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Se la May piange, Corbyn non ride

Pedestrians walk past placards featuring Britain's Prime Minister Theresa May and opposition Labour party leader Jeremy Corbyn near the Houses of Parliament in central London on April 3, 2019. - Prime Minister Theresa May was to meet on Wednesday with the leader of Britain's main opposition party in a bid to thrash out a Brexit compromise with just days to go until the deadline for leaving the bloc. (Photo by Tolga Akmen / various sources / AFP) (Photo credit should read TOLGA AKMEN/AFP/Getty Images)

Annunziata Rees-Mogg, sorella minore di Jacob, siederà nel nuovo Parlamento europeo. È capolista del Brexit party nella regione del Midlands nel Regno Unito. Nigel Farage l’ha voluta in pole position. Ha anche piazzato un ex ministro del governo conservatore e un ex comunista rivoluzionario in posizioni preminenti. I rappresentanti del partito della Brexit si discosteranno molto dall’immagine che avevano molti dei loro predecessori Ukip, nel nuovo Parlamento.
I sondaggi danno il Brexit party intorno al 30 per cento, seguito dal Labour al 20, mentre i conservatori si attestano intorno al 12. I liberali potrebbero superare i conservatori, e i verdi sperano di fare altrettanto. The Independent group (Change Uk), appena nato con undici parlamentari a Westminster, lotta per riuscire a contare. Nel frattempo, il Partito nazionale scozzese potrebbe accrescere la propria rappresentanza passando da due a tre, con un cittadino francese al secondo posto nella loro lista. Jill Evans di Plaid Cymru spera ancora di poter parlare a nome del Galles nel nuovo Parlamento. Martina Anderson dello Sinn Fein sembra sicura di ottenere un posto nell’Irlanda del Nord. Ma che dire del Labour party? Jeremy Corbyn ha recentemente inasprito la propria posizione sulla Brexit, alla ricerca di un «rapporto stretto e collaborativo con l’Unione europea», che secondo lui «potrebbe far superare la lacerazione nel Paese insieme e attuare il risultato del referendum». Mentre scriveva in questi termini nel manifesto del Labour per le elezioni europee, Honda confermava il proprio piano di chiudere un’importante fabbrica nel sud dell’Inghilterra, che attualmente impiega circa 3.500 persone. L’influente leader del sindacato Unite, Len McCluskey, si era speso per impedire che Honda chiudesse l’impianto. «La Brexit non è la fine del mondo»: questo è stato il suo commento. Altri sindacati hanno una linea più credibile sulla Brexit riguardo alla minaccia al lavoro. A…

Tony Simpson è esponente del Partito laburista e di Unite the Union. Lavora presso la Bertrand Russell peace foundation e ha organizzato la Permanent european union citizenship initiative.

L’articolo di Tony Simpson prosegue su  Left in edicola dal 24 maggio 2019


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Sesso e sessualità, facciamo chiarezza

Il primo elemento che emerge dal nuovo Rapporto Censis sul tema della sessualità in Italia è che oggi, in una società sempre più secolarizzata, risulta meno complessata e con meno sensi colpa. Elemento decisamente positivo. Ma proseguendo nella lettura di questa articolata ricerca il quadro diventa molto più complesso e pieno di contraddizioni. Possibile che il venir meno di remore moralistiche non sempre si traduca in una vera emancipazione? Viene da chiedersi leggendo che il 63,3 per cento dei millennials ha rapporti completi non protetti e che persistono pregiudizi riguardo alla contraccezione.

Addirittura il 38,9 per cento delle donne vede nella pillola pericoli per la salute, mentre una alta percentuale di giovani accetta rapporti non protetti mettendo davvero a rischio la propria salute.

