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Il decalogo del complottista

Person closes his eyes with a medical face mask so as not to see what is happening around. Isolated on white background with copy space
  1. Il complottista riconosce facile facile la verità: se la pensano in troppi allora quella cosa è falsa, pagata dalle lobby e mantenuta economicamente da poteri segreti del nuovo ordine mondiale. Quindi tutto quello che si pensa generalmente è presumibilmente falso e tutto quello che pensano in pochi è evidentemente vero. Il complottista si innamora di chi ha il coraggio di dire che il rosso è verde, che gli alti sono bassi, che le auto non hanno le ruote e che i complottisti non esistono. Anzi: un complottista dovrebbe innamorarsi di chi dice che i complottisti siano tutta una farsa messa in piedi per nascondere la realtà. Sarebbe un complottismo al cubo.
  2. Il complottista scambia erroneamente il diritto di essere cretini per libertà. E quindi vuole essere libero di distinguersi per la fallacia delle sue tesi però non considera gli altri liberi di smascherarlo. È una libertà cretina, appunto.
  3. Il complottista non crede nel valore delle prove. Se qualcuno gli chiede «perché sì?» risponde come unico supporto alle sue teorie con il «perché no?». Se qualcuno gli fa notare che funziona al contrario il ragionamento critico allora si inalbera e ti dice che sei pagato da Soros.
  4. Il complottista non ha tesi, mai, anche se potrebbe simulare il fatto di averne. Il complottista è semplicemente contro quello che pensano gli altri: per lui avere un’opinione è facilissimo, gli basta fare l’opposto. Pensa di essere controcorrente e invece è un invertito.
  5. Il complottista non crede al Covid, ritiene tutto una messinscena e a supporto delle sue idee porta il fatto di non conoscere nessuno che se ne sia ammalato. Poi si ammala.
  6. Il complottista ha paura di essere spiato, sempre. Uno si aspetta che abbia una vita degna di un romanzo e invece l’apice del suo fare tutto il giorno è credere ai complotti. Il complottista in pratica teme un enorme dispendio di risorse e di tecnologie per sapere quello che scrive tutto il giorno sui social.
  7. Il complottista ritiene che nessun giornalista dica la verità per un complicatissimo processo di censura e poi la verità la trova facile facile in un canale YouTube.
  8. Il complottista sa e si strugge del suo sapere. Ritwitta per fare la rivoluzione.
  9. Il complottista spesso cambia idea ma quando cambia idea dà la colpa ai poteri forti che gli avevano servito un complotto.
  10. La 10 non esiste. Vi piacerebbe sapere perché, eh? Siete curiosi?

Buon mercoledì.

