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L’Europa che vorrei, senza disuguaglianze e meticcia

«Da dove viene il nome Europa?». La domanda mi è capitata di farla nella veste di volontario della associazione Altramente ad una classe delle elementari. Tante mani alzate. «È facile – dice la prima bambina che risponde – viene da euro». «Ma no – fa un secondo bambino – da Eurospin».
Ecco, questo aneddoto, reale, mi aiuta a dire qual è l’Europa che io vorrei. Innanzitutto quella in cui i bambini non pensino sia nata da una moneta o da un supermercato. Quando racconto loro che Europa era la principessa fenicia rapita da Zeus gli occhi si illuminano per la bellezza del mito.
Che è poi quello che Zygmunt Bauman riprende per parlare di come lui vede l’Europa. La versione che il grande filosofo riporta è quella per cui l’oracolo vaticina al fratello che si appresta a cercarla che non la ritroverà più ma che dovrà comunque provarci facendosi guidare da una giumenta e dove l’animale giacerà per riposarsi dovrà fondare una città.
Per Bauman l’Europa è un’avventura.
Dall’Asia alle terre che prenderanno il suo nome, con al centro la culla mediterranea e come luoghi le città dove vivranno le leggi. Antonio Gramsci parlerà dell’intreccio tra natura e cultura che si realizza col lavoro in quelli che sono i paesaggi umanizzati dell’Europa.
Ma il Mediterraneo da culla si è fatto tomba per troppi migranti. I paesaggi urbani sono stati sventrati da troppe guerre tra cui le più terribili. Il lavoro fu schiavo e tornò ad esserlo nelle depredazioni coloniali e di nuovo in un presente oscuro di tratta degli umani e dell’umano. Le leggi furono ingiuste per Antigone, la prima a ribellarsi, non a caso una donna. E oggi con i Minniti e i Salvini. Con i lager si è raggiunto l’indicibile.
È per tornare a poter dire che fu riproposta l’avventura europea. Per Altiero Spinelli doveva essere indissolubilmente connessa alla liberazione sociale, esserne la nuova dimensione, guardare all’uguaglianza, ispirarsi al socialismo.
Ma un’avventura così, ci dice Étienne Balibar, ha bisogno di una cittadinanza costituente, che non sia di sangue ma di comune costruire. Oltre ogni frontiera perché la frontiera chiama il nemico. Capace di mediazione in una globalizzazione guerresca.
Invecchiata e incattivita appare l’Europa se si guarda agli andamenti demografici e ai comportamenti politici. Nei trenta anni ormai passati dall’89 quel muro caduto tra tante speranze è stato rialzato a volte materialmente a volte nei cuori. E il Vecchio continente perde vita, nascite che si diradano, aspettativa di longevità che si riduce, zone che si spopolano.
Anche per questo la “mia” Europa è meticcia, come poi è sempre stata, che nelle nostre vene scorre il sangue di tanti popoli. Meticcia però per scelta e desiderio di vita. Come mai è stata la nostra Storia se è vero che, anche nella civilissima Atene, cittadino era chi nasceva nella polis e in una certa classe sociale. Tanto che addirittura Aristotele, non nato ad Atene, era un meteco cioè un accettato in base a regole assai rigide. Scegliere il meticciato fondato sul riconoscimento, il dialogo, la costruzione comune, la combinazione è una grande frontiera verso il futuro della specie affidandola alla specie stessa.
Una cittadinanza costituente, tornando a Balibar, è un nuovo orizzonte antropologico e democratico. Jurgen Habermas parla di un’etica del discorso che presiede ai rapporti. Se pensiamo a quante sono le lingue parlate in questa Europa, come meravigliosamente suonano nell’incipit de La lingua salvata di Elias Canetti, capiamo che il discorso europeo non può che essere il crogiuolo delle diversità che scelgono di costituirsi appunto in cittadinanza.
Una delle preziosità del Parlamento europeo è di essere aperto a tutte le lingue e tutte devono essere tradotte. Una ricchezza che alcuni vorrebbero considerare spreco e invece è riconoscimento della biodiversità culturale depositata negli idiomi.
Non analogo rispetto c’è per la democrazia come costruzione del condiviso attraverso lo stesso conflitto. Qui il riduzionismo del mercato capitalistico, assai più arido di un vecchio suq, rischia di uccidere quel modello sociale che l’Europa è divenuta nei venti anni gloriosi.
Videro bene Berlinguer, Brandt e Palme che c’era bisogno di una Europa dall’Atlantico agli Urali che pensasse diverso il Mondo che si faceva globale.
Purtroppo la Storia non li seguì, nonostante i grandi movimenti pacifista e alterglobalista ci abbiano provato. È accaduto invece che proprio la democrazia, la sinistra mutassero di segno, si eclissassero.
La mia Europa riparte da qui, dal ritrovare di senso del progetto di liberazione che si realizza in nuove soggettività che vivono l’Europa come il luogo della loro identità e del loro agire. Un nuovo “movimento operaio” che ritrova la sua vocazione universale centrata sul conflitto che crea, costituisce cittadinanza. Un movimento operaio che è nuovo perché meticcio, fondato sulla pluralità di genere, che coglie tutti gli aspetti dove oggi si crea sfruttamento ed alienazione, la precarizzazione, il mettere a mercé e ridurre a merci tutto ciò che è, era, vita, il mettere a rischio la Pacha mama.
Un nuovo movimento operaio capace di pensare e rendere concrete nuove grandi astrazioni di liberazione. Come un vero reddito di cittadinanza incondizionato che riconosce la dignità della vita e il valore della riproduzione. Penso ad André Gorz che aveva immaginato un “doppio assegno” che venisse dal lavoro produttivo e dal far parte della riproduzione sociale.
Ormai la rete è luogo che produce senso. Alienazione e mercificazione se vive nel dominio capitalistico. Etica del discorso se sapremo pensare la comunicazione come bene comune che serve la democrazia. La comunicazione oggi veicola paura, odio. Abbiamo bisogno di una Europa che la liberi dai demoni.
La mia Europa ha un Parlamento. Una cosa antica. Un Parlamento eletto per idee e non per nazioni. Che ha i poteri che ebbero i Parlamenti, legifera, elegge e controlla i governi, indirizza banca e moneta. Una Europa comunità democratica parlamentare e non una moneta e una banca che si fanno Stato come accade oggi.
Questa mia Europa nasce da una lotta di liberazione che non rimuove e non fugge ma affronta il Mondo. La immagino nascere da ciò che oggi è già lotta. La lotta delle donne prima di tutto, perché donna sono Europa e Antigone.
Ma immagino anche la lotta di luoghi ribelli. Penso ad esempio ad una grande città del Sud, di questa Italia tristemente scivolata sotto la cappa gialloverde, di questa Europa vecchia e incattivita. Penso a Napoli che disubbidisce ai sacerdoti della UE e apre i porti chiusi dall’odio xenofobo.
Napoli sa che i potenti fanno l’ammuina, sembrano combattersi e poi si ritrovano. Così potrebbe essere tra i gelidi di Bruxelles e i calienti populisti. Per questo ci vuole altro. Ci vuole una lotta di liberazione che libera e ti libera. Una lotta che ridia giovinezza e allegria, magari “napolizzando” l’Europa con un bell’accento: Ué!

ps. La Ue accentata fu inventata da Ivan Bonfanti un giornalista che non è più tra noi e che ricordo sempre.

Ecco come i sindaci possono aggirare la legge anti sicurezza di Salvini

Un momento del corteo antirazzista, organizzato da centri sociali, sigle del mondo della sinistra, realtà antifasciste e pro accoglienza dei migranti a Firenze, 17 novembre 2018. ANSA/CLAUDIO GIOVANNINI

Luigi de Magistris a Napoli, Leoluca Orlando a Palermo, e non solo. Con l’anno nuovo, si è allargato il fronte dei sindaci ribelli che hanno deciso di opporsi alle politiche razziste del governo giallonero, rifiutandosi di applicare una parte del decreto Salvini. In particolare, quella che nega l’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo, rischiando così di privarli di diritti sociali e civili, come – ad esempio – l’accesso al sistema sanitario e l’ottenimento di sussidi degli enti locali.

