilità di farlo anche spendendo bene i 209 miliardi del Recovery fund. Ma non ci fa dormire sonni tranquilli che proprio in uno dei ministeri chiave, quello dello Sviluppo sia stato chiamato il leghista Giancarlo Giorgetti, l’affossatore della medicina territoriale, nonché relatore della antiscientifica e misogina Legge 40. Di tutto questo dobbiamo ringraziare, in primis, chi ha acceso la miccia della crisi di governo, ovvero Matteo Renzi, l’ex presidente del Consiglio e senatore che fa conferenze prezzolate alla corte sanguinaria e fondamentalista del principe Bin Salman che nega l’identità e la vita sociale delle donne, che bombarda i civili yemeniti, che ha responsabilità conclamate nell’uccisione del giornalista Khashoggi, scomodo per il regime. I due Matteo sono tornati a fare gioco di sponda, a darsi mano, riallacciando i fili un’alleanza lunghissima e forse mai venuta meno, favorita dalla mediazione di Denis Verdini, lo stesso che condusse Renzi ad Arcore da Berlusconi. Nel frattempo Verdini è stato condannato al carcere ed è ai domiciliari per il rischio di Covid che attanaglia i penitenziari. Speriamo che il provvedimento di civiltà che è stato messo in atto per lui possa essere esteso anche ad altri detenuti.

Rivolgiamo questa richiesta alla neo ministra Marta Cartabia che nei giorni scorsi ha incontrato i vertici del Dap per sostenere la campagna vaccinazioni di detenuti e personale. Per quanto estremamente distante dalle nostre posizioni per ciò che in passato ha detto sull’aborto abbiamo apprezzato che l’ex presidente della Consulta si è dimostrata sensibile verso irrimandabili provvedimenti di civiltà riguardo alla difesa dei diritti umani in carcere. Ma la questione della laicità resta un tasto debole del governo Draghi, benedetto dai vertici della Chiesa e in cui abbondano esponenti vicini a Comunione e liberazione e alle gerarchie ecclesiastiche. Avvicinandoci all’8 marzo (che noi di Left ricordiamo tutto l’anno) non possiamo non tornare a interrogarci sui diritti negati delle donne, sulla disapplicazione della legge 194, a causa dell’alto numero di obiettori. Non possiamo che tornare a incalzare il governo, come abbiamo fatto con tutti quelli precedenti, tornando ad analizzare un’emergenza strutturale come quella dei femminicidi e più in generale della violenza sulle donne in Italia. Su questo numero accendiamo i riflettori anche sulla piaga delle molestie e degli abusi che le donne subiscono sul lavoro. Lo facciamo dialogando con la segretaria della Fp Cgil Serena Sorrentino e con inchieste sulle condizioni di lavoro delle donne in Europa, convinti che investire sulle donne, implementare l’occupazione femminile e sostenerne l’autonomia e riconoscerne l’identità sia la strada per innescare quel cambiamento culturale che è essenziale per uscire dalla crisi e per costruire un futuro giù giusto, più inclusivo e più umano.


L’editoriale è tratto da Left del 5-11 marzo 2021

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A volte ritorna

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 25-02-2021 Roma Politica Punto stampa di Matteo Salvini e i nuovi sottosegretari della Lega Nella foto Matteo Salvini Photo Roberto Monaldo / LaPresse 25-02-2021 Rome (Italy) Matteo Salvini and the new under-secretaries of the League party meet the press In the pic Matteo Salvini