Ti presento la Chicchi, e la Massa che verrà

“Non c’è pace senza giustizia”. È il grido che si è levato ovunque nel mondo dopo l’ennesimo brutale assassinio a sfondo razzista dell’afroamericano Georg Floyd da parte di un poliziotto bianco. Come è noto la protesta di “Black lives matter” da Minneapolis e dagli Usa si è velocemente diffusa in centinaia di città piccole e grandi, Massa compresa.
Perché è di giustizia quello di cui tutti abbiamo bisogno. E non solo di quella dei tribunali. Serve giustizia sociale, economica, ambientale. Servono più diritti, serve più lavoro, servono politiche che offrano governi appassionati di natura, dell’equità sociale, che rimettano al centro della loro azione politiche pubbliche per una cittadinanza multietnica, solidale, dello scambio e della conoscenza, della crescita culturale, dell’interdipendenza e della cooperazione.
Poi, durante quelle proteste, sono cominciate a “cadere” vecchie statue che, se un tempo celebravano personaggi degni delle allora attenzioni, rappresentano oggi delle insopportabili “occupazioni” di spazi pubblici dedicate a schiavisti, razzisti, fascisti, stupratori, usurpatori, nemici del popolo ed indegni rappresentanti o protagonisti di storie di violenza, di negazione di libertà o di regimi criminali incompatibili con la “nostra” democrazia e con la contemporaneità.
E qui sta il punto, come ha affermato dallo storico dell’arte Tomaso Montanari in un suo recente scritto: «Il vero oggetto di contesa è lo spazio pubblico come luogo in cui una comunità civile costruisce se stessa attraverso una lettura (spesso attraverso l’invenzione) del passato, e indica una via verso il futuro. È commovente che questo accada dopo decenni di privatizzazioni selvagge che tendono a far letteralmente sparire, in tutto il mondo, il concetto stesso di spazio pubblico. Se partiamo da qui, si dovrà convenire che tenere (letteralmente) su un piedistallo nella piazza (centro della polis e dunque luogo politico per eccellenza) un personaggio, significa indicarlo come modello di virtù civili. È l’equivalente civile della santificazione: «Guardatelo, prendetelo a esempio, fate come lui».
Spazi pubblici, che anche a Massa, sono pieni di antichi rimandi al ventennio fascista e ai mai sopiti e maldestri tentativi di revisionismo storico praticati a vari livelli da presunti storici locali ed amministrazioni compiacenti.
Non occorre “abbatterli” quei monumenti e quelle tracce basta “rimuoverle” rendendole invisibili negli spazi pubblici, all’aperto, laddove chiunque, senza ulteriori conoscenze storiche o culturali, imbattendosi nell’orribile sasso ai Quercioli dedicato ad Ubaldo Bellugi si ritrovasse ad apprezzare quella filastrocca in dialetto incisa sul marmo e dedicata alla nostra città senza sapere che il Bellugi “poeta” è stato anche il Podestà di Massa, ovvero il massimo rappresentante politico-amministrativo del fascismo in terra apuana.
E che il fascismo è stato un regime violento, razzista e criminale che ha portato l’Italia ad allearsi con Hitler in una guerra disastrosa che ha distrutto il Paese riducendolo in macerie.
Un tragico regime fondato sulla menzogna e sulla corruzione (così come ha inequivocabilmente documentato lo storico Francesco Filippi nel suo volume del 2019 “Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo” edizioni Bollati Boringhieri).
Un regime razzista e colonialista fondato sull’inganno, sulla minaccia e sul ricatto, che pure ha potuto contare su un sostegno di massa per via di quegli “Italiani brava gente” il cui “falso mito” è stato perfettamente decritto (a più voci) sul libro appena pubblicato per le edizioni di Left con l’introduzione di Simona Maggiorelli.
Poi c’è stata la lotta partigiana e la Resistenza che, assieme agli alleati, hanno spazzato via quella pagina di storia assassina e vergognosa, riconquistando la dignità di un popolo, l’orgoglio e la libertà di una Patria ritrovata e regalandoci la democrazia, la Repubblica e la Costituzione più bella del mondo.
Fascismo che, seppur irripetibile nel folklore funereo delle camice nere e dell’olio di ricino, è però perfettamente rintracciabile nei valori di riferimento di una certa destra “nazionale” di oggi omofoba e machista, xenofoba, razzista e sovranista; quella destra che parla di tradizione col rosaio in mano rifiutando al tempo stesso sia la modernità che lo spirito critico per cui ogni disaccordo è un tradimento. Quella destra sussidiaria, sostenitrice e tutta interna alle “perversioni” più spinte del liberismo economico; interclassista e che parla genericamente di “popolo” come di un unicum indistinto (che, come tale, esprime un’unica volontà), da qua l’insofferenza per la democrazia parlamentare e la sua vocazione autoritaria esplicitata col favore per i sistemi presidenziali e maggioritari. Insomma questa destra c’è e di questa destra ne ha scritto, tra gli altri, Umberto Eco nel suo libro “Il fascismo eterno” (La nave di Teseo editore 2017).
Per queste ragioni, con la forza delle nostre radici democratiche ed “antifasciste”, abbiamo deciso di donare alla Massa “Medaglia d’Oro al Valor Civile”, alla Massa di oggi e a quella di domani, in uno spazio pubblico, all’aperto, una targa dedicata ad una donna “combattente”, comunista e partigiana che fu la più giovane Costituente e mai troppo ricordata a dovere: Teresa Mattei detta Chicchi alla quale abbiamo “rubato” una bellissima frase: “Le lapidi sono importanti, i monumenti sono importanti, ma il più grande monumento, il maggiore, il più straordinario che si è costruito in Italia, alla Libertà, alla Giustizia, alla Resistenza, all’Antifascismo, al Pacifismo, è la nostra Costituzione”.
«Perché – scrive ancora Tomaso Montanari – le vie e le piazze sono, per fortuna, ancora luoghi di conflitto, e i loro piedistalli (proprio come le loro intitolazioni) sono nodi del discorso pubblico che costruisce la via verso il futuro». Anche quello della Massa che verrà. La nostra.

