Home Blog Pagina 657

Riace non si arresta

sdr

Quando assunsi il mio impegno in una terra “di frontiera”, pensavo che il problema più grave da affrontare sarebbe stato quello delle mafie, della violenza diffusa. Invece no. Da due anni prosegue una storia di oppressione nei confronti dell’esperienza di Riace, iniziata quando nel ruolo di ministro degli Interni c’era una persona della nostra terra, di Reggio Calabria. Marco Minniti mi convocò al ministero dell’Interno, ma non lo incontrai fisicamente. Fu un gesto insensibile. Seduti ad un tavolo hanno deciso le sorti, Riace doveva finire in quel modo… Così come noi organizziamo – e non è semplice – la solidarietà, spazi di umanità, c’è chi opera, seduto nei suoi uffici, con strategie oppressive, per determinare risultati mortificanti.

Candidandosi ad aspirante segretario del Pd, Marco Minniti ha detto: «Sono dalla parte di Riace, sono dalla parte del suo sindaco». Vorrei capire che senso hanno quelle parole. L’autorità giudiziaria, ai tempi, avrebbe fatto bene a chiedergli come mai da ministro dell’Interno faceva accordi con i capi clan della Libia per rinchiudere le persone. Ha cominciato la guerra alle ong, alle organizzazioni umanitarie, a progetti che in ogni caso davano speranza, trasmettendo l’idea che l’accoglienza dei migranti non è assolutamente un problema. Ciò che è successo a Riace poteva benissimo succedere in tantissime realtà, non solo della Calabria ma dell’Europa. E allora, come mai dopo un anno pronuncia quelle parole? Lo fa, ovviamente, per propaganda, perché cerca di trovare spazi politici, nonostante abbia contribuito certamente ad opprimere l’esperienza di Riace. Immagino che Minniti sapesse tutto quando venne disposto il blocco dei fondi al nostro Comune, quando c’erano le indagini della procura. E non ha detto nulla. Non ha fatto nulla. Allora vuol dire che un anno fa non facevamo nulla di così grave, altrimenti avrebbe dovuto denunciarlo pubblicamente. È interessante analizzare queste parole. Indicano che Minniti era perfettamente cosciente che a Riace non ci fosse nulla di grave.

Come ministro ha spianato la strada all’attuale deriva della nostra società, a questo decreto Salvini che possiamo definire il “decreto della disumanità”, e che già ha prodotto i suoi effetti. Basta vedere cosa è successo a Crotone: da l momento che chi ha la protezione umanitaria non può più stare nei centri di accoglienza Sprar, diverse persone sono state lasciate per strada e tra loro anche una bambina di sei mesi. Che senso ha? Di cosa parliamo? Quel ministero è un ministero della disumanità. Non ci sono dubbi…

Ma io ho una speranza, che sia possibile fare di nuovo di Riace quel paese che porta l’aura di un sogno possibile. Nel frattempo io sono stato prima indagato per due reati, tra cui favoreggiamento della immigrazione clandestina. Quando è hanno fatto il decreto Minniti Orlando, che riduceva la possibilità di ricorrere ai dinieghi delle commissioni per il riconoscimento dello status di rifugiato, noi avevamo tantissime persone a Riace. C’erano tantissimi ragazzi della Nigeria, che non avevano ricevuto un diniego solo ma ben due (non era più possibile averne tre, come prima). E volevano in qualsiasi modo evitare di tornare nei loro Paesi di origine, dove si erano lasciati dietro un inferno. Magari si erano indebitati per tutta la vita, per cercare una soluzione. E qualcuno di loro avrebbe voluto sposarsi, è vero, per ottenere il certificato di matrimonio, e quindi il permesso di soggiorno per motivi familiari. Io celebrai solo un matrimonio. E se ho fatto qualcosa è perché ho visto l’orrore nei loro occhi di fronte alla prospettiva del loro ritorno nel Paese d’origine. Un gesto del genere non può mai essere messo sullo stesso livello di un accordo coi capi clan della Libia per impedire alle persone di arrivare in Italia. Simona ha nominato una ragazza nigeriana vittima delle politiche disumane di cui ho parlato. Questa ragazza, Becky Moses, era stata “diniegata”, le era stata rifiutata la domanda di asilo. Lei non ha pensato di sposarsi, bensì che l’unica soluzione alla sua vita fosse quella di trasferirsi nella tendopoli di San Ferdinando nella piana di Gioia Tauro. Il 26 gennaio 2018 è morta bruciata viva, tentava di riscaldarsi, perché faceva freddo quella sera. Chi sono i responsabili? Perché non c’è stato un processo, perché non è stata aperta una inchiesta, che valore ha la vita degli esseri umani?

Aggiungo che sono stato accusato anche di aver concesso carte d’identità false. Anche Becky era arrivata in municipio per rinnovare il suo documento, che aveva smarrito in pullman. Il 23 dicembre 2017, io gliel’ho rifatto. Pochi giorni dopo è morta. Quella carta di identità con la mia firma, per una strana coincidenza è rimasta per terra, vicina alla sua capanna bruciata fatta di plastica. Sono orgoglioso di averla fatta, quella carta di identità. Nella stessa zona, a poca distanza da Riace, un ragazzo si batteva per i diritti sindacali dei braccianti impegnati nella piana di Gioia Tauro. È morto ammazzato, lo scorso giugno. “Dobbiamo poterci fare giustizia con le nostre mani” si dice oggi. E così, qualcuno ha pensato bene di uccidere Soumaila Sacko, perché avrebbe tentato di rubare un pezzo di lamiera per rinforzare la capanna in cui viveva, e far scivolare via l’acqua sul tetto. È stato ammazzato, Soumaila Sacko. Questi giovani vengono in Italia per vivere, e noi li facciamo morire.

Anche un altro ragazzo, di soli 18 anni, è morto bruciato vivo nella tendopoli di San Ferdinando, ad inizio dicembre. Ma vi rendete conto? E le stesse persone che sono state così attente a tutti gli aspetti burocratici, a individuare anche se mancava un timbro, quelle persone che hanno portato alla chiusura dell’esperienza di Riace e anche alla mia personale situazione giudiziaria, infliggendo quelle che per me sono mortificazioni dell’anima, ecco quelle stesse persone lasciano invece operativo il centro di San Ferdinando. A tutt’oggi, mentre noi parliamo.

*

Dall’intervento di Mimmo Lucano al Teatro Palladium di Roma, durante la serata di lancio della candidatura di Riace al Nobel per la pace 2019, promossa tra gli altri da Left, Re Co Sol e VIII Municipio di Roma

Per sostenere l’iniziativa leggi e firma qui

L’editoriale di Mimmo Lucano è tratto da Left in edicola dal 28 dicembre 2018


SOMMARIO ACQUISTA

Chi è stato Carlo Maria Maggi, fascista e mandante della strage di Brescia

Fiori in piazza Della Loggia a Brescia dopo l'attentato in una foto d'archivio. Il pm di Brescia al processo per la strage di piazza della Loggia ha chiesto quattro condanne all'ergastolo e un'assoluzione. Ergastolo per: Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Francesco Delfino e Maurizio Tramonte. Assoluzione, invece, per Pino Rauti. ANSA

Carlo Maria Maggi è morto nella sua Venezia il giorno di Natale. Condannato all’ergastolo il 20 giugno dello scorso anno, il mandante della strage di piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974, 8 morti e 102 feriti) si è spento dopo una lunghissima malattia a ottantatré anni.