C’è in giro una barzelletta spassosissima eppure tragica, fomentata soprattutto dagli ultrà renziani, per cui nel “capolavoro” del governo Draghi rientrerebbe anche l’avere danneggiato o comunque tarpato Matteo Salvini e il suo partito. È la barzelletta di riserva che arriva subito dopo “il governo dei migliori”, un’altra enorme bugia che è stata utilizzata giusto il tempo di leggere con un certo affanno la lista dei ministri e soprattutto dei viceministri e soprattutto dei sottosegretari: non potendo più insistere sulla qualità dei componenti di governo, sarebbe stato troppo persino per loro, il nuovo messaggio da veicolare in massa è quello di un Salvini che uscirebbe “depotenziato” da questo governo per chissà quali strani alchimie. La politica però, per la fortuna di chi si ritrova a commentarla, è fatta di numeri e quegli stessi numeri dicono che (ma dai?) la Lega di Salvini in questi primi di giorni abbia già cominciato ad aumentare i consensi. Allora forse converrebbe fare qualche passo indietro, alla caduta del primo governo Conte, quando Salvini e i suoi fans imperversavano su tutti i giornali (e alle direzioni dei telegiornali) rimanendo al centro del dibattito praticamente su qualsiasi punto politico si sollevasse quotidianamente. Erano i tempi in cui sembrava praticamente impossibile riuscire ad abbattere il muro della Bestia leghista sui social network e in cui Salvini dettava l’agenda politica ad ogni passo, perfino pubblicando foto con l’ultimo piatto del suo ultimo pranzo. Forse converrebbe ripartire da quel periodo per rendersi conto che gli errori successivi del leader leghista, a partire dalle sue presuntuose follie nell’estate del Papeete, hanno permesso al Paese di uscire dal terrificante reality show in cui era caduto e di ripristinare perlomeno una discussione politica che fosse qualcosa di più alto dell’odio sparso contro i fragili, che fossero migranti o qualsiasi altra categoria.

Il secondo governo Conte in fondo nasce proprio con quella missione: Partito democratico, Leu e persino Renzi hanno accettato la mediazione di un governo che sicuramente non è mai stato il governo dei sogni per riuscire ad arginare una decadenza umanitaria e una tossicità del dibattito che ha partorito obbrobri giuridici (a partire dai cosiddetti decreti Sicurezza) che hanno riportato indietro il Paese di decenni. Ora, al di là delle speranze politiche che qualcuno può riporre nella figura di Mario Draghi nuovo presidente del Consiglio, è un fatto sotto gli occhi di tutti che non solo Salvini sia prepotentemente rientrato nella compagine di governo e quindi nell’alveo della visibilità che governare concede, ma che addirittura ci sia riuscito non rompendo l’alleanza di centrodestra di cui continua a proporsi come capo politico, per di più concedendo alla sua alleata Giorgia Meloni di avere mano libera nel bombardare il governo dalla comoda posizione dell’opposizione e quindi presumibilmente riuscendo anche a “mantenere” i malpancisti. Per questo…


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Protezione del paesaggio, dell’ambiente e del patrimonio d’arte, quale politica

L’Italia che è stata fra i primi Paesi al mondo a costituzionalizzare la tutela del patrimonio artistico e del paesaggio è diventata nemica dei suoi tesori. E non da ora. Anni e anni di consumo di suolo, deregulation urbanistica, abusivismo hanno messo a sacco la penisola, di per sé idrogeologicamente fragile ed esposta a sismi. In nome di una ideologia della crescita ad ogni costo con un intensivo sfruttamento delle risorse naturale e culturali l’Italia è stata follemente cementificata e i centri storici delle città d’arte hanno subito la pressione di un turismo consumistico e predatorio che, come nota la senatrice Michela Montevecchi «non offre neanche conoscenza e la possibilità di fare una vera esperienza culturale». Con una serie di incontri di approfondimento la senatrice de Movimento Cinque Stelle da mesi sta affrontando questi temi chiamando a confronto professionisti dei beni culturali, scienziati, esperti di comunicazione. L’obiettivo è alto: cercare di cambiare questo modello di sfruttamento intensivo del territorio e del patrimonio culturale, invertire rapidamente la rotta strutturando una proposta politica che rimetta al centro la tutela guardando al futuro, cercando di prevenire l’impatto che potrebbe avere il climate change, con eventi climatici imprevisti e tanto più impattanti su un territorio già fragile e messo a dura prova. Anche di questo discuteremo il 4 marzo con Luca Mercalli, Giuseppe Mazza e la senatrice in una Pillola di Arte e scienza che sarà trasmessa in streaming sulla pagina Facebook della senatrice.