Per portare sempre più Comuni a compiere questo gesto, e per fornire uno strumento alle forze sociali per fare pressione nei confronti dei primi cittadini, l’associazione Alterego – Fabbrica dei diritti ha redatto una bozza di delibera per iscrivere all’anagrafe comunale chi ha fatto domanda di asilo politico in Italia.

«Le leggi razziste, securitarie e repressive come, prima, i decreti di Minniti ed, ora, il decreto di Salvini agiscono anche e soprattutto sullo spazio delle nostre città, creano sacche di esclusione e di diritti negati – spiega l’associazione Alterego in una nota -. Dalle nostre città, dunque, deve partire una nuova resistenza»

«Per questo – proseguono gli attivisti – abbiamo pensato di elaborare un primo modello di delibera che smonti un pezzetto della legge n.113/2018 proprio nella parte in cui prevedendo l’impossibilità per il richiedente, titolare di un permesso di soggiorno per richiesta asilo, di iscriversi all’anagrafe si pone in piena violazione dell’articolo 26 della Convenzione di Ginevra e comporta una grave limitazione al godimento di quei diritti che la nostra Carta Costituzionale individua come diritti fondamentali. L’iscrizione all’anagrafe, infatti, rimane lo strumento tramite il quale si consente ai poteri pubblici di pianificare i servizi da erogare alla popolazione; inoltre essa è da sempre presupposto per l’accesso ad altri diritti sociali e civili, come l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale; l’accesso all’assistenza sociale e concessione di eventuali sussidi previsti dagli enti locali. Nel modello di delibera si richiama la competenza comunale in materia di istituzione di un albo anagrafico (art. 14 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267), i casi in cui i Comuni hanno già esercitato tale potere istitutivo (si vedano i registri per le unioni civili); la Convezione di Ginevra; gli articoli della nostra Costituzione che tutelano l’iscrizione anagrafica e la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha riconosciuto un diritto alla residenza qualificato come “diritto soggettivo”».

«Il tutto per dire una sola cosa alle istituzioni locali: se volete, avete tutto il potere di istituire quest’albo e garantire ai richiedenti asilo l’iscrizione anagrafica – si legge nella nota -. Avete dalla vostra, la forza della ragione e la forza del Diritto. Si tratta, dunque, di modello di delibera che mettiamo nelle mani dei Comuni solidali che realmente vogliono contrastare gli effetti di questo decreto. Un modello di delibera che mettiamo nelle mani degli attivisti e degli abitanti delle nostre città, piccole o grandi che siano, per fare pressione sui loro governanti e sfidarli ad istituire l’albo per l’iscrizione dei richiedenti asilo. Un modello di delibera che è solo uno dei tanti strumenti che intendiamo mettere a disposizione di questa battaglia per la giustizia e la dignità. La partita per la gestione dei centri Sprar e per i regolamenti di polizia locale dei nostri Comuni è, infatti, ancora aperta. Anche in quel caso gli amministratori potranno decidere da che parte stare: se dalla parte della cieca obbedienza a delle leggi disumane, che condannano migliaia di persone alla marginalità rendendole carne da cannone per le Mafie, oppure dalla parte della “sicurezza dei diritti” di tutti e tutte noi».

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Scarica qui la bozza di delibera redatta da Alterego – Fabbrica dei diritti

Il sonno della ragione, i mostri della politica

Century: 18th Century Credit Line: Meadows Museum, SMU, Dallas. Algur H. Meadows Collection, MM.67.01

In un articolo apparso su Left il 20 dicembre 2018 dal titolo “Tutta colpa di Satana” Emanuela Provera e Federico Tulli riportano la convinzione di Cristiano Ceresani il capo di gabinetto del ministro della Famiglia, secondo il quale «c’è Satana dietro il riscaldamento globale». Quella che potrebbe sembrare una battuta con allusione alle fiamme dell’inferno, in realtà va considerata una «interpretazione delirante» come insegna la psicopatologia.

“Interpretazione” in quanto l’entità sovrannaturale, Satana, viene scoperta nell’ambito del rapporto uomo-natura e non nel rapporto con gli esseri umani nel qual caso sarebbe stata «percezione delirante». Più volte Massimo Fagioli nella sua rubrica “Trasformazioni” proprio su Left si è intrattenuto, in un recente passato, su questi temi. Quello che a noi interessa è che in questo momento storico in Italia accanto alle fake news (come quella di chi paventa un’invasione dei migranti), costruite ad arte a scopo di manipolazione dell’opinione pubblica compaiono, nello stesso ambito culturale e politico che produce le prime, falsi giudizi, contrari al buon senso e impermeabili alla più elementare delle critiche, ai quali qualcuno crede davvero e che suscitano interesse tanto da guadagnare le prime pagine dei giornali. È l’occasione per cercare di rispondere alla domanda: Che cos’è il delirio?, e proporre una riflessione e un approfondimento su di un tema che attualmente travalica l’ambito strettamente specialistico ma assume una valenza culturale più vasta dato l’atteggiamento persecutorio e paranoicale presente in alcuni ambiti della politica.

Delirio è un termine difficile da comprendere e definire in modo univoco e esatto: esso si riferisce a una modalità di pensiero che prescinde dalla realtà e la cui origine non è razionale esprimendo contenuti non verosimili fino al punto di apparire strani e incomprensibili, immodificabili dalla critica e dall’esperienza. Tutte le definizioni, fra le tante proposte, rischiano di essere generiche e incomplete data la grande varietà e complessità di significati che storicamente il delirio ha assunto, che gli hanno conferito una natura sfuggente allargandone a dismisura l’alone semantico. Anche nella “normalità” infatti sono presenti credenze erronee largamente diffuse, come dimostra il caso di Cristiano Ceresani, per cui contenuti patologici, riconducibili a una vera e propria malattia mentale in atto, sono considerati dagli psichiatri quelli irreali relativi a presunti vissuti non solo sovrannaturali ma strani non tanto nel contenuto ma nella forma con cui vengono comunicati.

Il delirio infatti non è solamente un falso giudizio verbalmente espresso dal paziente ma un modo di vivere, di annullare e esperire i rapporti interumani ed estensivamente poi quelli con il mondo, che entra in gioco nella relazione terapeutica e più in generale nelle relazioni fra le persone. I criteri con cui viene valutata nella pratica clinica l’irrealtà, la bizzarria e la comprensibilità delle idee deliranti le quali costituiscono fattori diagnostici e prognostici, rimangono comunque ampiamente discrezionali poiché c’è una grande disparità di teorie e ipotesi sulla loro origine. C’è chi ha creduto  – come Emil Kraepelin, Karl Jaspers, Eugen Bleuler, Eugene Minkowsky, Ludwig Binswanger, Hans Grüle, Horatius Cornelius Rümke, Henry Ey per citare solo alcuni fra i più importanti psichiatri del Novecento – in una genesi organica e ereditaria , c’è chi come Ernst Kretschmer ha sostenuto una origine reattiva e multifattoriale insieme costituzionale, ambientale e psicologica di alcune forme deliranti. L’opera di Kretschmer del 1918 Il delirio di riferimento sensitivo (la cui edizione italiana è stata curata per L‘Asino d’oro dagli psichiatri Eva Gebhardt e Andrea Raballo) è un punto di partenza imprescindibile per comprendere lo sviluppo successivo delle concezioni psicopatologiche come quella di Ferdinando Barison e di Massimo Fagioli.

