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Perché a Brescia il neofascismo è ancora un problema non del tutto risolto – Seconda puntata

ANPI Brescia - Comitato provinciale

A quasi un secolo dalla “Marcia su Roma” i fascisti vorrebbero tornare alla ribalta. Questo nonostante Forza nuova e CasaPound non siano entrati in Parlamento (insieme non raggiungono nemmeno il 2%). Ci sono altri eredi dei “Boia chi molla” che invece sono riusciti a sedersi in diversi consigli comunali del nostro Paese.

A Sermide e Felonica nel Mantovano il caso politico (e giudiziario) più clamoroso. Nel giugno 2017 il Movimento dei Fasci italiani del lavoro ha ottenuto oltre il 10% alle elezioni amministrative del comune. La candidata Fiamma Negrini è stata poi eletta come consigliere comunale di minoranza. Eppure, proprio tre settimane fa il procuratore capo Manuela Fasolato ha chiesto condanne complessive per vent’anni di reclusione per ben nove attivisti e politici del gruppo. L’accusa? Tentata ricostituzione del disciolto partito fascista in violazione della legge Scelba. Già in precedenza dopo lo sbalorditivo esito elettorale, il prefetto di Mantova revocò le designazioni dei funzionari della sottocommissione responsabile del comune di Sermide e Felonica. Con il Comune oggi commissariato, il prossimo 22 marzo è attesa la sentenza.

È passata invece in secondo piano la vicenda di Mura, comune di settecento abitanti nascosto tra le montagne del Bresciano. Qui, il movimento Fascismo e libertà – Partito socialista nazionale, diverso dai Fasci italiani del lavoro, con soli 41 voti (pari all’11%) due estati fa è riuscito a insediare ben tre consiglieri nelle fila della minoranza. Dichiaratamente laico, anti-americano e anti-sionista, si tratta del partito fondato nel 1991 dal senatore Giorgio Pisanò, fuoriuscito dal Msi. Nello statuto del movimento, viene addirittura riportato che Fascismo e libertà “non rinnega l’alleanza storica con la Germania Nazionalsocialista”, quella di Adolf Hitler per intenderci. Che Facebook sia diventato il mezzo preferito dei militanti di estrema destra con cui veicolare intolleranza e notizie false è noto a tutti. Eppure, Fascismo e libertà è praticamente assente sui social. Piuttosto, esiste un sito ufficiale molto aggiornato con tanto di rivista stampata e distribuita ai tesserati.

«Forse in pochi lo sanno, ma il Movimento fascismo e libertà ha ottenuto pieno riconoscimento legale. Non può essere sciolto per ricostituzione del Partito nazionale fascista». Così scrivono sul sito i responsabili che allegano le sentenze di assoluzione nei vari processi. Quarantatré anni e originario di Lumezzane, Mirko Poli, candidato sindaco a Mura un anno fa, è anche vicesegretario in Italia del movimento. Intanto, una reazione c’è stata: il prefetto di Brescia, Annunziato Vardè, poco dopo l’esito elettorale, ha sciolto la sottocommissione di Salò, responsabile di aver giudicato ammissibile il logo con il fascio littorio alle elezioni. Nonostante ciò, Poli è ancora comodamente seduto al suo posto accanto a suo padre e a un altro camerata. Mura è un paese con assai poco lavoro e dove l’età media di conseguenza è molto elevata. Anziani che dunque hanno vissuto sulla propria pelle il periodo legato alla figura del Duce. Uno di questi è Felice Fiori, scomparso proprio nell’agosto scorso all’età di cent’anni e in passato partigiano della 22esima Brigata Garibaldi.

«Io ritengo i consiglieri di minoranza delle brave persone», commenta Nicola (detta Nicoletta) Angiola Flocchini – prima donna a diventare sindaco nel piccolo comune bresciano -. Si sono sempre dimostrati intelligenti e rispettosi verso l’amministrazione e l’intera comunità», taglia corto. La pensa diversamente Lucio Pedroni, presidente dell’Anpi di Brescia, la cui associazione ha sin da subito scatenato l’ondata di indignazione generale promuovendo manifestazioni di protesta. «La situazione è stata affrontata in maniera molto superficiale dalle istituzioni – afferma Pedroni -. Tuttavia, in un Paese dove la fame nostalgica è sempre più forte l’antifascismo deve essere portato avanti non soltanto da noi ma anche dagli organi costituzionali».