Left laboratorio politico – Massa Carrara
Movimento giovanile della sinistra – Massa Carrara
Circolo Anpi comandante Vico – Massa

La soluzione apparente

(200603) -- ROME, June 3, 2020 (Xinhua) -- Passengers wearing face masks walk at Roma Termini Train Station in Rome, Italy, June 3, 2020. Italy's active infections of coronavirus fell below 40,000 for the first time since March 20 on Tuesday, just a day before the lifting of movement restrictions between Italian regions, figures of the Civil Protection Department showed. Also starting on Wednesday, Italy will open its borders without restriction to travelers from the other 25 Schengen countries, including the countries with high infection rates. (Xinhua/Cheng Tingting) (Photo by Xinhua/Sipa USA) lapresse-onlyitaly Immagini della stazione ferroviaria e dell'aeroporto di Roma (200603) -- ROME, June 3, 2020 (Xinhua) -- Passengers wearing face masks walk at Roma Termini Train Station in Rome, Italy, June 3, 2020. Italy's active infections of coronavirus fell below 40,000 for the first time since March 20 on Tuesday, just a day before the lifting of movement restrictions between Italian regions, figures of the Civil Protection Department showed. Also starting on Wednesday, Italy will open its borders without restriction to travelers from the other 25 Schengen countries, including the countries with high infection rates. (Xinhua/Cheng Tingting) (Photo by Xinhua/Sipa USA) lapresse-onlyitaly Immagini della stazione ferroviaria e dell'aeroporto di Roma *** Local Caption *** 29979106

Ogni volta che si tratta di qualche misura di prevenzione per il Covid-19 in Italia (ma accade così purtroppo in tutto il mondo) ci si schianta contro una realtà difficile da commentare. Si pensava che almeno il dolore lasciasse ferite abbastanza profonde per non permettersi di non essere seri, si pensava che i morti e il dolore non passassero come ci si dimentica di un raffreddore e invece ci si inchioda sempre, tutte le volte.

La questione dei treni, a esempio, è qualcosa degna di una sceneggiatura di teatro dell’assurdo: si decide una data di scadenza per i viaggi distanziati sui treni a lunga percorrenza, e questo è abbastanza normale visto che i decreti devono avere delle scadenze, per poi accorgersi nell’ultimo giorno utile che quella decisione andava prorogata. Decine di esperti, di task force, di funzionari, di protocolli e di raccomandazioni e poi questo agire da scavezzacollo che si sbuccia le ginocchia in discesa. A posto così.

Il fatto è che una decisione andrebbe spiegata per bene, bisognerebbe avere la forza e la credibilità (anche politica) di argomentarla almeno per non dare voce ai fiotti di complottisti che sbucano ovunque e invece ogni volta si tratta di una soluzione apparente, come i banchi con le ruote delle scuole che hanno monopolizzato un dibattito che invece è ampio e denso, una soluzione appoggiata come pezza e che mostra tutto il buco.

Perché se io rischio di ammalarmi su un treno (e non ho motivo per dubitarne) mi sfugge il motivo per cui la durata del viaggio (che è la stessa da Milano a Bologna sulle linee a alta velocità, come qualche traiettoria pendolare regionale) non capisco perché quello stesso rischio poi non lo corro in altri luoghi in cui evidentemente si è deciso di lasciare correre.