Come si spiegano questa arretratezza culturale e de-responsabilizzazione? Per provare a rispondere a questi interrogativi abbiamo chiesto alla neonatologa e psicoterapeuta Maria Gabriella Gatti di aiutarci a interpretare meglio i risultati dell’indagine Censis.
«Da questo Rapporto si deduce che nella popolazione dai 18 ai 40 anni è presente una ridotta attenzione alla protezione personale e di coppia, da gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmesse». Siamo di fronte – precisa Gatti, docente della scuola di psicoterapia psicodinamica Biospsychè – ad un calo delle vendite dei contraccettivi e nello stesso tempo sono diminuiti gli aborti volontari e le nascite».
I giovani sono ancora poco informati sulla contraccezione?
Sulla contraccezione esiste tra i giovani una generica informazione di base, scarsamente approfondita, molto spesso ricavata dal web. La maggior parte di essi dichiara di non sapere se i vari metodi presenti sul mercato possono essere nocivi alla salute: i più conosciuti sono il profilattico e la pillola ma più di un terzo delle donne sono convinte che quest’ultima possa provocare danni alla condizione fisica. Solo una minoranza si rivolge, per avere chiarimenti e prescrizioni, al medico specialista ed è costituita soprattutto da donne. La contraccezione viene definita da ambo i sessi un limite alla libertà occasionale, un ostacolo alla propria sessualità ed è scelta intenzionale avere rapporti non protetti e correre il rischio. Potremmo ded…

L’intervista di Simona Maggiorelli a Maria Gabriella Gatti prosegue su Left in edicola dal 24 maggio2019


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Il grande manovratore del razzismo europeo

epa07572821 Russian President Vladimir Putin attends a joint news conference with Austrian Federal President Alexander Van der Bellen (not pictured) following their talks in the Black Sea resort of Sochi, Russia, 15 May 2019. Austrian Federal President is on a working visit to Russia. EPA/ALEXANDER NEMENOV / POOL

Il 9 maggio in tutte le città della Russia milioni di persone sono scese in piazza come ogni anno per ricordare, con le vecchie bandiere sovietiche in mano, la resistenza e la vittoria contro la peste bruna del nazismo. Molte di loro non sanno però che il loro governo ha relazioni consolidate da anni con partiti dell’estrema destra europea che rivendicano il fascismo e sono alfieri del revisionismo storico sui campi di concentramento. Come nel caso dei partiti raggruppati intorno alla Lega di Matteo Salvini per le prossime elezioni europee nella coalizione denominata Alleanza europea dei popoli e delle nazioni o Europa del buonsenso. Anche se ad osservarli appena un po’ da vicino questi partiti, di buonsenso, ne hanno davvero pochino. Si tratta del Front national di Marine Le Pen, ora ridenominatosi Rassemblement national, che punta a diventare il 26 maggio il partito più votato in Francia o il Partito della libertà austriaco di Norbert Hofer al governo di Vienna (anche se dopo le dimissioni del vice cancelliere Heinz-Christian Strache, la crisi è aperta) o ancora il Partito per la libertà olandese: tutte formazioni che si distinguono per «la difesa dell’identità europea», la chiusura «nei confronti dell’immigrazione incontrollata», «la minaccia dell’Islam politico», del «multiculturalismo», dell’«omosessualità dilagante». Insomma la paccottiglia propagandistica dietro cui si nasconde ultranazionalismo, razzismo e autoritarismo.

Partiti reazionari a cui ora si sono aggiunti nuovi compagni di viaggio. In primo luogo Alternativa per la Germania (AfD), il primo partito di opposizione nel Bundestag. Durante la campagna elettorale del 2017, uno dei suoi leader, Alexander Gauland, in un comizio ha affermato che «per nessun altro Paese è stato costruito un passato menzognero come è successo ai tedeschi». Gauland ha chiesto anche che «il passato debba essere restituito al popolo tedesco, e ai tedeschi venga restituita la possibilità di essere orgogliosi delle realizzazioni dei nostri soldati in entrambe le guerre mondiali». Questo partito neofascista tedesco non ha mai nascosto, come la Lega di Matteo Salvini, le sue simpatie per il capo del Cremlino. In una inchiesta del Dossier center di Londra è stato svelato il sostegno del governo russo al deputato tedesco Markus Frohnmaier di Alternativa per la Germania durante la campagna elettorale delle ultime legislative. Dossier center ha reso pubblica, tra l’altro, una mail del 2017 redatta da Pyotr Premyak, un ex agente dei servizi segreti russi a Sergei Sokolov, un alto funzionario dell’amministrazione Putin, in cui si chiedeva «un sostegno nella campagna elettorale» per Markus Frohnmaier, affermando che si trattava di «un candidato al Bundestag da noi completamente controllato che dovrebbe essere eletto». Il deputato si sarebbe impegnato da parte sua per la rimozione delle sanzioni europee contro la Russia e avrebbe visitato la Crimea e il Donbass ucraino. Le “relazioni pericolose” tra Russia Unita, il partito del presidente russo e Alternativa per la Germania, sono noti anche alla Linke, il partito della sinistra tedesco. Alla Fondazione Rosa Luxemburg di Mosca si è venuti a conoscenza del progetto della formazione dell’ultra destra tedesca di aprire un proprio think-thank, per il prossimo futuro, proprio nella Capitale russa.