Quest’ultimo in particolare con la sua teoria della nascita ha aperto una nuova prospettiva consentendo di mettere in discussione e abbandonare il mito ampiamente diffuso della analogia fra sogno e delirio che ha una lunga tradizione storica. «L’errore non è che il sogno di un uomo sveglio: ad un certo punto esso diviene delirio…» aveva detto Baruch Spinoza. Famosa è la formula di Kant: «Il pazzo è uno che dorme da sveglio». Schopenhauer esprimeva un concetto simile quando sosteneva che «il sogno è una breve follia, e la follia un lungo sogno». Gli stessi processi che portano alla dissoluzione della coscienza durante il sonno e presiedono alla formazione del sogno avrebbero fatto irrompere il delirio nello stato di veglia della psicosi. Anche la psicoanalisi freudiana si è allineata a questa concezione concependo il sogno e il delirio come fenomeni regressivi entrambi caratterizzati dalla dissociazione e da una mancanza di una struttura logica come i processi primari dell’inconscio.

Freud aveva paragonato la psicosi al sogno e aveva definito il sogno una forma legale di psicosi. Secondo Fagioli non esiste, come si è sempre ritenuto, una gerarchia delle funzioni psichiche con al vertice quelle che garantiscono la coscienza e la razionalità. Il sogno in quanto emanazione della vita irrazionale non è allora espressione di una paleologica, di una forma di pensiero primitiva e immatura legata all’annullamento della realtà umana: esso è invece un linguaggio dotato di senso, altamente sofisticato che si svolge per immagini (e non per allucinazioni) e ci consente, una volta verbalizzato e correttamente interpretato, di comprendere in profondità i problemi che emergono nella relazione terapeutica. Esso non ha necessariamente caratteristiche negative, autistiche dovute ad una dissoluzione patologica della coscienza e a un distacco del soggetto dalla realtà come aveva teorizzato la psicologia evoluzionistica nella seconda metà dell’Ottocento.

L’idea di uno schizofrenico introverso e “sognatore” in quanto delirante e allucinato è stato un gigantesco fraintendimento dovuto ad una impostazione razionalistica, che ha coinvolto quasi tutti gli alienisti e gli psichiatri (salvo rare eccezioni) a partire dalla fondazione stessa della psichiatria durante la rivoluzione francese. L’altro grande contributo di Fagioli è stato quello di aver messo a punto una serie di strumenti concettuali che rendono possibile non solo la critica ma il superamento della mentalità religiosa che è il vero terreno di incubazione delle tematiche deliranti. Come non ricordare che nell’antichità la forma più diffusa di delirio era quella profetica-mistica che ritroviamo in tutte le religioni? Platone affermava il carattere divinatorio del delirio e il carattere sacro della follia, contraddicendo così Ippocrate, per l’influsso che Apollo e altri dei esercitavano talora sugli uomini. Anche Socrate aveva il suo demone che gli faceva vedere il futuro e talvolta lo gettava in uno stato allucinatorio.

Provera e Tulli nel loro articolo citato all’inizio mettono in luce come l’episodio della esternazione di Cesaroni si situi in un contesto come la società italiana nella quale operano un numero iperbolico di esorcisti e la credenza nella possessione demoniaca è largamente diffusa. Nell’idea di possessione da parte di spiriti maligni convergono e si scontrano due sistemi deliranti, in una lotta di potere e di assoggettamento fra il bene e il male: quello di coloro che si credono posseduti e quello degli esorcisti che credono nella realtà degli spiriti demoniaci. L’impressionante rinascita dell’esorcismo in Europa negli ultimi decenni, documentata da uno studioso come Francis Young, è dovuta al venir meno della contrapposizione fra psichiatria e esorcismo che aveva raggiunto il suo apice ai tempi del Concilio Vaticano II. Sicuramente la confusione delle lingue, l’incertezza delle categorie diagnostiche e l’aleatorietà delle pratiche terapeutiche, l’incapacità di definire con chiarezza un fenomeno fondamentale come il delirio che affligge certa psichiatria favorisce l’attecchimento e la perpetuazione di false credenze e giudizi erronei, che coniugandosi con la fede diventano dogmi, certezze immodificabili e condivise. La diffusione della vulgata psicoanalitica e di una psicopatologia incapaci di affrancarsi dalla loro derivazione fenomenologica e heideggeriana ha favorito il permanere e il proliferare di una mentalità religiosa implicita nell’equazione sogno=delirio. Alla realtà della vita irrazionale e non cosciente viene attribuito un significato di inferiorità e di negatività che pur in un linguaggio apparentemente scientifico e laico come quello della psicoanalisi o della psichiatria equivale ad una demonizzazione.

Viene in mente un commento attribuito a Francisco Goya ad una celebre acquaforte del 1797 la numero 43 della serie Los Caprichos pubblicata pochi anni dopo la liberazione dei folli dalle catene e la fondazione della psichiatria da parte di Philippe Pinel «La fantasia priva della ragione genera impossibili mostri (…)». È davvero così che nasce il delirio?

L’articolo dello psichiatra Domenico Fargnoli è tratto da Left in edicola dal 4 gennaio 2019


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Nel vento di Riace soffiano le idee di Ventotene

«Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo. La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà».

Spinelli, Rossi, Colorni, Hirschmann, chiudevano così il Manifesto di Ventotene che diede il via ad un processo ancora largamente incompiuto di costruzione dell’Europa federale. Dalle conclusioni di quel Manifesto, che sembrava un libro dei sogni, bisognerebbe ripartire ancora oggi, valorizzando il meglio del percorso finora realizzato. Sappiamo bene come quei sogni, scontrandosi con la dura realtà postbellica, la globalizzazione neoliberista e l’apartheid da essa generato, ed oggi con il virulento ritorno dei nazionalismi e dei sovranismi, le mine disseminate dai competitors globali, Usa e Russia in testa, ne siano usciti ammaccati e distorti, per limiti soggettivi e per la torsione ad essa impressa dalle scelte sulla “competitività” seguite al Consiglio europeo di Lisbona 2000, che hanno colpito duramente i Paesi dell’Europa mediterranea e minato alla radice il modello di welfare europeo. Politiche che non arrivano a caso. Sono il prodotto dei processi di mondializzazione e globalizzazione economico finanziaria iniziati già alla fine degli anni 80 del secolo scorso e delle nuove relazioni tra impresa e Stato, tra potere economico finanziario e potere politico che sono una delle caratteristiche più significative dello sviluppo economico nelle società contemporanee.

E oggi siamo un’altra volta, come negli anni 40 del ’900, di fronte al sopraggiungere di «un nuovo diverso da tutto quello che si era immaginato». Da una parte ci si trova a misurarsi nell’Ue con le scelte dell’ultimo ventennio: le politiche della globalizzazione neoliberista e la sua torsione verso sistemi politico istituzionali noti come “democrature”. Un assetto istituzionale che ha già dato tutto quello che poteva, uno strabismo geopolitico che dimentica il Mediterraneo e non vede l’Africa. Dall’altra, ad affrontare il ritorno in forza di nazionalismi, sovranismi, razzismo, disumanità. L’Europa, spazio politico imprescindibile, si salva se cambia la rotta delle sue politiche economiche, sociali e di governo dei fenomeni migratori. Se muta il suo assetto istituzionale, ed il suo baricentro, spostandolo verso il Mediterraneo e orientandolo in direzione dell’Africa. E se le forze che hanno fronteggiato, o solo criticato, la globalizzazione neoliberista si riapproprieranno dei loro temi e metteranno al primo punto dei loro programmi, per le prossime elezioni, il conferimento al nuovo Parlamento di poteri e funzioni costituenti.