E in tutto questo fa sorridere che Regione Lombardia, non contenta dei lutti e delle figuracce fatte fin qui (in attesa degli sviluppi giudiziari) ancora giochi al trucco di mettersi contro il governo.

Oppure c’è una spiegazione un po’ più semplice e banale: tra un mese bisogna riaprire uffici, fabbriche e scuole e tocca allentare senza volerlo dire e apparentemente occuparsene in modo che poi appaia tutto normale. Che è l’interesse di molti, molto ricchi, molto potenti.

Buon martedì.

La parità degenere

Che gran brutta figura che ha rimediato il Consiglio regionale della Puglia. La notizia è passata sottobraccio eppure è una notizia di portata storica perché vede il governo, con il presidente Conte, intervenire per decreto lì dove i consiglieri regionali sono riusciti a dare il peggio di se stessi.

Partiamo dall’inizio: il Consiglio regionale pugliese nell’ultima occasione utile non riesce a introdurre la doppia preferenze di genere così come stabilito dalla legge nazionale, la n.20 del 2016, riuscendo addirittura a farsi bloccare da qualche migliaio di emendamenti da parte di Fratelli d’Italia, quelli della famiglia tradizionale che evidentemente le donne le vorrebbero vedere solo a casa a stirare e accudire i bambini. Che una Regione non riesca a mettersi in regola, dopo oltre quattro anni, con una legge così importante e non riesca a garantire la parità di genere e soprattutto per fare qualcosa di concreto per la partecipazione politica delle donne è la fotografia di un Paese in cui l’autopreservazione (degli uomini) è e rimane uno degli ostacoli principali.

Il governo ha provato a richiamare i consiglieri regionali alle loro responsabilità ma l’invito è caduto nel vuoto: la brama di qualche maschietto di non perdere il posto alle prossime elezioni evidentemente ha contato di più di principi che vengono annunciati e poi mai messi in pratica. Così alla fine è dovuto intervenire il presidente Conte con una mossa che ha qualcosa di storico: il governo ha nominato il prefetto di Bari Antonia Bellomo commissario straordinario con la funzione di provvedere «agli adempimenti strettamente conseguenti per l’attuazione del decreto sulla doppia preferenza di genere nelle Regionali in Puglia». Poche ore dopo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto legge.

Ha ragione la ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti quando scrive: «Affermiamo così che la parità di genere è un principio da tutelare in tutto il Paese, in maniera uniforme, perché in maniera uniforme va tutelato il diritto alle pari opportunità. Avevo anticipato negli scorsi giorni la volontà di utilizzare questo strumento inusuale, sperando tuttavia che le istituzioni pugliesi si adeguassero autonomamente. Non avendolo fatto, non abbiamo avuto altra scelta che questa per garantire i diritti e la legalità. Ho chiesto e insistito per un commissario straordinario che sia garante della piena applicazione del decreto e lo abbiamo individuato nella persona del Prefetto di Bari».

È un gesto enorme. E giusto. E dimostra invece la parità degenere della politica quando si occupa solo di sopravvivere.

Ben fatto.

Buon lunedì.

Mumia Abu-Jamal: Le carceri negli Stati Uniti servono a preservare la supremazia bianca

A protestor holds up a poster depicting Mumia Abu-Jamal during a demonstration outside the offices of District Attorney Larry Krasner, Friday, Dec. 28, 2018, in Philadelphia. A judge issued a split ruling Thursday that grants Abu-Jamal another chance to appeal his 1981 conviction in a Philadelphia police officer's death. (AP Photo/Matt Slocum)

«In America, i neri sono intimiditi, picchiati, molestati, fermati e perseguitati dai poliziotti. Il loro timore di dover interagire con le forze dell’ordine è motivato. E questa paura è reciproca».