Il cuore nero di Forza nuova e CasaPound pulsa forte in queste valli che un tempo combatterono e respinsero con coraggio il nazifascismo. In particolare, la Val Trompia alla fine degli anni Ottanta ha visto crescere le prime teste rasate pescando direttamente nelle frange di tifo neofascista e neonazista del Brescia. I bersagli di oggi sono sempre gli stessi: migranti e avversari politici che ne prendono le difese. Tre anni fa, il gruppo Valtrompia identitaria, creato appositamente per contrastare la presenza di stranieri in zona, causò disordini e scontri poco dopo l’arrivo di venti profughi in un ex albergo di Collio. A Sarezzo, sono poi riprese da poco le ronde notturne di Forza Nuova, con i camerati tornati a perlustrare le vie del paese per la “sicurezza urbana”. Mentre a Prevalle, comune che dista mezz’ora d’auto da Mura, nel mese di settembre il sindaco leghista Amilcare Ziglioli ha concesso uno spazio comunale al movimento Brescia identitaria per la celebrazione di un concerto. Del resto, proprio il mondo musicale dell’estremismo di destra è uno di quegli ambiti che negli ultimi anni ha alimentato maggiormente la rimonta del fascismo sulla scena. Si prendono tra loro a cinghiate e cantano la fratellanza fra camerati. Una musica perciò violenta capace di riportare in vita i fantasmi e le tradizioni del passato educando i più giovani all’odio del diverso.

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Qui la prima puntata dell’inchiesta di Federico Gervasoni sui neofascisti a Brescia

A Pisa la giunta leghista del sindaco Conti discrimina le famiglie di origine straniera. Un “caso Lodi” ancora più grave

Michele Conti durante la cerimonia nel corso della quale è stato proclamato sindaco di Pisa all'interno degli spazi della sala Regia del Consiglio comunale, 27 giugno 2018. Il nuovo sindaco è un esponente della Lega e guiderà una maggioranza di centrodestra. ANSA/ GABRIELE MASIERO

La verità, senza bisogno di ipocrisie, l’ha dichiarata impunemente il consigliere Gino Mannocci, eletto a Pisa e capogruppo della lista “Pisa nel cuore”: «Si tratta di proposte che hanno lo scopo di disincentivare gli arrivi. Servono anche a disilludere i migranti africani: qui non troveranno il paradiso». La città della torre pendente, passata dall’amministrazione securitaria del sindaco Filippeschi (Pd) per cui Matteo Salvini ha più volte dichiarato ammirazione, al sindaco Michele Conti, direttamente eletto per la Lega, ha approvato venerdì 22 dicembre il Dup, (Documento unico di programmazione, una sorta di bilancio annuale preventivo). «Dall’analisi del documento emergono profili discriminatori sia nella parte di indirizzo, sugli obiettivi strategici, che nella sezione dei programmi». È questo il giudizio senza appello contenuto nel parere redatto dall’Altro diritto Onlus – Centro di informazione giuridica di secondo livello sul diritto degli stranieri, la tutela antidiscriminatoria per Anci e Regione Toscana in collaborazione con il Centro interuniversitario L’Altro diritto – Adir dell’Università degli studi di Firenze – in risposta ad un quesito formulato da Ciccio Auletta, eletto con la lista Diritti in Comune.

Ne sono scaturiti una serie di emendamenti, tutti respinti, ma questa volta votati anche dal Pd. Si tratta di un ennesimo “caso Lodi” ma per certi versi ancora più grave. La giunta Conti ha alzato il tiro, introducendo per l’accesso alle assegnazioni e prestazioni in tema di diritto alla casa «l’obbligo di produzione, da parte dei cittadini extracomunitari, di un certificato scritto, ottenibile mediante ambasciate e consolati, che certifichi i possedimenti immobiliari nella nazione di origine per poter accedere all’assegnazione degli alloggi popolari e alle prestazioni sociali agevolate in tema di diritto alla casa (servizi relativi al patrimonio di edilizia popolare residenziale, regolamento dell’emergenza abitativa, bando contributo affitti, regolamento)». Il sindaco leghista, nonostante l’esito del procedimento giudiziario a Lodi, dove il Comune è dovuto ritornare sulle sue decisioni e modificare immediatamente il proprio regolamento, ha insistito. Secondo Conti a proposito dei bambini figli di cittadini stranieri, che intendono usufruire del nido, l’amministrazione deve regolamentare ed emettere bandi che favoriscano i cittadini italiani, garantendogli un accesso prioritario in materia di prestazioni di sicurezza sociale.