La volontà di costruire «nuovi rapporti con la Federazione Russa» non è mai stata nascosta neppure dalla Lega che ha posto questo obiettivo persino nel programma di governo. Tuttavia il gabinetto di Giuseppe Conte finora si è ben guardato dal fare qualsiasi mossa in questa direzione per non incrinare i già difficili rapporti dell’Italia con Bruxelles. «Un nuovo modus vivendi con la Russia sarà possibile dopo che le nostre formazioni del “buonsenso” saranno maggiormente rappresentate nel nuovo Europarlamento» ha sostenuto Salvini a inizio campagna elettorale. Pur dichiarandosi fedele alleato degli Usa e della Nato, da quando Salvini è diventato capo incontrastato della Lega, la sua ragnatela politica lo ha portato fino a Mosca. Dal 2017 sono stati stretti rapporti ufficiali tra Russia Unita e il suo partito, ma la carta più importante giocata dal leader padano è stata quella di facilitatore e intermediario nei rapporti commerciali tra le regioni settentrionali del nostro Paese con la Federazione. L’interfaccia ufficiale è rappresentata dalla Associazione Russia-Lombardia di Gianluca Savoini ma il ruolo di pivot nei rapporto con Mosca è giocato dal segretario della Lega in Lombardia Giacomo Stucchi e soprattutto da Attilio Fontana presidente della Regione Lombardia, recentemente indagato per abuso d’ufficio. Fontana da sindaco di Varese aveva sostenuto iniziative degli antiabortisti di ProVita come il convegno “Famiglia, tradizione, identità – La sfida russa al mondialismo” e la penetrazione nel mercato russo di molte aziende lombarde del settore tessile e calzaturiero. Tra i più attivi sostenitori leghisti della causa filo-russa c’è poi anche l’eurodeputata veneta Mara Bizzotto, in pole-position per essere rieletta a Bruxelles nelle liste del Carroccio.

Secondo il giornale ucraino Strana l’esito delle elezioni europee condurrà ad un accrescimento del ruolo del Cremlino in Europa, ed eventualmente alla revisione delle sanzioni anti-russe e un indebolimento della lobby filo-ucraina. L’analista Konstantin Bondarenko è convinto che il voto del 26 maggio segnerà uno spostamento degli equilibri interni europei. «Nell’attuale Parlamento europeo, l’estrema destra ha 37 seggi su 751 ma nella prossima legislatura, secondo i sondaggi, i partiti dell’alleanza prenderanno almeno 62 seggi e forse anche di più». Al successo dell’estrema destra contribuirebbero non solo AfD, ma anche il Partito popolare danese e il Partito dei finlandesi. Ilya Kusa, esperta di affari internazionali presso l’Ukrainian institute for the future conferma le voci di un’ipotesi strategica eurosovranista che condurrebbe oltreoceano. «Salvini sta portando avanti trattative con tutti, assistito da adepti delle forze di destra degli Stati Uniti guidate dall’ex stratega di Donald Trump, Stephen Bannon. Per tutti costoro le elezioni europee sarebbero la prova generale per costruire un’Europa basata sulle coordinate dei valori tradizionalisti e ultraconservatori».

Un’operazione non priva di ostacoli e difficoltà. Salvini ha mostrato solo qualche giorno fa grande ammirazione per le barriere con tanto di filo spinato costruite da Viktor Orbán ai confini dell’Ungheria contro l’immigrazione e avrebbe voluto coinvolgerlo nel suo raggruppamento europeo anche perché il leader magiaro è uno dei migliori alleati di Mosca da quando Putin gli fornisce gas a prezzi da discount. L’Ungheria sarebbe un pezzo fondamentale del puzzle per costruire “l’internazionale sovranista” baluginata dal vice premier italiano visto che Orbán, secondo gli ultimi i sondaggi, raccoglierebbe nelle urne ben il 50 per cento dei voti dei suoi concittadini. Tuttavia, proprio nell’incontro in Ungheria, Orbán avrebbe messo in chiaro di essere pronto ad abbandonare il Partito popolare europeo da cui ormai lo divide quasi tutto a favore di un gruppo con la Lega solo se questa romperà con l’estrema destra austriaca e con Marine Le Pen: al momento una “mission impossible” per il seppur super spregiudicato Matteo Salvini. A cui si deve aggiungere le perplessità di Diritto e giustizia, il partito clericale euroscettico fondato da Jarosław Kaczyński al governo in Polonia, a rompere con i popolari europei per avvicinarsi a Putin, da cui lo separa una storica inimicizia.