In realtà, diversamente da Maurizio Tramonte, di quella condanna non ha scontato un solo giorno di carcere. Da sempre in precarie condizioni di salute per una neuropatia congenita, ha trascorso gli ultimi anni di vita in sedia a rotelle agli arresti domiciliari. Finito sotto inchiesta a Brescia nella prima metà degli anni Novanta, Carlo Maria Maggi, fondatore di Ordine nuovo e capo della cellula del Triveneto del partito di ispirazione fascista, era sopravvissuto ai processi di primo e secondo grado per la strage di piazza Loggia. Prima assolto dalla Corte d’Assise nel 2010, il 21 febbraio 2014 la Corte di Cassazione annullò le assoluzioni di Maggi e Tramonte. Venne così istruito un nuovo processo d’appello solamente per questi ultimi due. Il 22 luglio 2015 Maurizio Tramonte e Carlo Maria Maggi vengono condannati all’ergastolo. Il 20 giugno 2017 la Corte di Cassazione conferma in via definitiva la condanna a vita per entrambi. I presunti responsabili oggi non sono più solo presunti. C’è la certezza processuale e definitiva che la matrice dell’attentato sia stata ordinovista. Per i giudici Maggi non si limitò a volere la strage, piuttosto procurò l’esplosivo che poi venne affidato a Carlo Digilio e Marcello Soffiati. Quell’ordigno, nascosto in un cestino dei rifiuti, esplose durante una manifestazione antifascista contro il terrorismo nero.

Classe 1934, medico di base nell’isola della Giudecca e in precedenza all’ospedale geriatrico Giustinian di Venezia, Maggi fu membro in passato dell’Msi, da cui però venne espulso a fine anni Sessanta proprio per i suoi presunti legami con il terrorismo fascista. Più volte colpito da ordine di arresto, ricordiamo poi i dodici anni inflitti per la strage di Peteano o quella a nove per la ricostituzione del partito fascista. Venne in seguito due volte assolto per la strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969, 17 morti, 88 feriti) e per l’attentato alla questura di Milano (17 maggio 1973, 4 morti, 52 feriti). «Muore una persona malata da tempo, che ha sofferto per molti anni. Di fronte a ciò il rispetto è doveroso», ha commentato diplomatico Manlio Milani, presidente dell’Associazione familiari delle vittime di Piazza della Loggia. Milani è però fermamente convinto che Maggi non abbia detto tutta la verità: «Avrebbe potuto fare maggiore chiarezza sullo stragismo nero in Italia». A proposito di anni bui e strategia della tensione in Italia, recentemente il presidente è intervenuto criticando apertamente la ricostituzione di Avanguardia nazionale a Brescia: «Mentre la città si è interrogata facendo autocritica, in quelle cene fasciste troviamo la volontà di riproporre identità che il tempo non deve cancellare».

Attualmente, per la strage di piazza della Loggia, Maurizio Tramonte è dunque l’unico colpevole ancora in vita. L’ex infiltrato dei servizi segreti si trova in cella a Fossombrone dopo aver cercato di fuggire in Portogallo poco prima dell’ultima sentenza. Resta infine aperto un nuovo filone d’inchiesta, quello che conduce a due veronesi, all’epoca giovanissimi. Roberto Zorzi e Marco Toffaloni, entrambi residenti da tempo all’estero. Procura ordinaria e minorile si preparano a chiudere l’inchiesta, sebbene siano ancora tanti, forse troppi, gli aspetti ancora da chiarire.

Il panettone amaro

Mi si perdoni se interrompo il coito festivo con una notizia che arriva da Marnate, provincia di Varese, e che fotografa il Paese reale, quel feticcio che tutti sventolano per rinchiudere gli avversari nel recinto della casta e che invece andrebbe analizzato con serietà, costanza e coscienza.

A Marnate la Hammond Power Solutions produce trasformatori ad alta tensione. Fino a sei anni fa si chiamava più prosaicamente Marnate Trasformatori e, come tante aziende del territorio, aveva trovato ossigeno con la nuova proprietà canadese. Prima della chiusura natalizia i rappresentanti dei dipendenti avrebbero dovuto incontrare la proprietà per firmare il miglioramento del proprio contratto, dal “Confimi” al Federmeccanica CCN Nazionale. Avrebbe dovuto essere un buon Natale, insomma, per quelle quaranta famiglie.

Alle 14 di qualche giorno fa i dipendenti hanno ricevuto l’abituale cesto natalizio. In fondo, che si creda o meno, a Natale non si spera tanto che vada bene l’anno che verrà, si confida almeno che vada meglio. Basta quello. Due ore dopo i dipendenti hanno ricevuto invece l’annuncio di “cessazione attività”, alle quattro del pomeriggio. Cessazione attività è il modo elegante con cui ti scrivono che non servi più, che c’è qualcun altro in giro per il mondo che costa meno di te, in uno Stato che offre di più. I trasformatori sono solo un particolare irrilevante, quando il lavoro è solo una riga tirata dritta sotto ai costi e ai benefici.

Il gruppo è quotato alla Borsa di Toronto, è leader di mercato nel Nord America e ha stabilimenti nel mondo anche negli Usa, Messico e India. Se la produttività è l’unico comandamento diventa difficile immaginare la filiale di Marnate, probabilmente.

In questa storia c’è anche tutto il tempismo irrispettoso con cui le aziende ormai vomitano i propri licenziamenti: «un fulmine a ciel sereno», ha detto il sindaco. Succede sempre così. Licenziamenti inaspettati, come se fossero un accidente della vita che ci meritiamo. A posto così.

È una storia minima ma è fatto di piccole storie così il Paese che se ne fotte della retorica, del cattivismo, dei benpensanti e dei profeti della finanza interplanetaria. Sono questi a cui mancano le risposte, il futuro e la rappresentanza. L’augurio a loro, e a noi, è che l’anno che viene porti una rappresentanza a loro. A noi.

Buon giovedì.

Sotto l’albero, favole e racconti illustrati, per crescere

È fortunatamente in crescita già da qualche anno l’editoria per ragazzi. L’attenzione alla letteratura per l’infanzia sembra, e ce lo auguriamo, ritornare portatrice di novità, se ha, come dovrebbe, l’obbligo di essere altissima, poiché è lettura non solo di semplice intrattenimento, ma anche di formazione. Proprio per questo non ha senso svilirne il linguaggio e impacchettarlo con tenero infantilismo. Dovremmo invece rimanere aperti alla conoscenza delle grandi favole del passato, guardando al presente e prestando ascolto a quelli che sono i sogni e i desideri. Merito quindi a quegli editori che propongono libri che animano sentimenti e valori universali, capaci di farsi leggere e rileggere, e di lasciare un segno nella memoria individuale e collettiva.

I bambini credono a Babbo Natale, ai maghi, alle fate, ad un mondo avventuroso e di fantascienza e non gli interessano le recensioni, non leggono per parlarne tra loro al bar e non vanno chiedendo qual’è il libro che cambierà qualcosa nella loro vita, lo sanno trovare. Quale deve essere allora il nostro compito di ricercatori, genitori, insegnanti ed educatori? Essere appassionati e consapevoli di ciò che si legge e si scrive, sbrogliando e articolando insieme, continuando e proponendo una incessante ricerca ai ragazzi e alle ragazze senza rimpicciolire la loro prospettiva, anzi allargandola a tutte le materie e conoscenze, sollecitando sempre nuove curiosità.