Per Diritti in Comune, il Dup non era neanche votabile, tante sono le normative nazionali e internazionali violate: «l’accesso ai diritti sociali essenziali, per espressa previsione nazionale e europea, deve essere garantito a tutti i cittadini stranieri in condizioni di parità rispetto al cittadino italiano e indipendentemente dalla tipologia di permesso». Altro Diritto Onlus ribadisce che «tale documento rappresenta un’ipotesi di discriminazione diretta fondata sulla nazionalità, vietata sia dal diritto dell’Unione Europea di fonte primaria e derivata, che dal diritto interno».

Ora, alla ripresa dei lavori, il confronto inevitabilmente si alzerà sul piano politico e avrà ripercussioni di ordine giudiziario. Da Diritti in Comune non si lasciano intimorire: «Siamo sin d’ora pronti ad intraprendere tutte le azioni legali necessarie contro l’amministrazione comunale. Non è concepibile che l’intero apparato amministrativo di una città, sia politico che tecnico, possa ignorare l’illegittimità dei propri atti, esponendo il Comune di Pisa a gravosi danni».

«Andiamo avanti» ha dichiarato il sindaco. L’obiettivo è quello di fluidificare ogni problema affrontando eventuali problemi caso per caso e in base ai singoli bandi. Ma l’intenzione confermata è quella «di favorire chi in questi anni ha contribuito maggiormente al welfare dei pisani». Per Conti, i provvedimenti presi dalla sua giunta e approvati in consiglio, non hanno alcun carattere discriminatorio, semplicemente servono a impedire che chi non ha diritto usufruisca di benefici immeritati. Gli conviene forse chiedere consiglio alla sua collega di Lodi, magari scopre che con la sua trovata non solo danneggerà in maniera significativa l’immagine di uno dei poli turistici italiani, ma concretamente dovrà, in caso di procedura giudiziaria, risarcire chi si costituirà parte civile contro la sua amministrazione….ovviamente a spese della collettività che dichiara di difendere.

Fateci un supermercato, in Parlamento

I senatori della Lega e del Movimento 5 Stelle festeggiano il risultato del voto di fiducia sulla legge di bilancio nell'aula di Palazzo Madama, Senato della Repubblica, Roma, 23 dicembre 2018. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Si dice sempre dei posti considerati vecchi, quelli consolidati come inutili nel pensiero torbido della modernità: un libreria? Non scherziamo, meglio un supermercato. Un teatro? Dai, su, qui ci vengono dei begli appartamenti, in centro, che si vendono bene. Istituzioni e poli culturali considerati vecchi e dismessi in nome del mercato. Pensateci, ne siamo pieni, dappertutto e la retorica è sempre la stessa: se non serve perché “l’ha deciso il mercato” allora bando alle ciance e alle nostalgie, abbattiamolo.

In quel vetusto palazzo che è il Parlamento è andato in scena il festival dell’inutilità: decine di senatori scocciati di dovere addirittura sacrificare il sabato prenatalizio si aggiravano sconci per i corridoi scambiandosi qualche battuta che non fa ridere per ingannare il tempo e per dissimulare la figura barbina. Ciò che stupisce davvero è che questi avrebbero dovuto aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e invece ne hanno fatto un sarcofago, un sacchetto dell’umido chiuso stretto dove buttare la bava dei propri errori e dei propri orrori, sono un’allegra combriccola di studenti in gita disposta a servire i due padroni pur di godersi il successo finché dura.

Per tenerli buoni, nella manovra, i capi hanno sganciato qualche mancetta utile per concimare i collegi elettorali: ci sono i senatori della Lega che brindano come molesti tifosi in trasferta per il finanziamento della metro Milano-Brescia, ci sono i 35 milioni di euro per gli aeroporti di Reggio Calabria e di Crotone (con altri che di sicuro stanno brindando sull’innalzamento del limite per gli affidamenti diretti dei lavori, senza gara, come piace alle mafie), c’è un milione di euro per finanziare “festival, cori, bande” secondo la più alta aspirazione culturale leghista, 2 milioni di euro per i perseguitati (tranquilli, solo i cristiani perseguitati, ovviamente) e tutta la solita scia da marchettificio di tradizione democristiana solo che questa volta indossa l’abito del cambiamento. Che bello, eh.