La scelta filo-russa della Lega che dall’opposizione gli ha fruttato consensi e aiuti, rischia quindi di trasformarsi in un boomerang per le ambizioni continentali del suo leader. Anche perché se Salvini non saprà presentare a Mosca qualche risultato in termini di allentamento delle sanzioni e dell’isolamento politico, potrebbe diventare un ostacolo al dialogo di Putin con l’asse franco-tedesco di Merkel e Macron.

 

L’articolo di Yurii Colombo è tratto da Left del 24 maggio 2019


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Il falso mito del mercato e i suoi effetti collaterali

ROME, ITALY - MARCH 23: People protest in a march for the climate and against big works such as the TAV, the Muos, and Gas Pipelines, on March 23, 2019 in Rome, Italy. (Photo by Simona Granati - Corbis/Getty Images,)

Grazie ai recenti sviluppi tecnologici, i settori più dinamici dell’economia utilizzano una risorsa particolare, l’informazione, che ha caratteristiche diverse da quelle su cui si basavano le fasi di sviluppo del passato. Se un comune bene di consumo, infatti, può essere scarso e dunque è a disposizione di un individuo o di un altro, l’informazione, all’opposto, proprio per sua natura, è sfruttabile nella misura in cui circola liberamente ed è condivisa tra più persone. Questo genera due conseguenze di rilievo: anzitutto le sue potenzialità non possono pienamente svilupparsi all’interno dei mercati, i quali invece funzionano quando l’oggetto scambiato è per usi individuali e pertanto chi non lo possiede deve essere escluso dal suo godimento; in secondo luogo, proprio per questo, uno dei principali terreni di conflitto tra interessi privati e pubblici verte sulle modalità di utilizzo delle tecnologie dell’informazione e dell’immensa quantità di dati e conoscenze che circolano per la rete: da un lato pochi grandi colossi cercano di usarle per il profitto privato, dall’altro forze sociali diffuse tentano di favorire l’uso di queste tecnologia per il benessere di tutti.
Oltre questo conflitto, è oggi in questione l’affermazione o la sconfitta di un modello di società. L’idea liberista basata sulla centralità del mercato, proposta in alcune teorie economiche di fine Ottocento, non solo poggia sulla centralità della produzione e dello scambio di beni materiali, ma fa riferimento ad un modello sociale che ha le sue radici nel razionalismo illuminista del Settecento. Voltaire, ad esempio, vedeva nella borsa di Londra la possibilità che persone con cultura, religione e nazionalità diverse potessero superare le loro contrapposizioni, facendo affari piuttosto che la guerra. Peccato però che l’espansione della borsa di Londra, la quale nel corso del diciottesimo secolo crebbe del 400%, avesse alla base quel turpe commercio degli schiavi che proprio nel secolo dei lumi registrò la sua massima espansione. Voltaire peraltro (così come Locke, l’altro campione della tolleranza) investiva lui stesso i propri risparmi nel commercio degli schiavi.
Dopo la crisi del ’29 e i disastri della guerra, le teorie liberali sono state superate e il modello di gestione dell’economia che si è affermato in Occidente fu invece ispirato alle idee di Keynes. Esso si reggeva su un “patto sociale” tra Stato, capitalisti e organizzazioni dei lavoratori finalizzato alla crescita economica e alla diffusione del benessere anche verso fasce di popolazione che fino ad allora ne erano rimaste escluse. Gr…

Andrea Ventura, economista, autore de “Il flagello del neoliberismo. Alla ricerca di una nuova socialità”, l’Asino d’oro edizioni, è candidato per la Sinistra alle elezioni europee – Centro Italia

L’articolo di Andrea Ventura prosegue su Left in edicola dal 24 maggio 2019


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La gentilezza in valigia

Sono passato da Roma. Mi si è avvicinato un uomo. Uno di quelli che spicca per la coordinazione dei colori. Era un uomo giallo. Giallo il papillon, gialla la banda sul cappello, gialla la valigia, giallo il fazzoletto che sbucava dalla giacca. Gli uomini coordinati profumano di cure, hanno sempre il sapore di quelli che al mattino trovano la forza per costruirsi mentre noi strisciamo.