La letteratura per ragazzi ha nel tempo assunto una forma che può essere una sua forza. Viene proposta oggi con espressioni anche molto diverse fra loro. C’è la fiaba tradizionale e favola reinterpretata, l’albo illustrato, la raccolta di poesie o filastrocche, la graphic novel, i libri design con cui giocare.
Le case editrici che si occupano di letteratura per ragazzi mantengono viva l’indagine e le competenze alimentando un motore di ricerca continuo. Una tra le piccole e giovani è Il Barbagianni Editore. Nasce nel 2012 da tre soci provenienti chi dal giornalismo, chi dal teatro e chi dal cinema, «attività che tuttora svolgiamo», racconta Marta Buzi, tra i fondatori.

«In quest’epoca tecnologica – aggiunge – ci siamo proposti di riavvicinare i bambini alla carta stampata. La passione scoperta insieme per la letteratura sull’infanzia e la convinzione che questi libri creino un punto di contatto tra grandi e piccoli attraverso parole e immagini portatrici di bellezza hanno fatto il resto».

Come avviene il lavoro di ricerca per la scelta delle uscite. Sono tutte italiane o anche estere?
Ci sono scelte italiane ma anche estere e nel nostro caso variamo dalla prosa alla poesia fino ad arrivare ai giochi a schede, con cui siamo nati (L’Inventafavole è un piccolo prodigio che da sei anni è il nostro long-seller). Nel caso di titoli tradotti dall’estero facciamo un’ulteriore ricerca e la scommessa sta nel credere che quel libro sia veramente unico e che valga la pena farlo conoscere. Il 2018 ha visto la pubblicazione dei nostri primi due titoli tradotti. Il primo è stato Else-Marie e i suoi sette piccoli papà una storia diverte e insolita raccontata in modo delizioso. È un albo, scritto e illustrato dalla svedese Pija Lindenbaum negli anni Novanta. La voce che accompagna la narrazione è quella della giovane protagonista Else-Marie, ragazzina dall’aspetto un po’ buffo, ma che con semplicità ci racconta di avere sette piccoli papà, tutti uguali tra loro, molto indaffarati e che per questo passano parecchio tempo fuori casa, quasi tutta la settimana, perché sono uomini d’affari. La scelta di questo libro è avvenuta non solo per le bellissime e calde illustrazioni, ma soprattutto per aver capito con quale acutezza l’autrice avesse saputo raccontare, attraverso gli occhi di una bambina, una situazione che con fantasia e leggerezza ci chiarisce il suo rapporto coi genitori e il pensiero, che ci capita spesso di avere e soprattutto in quegli anni, nel sentirsi diversi dagli altri.

E il rapporto con gli autori e gli illustratori come avviene?
Di solito ci appassioniamo ad un testo o a un’idea che poi affidiamo al lavoro di un illustratore e a un grafico seguendoli passo passo. La magia avviene quando il progetto prende forma sotto i nostri occhi, sorprendendoci.

Avete un rapporto diretto con le scuole e gli insegnanti? Ci sono stati o ci saranno dei progetti che li coinvolgono?

Abbiamo iniziato a fare laboratori nelle scuole con il libro Un piccolo Re in un mare di parole. L’autrice Vittoria Busatto è un ex-insegnante, ha scritto questa storia dedicata ai bambini di 6-7 anni ed ha come protagonista un re imbranato e un po’ ignorante che deve imparare i fondamentali della grammatica italiana. È un libro che riscuote sempre un grande successo e nasce proprio tra i banchi di scuola, dalle domande dei bambini e le risposte dei loro maestri sulle regole grammaticali, anche per questo viene utilizzato da questi come strumento di supporto alla didattica. Inoltre organizziamo incontri con gli autori in alcune biblioteche del Lazio, Emilia Romagna e Toscana e notiamo con piacere quanto i ragazzi si appassionino ancora di più a un libro quando possono conoscere direttamente lo scrittore ponendogli delle domande tutte loro, che non hanno filtri.

Quale libro consigliate per queste feste e quale, come editori, consigliereste di far leggere o di leggere ai bambini?

Sicuramente Mentire alle stelle che è il secondo libro straniero, nonché il nostro primo titolo di narrativa per ragazzi (dai 10 anni), e lui che inaugura la collana “Le uova”, che abbiamo scelto di chiamare così per simboleggiare tutto ciò che è contenuto potenzialmente in un individuo perché le uova possono sembrare diverse a volte per colore ma dentro sono uguali, e poi per la fragilità e la resistenza che sono caratteristiche dell’inizio di ogni nuova fase della vita.

L’arte americana nata dall’immigrazione

Fra la metà degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta, a New York «cominciò a emergere un’estetica astratta del tutto inedita», scrive Jane Panetta nel catalogo della mostra Pollock e la scuola di New York aperta fino al 24 febbraio nel complesso del Vittoriano a Roma.

L’espressionismo astratto elaborato dagli artisti della cosiddetta scuola di New York rappresentò una novità assoluta nel razionalissimo e attardato panorama figurativo dell’arte made in Usa. L’intensità poetica delle opere di Rothko, la pittura gestuale di Pollock, la ricerca sull’arte “primitiva” di Motherwell e di altri rappresentarono una ventata imprevista e trascinante. La mostra romana curata da Luca Beatrice con prestiti dal Whitney Museum di New York, fondato nel 1931 da Gertrude Vanderbilt Whitney, ne ricostruisce il ruolo cardine nello sviluppo della nuova arte nordamericana e nel far conoscere le opere non solo degli artisti fin qui citati ma anche di Gottlieb, de Kooning, Reinhardt, Pousette-Dart, Baziotes ecc.

Pollock

Questa retrospettiva, soprattutto, mette bene in luce l’influsso che ebbe sui giovani artisti americani «la crescente presenza degli artisti emigrati giunti dal vecchio continente».

Su Pollock, per esempio, esercitò grande influenza Max Ernst che gli insegnò la tecnica del dripping (nata nell’ambito della scrittura automatica surrealista che enfatizzava il ruolo della casualità). Ma figure chiave, sottolinea Jane Panetta, furono anche Arshile Gorky, autore di astrazioni biomorfe che influenzarono il più giovane de Kooning e Hans Hofmann «la cui profonda comprensione dell’astrazione e del surrealismo europei ebbe un impatto significativo su molti degli artisti presenti in mostra». Che il surrealismo abbia esercitato un’influenza positiva sarebbe da discutere. Ma quel che ci interessa qui è l’effetto rigenerante e lo scambio di esperienze che arrivò con l’ondata di migrazione forzata dall’Europa di cui furono protagonisti artisti d’avanguardia di diverso orientamento. Non solo apportarono nuova linfa alla esangue cultura americana, ma alcuni di loro seppero trasformare l’esilio in nuovo inizio, riuscendo a sviluppare la propria poetica.

È questa la tesi di fondo del lavoro di Maria Passaro Artisti in fuga da Hitler. L’esilio americano delle avanguardie europee (Il Mulino), libro affascinante nei capitoli in cui racconta come l’incontro con culture diverse possa produrre qualcosa di inaspettato e originale. Certo non fu facile, alle spalle molti di loro avevano l’immane tragedia prodotta dal nazifascismo. E ne erano stati profondamente segnati. Maria Passaro ricostruisce anche le vicende personali di Kandinskij, Klee, Albers, traumatizzati, spaesati e increduli di fronte al feroce ostracismo di cui furono vittime e allo stigma che si ritrovarono addosso quando furono bollati come “artisti degenerati”. Il 30 gennaio del 1933 Hitler ordinò la chiusura del Bauhaus dove avevano insegnato Kandinskij, Klee, Albers, Feininger, Schlemmer e Moholy-Nagy e molti altri artisti e intellettuali progressisti. Quando Kandinskij scoprì di essere nella famigerata lista rossa, si trovò costretto a fuggire. Accettò di affittare un appartamento a Neuilly con la moglie Nina, su consiglio di Duchamp. All’epoca Parigi era uno dei centri artistici più vivaci d’Europa e molti artisti in cerca di salvezza dal nazismo vi trovarono rifugio in un primo momento. Altri andarono dapprima in Inghilterra, la gran parte poi si trasferì Oltreoceano. Kracauer, Ernst, Lipchtz Chagall, ma anche Stravinsky, Bartok, Schönberg furono tra i moltissimi a imboccare quella strada. Tra il 1933 e il 1941 circa 25mila rifugiati arrivarono negli Usa. «I casi più disperati erano coloro che per decreto nazista erano stati privati della nazionalità, gli apolidi, non avevano passaporto legale ed erano a rischio di arresto dalla Gestapo», scrive la storica dell’arte dell’università di Salerno.