Ma soprattutto c’è il sottovuoto spinto di una schiera di senatori che hanno già pronti i discorsi, le risposte e le fulminanti battute per descrivere una manovra che non ha letto nessuno. Un clan di camerieri proni a votare qualcosa che non hanno nemmeno il tempo di leggere, disposti a schiacciare il bottone purché la baldoria possa continuare e purché sia il tempo di vacanze di Natale. Non hanno votato con la fiducia: hanno votato sulla fiducia, come accade a tutti quando non si ha voglia di metterci testa. Tanto alla fine conta il pulsante, i pallini che si illuminano sul tabellone e dei buoni uffici stampa per vomitare un po’ di propaganda.

Allora tanto vale farci un supermercato, in Parlamento. E le due Camere le traslochiamo sugli account twitter dei vice premier. No?

Buon lunedì.

Francia, là in piazza c’è l’indignazione confusa

Demonstration of Yellow vests (gilets jaunes) against rising costs of living on the Champs Elysées and place de la Bastille in Paris on December 8, 2018. Paris was on high alert on December 8 with major security measures in place ahead of fresh "yellow vest" protests which authorities fear could turn violent for a second weekend in a row. (Photo by Ibrahim Ezzat/NurPhoto via Getty Images)

Alcuni dicono che non è una rivolta, ma una rivoluzione. Altri, perfidamente, parlano di una protesta dei penultimi contro gli ultimi. Altri ancora, io per primo, scomodano il populismo. La verità è che ci mancano le categorie per inquadrarli, i gilet gialli. Forse l’unico modo per capirli, ma anche per rendergli giustizia, è sperimentare con loro le nostre solite semplificazioni – destra/sinistra, alto/basso, centro/periferia – e vedere cosa ne viene fuori. Gli psicologi cognitivi le chiamano euristiche: ma semplificazioni basta e avanza. La prima semplificazione che viene in mente, in omaggio a questa rivista, è la distinzione destra/sinistra. Ma i gilet gialli rifiutano queste etichette. «Siamo francesi di destra e di sinistra che ne hanno le palle piene», dicono: e, a parte il francesismo, hanno perfettamente ragione. Del resto, anche il bersaglio della loro protesta, l’ineffabile Emmanuel Macron, sfugge a queste classificazioni: è solo un populista mancato, à la Renzi, dello stesso genere vorrei-ma-non-posso. A proposito: nei sondaggi per le europee il partito di Macron s’è ridotto al diciotto per cento, scavalcato dai populisti veri, quelli della Le Pen.
Bisogna allora ripiegare su una seconda semplificazione, quella alto/basso: i perdenti della globalizzazione contro i vincenti, il novantanove contro l’uno per cento. A questo proposito, però, devo prima fare autocritica: una specialità della sinistra vintage, del resto. In varie sedi, infatti, ho distinto cinque indici di populismo, in base ai quali è possibile classificare un movimento, quindi anche i gilet gialli, come più o meno populista: l’appello al popolo, la demonizzazione dell’establishment, la personalizzazione del leader, l’uso accorto dei media, il ricorso a slogan terra-terra.
Il problema, però, è che i gilet gialli…

 

Mauro Barberis è giurista e docente di Filosofia del diritto all’Università di Trieste, ha pubblicato una trentina di libri. Tra i quali, per il Mulino, Libertà (1999), Europa del diritto (2008) e Non c’è sicurezza senza libertà (2017).

L’articolo di Mauro Barberis prosegue su Left in edicola dal 21 dicembre 2018


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La sanità pubblica appesa al Pil

«Non ho diamanti, non ho ricchezze, non ho uomini, ma ho ancora la mia salute», diceva una canzone di Cole Porter del 1940. E cosa sia la salute però sarebbe oggi molto da riconsiderare, anche in relazione alla trasformazione delle condizioni in cui ci si trova a vivere, ai tempi di lavoro nell’epoca della precarizzazione, ai rischi che vengono dall’inquinamento e dal cambiamento climatico, all’invecchiamento della popolazione senza più una compensazione demografica dall’immigrazione, al tendenziale aumento delle malattie croniche e alle prospettive di curarsi in un mondo in cui aumentano le diseguaglianze sociali e di reddito mentre i sistemi sanitari diventano sempre più privatistici.