Si chiama Piero Ciamberlano ed è uno scrittore. Meglio. È un libraio. Meglio. È uno scrittore e un libraio. Pubblica poesie, le fa tradurre in inglese, e con la sua valigia piena di libri si avvicina cortesemente ai turisti romani per proporti la sua opera. Sei un collega, mi ha detto. E ha estratto la sua ultima opera, La favola più bella.

Io ci sono rimasto secco a vedere uno scrittore che si fa commesso viaggiatore del suo libro e gli ho chiesto chi fosse, da dove venisse, perché faceva tutto questo, che gente trovava, che reazioni alla sua proposta. Lui si è appoggiato alla staccionata del ristorante e mi ha risposto come se fosse un dovere professionale darmi tutte le spiegazioni possibili. Ma mettendoci così tanto cuore che ci ha annacquato il tavolo. Mi ha raccontato di suo figlio e di sua moglie che lo prendevano per pazzo. Di suo figlio che aveva scavato una buca per seppellire i libri che no, non li avrebbe mai venduti. E invece, mi dice, e invece in giro per Roma ora incontra gente che lo abbraccia, lo ringrazia e questo libro, fuori dalle logiche commerciali, è in giro per il mondo come un virus strabico che sta percorrendo sentieri inusitati.

E mi ha spaccato il cuore un uomo della sua età che decide di metterci la faccia e di sfidare la diffidenza. Sono profumatissime le persone che credono in quello che fanno. Hanno una luce che solo loro riescono ad accendere e hanno un sorriso che gli fa tutto il giro della faccia. E per un secondo Roma, Italia, mi è sembrata bellissima. L’umanità mi è sembrata bellissima.

Buon venerdì.

Violeta Tomic: L’Europa o è sociale, o non è Europa

Nico CUÉ and Violeta TOMIC, European Left lead candidates

«Alcuni pensano che l’Unione europea si fondi sui valori cristiani, io penso che le sue fondamenta poggino sull’antifascismo. Dopo la Seconda guerra mondiale, abbiamo finalmente scoperto cos’è la pace e vogliamo mantenerla». Violeta parla, «da donna e dalla periferia d’Europa». Ma Violeta in Italia non la conosce quasi nessuno, non ce n’è stato il tempo visto che nei tg alla lista La Sinistra è stata riservata una quota dell’1,89% sulla Rai e 3,82% su Mediaset.

Violeta Tomic, è la Spitzenkandidat (in tandem con il belga Nico Cue), capolista della Sinistra europea alle prossime elezioni. E viene da Sarajevo. «Sono nata lì da un matrimonio misto e nel 1970, dopo la morte di mio padre, mi sono trasferita con mia madre a Bela Krajina nel 1980 fino a quando ho iniziato i miei studi all’Accademia delle arti di Lubiana». Attrice teatrale al Mestno gledališče, il teatro della città, poi conduttrice tv di successo, odiatissima dai fascisti di lassù – amici di Orban – Violeta racconta a Left di aver «condiviso il destino di molti lavoratori precari durante il periodo tremendo dell’austerità dopo la crisi del 2008. In quel momento mi sono resa conto che non siamo il problema, ma ho bisogno di essere parte della soluzione, quindi ho iniziato il mio attivismo politico che si è trasformato rapidamente in partecipazione politica a tempo pieno».

«Rather bitter-sweet»: è dolce-amaro il bilancio tracciato da Violeta Tomic dopo quindici anni di permanenza del suo Paese, la cosiddetta Svizzera dei Balcani, nell’Ue. «Il sentimento sloveno è che l’Unione n… 

L’intervista di Checchino Antonini a Violeta Tomic prosegue su Left in edicola dal 24 maggio 2019


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Cultura è la parola chiave per un’altra Europa