Servirebbe un’inversione simile a quella che mise in atto l’Internazionale comunista nel 1935 con il passaggio dalla politica del “social fascismo” a quella dei fronti popolari, che portò nel 1936 alle vittorie elettorali in Spagna e Francia. È ovvio che un’operazione del genere, considerato l’abisso che ci divide da quella fase storica, nel contesto dei nostri tempi, può servire alle forze che derivano da quella storia e democratiche in senso ampio, solo come richiamo pressante alla necessità di costruire un ampio schieramento capace di fronteggiare ed arrestare le pericolose derive in atto. Si dovrebbero oggi incontrare e trovare in un minimo comune denominatore, tutti «coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità», evitando la catastrofe, «per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo». Oggi come allora «la via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà». Anzi è, per alcuni versi più difficile e insicura di quel tempo per mancanza di visibilità di orizzonti sociali alternativi, largamente condivisi e di grandi forze politiche e sociali capaci di indicarli come mete. Ma milioni di persone in tutto il continente, legate ad un’altra idea di umanità e di società , chiedono un orizzonte visibile entro cui collocare tantissime buone pratiche, attività ed iniziative in essere. Sono in questa fase sconfitte, ma non vinte e, ad ogni valida occasione, ritornano in scena.

Quello che sta avvenendo con le mobilitazioni spontanee nel nostro Paese, a sostegno di Riace, del suo sindaco Mimmo Lucano e della loro esperienza di accoglienza, inclusione, rivitalizzazione di sistemi territoriali in abbandono, in nome dell’umanità, è emblematico. Un’esperienza collettiva che ha coinvolto reti istituzionali e sociali di tutta Italia e dell’Europa diventando il paradigma di un’idea di nuova umanità. E chiama in causa l’Ue, la sua storia, le sue politiche interne e geostrategiche, il suo governo, il Mediterraneo e l’Africa, i diritti umani e sociali, l’esclusione, il dolore e le sofferenze di tanta parte di umanità. Si salda con lo spirito di Ventotene e chiama in causa tutti coloro che hanno consapevolezza del pericolo. E che chiedono un orizzonte visibile entro cui collocare le tantissime buone pratiche, attività ed iniziative. E non sono pochi. È un sogno destinato a restare tale? Forse. Ma i sogni e le utopie sono forze potenti. Sono il rifiuto di subire il presente. Sono essenziali per progettare il futuro. Muovono il mondo. E se in Italia, per l’Europa, si partisse dai sogni, in parte realizzati, di Ventotene e Riace, si potrebbe aprire un nuovo scenario.

L’articolo di Mimmo Rizzuti è tratto da Left n. 1 del 4 gennaio 2019


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Diritti. Ma televisivi

Mi par di capire che l’indignazione del giorno sia (giustamente) la prossima finale della Supercoppa italiana di calcio che si svolgerà il prossimo 16 gennaio a Gedda, ridente località dell’Arabia Saudita, e che vedrà di fronte Juventus e Milan per giocarsi il trofeo.

Tutto nasce da un avventato comunicato stampa della Lega Calcio (gestita con la cura di una bocciofila di qualche dopolavoro) che esulta i biglietti andati “letteralmente a ruba” e che specifica come i settori previsti allo stadio siano solo due: quelli indicati come «singles» sono riservati agli uomini mentre quelli indicati come «families» sono misti per uomini e donne. Donne solo se accompagnate, parrebbe di capire dalle comunicazioni ufficiali.

È notevole l’idiosincrasia tra chi dipinge le facce dei propri calciatori per richiamare l’attenzione sulla violenza contro le donne e poi, dopo pochi mesi, sembra disposto a svendere comportamenti di civiltà pur di incassare i ricchi rimborsi dei diritti televisivi. Si propongono di esportare il calcio italiano e nel frattempo importano le peggiori tradizioni.

Si è levato, come prevedibile, un coro di proteste bipartisan da tutte le parti: la difesa (a parole) delle donne e il calcio sono un binomio troppo ghiotto per lasciarselo sfuggire. Però forse il discorso sarebbe un po’ più ampio della prevedibile sottomissione femminile piuttosto prevedibile: l’Arabia Saudita è quello stesso Paese che bombarda con noncuranza i civili in Yemen (con bombe marchiate RWM e prodotte serenamente in Sardegna) ed è quello stesso Paese che ha tagliato a fette il giornalista Jamal Khashoggi nel suo consolato a Istanbul, colpevole di essere stato critico nei confronti del principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammad bin Salman e del re del paese. Un omicidio che, al solito, prima è stato negato e poi, di fronte a prove evidenti, derubricato a diverbio.

Insomma basterebbe avere letto un po’ di cronaca internazionale negli ultimi mesi per sapere che l’Arabia Saudita non è certo patria del diritto e dei diritti. Forse sarebbe il caso di ricordarsi dei tanti civili in Yemen (ricordate le terribili foto di bambini uccisi che ciclicamente farciscono i giornali per combattere il calo di clic e di indignazione?) e del depistaggio di Stato per nascondere l’eliminazione della voce scomoda di Kashoggi. Perché l’Arabia Saudita, vista per intero con uno sguardo largo, faceva schifo come sede di una finale di coppa ben prima del settore per soli uomini.

O no?

 

Europa, una fanciulla venuta dal mare

Quella che si prepara per le elezioni europee del 26 maggio 2019 è una partita difficilissima. La sinistra non solo è divisa, ma appare afona, incapace di fare opposizione e di articolare una proposta politica valida per contrastare l’avanzata delle destre nazionaliste e clericofasciste. In Italia, in particolare, manca una vera opposizione al governo giallonero dei porti chiusi, che usa il pugno duro contro i soggetti più vulnerabili mentre – nonostante i proclami – è un exemplum di calabraghismo rispetto all’Europa dei poteri forti.

Migranti abbandonati alla deriva senza un approdo sicuro, respingimenti, stretta su permessi umanitari, l’incostituzionale restrizione del diritto d’asilo. Le politiche xenofobe e razziste dei Legastellati hanno prodotto meno sbarchi e più morti in mare. Una deriva iniziata quando era ministro dell’Interno Minniti (Pd), che ha tolto un grado di giudizio ai richiedenti asilo, ha stretto accordi con i libici, criminalizzando il lavoro delle Ong. Ora, il governo giallonero, in sintonia con i sovranisti del gruppo di Visegrád (di cui fanno parte la Polonia e l’Ungheria di Orban), vorrebbe che il Mediterraneo diventasse un invalicabile fossato e che solo le merci (non le persone) possano attraversare liberamente le frontiere della Fortezza europea.

Trattando l’immigrazione alla stregua di un problema di sicurezza, lanciando paranoiche campagne per fermare un’invasione che non c’è, le destre, come nel passato, puntano a creare un nemico, lo costruiscono ad “arte”, alimentano cacce violente al capro espiatorio – migranti, rom, minoranze, senzatetto – mistificando le reali cause dei problemi sociali. Ma è questa l’Europa che vogliamo? Vogliamo che il Mediterraneo diventi ancor più un cimitero? Vogliamo che l’ideologia suprematista alla Bannon si imponga rivendicando radici esclusivamente cristiane che l’Europa non ha mai avuto? Domande per noi pleonastiche, ovviamente.

Mentre a pochi mesi dalle elezioni europee la sinistra tarda a farsi sentire con proposte e programmi, in questa storia di copertina abbiamo voluto uscire dalle logiche degli schieramenti per cercare di volare alto sul piano dei contenuti e delle idee, chiedendo a filosofi, giuristi, politologi e persone di cultura di aiutarci a tratteggiare l’Europa che vorremmo, un’Europa aperta, laica, inclusiva, che nasca dal fertile dialogo fra culture, aperta al nuovo, alla ricerca, allo sviluppo sostenibile.

Un’Europa che metta al centro le persone, la dignità sociale, la lotta alle disuguaglianze.

Un’Europa che riconosca la naturale e fondamentale uguaglianza di tutti gli esseri umani, ma anche impegnata a rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni donna e uomo, per parafrasare uno degli articoli più belli e rivoluzionari della Costituzione italiana. Come scrive Nadia Urbinati l’utopia spinelliana oggi è più concreta che mai.