È l’atto di accusa di Mumia Abu-Jamal, attivista, scrittore e giornalista statunitense, condannato alla pena di morte per l’omicidio dell’agente di polizia, Daniel Faulkner, nel 1982. Dopo una colluttazione per un brutale fermo del fratello, fu ritrovato ferito e incosciente accanto al corpo esanime del poliziotto. L’ex membro del Black panther party e simpatizzante del Move (un’organizzazione politica radicale afroamericana di Philadelphia) si è sempre dichiarato innocente. Il processo, che non ha fatto chiarezza in modo dirimente sugli eventi, è stato seriamente compromesso da una serie di vizi procedurali e irregolarità, fra cui ricordiamo i commenti razzisti pronunciati dal giudice durante le udienze. Amnesty International, la Commissione per i diritti umani dell’Onu e perfino il Parlamento europeo hanno difatti chiesto la revisione della sentenza. Grazie alla forte mobilitazione internazionale e al sostegno di numerose personalità (come la scrittrice premio Nobel Toni Morrison, il linguista Noam Chomsky, il cantautore Bruce Springsteen e il gruppo Rage against the machine), l’attivista, diventato uno dei maggiori simboli della lotta contro la pena di morte nel mondo, ha visto la sua pena capitale essere commutata in ergastolo nel 2011.

Attualmente, le speranze che venga un giorno liberato sono pressoché nulle. Eppure quasi quarant’anni di detenzione, di cui trenta nel braccio della morte, non hanno messo a tacere la sua voce. Nonostante l’amministrazione carceraria abbia cercato diverse volte di impedirglielo, il giornalista commenta l’attualità ogni settimana su Prison radio e ha pubblicato sei libri. La sua opera prima, Live from death row (Harper perennial, 1996), si è classificata tra i best seller del New York times.

Oggi Mumia Abu-Jamal risponde alle domande di Left dal carcere di Mahanoy in Pennsylvania.

Secondo l’ultimo studio condotto dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (2013), il 37% dei carcerati nel Paese sono afroamericani, nonostante costituiscano solamente il 13% della popolazione totale. Come interpretare questi numeri?
Queste statistiche non illustrano altro che le tattiche della cosiddetta “guerra alla droga”, una falsa battaglia agli stupefacenti avviata da Richard Nixon cinquant’anni fa per destabilizzare i movimenti di libertà e d’indipendenza dei neri e dei portoricani. (In un’intervista postuma pubblicata su Harper’s nell’aprile 2016, John Ehrlichman, il consigliere di Nixon per la politica interna, ha rivelato che il vero obiettivo della war on drugs era di criminalizzare i nemici storici del governo, la sinistra pacifista e i neri: «Potevamo arrestare i loro leader, perquisire le loro case, interrompere i loro incontri e diffamarli giorno dopo giorno sui media», ndr). Oggi, l’America rurale prevalentemente bianca si confronta con il più grande problema di…

L’intervista prosegue su Left in edicola dal 31 luglio

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Cultura significa inclusione

Bronze head of a colossus statue in front of the Castor and Pollux ancient greek temple ruins at the archaelogical site of the Valley of the temples located at Agrigento, Sicily. Italy.

Nelle rovine di un anfiteatro, in prossimità di una città senza nome, vive Momo, una ragazzina avvolta dal mistero. Nel romanzo di Michael Ende la struttura antica si ri-anima. Perché al suo interno i bambini giocano a pallone e i grandi restaurano mobili, fanno barba e capelli, scavano e s’intrattengono nelle consuete attività quotidiane. C’è anche una donna che cuce, su una sedia a rotelle. La scrittura del testo del 1973, con la sua trasposizione cinematografica del 1986, ha anticipato i tempi dell’archeologia. L’esplicitazione della sua funzione sociale. Insomma la comprensione che aree archeologiche e musei non sono soltanto luoghi della cultura. Occasioni per ammirare capolavori del passato. Trascorrere del tempo, immersi tra architetture ed oggetti che catapultano i visitatori in epoche lontane.