«Steve Bannon, ideologo del sovranismo identitario è sceso in un Grand Hotel parigino per portare una buona parola xenofoba alle persone sofferenti», così il direttore di Liberation, Laurent Joffrin, racconta l’avanzata delle destre nazionaliste suprematiste e fondamentaliste cristiane in Europa. Come è noto l’ex consigliere di Trump si è precipitato in Europa, e in Italia in particolare, per radunare crociati puntando a disgregare l’Unione. Anche se il suo è un esercito di egoismi nazionalisti pronti a mettersi gli uni contro gli altri, è interessante chiedersi perché si sia mosso da Oltreoceano per gettarsi in questa concione. Ciò che appare evidente è che un’Europa forte politicamente unita e democratica potrebbe dar fastidio agli Usa. Se Bruxelles attuasse un green new deal, ascoltando la voce degli scienziati e dei giovanissimi che sono scesi in piazza nei Fridays for future, potrebbe guastare gli interessi delle multinazionali. Ma c’è di più. Un’Europa aperta, laica, democratica, solidale, attenta ai diritti sociali e civili non dà noia solo alle destre, in senso stretto, ma anche ai neoliberisti che predicano l’austerity e che, dopo la crisi del 2008, ancora parlano, come se nulla fosse, di auto regolamentazione del mercato. In giro se ne incontrano ancora parecchi, da Macron a Calenda.

In comune con le destre sovraniste i neoliberisti hanno l’ossessione di alzare muri, di presidiare confini, di costruire eserciti, bloccare la libertà di movimento dei migranti (soprattutto se migranti economici).

Non è questa l’Europa che vogliamo! Su Left lo andiamo dicendo da molto tempo, provando ad immaginare un’altra Europa possibile, numero dopo numero del settimanale; ora anche con un libro L’Europa rapita con contributi di politologi, economisti, filosofi, uomini e donne di cultura. Ed è questa per noi una parola chiave: “cultura”. Oltre che un’Europa fondata sull’uguaglianza, sulla giustizia sociale, sul welfare, sul rispetto dei diritti umani,  sogniamo un’Europa meticcia che, lungi dal brandire la propria identità come una clava, sia attraversata dal dialogo interculturale, aperta ai Paesi del Mediterraneo, senza confini. In barba ai crociati di ieri e di oggi che cercano di imporre il falso dogma delle radici cristiane. Basta dare un’occhiata alla storia per scoprire che si tratta di una assurdità. Pensiamo, solo per fare un esempio, al grande contributo della cultura araba che ha animato centri culturali raffinatissimi in Spagna e nella penisola, dalla corte di Federico II in Sicilia al Rinascimento fiorentino, che non avrebbe mai scoperto la prospettiva senza gli studi di ottica degli scienziati arabi.

La verità storica è che le radici dell’Europa sono quanto mai polifoniche, risuonano di accenti differenti, hanno mille colori diversi. Unità nella varietà, questa è la vera ricchezza dell’Europa. E da questo tesoro dovremmo ripartire per una nuova Unione fondata sulla cultura, sulla conoscenza, su un’idea di benessere dei cittadini che non si limiti al soddisfacimento dei bisogni, ma ambiziosamente sostenga il pieno sviluppo personale e creativo dei cittadini. Per questo, se non fosse una parola che suona finta e usurata nelle proposizione fittizia e plastificata che ora ne fa Macron, diremmo che all’Europa serve un nuovo Rinascimento, un rinnovato umanesimo.

Per combattere i rigurgiti nazionalisti e neoliberisti che in comune hanno la religione del profitto (di pochi) e una visione anaffettiva e disumanizzante, serve un pensiero nuovo di sinistra, con una visione profonda della realtà umana, un’«onda rossa» per dirla con Mimmo Lucano, che abbia la fantasia di immaginare un modo diverso di stare insieme, di fare società. Serve un’Europa di sinistra che investa nella scuola, nell’università, nella formazione continua, che punti con coraggio sulla ricerca scientifica e sullo sviluppo tecnologico per potenziare l’umano (e non per creare disoccupazione). Un percorso in questo senso è avviato da secoli, basta pensare alla “rete” delle università medievali, ma rischia di rimanere incompiuto, se pensiamo che solo il 2 per cento dei laureati ha partecipato al progetto Erasmus dal 1987 ad oggi.

In questi giorni, molte iniziative ricordano i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci, esempio di poliedrico artista e scienziato, europeo ante litteram, umanista dalla fantasia inarrestabile e cosmopolita. Ma se il presidente francese Macron sciovinisticamente impone anche alla lettura della storia dell’immigrato Leonardo un paradigma assimilazionista, esponenti della destra italiana come Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia (che ha candidato alle europee il pronipote del Duce Caio Mussolini) vorrebbero ascrivere alla sola stirpe italica il genio che scelse di varcare le Alpi portando con sé La Gioconda. Et voilà.