Gli artisti additati dal nazismo come “degenerati” videro le loro creazioni cacciate dalle sale dei musei. Si calcola che 16mila opere d’avanguardia siano state messe all’indice, molte di esse furono esposte insieme a testimonianze di malati di mente nella mostra Arte degenerata (Entartete Kunst) nel 1937; furono messe alla berlina perché rompevano l’antico ordine classico e il marmoreo canone accademico, e indicate come segno di «degenerazione» culturale ed espressione della regressione e del degrado mentale dei loro autori. Molte di quelle opere d’avanguardia furono successivamente mandate al rogo. Molte altre furono vendute sottobanco («speriamo di fare un po’ di soldi con questa spazzatura», disse Goebbels). Nel libro di Passaro questi fatti tragici sono accuratamente ricostruiti ma poi quando la studiosa si addentra nella ricostruzione della genesi del termine “degenerazione” finisce a sua volta per cadere nel falso mito di “arte e pazzia”. Come abbiamo scritto anche in altre occasioni la condanna nazista di “arte degenerata” applicata ad opere che non rispettavano la figurazione razionale fu tematizzata da Max Nordau nel libro Entartung (1892) e ha trovato diffusione tramite gli studi di Morgenthaler che – come Lou Salomé, allieva di Freud e altri – pensava erroneamente che la spinta creativa dipendesse da stati psicotici. Oltre a Morganthaler anche Prinzhorn contribuì a creare il falso nesso tra arte e pazzia. Per dieci anni lo psichiatra svizzero si dedicò allo studio dell’opera e della vita di un suo paziente Adolf Wölfli internato nel 1895 come schizofrenico e criminale-pedofilo. Passaro lo riporta puntualmente ma poi non trae le conseguenze di ciò che ha scritto, forse per fedeltà a una ideologia biblica e freudiana che considera l’inconscio inconoscibile e non distingue fra la distruttività della malattia mentale e la creatività e la bellezza dell’inconscio sano.

In fuga dalla dittatura di Salazar. Con lo sguardo di una bambina

Dal film Menina

Di migranti si parla da anni, di queste masse enormi che si spostano ormai in quantità e modi imprevedibili, spesso con esiti drammatici. Respingimenti in aumento, accoglienza sempre più rara. Questo possiamo leggere sui giornali dove le parole emigrante ed immigrato sono ormai sostituite da quest’unica parola, migrante, che da l’idea di un viaggio senza un punto di partenza ed uno di arrivo, una condanna da girone infernale. Anche il cinema, ormai da tempo, entra in argomento, fornendoci spesso chiavi di lettura delle reazioni di chi deve confrontarsi quotidianamente con un’altra cultura. La proiezione di Menina, di Cristina Pinheiro, avvenuta al 40 Festival cinema e donne 2018 ( in precedenza alla Festa del cinema a Roma per Alice nelle città ndr), esamina il vissuto di Luisa, una bambina (menina in Portoghese) di 10 anni, magistralmente interpretata da Naomi Biton. Ispirato alla vita della regista, di famiglia portoghese, emigrata in Francia, a Port-Saint-Louis-du-Rhône, in Provenza durante la la dittatura di Salazar, questo lungometraggio di esordio, molto apprezzato dalla critica internazionale è stato accolto in sala da applausi al buio, seguiti da un denso silenzio all’apertura delle luci, quando in un festival ci si aspetta l’inizio del dibattito. A indicare che la parola, sul momento, non poteva competere con la potenza delle immagini.

La narrazione è affidata alla ragazzina, che con il padre ha un bel rapporto. Quando sei amata così intensamente, la lotta per la vita è spontanea e le avversità non scalfiscono la fiducia. Tutt’altro discorso il suo rapporto con la madre. Alle domande senza risposta che Luisa fa alla madre, non segue la rabbia. Come un vecchio saggio Menina accetta che la strada della ricerca è lunga. Le risposte comunque verranno. Ha solo 10 anni, ma il suo sguardo vede profondo. E’ l’unica della famiglia nata in Francia. Con compagne e compagni di classe è in buone relazioni, gioca e lavora con loro alla pari. Corregge la madre quando sbaglia il Francese. Si presenta allo spettatore come Francese, di famiglia portoghese. Così, senza drammi.

Una freschezza che sa molto di verità, perché la sua emigrazione, supportata dall’ istruzione ottenuta in Francia, di cui conferma a noi il suo ottimo giudizio, ne ha fatto una regista affermata. Merito anche, lo deduciamo dal film, del rapporto con un padre speciale, João Palmeira interpretato da Nuno Lopes

Diverso è il vissuto dei genitori e del fratello. Quest’ultimo da del voi al padre, parlandogli con formale rispetto, che rivela una sua educazione portoghese, meno libera. Anche la madre e il padre non riescono a compenetrare le due culture, perché predomina fortissima la nostalgia di ciò che sono stati costretti a lasciare. La Pinheiro vuole dare l’idea di un esilio, e infatti è riuscita a fotografare scenari che costituiscono un non luogo, una sorta di isola. Solo all’inizio si vedono strutture d’acciaio e ciminiere contro un cielo notturno, che poi scompaiono, sostituite da prati, spiaggia, muri e mare. Paesaggi di sole, ma senza storia.Il film descrive le difficoltà degli immigrati e la sofferenza, ma insieme rivela che la protagonista non ne è danneggiata e ciò di cui soffre non è direttamente legato all’esilio dei suoi.

Viene da confrontare Luisa con il dodicenne Samuele, di cui ci parlava il famoso documentario di due anni fa, Fuocoammare di Gianfranco Rosi. Un confronto basato sull’età, perché le ambientazioni distano temporalmente una quarantina di anni e perché la situazione di Samuele è capovolta. Non è lui il migrante. Eppure, per il fatto che vive a Lampedusa, piccola isola soggetta a continui sbarchi e all’arrivo di natanti i cui passeggeri non sempre sono ancora vivi, sembra sentire un’indefinita minaccia. Vive in un mondo ovattato, tenuto lontano dai suoi da quel turbine di arrivi all’isola. Tuttavia soffre il mal di mare e intraprende battaglie a suon di spari con l’orizzonte, e i suoi momenti di svago non sono sulla spiaggia. Va in cerca di uccellini nei nidi nascosti fra le fronde degli alberi. Quasi sapesse che dal mare deve difendersi, per vivere l’adolescenza con la serenità cui ha diritto. Dal film sembra prorompere un monito: finché non si creeranno le condizioni per una possibilità di vita per tutti, nessuno può stare bene, neppure quelli la cui vita non è minacciata.