Certo, non si realizza da sola. Per questo, proponendo di allargare lo sguardo al Mediterraneo, lo spinelliano Pier Virgilio Dastoli propone di avviare un processo costituente. Perché il futuro dell’Europa è anche quello del Mediterraneo. Ed ha tanti colori e accenti. Come ci ricorda la mostra Europa und das Meer in corso al Deutsches Historisches Museum di Berlino, l’Europa è sempre stata terra d’emigrazione. Lo racconta esponendo bauli, valigie, lettere dei primi migranti che fecero la traversata atlantica per scappare dalla povertà. Accanto ci sono zaini, marsupi e cellulari appartenuti a profughi naufragati nel tentativo di raggiungere l’Europa.

La storia ultramillenaria del Mare nostrum raccontata da grandi storici come Braudel e Abufalia, ci parla del Mediterraneo come ponte, come risorsa, non come barriera.

Ce lo insegna anche la storia di Riace. Dal mare nel 1972 riemersero i magnifici bronzi che rappresentano una rara testimonianza della Magna Grecia in Calabria. Da quello stesso mare nel 1998 arrivò il veliero con a bordo profughi curdi che insieme agli abitanti di Riace – grazie al lavoro e all’intelligenza politica del sindaco Mimmo Lucano – hanno fatto rinascere lo spopolato paesino della Locride, avviando una magnifica storia di emancipazione personale e di riscatto collettivo  dall’oppressione della criminalità organizzata e della perdita di speranza nel futuro.

Quella che la procura di Locri ora di nuovo mette alla sbarra è una straordinaria storia glocal, locale, europea e universale, che sconfessa la propaganda delle destre nazionaliste impostata sulla logica sanguinaria vita mea mors tua. La storia di Riace mostra in modo toccante come dall’incontro con chi viene da lontano possa nascere qualcosa di nuovo, di bello, di sconosciuto.

Il mito d’Europa, del resto, ci parla di una fanciulla fenicia rapita, costretta a lasciare la propria terra suo malgrado. Una fanciulla venuta dal mare.

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola dal 4 gennaio 2019


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Ue, ultima chiamata a sinistra

Dalla Vistola alla Senna al Po, i sovranisti europei hanno fatto della retorica della paura il collante delle insoddisfazioni sociali. La loro astuzia sta nel farne la linfa vitale dell’Unione Europea. La marcia verso il nazionalismo europeo è cominciata da qualche anno, messa in evidenza nei vari appuntamenti elettorali nazionali. Lo si è visto nel giugno del 2015, in Danimarca, con la vittoria dei Blu, i liberal-conservatori di Rasmussen. E poi in Finlandia, dove c’è un governo di coalizione con le destre del Partito dei veri finlandesi. Lo si è visto in Polonia, e ancora prima in Ungheria, il primo dei 28 Paesi dell’Ue che ha aperto la strada al populismo sovranista con la costruzione di un recinto di filo spinato sulle frontiere con i Balcani e la Serbia.

Il fatto nuovo del nostro tempo è questo: mentre, in passato, i nazionalismi erano all’insegna della fine dell’Unione, a partire dal 2015 e in coincidenza con il picco più elevato delle migrazioni, si sono aggiornati come leadership europea. Dopo riunioni pubbliche in alcune città europee, come Basilea o Milano, i capi dei partiti sovranisti si sono presentati come alleati in un progetto di “internazionale populista”, benedetto da Steve Bannon e che sarà naturalmente il vero protagonista della campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo, nel maggio 2019. La retorica sovranista si candida a fare dell’Ue un continente ermetico retto su pochi chiari obiettivi, per nulla estranei alla storia europea: centralità della razza bianca, della religione cristiana, del benessere per gli europei. Quel che Matteo Salvini e Viktor Orbán ripetono costantemente ai loro connazionali verrà ripetuto su scala europea.

Ma si sbaglierebbe a pensare che questo progetto eurosovranista sia frutto della malevolenza delle destre, che pure malevoli sono. L’origine di questa sterzata a destra va cercata nell’…

L’articolo di Nadia Urbinati prosegue su Left in edicola dal4 gennaio 2019


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Se l’ingiustizia diventa legge, ribellarsi è un dovere

Con la firma troppo tempestiva, del presidente della Repubblica, il dl 113 (Salvini) è divenuto legge dello Stato. Ma già da prima della conversione, alcuni degli effetti deleteri che produrrà sull’intero sistema sociale italiano, si sono fatti sentire. Sgomberi, la cacciata di famiglie di richiedenti asilo che non hanno più diritto ad alcuna tutela, un generale clima di incattivimento istituzionalizzato. Ci vorranno mesi prima che i danni si mostrino in tutta la loro portata: decine migliaia di persone senza un tetto, 18 mila operatori sociali “italiani” senza un lavoro, la militarizzazione di quello che resta dell’accoglienza e qualche rimpatrio da propaganda per dimostrare che di questa legge c’era bisogno.

Ma nel frattempo, forme per quanto ancora disorganizzate di disobbedienza civile ad un testo che mostra infinite violazioni alla Costituzione e ai trattati internazionali vigenti, si vanno concretizzando. Fra i primi a muoversi alcuni amministratori locali, Palermo, Napoli, Bologna, Torino per citare le città più grandi che avevano già sospeso l’applicazione del decreto. Ora si tratta di rischiare di più disobbedendo ad una legge e ad un ministro che già nell’art. 28 del decreto 113 prevede che i prefetti possano revocare i poteri agli amministratori locali che disattendono la legge. E le reazioni non si sono fatte attendere. Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris ha anzitempo affermato di sentirsi in diritto di non obbedire a leggi palesemente incostituzionali senza dover attendere il parere della Corte  stessa, il suo collega Leoluca Orlando, di Palermo, ha annunciato intanto che non permetterà che gli agenti della polizia municipale vengano dotati di Taser (le pistole elettriche), Virginio Merola, da Bologna ha rincarato la dose dichiarando l’indisponibilità a gettare in strada le duemila persone accolte che stanno inserendosi in percorsi di integrazione e non costituiscono problemi per la sicurezza e il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, a cui competono le problematiche relative alla salute, ha chiarito che non intende lasciare nessuno senza diritto a curarsi nelle strutture sanitarie pubbliche.

Dal fronte degli enti locali fioriscono le iniziative tese a non recepire del decreto le parti più lesive  per il vivere civile. E si vanno sviluppando anche proposte o forme di resistenza di carattere associativo o individuale, che potrebbero divenire contagiose. Sono numerosi i centri, Cas o Sprar che non hanno obbedito all’ordine di allontanare le persone prive dei requisiti per restare accolti. Si è anche in piena emergenza freddo e, anche per puro buon senso, in assenza di soluzioni alternative, molti, da Como a Palermo, non intendono mandare le persone in strada. Tali emergenze di carattere sociale ricadrebbero inevitabilmente sui Comuni che qualche risposta dovranno pur dare. Le reti degli operatori sociali si vanno mobilitando, sia perché a saltare è il loro posto di lavoro sia perché gran parte di loro lo considerano un impegno che va oltre l’orario e il magro salario. «Ci ho messo tanto a conquistare la fiducia di ragazzi che mi consideravano una “bianca nemica” – racconta Claudia, da uno Sprar vicino Roma – e adesso dovrei dire loro: non posso fare più niente, anzi vi debbo cacciare? Io non ci sto e gli altri la pensano come me».

Esistono poi forme di rifiuto nate da esperienze particolari. Un gruppo di tutori di minori stranieri non accompagnati, presenti nella Toscana ha firmato, con nomi e cognomi, un comunicato in cui dichiarano di voler combattere l’applicazione della legge in tutte le sedi possibili. Un testo simile è stato elaborato da Famiglie accoglienti di Bologna che concludono scrivendo: «Se vorrete cacciare questi preziosi giovani dovrete farlo espellendo anche noi». A Palermo ci si sta prodigando per un gruppo di minori che stanno per compiere i fatidici 18 anni. La proposta è quella di costruire forme di accoglienza che non debbano dipendere dallo Stato con cui poi aprire pubblicamente un confronto.