Non sono questi i personaggi ai quali vogliamo consegnare l’Europa.

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola dal 24 maggio 2019


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Trame festival, perché la cultura per la ‘ndrangheta è un nemico invincibile

Se una sera d’estate un viaggiatore capitasse a Lamezia Terme, in una delle piazze del centro storico, dovrebbe rivedere da capo quel che gli avevano raccontato della Calabria e dei calabresi. Se una sera d’estate quel viaggiatore si fermasse ad ascoltare quanto si dice e si racconta nelle piazze del centro di Lamezia Terme o nel grande chiostro di San Domenico, avrebbe finalmente chiaro che la Calabria è terra di ‘ndrangheta, di complicità e di collusioni, ma allo stesso tempo è frontiera di resistenza, di impegno, di coscienza collettiva.
Perché a Lamezia Terme, da un decennio a questa parte, a fine giugno, le piazze si riempiono dei colori e delle parole di Trame, il festival di libri sulle mafie che quest’anno arriva alla sua nona edizione, programmata dal 19 al 23 giugno. Cos’è Trame? Un festival, appunto. Una rassegna di libri e autori che indagano, studiano e analizzano i fenomeni mafiosi.
Ma Trame è anche molte altre cose. Un laboratorio permanente che durante il resto dell’anno va nelle scuole a fare lavoro di memoria e di ricerca con i bambini, i ragazzi, le studentesse e gli studenti. È un luogo anche fisico, Civico Trame, uno spazio pubblico un tempo abbandonato e ora recuperato alla comunità dove si incontrano esperienze diverse: giovani e anziani, associazioni e imprese. Un luogo dove si svolgono corsi di giornalismo civico e dibattiti pubblici.
Il viaggiatore che arriverà a Lamezia Terme tra il 19 e il 23 giugno scoprirà un programma di oltre quaranta appuntamenti con scrittori, giornalisti, libri, approfondimenti, documentari, musica, teatro. Un festival, ma in realtà una festa. Della libertà e del coraggio. Retorica? Non proprio. Perché in certi posti d’Italia, in Calabria e a Lamezia Terme – città che per tre volte in venticinque anni ha conosciuto lo scioglimento dell’amministrazione comunale per mafia – scegliere di andare in una piazza, prendere posto e partecipare a un incontro pubblico dove si parla di mafie, non è una semplice presenza, ma una presa di posizione: un’opzione etica.
Certo, nel vedere quelle piazze gremite, il viaggiatore potrebbe pensare che lo spazio dell’impegno e del coraggio è molto vasto. È  vero, e anche a questo serve un festival come Trame: a non far sentire soli i cittadini che credono nella legalità, nei diritti e nelle libertà democratiche. Essere in tanti, in queste sere d’estate, significa avere consapevolezza che in tanti si vuole e si crede che le mafie non sono invincibili.
Il tema scelto quest’anno dal festival prende in prestito una frase scritta da Primo Levi, nel centenario della sua nascita: “Voi che vivete sicuri…”. Perché il tema della sicurezza, non agitato come spauracchio contro pericoli immaginari o artificiosi, è l’essenza della democrazia in alcune zone d’Italia. La sicurezza del singolo cittadino, la sicurezza economica dell’imprenditore, la sicurezza dei beni e delle proprietà. In Calabria, il pericolo non viene da lontano, non viene dallo straniero, ma il pericolo arriva dal vicino di casa, dal mafioso della porta accanto, dallo ‘ndranghetista che frequenta il bar del paese.
Il viaggiatore che sarà a Lamezia Terme nelle sere d’estate tra il 19 e il 23 giugno potrà incontrare i volti freschi di decine di ragazze e ragazzi. Sono i volontari del festival, vengono da tutta Italia e rappresentano l’anima di Trame. Con le loro magliette colorate popolano le piazze del centro. Ogni anno, da nove anni, oltre un centinaio di volontari partecipa al festival: un drappello che ormai si ingrossa sempre di più e si rinnova anno dopo anno. Ragazze e ragazzi che stringono amicizie tra loro, si confrontano su temi complessi, vivificano parole che altrimenti potrebbero volatilizzarsi. I volontari di Trame ne rappresentano l’essenza.
Se una sera d’estate un viaggiatore si trovasse a Lamezia Terme, nei giorni di Trame, avrebbe chiaro che esiste un’Italia che non si rassegna al pessimismo, un’Italia che crede un’Italia migliore. E non è poco.