Fortunatamente molti addetti ai lavori hanno aperto gli occhi. Hanno riconosciuto a diversi di quei luoghi nei quali gli studiosi lavorano e tanti turisti vanno per curiosità, una funzione nuova. Che rende finalmente siti archeologici, sale e magazzini di musei ed antiquarium, spazi di inclusione. Reale. Posti nei quali gruppi di persone “fragili” possono finalmente “fare”. Esercitarsi in una occupazione. Posti nei quali tossicodipendenti e minori in difficoltà, portatori di handicap e detenuti divengono attori di un progetto.

Dal 2018 a Chiaramonte Gulfi, tra Siracusa e Selinunte, la cooperativa Nostra Signora di Gulfi, con la collaborazione della Soprintendenza archeologica di Ragusa e del Dipartimento di Storia, culture e civiltà e del Dipartimento di Beni culturali dell’Università di Bologna, organizza una campagna di scavo nell’area di una necropoli con sepolture del III-V secolo d.C.. Alla campagna di scavo, anche grazie al Comune, partecipano richiedenti asilo e minori con una pena detentiva inseriti in un percorso di recupero. «Non si tratta solo di uno scavo, ma di un’esperienza civile condivisa, in cui forze diverse e provenienti da diversi ambiti si confrontano per portare avanti la ricerca scientifica», ha detto Andrea Cenerelli, studente in Archeologia e culture del mondo antico a Bologna.

«Il ragionamento iniziale con il Comune e il Museo di Castiglion Fiorentino, in provincia di Arezzo, è stato relativo all’accessibilità dei disabili alla struttura espositiva. Poi ci siamo chiesti perché non fare qualcosa di più. Ecco che sei ospiti della casa di Pinocchio hanno rielaborato un’opera di Bartolomeo della Gatta e altrettanti del progetto Viva hanno acquisito le competenze professionali per diventare guide museali». Stefania Battaglini, della cooperativa sociale Koinè, parla del…

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Umanità Nova, cent’anni di voci libertarie

Quest’anno ricorre un compleanno importante, il centenario della storica testata anarchica Umanità Nova. Raccontare ai fondatori che ancora oggi il giornale tanto desiderato quanto ostacolato è ancora vivo e vegeto li lascerebbe increduli.
La storia di questa testata è molto lunga e potremmo dire che già nel 1911, in un convegno nazionale anarchico tenutosi a Roma, venne fuori la proposta di un giornale che facesse da portavoce verso l’esterno, del movimento libertario italiano che stava raggiungendo sempre più forza in tutto il Paese. La proposta, prevedeva la direzione del giornale da parte di Errico Malatesta, purtroppo però era ancora in esilio a Londra, ma fiduciosi i militanti del movimento speravano che potesse rientrare in Italia entro breve tempo.

Purtroppo l’esilio durò ancora qualche anno e alla fine non riuscirono a creare questo giornale. Finalmente nel 1919, dopo essere stato esule in mezzo mondo dalla Svizzera all’Argentina, Stati Uniti e Cuba, Francia e Inghilterra, Malatesta riuscì ad ottenere il passaporto dal console italiano a Londra; si imbarcò per Taranto il 24 dicembre dello stesso anno.
In Italia godette subito di un’enorme popolarità, basti pensare che veniva acclamato dalla folla come il Lenin italiano, di cui si avvantaggiò con un’intensa attività propagandistica e sovversiva che lo rese uno dei protagonisti del biennio rosso.

Nel luglio 1920 fu tra i protagonisti del congresso di Bologna, che riorganizzò l’Unione anarchica italiana, momento importantissimo per il movimento libertario. Sempre in quell’anno per quanto riguarda Umanità Nova la posizione di Malatesta era chiara, un quotidiano era necessario e lui era deciso ad assumerne la direzione, per questo darà definitivamente corpo all’iniziativa, insieme alla collaborazione entusiasta di personaggi di spicco del movimento come Borghi, Fabbri, Fedeli, Giacomelli e Damiani che ne renderanno concretamente possibile la continuità. Così, una volta nata, nonostante l’ostruzionismo, il boicottaggio e la repressione del governo, Umanità Nova raccoglierà le…