Il capitalismo spiegato bene (grazie ai biscotti gratis di un Freccia club)

Sempre più spesso mi capita di interrogarmi sulla trasformazione degli spazi aperti al pubblico, e in particolare sulla metamorfosi dei posti a sedere di cui dispongono. Panchine, pensiline, sgabelli. Beni in teoria elementari per qualsiasi luogo frequentato da esseri umani, ma sempre più spesso mercificati e venduti a caro prezzo.

Ecco, alle 19.20 della vigilia del Sol invictus, la mia ricerca da antropologo dilettante compie un traguardo storico. Grazie alla Cartafreccia argento, “generosa” ricompensa di Trenitalia per le migliaia di euro che le ho elargito negli ultimi anni, sono potuto entrare in un esclusivo Freccia Club a Roma Tiburtina.

Una sala riservata per utenti qualificati. È vuota (come tutte le location luxury), ci sono tavoli, divani, maxischermo, quotidiani, bibite e caffetteria a cui accedere gratis (non male il caffé marocchino erogato da una specie di astronave coi bottoni collegata al wifi, accompagnato da croccanti biscotti al cioccolato da pucciarci dentro), e wc a disposizione. Quest’ultimo non è un dettaglio banale, perché nei terminal gestiti da Grandi stazioni si sborsa anche per andare al bagno. E anche per sedersi, visto che ogni giorno di più in questi luoghi viene scientificamente rimosso qualsiasi tipo di arredo dotato di una forma che renda anche solo vagamente ipotizzabile l’eventualità di appoggiarvi sopra le natiche, ovviamente a meno che questo gesto non implichi l’obbligo tassativo di consumare beni o servizi.

Qui dentro invece è tutto free. Ben due impiegati educatissimi si occupano della customer care (cioè di me, perché ci sono solo io), e mi ricordano che se voglio posso prendermi anche una cochina fresca, se mi venisse sete poi in treno.

Ecco, da dentro, questo salotto ha tutte le parvenze di un’oasi. E non tanto per il comfort che c’è dentro, che alla fine ‘sticazzi, ma per il deserto che c’è fuori. Le principali stazioni italiane (e non), da sempre laboratorio privilegiato dove sperimentare gli ultimi ritrovati della cosiddetta “architettura ostile” (panchine con braccioli anti dormita, muretti con spunzoni anti clochard, ecc.), sono diventate vetrine chic in cui il potere economico affina la sua capacità di espellere i poveri, di allontanarli da uno spazio un tempo crocevia accogliente per tutti. Anche (e soprattutto) per chi non aveva un posto fisso in cui abitare.

Gli oggetti su cui ci si può sedere liberamente nelle più importanti stazioni italiane infatti sono sempre meno, pattuglie di guardie private sorvegliano h24 affinché nessun soggetto “indecoroso” osi sdraiarsi (l’unica postura ammessa gratuitamente, oltre allo stare in piedi, dall’arredo a disposizione) e la mattina presto fanno sloggiare i senzatetto che affrontano la notte all’esterno degli edifici blindati, tra i cartoni. Per loro anche bere gratis è un’impresa. Perché i bagni di frequente hanno i tornelli, mentre i binari sono spesso murati da gate oltrepassabili solo se si esibisce il titolo di viaggio (vedi Termini, Milano centrale, Santa Maria Novella, ecc.).

Se tutto ciò accade, è anche perché dal 2016 i più grandi centri ferroviari italiani non sono più luoghi gestiti direttamente da Ferrovie dello Stato italiane (Fsi), dopo lo scorporo di Grandi stazioni in Gs Rail, Gs Immobiliare e Gs Retail, e la concessione di questa ultima società – che gestisce spazi commerciali, servizi igienici e co. – ad una cordata di privati. Uno scorporo avviato dall’Amministratore delegato di Fsi Michele Mario Elia, nominato sotto il governo Letta (Pd), e ultimato dal suo successore Renato Mazzoncini, voluto dal premier Renzi (Pd).

Nelle pertinenze di quelli che assomigliano sempre più a grandi centri commerciali, ai mendicanti è concesso chiedere l’elemosina, sempre che non esistano ordinanze che lo proibiscano, ma facendo bene attenzione a non «porre in essere condotte che limitano la libera accessibilità e fruizione» degli spazi. Una circostanza punibile col Daspo urbano inventato da Minniti e Orlando (Pd) in determinate aree della città – come le stazioni – da poco estese da Salvini (che vi ha inserito anche gli ospedali. Si, avete letto bene).

Un sadico percorso ad ostacoli per gli esseri umani più vulnerabili messo in scena quotidianamente, nei maggiori poli ferroviari.

Si, ma qui a Tiburtina è diverso. Qui c’è di più. Fuori, a pochi passi da questo lounge, c’è il Baobab. O meglio, ciò che resta dello storico presidio di volontari che tenta di dare servizi minimi ai migranti transitanti che dormono nel cemento e sull’asfalto, a piazzale Maslax, dopo i ventidue sgomberi degli ultimi tre anni (VENTIDUE). L’ultimo il mese scorso, il 13 novembre. Uno scempio ormai divenuto quasi routine, normalizzato, per cui a scandalizzarsi non sono rimasti in molti, nella Roma dove si continua a buttare gente in mezzo alla strada (vedi l’operazione all’ex fabbrica della Penicillina del 10 dicembre).

Ecco, tutto ciò per dire che se durante ‘ste feste mi trovassi a dover spiegare ad un bimbo cos’è il capitalismo e quanto faccia schifo, credo che gli parlerei dei Freccia club. Dei divanetti in similpelle rossa tirati a lucido e completamente vuoti la vigilia del Sol invictus (festa che, come noto, rende tutti più stronzi) e dei cappuccini gratis riservati a chi può permettersi treni Freccia sempre più costosi (mentre regionali e Intercity, ossia i cosiddetti servizi pubblici, sono ormai quasi un lontano ricordo). E poi del gelo umido che entra nelle ossa di chi non ha nulla e dorme lì fuori, dei 22 sgomberi del Baobab, dei Daspo inventati dal Partito democratico, dell’accanimento sempre più feroce contro gli ultimi.

Ma poi gli spiegherei anche che il Baobab experience, nonostante tutto, resiste. Come tante altre realtà solidali, sparse nello Stivale. E che prima o poi verranno smontate, le porte di quei Freccia club. Perché, se lo può capire anche un bambino che il capitalismo fa schifo, lo possono capire tutte e tutti.

Buone feste

La stangata mascherata: tagli e regali di una legge di bilancio votata al buio

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (S) e il ministro all'economia Giovanni Tria all'interno del Senato della Repubblica al ternine della relazione sulla manovra finanziaria, Roma 19 dicembre 2018 ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Dice Matteo Salvini, alla sua prima vigilia di Natale da vicepremier, che questa è una manovra «che parte dalla riduzione delle tasse, non per tutti ma per tanti, dal diritto alla pensione. Dal diritto al lavoro, allo studio, aiuta i poliziotti, gli artigiani e i commercianti. Senza fare miracoli sono contento di una manovra che rimette migliaia di euro nelle tasche degli italiani». Sarà vero?

Il lungo “tira e molla” tra il governo italiano e la Commissione europea si è concluso senza rotture, senza l’apertura della procedura di infrazione per l’Italia, all’insegna del compromesso, con significativi passi indietro del governo ma anche con indicatori finanziari lontani dalle strettoie del fiscal compact. L’asticella del deficit annuale scende dal 2,4 al 2%, la manovra è stata largamente riscritta, l’Italia resta sotto sorveglianza speciale e presto ci saranno nuove verifiche sull’applicazione reale delle misure definite.