C’è poi chi va proponendo escamotage interessanti e forti dal punto di vista etico quanto capaci di far emergere contraddizioni. L’avvocata Alessandra Ballerini, da tanti anni in prima fila per tali battaglie, rilancia a Left una sua proposta molto suggestiva: «In questa legge che abolisce “l’umanità” viene inserita, come contentino, una norma che prevede il rilascio del permesso di soggiorno per atti di particolare valore civile. Ora, la norma del 1958 alla quale il dl 113 fa riferimento, prevede che vengano premiati gli autori di “atti di eccezionale coraggio che manifestano preclara virtù civica (…) per il progresso della scienza od in genere per il bene dell’umanità”. Quante e quanti di noi sono migliorati, si sono sentiti cambiati grazie all’incontro con queste persone che hanno rischiato la vita per “salvare” la nostra? E allora perché non ci prendiamo la responsabilità individuale di “adottare” una delle persone rimaste nel limbo, segnalare la decisione al ministero dell’Interno, tramite il prefetto e dichiarando che a “nostro avviso”, la persona ospitata ha per noi il “merito speciale” di averci permesso l’incontro. Ovviamente si tratta di aprire un contenzioso».

Un altro impegno che ognuno di noi, minimamente informato potrebbe realizzare, osserva Ballerini, «è quello di accompagnare chi si vede negata l’iscrizione anagrafica, il medico di base, l’iscrizione all’ufficio di collocamento. Esigendo che venga messo per iscritto tale rifiuto di riconoscere un diritto che ha costituzionalmente valore assoluto, come ricordato in Corte di Cassazione con la sentenza 499 del 2000». Alessandra Ballerini considera il dl Salvini come se fosse scritto, rispetto alla Costituzione, con “inchiostro simpatico”: «Noi dobbiamo ricordare a tutti, avvocati, medici, magistrati, responsabili di Cas e Sprar, come sul dettato costituzionale, in quanto cittadini italiani, abbiamo giurato tutti obbedienza e questo non può venire meno di fronte a leggi o circolari che lo contrastano. Sai – conclude Alessandra Ballerini -, chi comanda ha paura di chi si sa difendere. Ti ricordi di quando entravamo nei Cie (oggi Cpr), polizia e gestori erano infastiditi e ce ne spiegavano la ragione. Perché provavamo a spiegare a chi era trattenuto i propri diritti. Non è cambiato nulla. Oggi in molti si sono abituati all’idea di non avere diritti. Ricordo un mio assistito che in commissione asilo disse “vorrei che mi giudicaste per quello che sono, per la vita che ho vissuto e non per il colore della mia pelle”. In quei momenti è necessario avere accanto qualcuno che “ti riconosce”».

Stanno poi nascendo iniziative che tentano, al di là delle nuove normative razziste, di mettere in connessione percorsi diversi e che ancora spesso si ignorano partendo dalla gravità di una generale situazione attuale. È il caso della Rete della solidarietà nata recentemente a Milano, che ha come baricentro un territorio ma vuole espandersi in quanto sistema di relazione, su un orizzonte europeo. «Dobbiamo non solo denunciare o fare testimonianza ma costruire e avere una visione politica dei problemi – afferma, Daniela Padoan, scrittrice e militante -. Noi stiamo cercando di mettere assieme il tantissimo lavoro che viene fatto ma che non riesce a convergere per potenziare ciò che già c’è. Stiamo trovando le adesioni più disparate, dalla Fiom, agli altri sindacati, dal Naga (un’associazione di volontariato laica e indipendente, ndr), alla Rete delle Città in Comune, fino ai centri sociali e alle realtà che praticano accoglienza. Non ragioniamo solo di immigrazione ma vogliamo intervenire, anche sul fronte educativo e della comunicazione, parlando di lavoro, salute, lotta alla povertà e ci stiamo strutturando su tre settori: il lavoro, la comunicazione e quello che abbiamo chiamato dell’obbedienza costituzionale». Padoan conclude: «Non siamo noi a disobbedire mettendo in atto certe procedure, sono gli altri che tradiscono la Costituzione. E questo dobbiamo farlo arrivare anche alle istituzioni, in particolar modo locali, dialogando e proponendo un punto di vista alternativo».

L’articolo di Stefano Galieni è tratto da Left n. 50 del 14 dicembre 2018


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«I vostri nati torcano il viso da voi»

In this picture taken Monday, Dec. 24, 2018, a migrants sits aboard of the rescue ship Sea-Watch 3. Thirty tree migrants saved in the central Mediterranean sea by the German no-profit rescue organization Sea-Watch are still stranded after five days at sea, because no European country is opening its ports to receive them. (Chris Grodotzki/Sea Watch Via AP) [CopyrightNotice: Chris Grodotzki / sea-watch.org]

Sì, è vero, ancora una volta ci sono due navi in mezzo al mare, per l’esattezza le navi Sea-Watch e Sea-Eyeche hanno raccolto 49 persone (tra cui quattro bambini e almeno sei donne) e che da giorni stanno in balìa delle onde con i viveri che scarseggiano e con il freddo che ovviamente arriva.

Pensateci, sembra una storia vecchia ormai quella di qualche disperato, stremato dalla fame e sfinito dal freddo, che fugge dalle torture libiche e si ritrova rimbalzato dall’Europa, alla deriva. E anche il fatto che tutto venga vissuto come un già visto e quindi meritevole di minor indignazione e più tenue considerazione è un abisso di ferocia: abituarsi alla sofferenza altrui, disimparare l’empatia e farsi venire a noia l’orrore solo perché si ripete, ci rende colpevoli. Ancora di più.

Questi 49 non li vuole nessuno. Nessuno. Attenti, non stiamo parlando solo del truce ministro dell’Interno Matteo Salvini (che con una barca di migranti in mezzo al mare prova più soddisfazione che con un pane e nutella o qualche gnocco al ragù), non li vuole il liberale Macron, non li vuole Malta, non li vogliono gli olandesi e non li vuole nemmeno il socialista Sanchez. È l’Europa che si sbriciola, ancora, dopo essersi professata frontiere aperte sulla libera circolazione di tossici capitali finanziari e che invece diventa fortezza quando si tratta di diritti e di bisogni. Anche questa è una scena già vista.

E non è tutto, no: un continente di 500 milioni di persone che teme 49 poveracci è la fotografia perfetta del pessimo stato della pietà umana, proprio nel continente che si professa cristiano non senza un certo senso di superiorità. Significa fare carta straccia non solo della Costituzione italiana ma soprattutto delle Convenzioni internazionali sul diritto del mare e sulla protezione dei rifugiati, quelle stesse che l’Europa sventola come certificato di superiorità giuridica. È un calpestamento del diritto. Per intendersi. Un’illegalità diffusa e tollerata.

Tutto qui? No. In realtà ci sono già città che si sono fatte avanti per accogliere quegli uomini in mare: sono trenta città tedesche (Berlino, Amburgo, Brema, le principali) che hanno già dichiarato la propria disponibilità. “Se li prendano loro!” urlacciano i sovranisti impastati nella loro bava. Peccato che la Germania non abbia porti nel Mediterraneo e che proprio per questo impedire lo sbarco (con una soluzione già a portata di mano) è ancora più incivile.

A proposito di porti chiusi poi ci sarebbe da sottolineare per l’ennesima volta che, nonostante i tweet festanti dell’ingordo vicepremier leghista, la decisione spetterebbe al ministro Toninelli. Toninelli invece tace, con tutto il suo partito pentastellato al seguito. E chissà se davvero i biliosi hanno compreso che gli sbarchi in realtà continuano sulle nostre coste nonostante la propaganda: lo scorso novembre il sindaco di Lampedusa (che è della parte di quelli che governano) ha detto: “facendo un calcolo sommario direi che negli ultimi cinque mesi sono arrivate più di tremila persone”. Solo a Lampedusa, sia chiaro.