Il 23 dicembre si celebrano i quarant’anni della legge 833 che nel 1978 istituiva il Servizio sanitario nazionale in Italia. Faceva parte della grande stagione delle conquiste di diritti sociali che quest’anno è stata celebrata con scarsa attenzione, poca consapevolezza e comunque un pizzico di rimpianto. Oggi in effetti di quelle conquiste rimane ben poco nella concretezza dei fatti, a cominciare dallo Statuto dei lavoratori e il Servizio sanitario nazionale, per quanto falcidiato ogni anno da tagli lineari alla spesa pubblica, ora persino da quelli dell’ultimo minuto per evitare una procedura d’infrazione, è forse l’ultimo baluardo. 

Fresco di stampa il rapporto congiunto della Commissione europea e dell’Ocse sullo stato dei sistemi sanitari nei 28 Paesi dell’Unione – Health at a Glance: Europe 2018 – dice chiaramente che dal 2011 l’aumento della speranza di vita ha subito un netto rallentamento in tutti i Paesi del Vecchio continente (cresceva di 2 o 3 anni nel primo decennio del secolo ma solo di 6 mesi tra il 2011 e il 2016) e questo si lega a filo doppio, lo dice la Commissione stessa, alla crescita delle disparità di status socio-economico e ai livelli di istruzione. Gli uomini di trent’anni di oggi con bassi livelli di scolarizzazione – dice il rapporto – hanno una aspettativa di vita di otto anni in meno rispetto ai coetanei che hanno potuto accedere a…

GLI ALTRI ARTICOLI NELLO SPECIALE SUI 40 ANNI del SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

L’articolo di Rachele Gonnelli prosegue su Left in edicola dal 21 dicembre 2018


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Quanti volti ha la protesta dei gilet gialli

Protesters on the Champs-Élysées, wearing the yellow safety jackets ('gilets jaunes') French in Paris on December 8th, 2018. (Photo by Juan Carlos Lucas/NurPhoto via Getty Images)

«Al quinto sabato di protesta dei gilet gialli, i parigini sono tornati a fare i regali di Natale». Le aperture di Macron, a leggere la stampa mainstream, avrebbero persuaso il grosso dei manifestanti a rifluire. Tuttavia, non solo sulle rotatorie i gilets jaunes sono sempre presenti (con blocchi, operazioni-lumaca e blitz ai caselli) ma, il giorno successivo, gli stessi giornali non hanno potuto fare a meno di ammettere che le promesse dell’Eliseo sono aria fritta, non ci sono coperture per l’aumento dello Smic (Salaire minimum interprofessionnel de croissance). Decine di migliaia di persone hanno comunque riempito le piazze nonostante l’attentato a Strasburgo e il dispositivo repressivo (arresti preventivi, filtri alle stazioni del metro…).
Priscillia Ludoski, Eric Drouet e gli altri hanno urlato dai megafoni di volere il taglio delle tasse su tutti i beni di prima necessità e ben più delle «briciole» promesse da Macron ma soprattutto tanta «democrazia diretta». La parola d’ordine su tanti gilet era Ric, Referendum di iniziativa cittadina. La Francia sembra ancora al bivio fra la proclamazione dello stato d’emergenza e lo scioglimento delle Camere. Il “postino” Olivier Besancenot, popolare figura dell’estrema sinistra, è sicuro: «Non è ancora una massiccia rivolta di maggioranza, ma è una vera rivolta; non è una tradizionale mobilitazione sociale. Sin dall’inizio, è un movimento che procede all’offensiva».
Da Macron, dunque, niente carota, solo bastone: l’atto V è stato segnato da scontri e due morti in incidenti stradali ai blocchi. Con 200 arresti che si sommano ai 3.300 di cui 2.354 in garde à vue (fermo di polizia in attesa di indagine, ndr) e 1.200 condannati per direttissima. I 1.600 circa feriti “ufficiali” sembrano solo la punta di un iceberg.
“Il giallo dei gilet gialli” parrebbe tale solo per chi…

L’inchiesta di Checchino Antonini prosegue su Left in edicola dal 21 dicembre 2018


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Otto per mille alla Cei, non tornano i conti