L’accordo di Bruxelles obbliga il governo italiano a tagliare di 10 miliardi la legge di bilancio congelando altri due miliardi per coprire sfondamenti imprevisti, a ridurre, sulla base di evidenti dati obiettivi, le previsioni di crescita dall’1,5% all’1%, a prevedere un rapporto deficit/pil per il 2019 del 2% per scendere poi all’1,8% nel 2020 e al 1,5% nel 2021, a introdurre più pesanti clausole di salvaguardia che passano nel 2020 dalla prevista cifra di 13,7 miliardi a 23,1 miliardi e nel 2021 da 15,5 a 28,7 miliardi. Questi soldi (52 miliardi in tre anni) devono saltare fuori in altro modo oppure le aliquote dell’Iva, quella agevolata e quella ordinaria, schizzeranno verso l’alto, la prima al 13%, la seconda al 25,2% e poi anche al 26,5%.

E ai tagli materiali si sommano quelli di democrazia: questa legge di bilancio, la principale legge di un Paese, non ha avuto alcuna discussione, neanche formale; deputati e senatori sono rimasti passivi per settimane, in attesa di un accordo di vertice prima tra le fazioni di governo e poi tra queste e Juncker. I parlamentari hanno potuto solo alzare la mano su un testo quasi sconosciuto.

Tagli e altre trappole
In attesa della definizione delle due misure simbolo, reddito di cittadinanza e pensioni, nella manovra approvata dopo una notte di bagarre al Senato con 163 sì, i finanziamenti vengono ridotti di oltre 4 miliardi e solo in parte potranno essere compensati da un miglior uso dei fondi europei e dalla flessibilità (0,2% del Pil) che la Commissione europea ha concesso per le opere infrastrutturali e il dissesto idrogeologico. Altri cospicui tagli riguardano le ferrovie, il finanziamento delle politiche comunitarie, il fondo per la coesione territoriale e il fondo per gli investimenti nella PA, ed anche infine per alcune riduzioni (modeste) di sgravi per le imprese. Le maggiori entrate dovrebbero arrivare ancora una volta dal pacchetto sui giochi, dalla web tax e da una rimodulazione dei crediti di imposta, ma anche e soprattutto dalle dismissioni immobiliari, cioè dalla svendita dei beni pubblici ed anche dal raddoppio (dal 12% al 24%) dell’aliquota fiscale Ires per gli enti non commerciali, cioè anche per coloro che operano nel campo no profit.

Vengono introdotte quattro misure penalizzanti per il lavoro, il reddito, la democrazia e i territori che occorre sottolineare: la prima è il rinvio almeno fino al novembre del 2019 delle assunzioni nel pubblico che dovevano rimpiazzare in minima parte il turn over; la seconda sono i tagli ai fondi per l’editoria, che colpiscono in primis Radio radicale e il manifesto. La terza è la più drammatica, il taglio dei contributi Inail proprio in una fase in cui la deregolamentazione del lavoro sta producendo una recrudescenza degli incidenti sul lavoro; una norma vergognosa che fa “risparmiare” alle imprese 1,5 miliardi nei prossimi tre anni. Da tempo gli imprenditori si presentavano a tutte le audizioni parlamentari chiedendo di poter mettere la mano sul tesoretto dell’Inail che ammontava ad almeno due miliardi. Sono stati accontentati.

La quarta sono i tagli delle pensioni più alte (previsto per 5 anni e probabilmente solo su quelle calcolate col sistema retributivo), un provvedimento gravissimo (si tratta di un salario differito dovuto) e che sarà il cavallo di troia per estenderlo progressivamente a pensioni ben più modeste; ma non meno grave è la modifica verso il basso della rivalutazione delle pensioni che passa da 4 a 7 fasce e che, secondo il governo, permetterà di risparmiare (cioè di rubare ai pensionati) 2,2 miliardi in tre anni al netto del fisco. Ma il calcolo che altri hanno fatto riportato dal Sole 24 ore è di 10 miliardi.

E poi c’è un miliardo di “tagli ombra” che si troveranno a dover fronteggiare i Comuni proprio quando il governo si appresta a firmare l’accordo con i presidenti di Lombardia e Veneto che concede l’autonomia “differenziata” a queste regioni; per gestire scuola santità e altri servizi pubblici non avranno più bisogno dei soldi dello Stato perché avranno direttamente una percentuale delle tasse versate dai loro cittadini e queste risorse le potranno usare come meglio credono. Inoltre, le Regioni e gli enti locali, avranno la possibilità di aumentare Irap, Imu/Tasi e addizionali Irpef a causa della rimozione del blocco delle aliquote sui tributi locali. Una stangata da un miliardo sui redditi più bassi.

Infine, emblematica, una deroga per l’iscrizione agli ordini anche da parte di professionisti che abbiano lavorato almeno 36 mesi nell’arco di 10 anni. Una sanatoria che consente l’iscrizione all’albo di chi abbia svolto abusivamente professioni infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, pur non avendo seguito un corso di studi certificato per entrare in possesso di conoscenze adeguate, né avendo superato esami e prove. Con buona pace dei mantra su legalità e salute pubblica.

Cambiano i congedi parentali. I giorni per i neopapà aumentano: cinque sono obbligatori e uno facoltativo (se compensato con uno della mamma). Le madri potranno rimanere al lavoro fino al nono mese, godendo di tutti e 5 i mesi di congedo dopo il parto. Dopo il terzo figlio alle famiglie numerose arriva in regalo un appezzamento di terreno. Il bonus per gli asili passa da 1.000 a 1.500 euro. Viene stanziato 1 milione di euro per agevolazioni all’acquisto – obbligatorio – dei seggiolini antiabbandono sia nel 2019 che nel 2020. Ecobonus, sismabonus, bonus mobili e per i giardini sono tutti prorogati di un anno. Dopo polemiche e discussioni arriva la tassa sulle auto di cilindrata medio-alta. La Panda è salva. Per le auto a basse emissioni incentivi fino a 6.000 euro.

Torna la web tax, resuscitata dall’accordo con l’Ue: 3% sul digitale per le imprese con oltre 750 milioni di fatturato di cui 5,5 almeno prodotti online. Riguarderà Google e Amazon e tutte le vendite online, la pubblicità, la trasmissione dati e le piattaforme digitali, quindi anche le imprese editoriali e alcune partecipate pubbliche.

Condoni, sgravi fiscali e l’esercito per le buche di Roma
La Lega porta a casa la sanatoria sui debiti fiscali e contributivi per chi è in difficoltà economica (o in liquidazione) e ha un Isee sotto i 20mila euro. Tre le aliquote con cui estinguere i debiti: 16%, 20% e 25%. La misura porta gettito nel 2019 e nel 2020 ma in 5 anni costa mezzo miliardo. Le partite Iva possono aderire ad un regime forfettario del 15% (è una prima flat tax per gli autonomi) sui ricavi fino a 65mila euro e del 20% sulla quota eccedente fino a 100mila euro. Altro tema caro alla Lega, gli appalti senza gara, inserito e stralciato in varie bozze, trova finalmente collocazione. La soglia sarà doppia: la pubblica amministrazione potrà affidare lavori diretti nelle opere tra 40mila e 150mila euro. Tra 150 e 350mila sarà invece possibile procedere «previa consultazione di tre o più operatori economici». Aumenta al 40% lo sconto Imu sui capannoni: la deducibilità dei beni strumentali raddoppia rispetto al precedente 20%. Il M5s aveva tentato, fallendo, un blitz al Senato per salire al 50%.