Il giornalista e scrittore Gaetano Savatteri è il direttore di Trame festival

 

Il Rinascimento à la Macron che tanto piace ai dem

Sandro Gozi of Italy, European parliament candidate of the French La Republique En Marche (LREM) list, speaks on stage during a public meeting on May 6, 2019, in Paris, ahead of upcoming European elections. - European elections will be held from May 22 to 26, 2019. (Photo by JACQUES DEMARTHON / AFP) (Photo credit should read JACQUES DEMARTHON/AFP/Getty Images)

Col gruppo dei socialisti, o con Macron? A favore o contro la revisione dei Trattati? Per un ampliamento dei diritti dei lavoratori o per un sostegno alle imprese? Nel Partito democratico, il confronto – più o meno caotico – sulle idee per l’Europa di domani si è prolungato sino agli sgoccioli di questa campagna elettorale. E, c’è da crederci, proseguirà anche oltre. A ravvivarlo, hanno contribuito le polemiche sul futuro posizionamento all’Europarlamento di alcuni candidati dem.

Da un lato, il segretario Zingaretti ha ribadito di voler restare nel perimetro del Partito socialista europeo (Pse), pur auspicando una – non meglio definita – alleanza con i macroniani. Dall’altro, il capolista Pd al nord-est Carlo Calenda aveva ipotizzato un’adesione al gruppo parlamentare dei liberali, l’Alde, dove attualmente siedono pure i colleghi di partito del presidente transalpino, per poi fare un dietrofront. Mentre Renzi, azzardando una mossa del cavallo, si è smarcato aderendo convintamente a Renaissance, il progetto internazionale di Macron per le europee. Un progetto che punta a scompaginare le attuali geometrie a Bruxelles, e costituire un nuovo gruppo politico “sociale-liberale” che imbarchi forze provenienti sia dal Pse che dall’Alde.

A sancire l’intesa Pd-Macron, che sposta ulteriormente a destra il baricentro del Partito democratico, un vero e proprio scambio internazionale di candidati. Caterina Avanza, stretta collaboratrice del capo dell’Eliseo, sarà candidata in Italia nella circoscrizione nord-ovest, mentre il renziano Sandro Gozi correrà in Francia nelle liste di En Marche.

«Non ci sarà una vera democrazia europea fintanto che non avremo dei veri movimenti politici transnazionali», così Gozi spiega a Left il si…

L’articolo di Leonardo Filippi prosegue su Left in edicola dal 24 maggio 2019


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Silenzio Radicale

C’è qualcosa che non torna nella pervicacia con cui il Movimento 5 Stelle ha a cuore di zittire Radio Radicale. Prima di tutto vale la pena ricordare le parole di Di Maio che fino a pochi giorni fa tranquillizzava tutti dicendo che si «si sarebbe trovata una soluzione» che invece non è stata trovata e poi con l’infame giochetto di fare passare Radio Radicale come un radio di partito quando invece, da anni, è radio di servizio pubblico che copre i buchi di un servizio pubblico piuttosto intermittente quando si tratta di farci sentire (e archiviare e rendere consultabile l’archivio) ciò che avviene in Parlamento.

Non torna tra l’altro questo odio instillato verso l’informazione che si dovrebbe sostenere con i lettori perché se un prodotto editoriale offre un servizio (e non gattini e non teorie complottiate che straripano di clic) diventa molto difficile capire quale sia il confine tra i meccanismi di mercato e la libera democrazia di pensiero. Radio Radicale, per intendersi, dà voce a tutti. E non ha eguali nel panorama radiofonico (verrebbe addirittura da dire nei media) italiani.

Ma se davvero la chiusura di Radio Radicale vi interessa poco allora sappiate almeno che sono molte le attività (d’informazioni, culturali, educative, di sostegno etc.) che non troveranno mai riscontro economico per potersi sostenere semplicemente perché è dovere dello Stato fare (e sostenere) informazione e cultura.

Turbano poi i commenti gaudenti di chi dice che “se non si sostiene da sola sono fatti suoi” che arrivano spesso da gente che si lamenta di non sostenersi da sola. Gioire per la chiusura di una radio o di un giornale, anche del peggiore, è un ulteriore sintomo dello spirito vendicativo di questi tempi in cui si cerca di alleviare le proprie sofferenze godendo del fallimento degli altri.

Contenti voi.

Buon giovedì.