Torna in mente la famosa poesia di Primo Levi:

«…Meditate che questo è stato:/ vi comando queste parole./ Scolpitele nel vostro cuore/ stando in casa andando per via,/ coricandovi, alzandovi;/ ripetetele ai vostri figli. /O vi si sfaccia la casa,/ la malattia vi impedisca,/ i vostri nati torcano il viso da voi»

Buon giovedì.

 

Terremoto di Catania, breve vademecum sullo stato d’emergenza e l’ordinanza della protezione civile

Lo stato d’emergenza

Con delibera del Consiglio dei ministri del 28 dicembre 2018, è stato dichiarato, per dodici mesi, lo stato di emergenza in conseguenza dell’evento sismico che il giorno 26 dicembre 2018 ha colpito il territorio dei comuni di Zafferana Etnea, Viagrande, Trecastagni, Santa Venerina, Acireale, Aci Sant’Antonio, Aci Bonaccorsi, Milo, Aci Catena della provincia di Catania;

Stato d’emergenza che, quindi, dovrebbe scadere il 28 dicembre 2019 (salvo probabili proroghe).

Con la dichiarazione dello Stato d’emergenza si apre una fase decisamente particolare per la gestione dei terremoti colpiti dalla emergenza stessa. Per questo evento sismico vengono stanziati 10 milioni di euro come prima copertura economica (quindi per gli interventi di maggior urgenza). Questi dieci milioni vengono gestiti dalla struttura di Protezione Civile (la quale oltre a intervenire nel pratico potrà disciplinare la vita dei terremotati mediante lo strumento delle Ordinanze).

Ordinanza protezione civile

Proprio il potere di ordinanza che viene riconosciuto al Dipartimento di Protezione Civile ha consentito l’emanazione della Ordinanza 566 del 2018, titolata: “Primi interventi urgenti di protezione civile in conseguenza dell’evento sismico nella provincia di Catania il 26 dicembre 2018”. Un testo estremamente ricco di strumenti e specifiche che, come sempre, andrà a intervenire radicalmente sulla vita di chi ha vissuto in prima persona gli eventi sismici del 26 dicembre.

Dalla nostra esperienza nel centro Italia (sebbene parliamo di un evento sismico molto complesso) siamo ben coscienti del fatto che questa sarà la prima di una lunga serie di ordinanze, tutte estremamente decisive per chi decide di continuare ad abitare quei luoghi, in attesa di veder ricostruita la propria casa. La nostra Associazione vuole portare avanti un’attività di monitoraggio e informazione alla popolazione di quelli che sono il loro diritti, traducendo le norme post-sisma in modo che siano comprensibili da tutti.

Struttura di missione

A capo della Struttura di Protezione Civile ci sarà un Commissario Delegato (il dirigente generale del dipartimento della protezione civile della Presidenza della Regione Siciliana), che avrà il potere di predisporre, entro 60 giorni dalla nomina (è stato nominato con l’emanazione dell’ordinanza, quindi il 28 Dicembre 2018), un piano degli interventi da sottoporre all’approvazione del Capo del Dipartimento della protezione civile. Con tale piano dovrà proporre azioni volte:

a) all’organizzazione ed all’effettuazione degli interventi di soccorso e assistenza alla popolazione interessata dall’evento (tra qui quelle inerenti il CAS – Contributo di Autonoma Sistemazione e degli interventi di immediata riparazione) e degli interventi urgenti e necessari per la rimozione delle situazioni di pericolo per la pubblica e privata incolumità (ad es. le macerie che rischiano di crollare su pubbliche vie o piazze e che devono essere immediatamente rimosse);

b) al ripristino, anche con procedure di somma urgenza, della funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture di reti strategiche, alle attività di gestione dei rifiuti, delle macerie, e alle misure volte a garantire la continuità amministrativa nei comuni e nei territori interessati, anche mediante interventi di natura temporanea.

Quindi entro fine Febbraio 2019 avremo un prospetto di quelle che sono le iniziative da realizzare che il Commissario Delegato proporrà al Capo Dipartimento della Protezione Civile.

Questo piano dovrà contenere la descrizione tecnica di ciascun intervento con la relativa durata, compresa l’indicazione delle singole stime di costo.

È molto importante sottolineare, comunque, che il Commissario delegato è autorizzato, stante l’urgenza degli interventi da realizzare, a dare corso alle misure previste anche nel periodo di attesa dell’approvazione del piano. Quindi, stante il tempo necessario per le prime mappature dei danni e per l’analisi delle esigenze del territorio, nel caso tardasse l’approvazione del piano (che potrà comunque sempre essere integrato e modificato a seconda delle esigenze), le misure più urgenti potranno e, di fatto, indispensabili, potranno essere comunque realizzate (pensiamo, per l’appunto, a edifici danneggiati che rischiano di crollare mettendo in pericolo la sicurezza delle persone).

Tutti gli interventi previsti dall’ordinanza sono automaticamente dichiarati urgenti, indifferibili e di pubblica utilità e, ove occorra, costituiscono variante agli strumenti urbanistici vigenti.

Altro compito del Commissario Delegato è quello di presentare una relazione d’intervento ogni tre mesi, con la quale sarà possibile monitorare i risultati raggiunti e le scelte compiute. Questa relazione è fondamentale per le attività di monitoraggio civico e per valutare se vi è corrispondenza tra le esigenze della popolazione colpita e quanto realizzato dalle Istituzioni.

Emergenza abitativa

Dopo aver già analizzato la prima misura che la Regione Sicilia ha preso per affrontare l’emergenza abitativa post-sisma (leggi l’articolo) e aver presentato un accesso agli atti per leggere la convenzione firmata dalla Regione e la Federalberghi (di cui, ad oggi, non abbiamo trovato traccia), l’ordinanza 566 prevede alcune misure specifiche proprio per affrontare il problema di chi oggi ha dovuto abbandonare d’urgenza la propria abitazione (perché inagibile o in attesa di perizie Aedes).

Il contributo di autonoma sistemazione – Cas

Come già avvenuto nel terremoto del centro Italia, fa la sua comparsa anche in questa emergenza il Contributo di Autonoma Sistemazione, una somma erogata dallo Stato finalizzata a consentire ai cittadini sfollati di trovare autonomamente una sistemazione temporanea (affitto, sistemazioni abitative autonome, noleggio container, ecc.).

Il CAS è uno strumento di prima emergenza. Ne ha diritto il cittadino che ha l’abitazione inagibile. Per abitazione inagibile è importante sottolineare come questa deve essere l’abitazione principale, abituale e continuativa, distrutta in tutto o in parte, oppure sgomberata in esecuzione di provvedimenti delle autorità competenti. È fondamentale quindi sottolineare come NON HA DIRITTO AL CAS il cittadino che ha la residenza nell’abitazione danneggiata. Ha diritto il cittadino (anche se non residente) che abitualmente viveva nell’abitazione danneggiata (sarà fondamentale tenere da parte, a titolo di prova, bollette, consumi, forniture di beni o servizi, bolle di consegna, raccomandate ricevute, e ogni tipo di documentazione che potrà provare il fatto che il cittadino viveva abitualmente in quella casa).

Il CAS viene riconosciuto per ogni NUCLEO FAMILIARE (compreso quello monofamiliare). E’ un diritto soggettivo, quindi se si rientra nelle condizioni sopra elencate si avrà automaticamente diritto a tale contributo e lo si potrà richiedere in ogni tempo.