Per chi reinveste gli utili in azienda in beni strumentali o posti di lavoro l’Ires scende dal 24 al 15%. Le imprese devono però dire addio ad oltre 2 miliardi di incentivi dell’Aiuto alla crescita economica e al taglio fiscale previsto con l’introduzione dell’Iri. Il credito d’imposta su ricerca e sviluppo viene praticamente dimezzato, così come viene ridimensionato il superammortamento.

Il fondo per il ristoro degli obbligazionisti colpiti dai crack bancari si apre anche agli azionisti, salendo a 1,5 miliardi in tre anni. Per ottenere l’indennizzo non si dovrà più dimostrare il misselling di fronte all’Arbitro Consob, ma fare richiesta direttamente al Mef, dove si prenderà carico dell’istanza una Commissione di nove saggi. Verrà data priorità ai risparmiatori con Isee sotto la soglia dei 35mila.

La manovra introduce una modifica del trattamento contabile di perdite e svalutazioni dei crediti che portano ad un incasso per lo Stato di 3,5 miliardi. Le assicurazioni invece dovranno fare i conti con un aumento degli acconti fiscali da 900 milioni.

Alla fine il M5s ottiene lo stanziamento di 75 milioni per risanare le strade di Roma, operazione a cui potrà essere chiamato a partecipare anche l’esercito, e 145 milioni per le linee della metropolitana. 900 milioni per la Milano-Monza: la Lega non è da meno e raggiunge lo scopo di finanziare fino al 2027 il prolungamento della linea M5. I turisti che non pernottano a Venezia e che quindi non pagano la tassa di soggiorno dovranno comunque versare un ticket da 2,5 a 5 euro.

Le reazioni e gli scenari futuri
La discussione di questi mesi ha evidenziato tutte le ambiguità, l’ipocrisia e le falsità propagandistiche del governo giallonero, ma anche quelle dei loro oppositori, il Pd in testa, la Commissione di Bruxelles e i rappresentanti delle forze economiche e finanziarie dominanti. I dirigenti del Pd sono sembrati ossessionati dalla difesa ad oltranza delle regole liberiste e delle politiche di austerità; la Lega esprime una piccola e media borghesia, avida, rancorosa, guidata da un personaggio cinico, seminatore di odio e razzismo; il M5s è subalterno alla Lega con un ceto politico supponente e inadeguato.

Il giorno dopo il leader della Lega assicura che «è solo l’inizio». Ma il 2019, visto da ambienti della maggioranza, parte in salita. Sia per gli strascichi che tre mesi di tira e molla e litigi lasciano nel governo. Sia perché quelli che il leader M5s derubrica a «effetti» della legge di bilancio, ossia le norme su «quota 100» e reddito di cittadinanza, sono in realtà una partita tutta nuova, già carica di tensioni. Con Salvini che chiama i suoi e annuncia di essere «in campagna elettorale».

I fronti aperti sono diversi: in manovra ci sono norme volute da M5s che poco piacciono alla Lega e viceversa. Nicola Morra, presidente pentastellato della commissione Antimafia, lancia l’allarme su una norma leghista per alzare la soglia per l’affidamento diretto di appalti pubblici. Mentre in casa M5s cresce in queste ore il timore che gli alleati lavorino per cambiare la misura di bandiera, il reddito di cittadinanza, che Di Maio inserisce nell’elenco delle cose «fatte» ma che deve essere ancora decretata. I soldi ci sono e la misura partirà «a marzo», dice Di Maio. E sul blog M5s compare un calcolo «a prova di studente delle elementari e giornalista» che proverebbe che 7,1 miliardi bastano a coprire la misura. Ma nel governo c’è chi continua a sostenere che sarà difficile far quadrare conti e tempi, dal momento che quei soldi servono anche per pensioni di cittadinanza e centri per l’impiego: si dovrà restringere la platea o rinviare la misura. La campagna elettorale da avversari per le europee, sostengono, allontanerà i due leader. Salvini, in videoconferenza con Berlusconi e Giorgia Meloni sigla l’accordo sul candidato unico alle regionali in Abruzzo e a gennaio, annuncia, la Lega riparte su legittima difesa e autonomia per le regioni del Nord. Ma su entrambi i temi leghisti in casa M5s c’è chi frena.

Se si sommano le nuove tensioni con i tecnici del Mef, i maldipancia tra i parlamentari M5s e Lega che si sono viste respinte le loro proposte e le ricorrenti voci di rimpasto, l’inizio d’anno s’annuncia intenso. Salvini suona la carica di un «governo con le palle» e annuncia un ribaltone sovranista in Europa. Di Maio è in ritiro natalizio con Di Battista, di ritorno dal Guatemala che però non si sbilancia sull’ipotesi di una sua candidatura alle europee.

«Da troppi anni la politica e i governi hanno dichiarato guerra ai più giovani: precarietà, tagli all’istruzione, al diritto allo studio, la mortificazione della ricerca, il blocco della assunzioni nelle pubbliche amministrazioni, una forma di reddito da cui verranno esclusi – commenta il segretario di Sinistra Italiana e deputato di Leu, Nicola Fratoianni – e poi un futuro pensionistico di cui non si occupa nessuno e che i più giovani non vedranno, di questo passo, visto che le carriere lavorative discontinue li porteranno a lavorare fino ai 70 anni suonati per poter vedere pochi spiccioli. C’è una enorme questione generazionale da affrontare».

Il Pd chiama a manifestare davanti alla Camera il 29 dicembre quando il governo conta di approvare definitivamente la manovra. In un grottesco rovesciamento dei ruoli ora è il Pd a denunciare lo svuotamento della democrazia parlamentare, con una legge arrivata all’ultimo momento e senza tempo per esaminarla. In Aula é stato il Pd, stavolta, a gridare “onestà”. Se Martina chiama a scendere in piazza – come aveva fatto da reggente – il favorito nei sondaggi Nicola Zingaretti chiede una giornata di mobilitazione in tante piazze d’Italia. Il governatore del Lazio convoca «l’Italia migliore e nel nome della Costituzione prepariamo e indichiamo una strada nuova per un Paese vicino alle persone e contro l’arroganza di questi nuovi potenti». Sarà il 12 gennaio per spiegare «la follia della manovra», annuncia il presidente Orfini.

Il Natale astronomico

È tempo di Natale, ma è più consono festeggiarlo in chiesa o in un museo della scienza?

La domanda non è banale e ne vuol essere provocatoria, anche se molti obietteranno sul fatto che le nostre radici sono Giudaico Cristiane, altri in contrapposizione potrebbero replicare che la nostra cultura è anche Greco Romana.

In ogni caso Andrebbe festeggiato in una cattedrale della scienza perché solo per essa si festeggia oggi il Natale.
La ricorrenza astronomica, storica è il 21 dicembre, data del solstizio d’inverno, istituita come festa civile già dall’imperatore Aureliano con il titolo di Natalis Invicti. 

Come molti sapranno l’aggiustamento dei calendari ha portato allo slittamento di 4 giorni e soprattutto alla sovrapposizione della festa cristiana su quella pagana, che esisteva in moltissime culture dal Mediterraneo al Nord Europa. Era il giorno della rinascita della luce e il cristianesimo ha sostituito la festa pagana del Sol invictus con quella della nascita di Cristo, sole di giustizia.