Dobbiamo rapidamente cambiare modello di sviluppo, non c’è più tempo dicono i giovanissimi dei Fridays for future che più degli adulti hanno recepito l’allarme degli scienziati riguardo agli effetti del surriscaldamento del pianeta, dell’innalzamento degli oceano, di eventi climatici avversi. E al contempo dobbiamo fare prevenzione.
«Serve una ampia mappatura di tutti i luoghi più fragili e un piano straordinario di manutenzione», sottolinea Montevecchi, ma se vogliamo davvero mettere le basi per un vero cambiamento bisogna cambiare radicalmente la nostra visione culturale facendo formazione cominciando fin dai primi anni di scuola». Per mettere in atto un vero salto di paradigma serve soprattutto sensibilizzare le nuove generazioni. «È importante cercare di introdurre i bambini al tema del cambiamento climatico. Purtroppo saranno proprio loro a viverlo nelle sue manifestazioni più problematiche», sottolinea la senatrice. Alcune esperienze di formazione innovativa in questo senso sono già attive.

«Per esperienza personale posso dire che l’Emilia Romagna è una Regione virtuosa da questo punto di vista – racconta la senatrice modenese -. I bambini vengono portati in montagna, per fargli conoscere la flora e la fauna, per entrare in contatto con la natura. Oggi, con le nostre vite traslate sugli smartphone si fatica molto a mantenere la sensibilità nei confronti dell’habitat naturale. Ma non dovremmo dimenticare mai che ne siamo parte. La perdita di questo contatto non aiuta a mantenere e a sviluppare sensibilità verso l’ambiente. Questa è una grande sfida da affrontare»
L’educazione civica nelle scuole dovrebbe essere anche educazione al rispetto dell’ambiente ed educazione all’ecologia?
Certamente. L’educazione civica è stata reintrodotta con un provvedimento del governo Conte I che abbiamo fortemente voluto. Però a mio avviso va rivisto tutto il percorso di formazione fin dalla scuola dell’infanzia dove noi cominciamo a sviluppare la consapevolezza del nostro stare nel mondo. Nelle vari fasi scolastiche sono possono prevedere percorsi che possono essere svolti anche al di fuori dell’ora curriculare, potenziando tutte quelle buone pratiche che fanno sì che il bambino cresca e diventi un adulto che ha già acquisito una serie di abitudini di vita. Più che un’ora di teoria serve l’esempio, l’esperienza di vita.
Il convegno e la serie di incontri che lei ha organizzato costruiscono un ponte fra politici ed esperti, da questo intreccio nascerà una concreta proposta politica?
Personalmente penso di avere sempre molto da imparare. Penso che sia sempre importante aprirsi alla conoscenza e mi è piaciuto farlo in un percorso pubblico, accessibile a tutti. Avrei potuto consultare gli esperti chiedendo loro un colloquio personale. Creare vari momenti, dal convegno ai webinar, alle pillole di approfondimento, è stato anche un modo per fare informazione su questi temi. È fondamentale che ci sia una traduzione politica perché altrimenti le istanze rimangono senza risposta. Come parlamentare mi sono presa l’impegno di trarre da questi contenuti delle linee di indirizzo. Trasferirò in ambito parlamentare questo lavoro che sto facendo in un habitat extraparlamentare. L’obiettivo è fare in modo che poi si possa arrivare alla votazione di una risoluzione con cui il governo si prenda degli impegni. Io non sto al governo, ma il Parlamento legifera e io non perdo le speranze.

*-*

PILLOLE DI #ARTESCIENZA

Sulla scia del convegno “#ArtEClima” del 21 Settembre 2020 e i successivi due webinar “#ArtEScienza” di novembre e dicembre 2020, continuiamo con il nostro ciclo di incontri on-line dal titolo “Pillole di ArteScienza”.
Dopo #ArteTecnologia e #ArteFormazione, arriva il terzo incontro:
#ArteComunicazione, giovedì 4 marzo alle ore 18:00, nel quale sarà trattato il tema del ruolo della comunicazione e dell’informazione come strumento per favorire il conseguimento degli obiettivi di tutela dei beni paesaggistici e culturali a fronte dei cambiamenti climatici.

Partecipano:
Simona Maggiorelli, direttrice settimanale Left
Luca Mercalli, presidente Società Meteorologica Italiana
Giuseppe Mazza, docente Iulm, comunicatore e pubblicitario
Il webinar sarà trasmesso in diretta sulla pagina Facebook della senatrice Michela Montevecchi
https://it-it.facebook.com/MichelaAMontevecchi/

Si ricorda che collegandosi alla diretta, sarà possibile interagire e formulare domande ai relatori che vi partecipano.