Il CAS è concesso a decorrere dalla data indicata nel provvedimento di sgombero dell’immobile, e fino a che non si siano realizzate le condizioni per il rientro nell’abitazione, o si sia provveduto ad altra sistemazione avente carattere di stabilità, e comunque non oltre la data di scadenza dello stato di emergenza.

Il contributo di autonoma sistemazione è alternativo alla fornitura gratuita di alloggi da parte dell’Amministrazione regionale, provinciale o comunale (non si ha diritto al CAS se si viene trasferiti in albergo o in altre sistemazioni abitative i cui costi sono sopportati dalla Pubblica Amministrazione).

Il valore del CAS è:

– Nucleo monofamiliare (una sola persona): 400 euro

– Nucleo familiare composto da due persone: 500 euro

– Nucleo familiare composto da tre persone: 700 euro

– Nucleo familiare composto da quattro persone: 800 euro

– Nucleo familiare composto da cinque o più persone: 900 euro.

Qualora nel nucleo familiare siano presenti persone di età superiore a 65 anni, portatrici di handicap o disabili con una percentuale di invalidità non inferiore al 67%, è concesso un contributo aggiuntivo di € 200,00 mensili per ognuno dei soggetti sopra indicati, anche oltre il limite massimo di € 900,00 mensili previsti per il nucleo familiare.

Ad esempio, se nella abitazione danneggiata vivevano due persone di cui una ha 70 anni e invalida al 68 %, ogni mese verrà corrisposta a questa famiglia la somma di euro 900 euro (500 euro di base + 200 euro per il superamento dei 65 anni di età + 200 euro per l’invalidità non inferiore al 67%).

Container aree rurali

Al fine di consentire la prosecuzione delle attività economiche e produttive preesistenti, ai nuclei familiari la cui abitazione principale, abituale e continuativa ubicata in zone rurali sia stata distrutta in tutto o in parte, o sia stata sgomberata in esecuzione di provvedimenti delle competenti autorità, sarà possibile richiedere appositi container da installare in prossimità della medesima abitazione fino al ripristino dell’immobile e comunque non oltre la vigenza dello stato di emergenza.

La misura dei container, quindi, viene prevista solo e unicamente per le abitazioni inagibili ubicate in zone rurali, nulla prevedendosi al momento per quelle inserite in contesti urbani. La richiesta dovrà essere presentata immediatamente al Commissario (le modalità di richiesta, molto probabilmente, saranno oggetto di una successiva ordinanza).

Interventi immediati per danni lievi

Al fine di permettere nel più breve tempo possibile il rientro nelle abitazioni lievemente danneggiate, sono autorizzati dal Commissario Delegato interventi di riparazione e ristrutturazione entro i 25.000 euro. Entro sessanta giorni dalla pubblicazione ordinanza (quindi entro il 26 febbraio 2018), i soggetti interessati devono presentare la scheda AeDES dalla quale risulti che l’immobile abbia un esito B o C (esito che indica danni lievi), l’attestazione di deposito della CILA al Comune (Certificazione Inizio Lavori), una dichiarazione asseverata da parte di un professionista abilitato che documenti il nesso di causalità tra gli eventi sismici in argomento e lo stato della struttura, con l’individuazione dei danni e la valutazione economica degli interventi da effettuare. È importante sottolineare, comunque, che l’erogazione dei contributi sarà disciplinata con provvedimento del Commissario delegato, quindi al momento sarà necessario attende per sapere in quale modo e in quale tempo verrà corrisposta la somma dovuta al cittadino. Rientra, questo sistema, in una logica ragionevole proprio finalizzata a far rientrare il prima possibile i cittadini nelle case lievemente danneggiate. Quello che qui mettiamo in evidenza, comunque, è che gli interventi su edifici lievemente danneggiati non includono una perizia sismica sull’edificio (a differenza della ricostruzione c.d. pesante, ossia la ricostruzione degli edifici crollati o demoliti, che dovrà seguire le più aggiornate normative anti-sismiche). Pertanto, è importante essere a conoscenza del fatto che questo genere di interventi non garantiscono l’anti-sismicità degli edifici (soprattutto per eventi futuri).

Misure economiche per la popolazione colpita

Entro 60 giorni dalla data di emanazione dell’ordinanza (entro, quindi, il 26 Febbraio 2018) il Commissario Delegato dovrà presentare delle proposte di intervento con strumenti di assistenza economica alla popolazione colpita dal terremoto del 26 Dicembre 2018 per il sostegno al tessuto economico e sociale del territorio. Viene prevista la possibilità di riconoscere un contributo per il trasporto e il deposito dei beni mobili dei cittadini colpiti dal sisma non superiore a euro 1.500.

Sospensione dei mutui

È previsto che l’evento sismico del 26 dicembre 2018 costituisca causa di forza maggiore. Per tale motivo tutti i mutui relativi agli edifici distrutti o resi inagibili anche parzialmente, o per le attività economiche e commerciali svolte all’interno di tali edifici, possono essere sospesi, presentando formale richiesta all’Istituto Bancario con allegata un’auto-certificazione che specifichi come il danno subito dall’immobile sia direttamente connesso all’evento sismico.La sospensione è valida fino alla ricostruzione, all’agibilità o all’abitabilità dell’immobile. Può essere scelta la sospensione dell’intera rata di mutuo o della sola quota capitale (continuando quindi a pagare i soli interessi). Entro trenta giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza, le banche hanno l’obbligo di comunicare al pubblico la facoltà di sospensione del mutuo per tutti i cittadini che ne abbiano diritto. È importante sottolineare come la sospensione del mutuo sia una facoltà, quindi non avviene in modo automatico. Ogni persona interessata, rientrando nei requisiti previsti, dovrà, pertanto, attivarsi di sua spontanea volontà presso il proprio Istituto Bancario. La mancata presentazione della richiesta di sospensione, infatti, non impedirà alla Banca di continuare a incassare le varie rate (almeno fino a quando non venga presentata la richiesta).

Gestione macerie

I Comuni dovranno designare delle zone di deposito per i materiali derivanti da crollo e demolizioni. Tali siti saranno autorizzati al deposito delle macerie per sei mesi.

Tutte le macerie saranno classificati rifiuti urbani (in deroga alle leggi ordinarie) e saranno raccolte e trasportate dalle Aziende Pubbliche che hanno assegnata la gestione dei rifiuti urbani.

Non rientrano nei suddetti rifiuti le macerie derivanti da crollo o demolizione di beni storico-artistici o di interesse architettonico (per i quali il recupero dovrà avvenire mediante procedimenti separati finalizzati al ripristino, ove possibile, degli stessi beni immobili).

Non rientrano tra i rifiuti urbani le macerie nelle quali è presente amianto o ethernit, che dovranno essere gestite e rimosse secondo la legge ordinaria in materia.

Potranno essere, temporaneamente e in riferimento alla emergenza contingente, ampliate le capacità di trasporto e deposito negli attuali depositi di rifiuti urbani nelle aree colpite, in deroga alla normativa vigente.

Ancora non è stata specificata la differenza tra macerie private e pubbliche (o private ma incidenti in luogo pubblico). Tale distinzione è di per sé molto importante. Di fatto per quanto riguarda le demolizioni. Gli interventi pubblici di demolizione (come avvenuto in centro Italia), potranno riguardare solo gli edifici pubblici o le porzioni di edifici privati il cui stato puo’ determinare un rischio per la sicurezza pubblica (ad es. cornicioni di immobili privati che rischiano di crollare su una pubblica via). La gestione delle c.d. “macerie private”, al momento, non è stata ancora disciplinata. È molto probabile che venga inserita una disciplina specifica nel momento in cui sarà emanata una legge sulla ricostruzione.

Noi non smetteremo comunque di monitorare sia la produzione normativa post-emergenza, che le criticità che si verificheranno nel tempo nelle zone colpite, prevedendo aggiornamenti continui al presente vademecum.

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A cura dell’avvocato Riccardo Bucci, Alterego Fabbrica dei diritti