Illustrazioni di Vittorio Giacopini

Andrea Staid è docente di antropologia culturale e visuale presso la Naba di Milano, direttore della biblioteca/antropologia Meltemi editore e co-direttore di Field work-travel writing Milieu edizioni

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Strage di Bologna, la forza della verità

«La strage è stata organizzata dalla loggia massonica P2, protetta dai vertici dei servizi segreti italiani, eseguita da terroristi fascisti». Nella loro sintesi lapidaria, le parole che campeggiano sul manifesto del quarantennale della strage alla stazione di Bologna, riassumono l’eccidio che con 85 morti e 218 feriti è il più crudele della storia d’Italia. Una strage che come le precedenti cercava di rigettare un rospo che a certuni proprio non andava giù fin dal 2 giugno 1946. E come non bastasse la nascita della Repubblica, c’era poi stata anche quella cosa… quella cosa che quei “certuni” non potevano manco nominare senza farsi venire l’orticaria: la Costituzione. E così, avevano iniziato a tramare, a complottare, progettare, per tornare ai bei tempi di «quando c’era lui». Con «un altro duce e un altro re», ovviamente (ma questo era un problema da affrontare dopo, cioè dopo il ripristino del prima: una volta tornati alla “normalità”).

Consumate tutte le chiacchiere possibili, fascisti vecchi e nuovi s’erano quindi riuniti a Parco dei Principi a Roma per identificare un percorso comune e vincente. Così, nel maggio del 1965, mentre l’Italia correva sui binari di una ricostruzione segnata da un boom che sei anni prima aveva assegnato l’Oscar delle monete alla nostra lira, loro, novelli carbonari neri, lì, in quell’hotel a ridosso di Villa Borghese ai Parioli, avevano pensato, parlato, ipotizzato, gridato e sussurrato, finché… finché – oibò! E tanto ci voleva! Eia! Eia! Alalà! – avevano cavato il famoso coniglio dalla feluca del comune cappello nero. Un coniglio (nero, manco a dirlo), chiamato “Terrore”, che bisognava far correre per banche e piazze, treni e stazioni, perché creasse il caos. E alla fine di quella corsa, col Paese devastato dal disordine, si sarebbe potuto ripristinarne uno nuovo, di ordine. (E proprio così aveva battezzato il suo progetto Pino Rauti, la cui fiamma fascista non gli si era mai spenta in petto, e mai gli si spegnerà – per usare un’immagine cara alla retorica da chincaglieria varia – e che ora arde in quello della di lui figlia senatrice militante nelle fila dei fratellini italici).

Una strategia primitiva, insomma, come da tradizione. Becera, ma efficace. Potendo anche contare sul sostanziale aiuto di pezzi consistenti ed assai influenti dello Stato, i neocarbonari neri avevano quindi agito: avevano cioè oltraggiato e sciancato corpi, rubato futuri e depredato vite. Rigettando come nefandezza il dibattito parlamentare, avevano generato quella che…

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E Bruxelles “risolse” la questione meridionale

Panoramic view of Palermo, Sicily. Photo taken with drone.

La pandemia da Covid-19 poteva e potrebbe ancora essere l’occasione per ripensare le relazioni fra le varie aree del Paese. Il Mezzogiorno, grazie alla bassa penetrazione dell’epidemia, poteva e potrebbe ancora diventare il volano del rilancio per tutta l’Italia, invertendo finalmente la prospettiva geografica, ma purtroppo questo ad oggi non è avvenuto. Così mentre il Nord pur con un’emergenza sanitaria gestita in modo non ottimale, come dimostrato da quanto è accaduto soprattutto in Lombardia, non si è mai fermato, il Sud, pur gestendo bene l’emergenza sanitaria, ha subito una chiusura totale, e una ripartenza ritardata, poco giustificata data la limitata diffusione del virus, fermando tutte le sue attività e subendo per questo un danno economico gravissimo. D’altra parte la consapevolezza di avere una carenza di strutture ospedaliere e relativi presidi, causata da una pluriennale sottrazione di risorse, come testimoniato dal rapporto Eurispes del gennaio 2020 con la sottrazione di 840 miliardi di euro a favore delle Regioni del Nord, ha costretto i presidenti delle Regioni del Sud ad usare metodi estremi, preoccupandosi sopra ogni altra cosa di salvaguardare la vita dei loro concittadini. In quest’ottica bene hanno fatto, anche se l’ultimo rapporto Svimez, diffuso la scorsa settimana, ci informa che lo shock da Covid-19 ha colpito un Mezzogiorno già in recessione e che non aveva ancora recuperato i livelli pre-crisi 2008 di prodotto e occupazione.