Questa operazione avviene a Roma ed è attestata per la prima volta dalla Depositio martyrum verso il 336 ma la tradizione di festeggiare la rinascita del sole attribuendo a quella data la nascita di un Dio è tradizione comune in diverse parti del mondo e tra diversi popoli come attesta questo elenco di quanti illustri appartenenti al mondo divino possono fregiarsi della propria nascita nei giorni che vanno dal 21 al 25 di dicembre: 

1 Dionisio o Bacco o Libero, dio del vino e della gioia in Grecia e a Roma. Moltissime sono le similitudini fra i misteri di Dionisio (conosciuto da 13 secoli prima di Cristo) ed il “mito cristiano”: Dioniso (uomo che divenne dio), era venerato come “dio liberatore” (dalla morte) perché una volta defunto discese agli inferi ma dopo alcuni giorni tornò sulla terra. Proprio questa sua capacità di resurrezione offriva ai suoi adepti la speranza di una vita ultraterrena tramite il suo divino intervento. Per essere ammessi al culto dionisiaco era necessario essere battezzati, introdotti al tempio e sottoposti ad un rigido digiuno. Il culto di Dionisio prevedeva l’omofagia (consumazione della carne e del sangue di un animale, identificato con Dioniso stesso), come segno di unione mistica con il suo corpo ed il suo sangue. Dioniso inoltre era strettamente connesso con i cicli vitali della natura alla quale venivano legati il concetto di resurrezione (primavera) e morte (autunno) proprio come manifestazione della morte e la resurrezione del dio. Anche i simboli di Dioniso: la vite, il melograno, l’ariete corrispondono perfettamente (vite e melograno) o approssimativamente (ariete – agnello) ai simboli attribuiti dai cristiani a Gesù.

Fra i nati verso il solstizio d’inverno ci sono anche:

2. Ercole (Eracles nato il 21/12 per i greci, ma il 1/2 per i Romani);

3. Sol Invictus dio indigete cioè fra le divinità delle origini romane piu’ antiche, ricevuto da ancor più lontani cicli di civiltà cioe’ dalla tradizione indoeuropea, identificato poi con Mithra ed anche col dio solare sirianoElio Gabalo;

4. Elio Gabalo (o El Gabal) di cui un gran sacerdote omonimo divenne imperatore per breve tempo;

5. Mithras, nato in una grotta (da una roccia), sotto gli occhi di pastori che lo adorarono, culto dei militari di Roma e quindi diffuso in tutti gli angoli dell’impero dalle legioni, (e diverso dal Mithra di Persia);

6. Mithra di Persia, nato da una vergine morto e risorto (sembra dopo tre giorni);

7. Mitra indiano, dio della luce e del giorno;

8. Adone (o Adonis) di Siria, e forse anche il suo corrispondente di Frigia;

9. Attys, nato da una vergine, morto a titolo di sacrificio, e che risorge il 25/3 in corrispondenza anche di data, oltre che di significato di rinascita della vegetazione, col periodo della pasqua;

10. Atargatis di Siria, grande dea madre, dea della natura e sua rinascita, chiamata dai romani anche Derketo e dea Syria (la sua festa risulta al 25 Dicembre, quasi con certezza come data di nascita);

11. Kybele (o Cibele) dea della Frigia amata da Adone (il 25 Dicembre era festeggiata insieme ad Adone: ma che tale data fosse considerata la nascita in questo caso non è certo, è solo presunto);

12. Astarte (o Asteroth) della Fenicia, dea suprema, nonché dea della fecondità e dell’amore. Venerata anche dal re Salomone a Gerusalemme (la sua festa risulta al 25 Dicembre, quasi con certezza come data di nascita). Anche essa scese agli inferi e risorse;

13. Shamash il dio solare babilonese;

14. Dumuzi (detto Tammuz a Babilonia) il dio sumero Dumuzi (detto Tammuz a Babilonia) la cui morte periodica rituale (corrispondente a quella di Adonis) era pianta anche alle donne ebree (Ezechiele VIII,14);

15. Baal – Marduk, dio supremo del pantheon Babilonese;

16. Osiride dio supremo egizio della morte e rinascita della vegetazione, e per estensione della rinascita dell’uomo. La resurrezione è il tema centrale del mito trinitario egizio di Osiride, Isis ed Horus dal quale pare proprio che sia stata presa l’ispirazione per una successiva famosa resurrezione in ambito ebraico;

17. Horus, dio falcone solare, figlio di Osiride ed Iside con cui costituiva una popolarissima triade che (insieme alle tante altre triadi di dei popolarissime in tutto il mediterraneo) è stata d’ispirazione alla triade cristiana non ufficiale di Dio padre, Madonna e Bambino Gesù, nonché al raggruppamento ufficiale della trinità, che esclude l’elemento femminile. La sua nascita era celebrata il 26 Dicembre;

18. Ra, il dio Sole egizio corrispondente ad Helios, la cui nascita era celebrata il 29 Dicembre nella città-tempio di Heliopolis a lui dedicata nella zona dell’attuale Cairo;

19. Krishna, (attualmente il dio più importante dell’India) che inizialmente appare nel testo sacro Mahabarata come reincarnato dal dio padre Visnù come un uomo eroico o semidio, ed infine si rivela come dio. Era venuto al mondo per riconquistarlo dai demoni. Infine Krisna muore ucciso (da una freccia, non sulla croce), ma rinascerà anche lui e, anche lui come babbo natale, porta doni nel cuore della notte!

20 Scing-Shin in Cina;

In ambito Nord Europeo gli dei nati verso il solstizio sono due:

21. Baldur 

22. Freyr il figlio di Odino in Scandinavia

23. Joshua Ben Josef(detto Gesù, Gesù bambino, Nazareno [o Nazireo], Galileo, Cristo, Messia e il Salvatore) tra la serie di dei di ambito mediterraneo orientale ed indoiranico.

Si potrebbe continuare ma credo sia sufficiente tale elenco. Quanto al 2018 il dio astronomico è nato il 21 dicembre alle ore 22:22.

Buon Natale Laico

Le mille storie di Chen

Chen Jiang Hong è un artista raffinato. È considerato uno dei grandi maestri internazionali dell’illustrazione per ragazzi, nonché autore di storie che, per leggerezza e profondità, sono un invito al viaggio e al sogno, seguendo la magia dei suoi tratti con l’inchiostro di china e l’intensità dei colori su seta e carta di riso. Chen è nato nel 1963 nel Nord della Cina e dal 1987 vive e lavora a Parigi. Si è formato all’Accademia di Belle Arti a Pechino e all’École des Beaux Arts di Parigi.
Pittore per vocazione, vicino alla lirica dell’informale di Franz Kline e all’espressionismo astratto ma vivacissimo nei colori del Color painting della pittrice americana Helen Frankenthaler, Chen abbraccia il ponte tra la tradizione orientale e quella occidentale che questi artisti creano tra gli anni Cinquanta e Settanta. E ad un certo punto della sua vita si lancia, con passione e divertimento, nell’illustrazione per l’infanzia. Ha pubblicato più di venti libri con una delle più prestigiose case editrici francesi specializzata in letteratura per l’infanzia, L’École des loisirs. Sette sono quelli in italiano, pubblicati in coedizione con la sorella francese da Babalibri di Francesca Archinto, casa editrice per bambini nata alla fine del 1999. Abbiamo incontrato l’artista a Roma, durante un ciclo di incontri per educatori alla lettura, insegnanti, bibliotecari e appassionati di illustrazione, che lo ha portato poi anche a Milano e Torino.
Come nasce Chen illustratore di racconti per bambini, gli chiediamo, e che ruolo ha questa professione nella sua vita di artista? La risposta è disarmante. «La mia relazione con l’illustrazione per ragazzi è iniziata per caso, nel 1994, quando sono stato…

L’articolo di Annalina Ferrante prosegue su Left in edicola dal 21 dicembre 2018


SOMMARIO ACQUISTA