La previsione per il 2020 non è rosea, con una caduta della produzione più forte che al Nord e la perdita di ben 380mila occupati (v. Left del 24 luglio 2020, ndr), mentre per il 2021 si prospetta una ripresa più lenta con solo un modesto recupero occupazionale rispetto al Nord. È chiaro che la drammatica mancanza di lavoro crea preoccupazioni anche in relazione all’accendersi in autunno di possibili focolai di tensioni sociali, visto che dopo l’emergenza oltre il 60 per cento delle famiglie non riesce ad arrivare alla fine del mese.
Date le premesse sarebbe giusto un intervento del governo a supporto delle Regioni del Sud con una quota almeno del 34 per cento di investimenti (la percentuale della popolazione al Sud) e il rispetto della destinazione dei fondi in arrivo dall’Europa. Quella del 34 per cento è una clausola che…

Natale Cuccurese è il presidente nazionale del Partito del Sud

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Identità, libertà, umanità

La pandemia oltre a esasperare tutte le contraddizioni del nostro sistema sociale ed economico ha messo al centro del vivere civile il tema della responsabilità individuale e collettiva e dell’eventuale necessità di un controllo sociale. Di fronte al dilagare del contagio i cittadini di molti Paesi hanno dovuto rispettare determinate regole di distanziamento e di igiene per contenere il più possibile la trasmissione della malattia. La propria salute dipende in modo inscindibile da quella altrui. Di qui la necessità di limitare le proprie libertà per uno stato di emergenza che in queste ultime settimane il governo sta decidendo di prolungare.
Sia a destra che a sinistra si sono subito alzate voci critiche che vedono in tali misure un attacco alla libertà e alla democrazia. Quest’ultima sarebbe – a detta dei critici – in balìa di medici e scienziati.
Gli estremismi – di destra e di sinistra – gridano all’“abuso di potere” quando si ha a che fare con il tema della salute, della vita e della morte. I primi lo fanno in nome di una libertà individuale qualunquista; i secondi in nome di un libertarismo astratto.

Di fronte a una situazione così straordinaria non è lecito fare come ci pare, ma è bene seguire un protocollo di convivenza, pena un’“anarchia” che aggraverebbe una situazione a dir poco difficile da gestire. La medicina e la scienza, per certi versi, non possono dirsi democratiche: la mia opinione – di cittadina laureata in filosofia – non vale quanto quella di chi ha studiato e speso la vita nella ricerca scientifica e nella cura dei propri simili.
I difensori delle “libertà individuali” sono gli stessi – questa volta soltanto a destra – che invocano pieni poteri a carabinieri, esercito e polizia per salvare l’estate dei villeggianti dalle “orde dei migranti”, dai “balordi ubriachi” e dai “tossici” che “attentano” le strade e le piazze delle movide estive. E così alla presunta violenza delle strade si risponde con una violenza fascista che proviene proprio da chi invece dovrebbe difenderci. L’America di Trump, che all’inizio non voleva indossare la mascherina, ha dovuto fare i conti con una vera e propria rivolta sociale quando George Floyd è stato assassinato dal poliziotto bianco. I carabinieri di Piacenza sono accusati di aver fatto carriera e denaro esercitando violenze inaudite sulla pelle della povera gente. Ma questi sono gli ultimi casi di un modus operandi che ha..

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