A volunteer of the Italian association "City Angels" speaks with a homeless at the Vatican on November 18, 2014. City Angels are volunteers who distribute food, clothes, blankets or sleeping bags to homeless persons. They help them to find shelters, dormitories, clinics and assist them in finding a job and a house. AFP PHOTO / TIZIANA FABI (Photo credit should read TIZIANA FABI/AFP/Getty Images)

Ci risiamo. Mentre il balletto delle cifre attorno alla coperta sempre più corta delle nostre manovre finanziarie non accenna né a diminuire né ad acquisire credibilità, la Corte dei conti prova a farsi sentire per la quarta volta con una corposa relazione sul sistema dell’8permille. Ci aveva già provato, inascoltata, nel 2014, nel 2015 e nel 2016. Pochi, se non nessuno, i cambiamenti e sempre più al contrario le ombre su un sistema “risalente a oltre 30 anni”, per usare le parole della stessa Corte, e che manifesta ogni volta di più tutte le sue criticità e tutte le sue in adeguatezze. Almeno cinque quelle più rilevanti, alle quali si aggiungono una tale pletora di problemi minori da far auspicare con un minimo di buon senso un deciso intervento di abrogazione, piuttosto che piccoli maquillages.

Una su tutte, la problematica delle scelte non espresse, attribuite in proporzione alle scelte espresse senza però che vi sia un’adeguata informazione sul diabolico meccanismo “inventato” da Tremonti. In quanti sono convinti che se non si appone la firma la quota del gettito resterà allo Stato? Molti di questi del tutto inconsapevoli contribuenti fanno sì che la Chiesa Cattolica con il 36% delle scelte si aggiudichi l’80% degli introiti totali, un miliardo di euro annui circa.

Sempre per citare la Corte, «il meccanismo neutralizza la non scelta. In tal modo, ognuno è coinvolto, indipendentemente dalla propria volontà, nel finanziamento delle confessioni, con evidente vantaggio per le stesse, dal momento che i soli optanti decidono per tutti; con l’ulteriore conseguenza che il peso effettivo di una singola scelta è inversamente proporzionale al numero di quanti si esprimono». Al contrario dei sistemi vigenti ad esempio in Germania o in Austria, dove con rozza sintesi di può dire che chi se li prega se li paga, in Italia li paga anche chi…

L’articolo di Adele Orioli prosegue su Left in edicola dal 21 dicembre 2018


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Al di là del bene e del male

È interessante riflettere su quello che pensa la dottrina cattolica e più in generale quella cristiana sull’essere umano.

All’origine c’è il peccato originale. Che è una colpa che non riguarda specificatamente il singolo individuo ma in qualche modo tutta la specie umana e che è da attribuire al peccato compiuto da Eva nel paradiso terrestre.

Nel cogliere il frutto della conoscenza, la mela, ciò che avrebbe permesso all’essere umano di distinguere il bene dal male, essa ha compiuto un peccato imperdonabile condannando l’intera umanità ad espiare tale colpa.

L’essere umano allora sarebbe un essere che nella misura in cui sceglie e soprattutto vede e distingue tra ciò che è bene e ciò che male, ovvero tra ciò che vuole e ciò che non vuole, esercita quel “potere” che gli avrebbe dato Eva compiendo il peccato originale.

Il potere di vedere se una cosa ci piace o non ci piace. Ma anche il potere di distinguere se una persona ci piace oppure no. Ancora più estensivamente si può pensare che questo “mi piace” può avere un significato di desiderio sessuale che vede e decide.

Il peccato originale viene eliminato dal battesimo. La persona battezzata è “ripulita”, emendata dal peccato originale e può entrare a far parte della comunità religiosa.

Gli appartenenti alla comunità religiosa devono quindi rinunciare a quel potere di vedere e sapere.

Devono rinunciare al potere di decidere.

In un certo senso il cristiano accetta l’idea che non esiste scelta e non esiste Io umano.

Non esiste possibilità di esprimere una creatività, un pensiero che venga da dentro di sé. Se esiste quel pensiero non potrà che essere espressione della divinità.

Anche l’amore per l’altro essere umano del e per il bambino appena nato non sarebbe altro che espressione dell’amore di Dio.

L’esistenza del singolo e di qualunque sua attività viene svuotata di significato per essere poi riempita del nulla di un’attività ed esistenza di Dio che sarebbe motore e origine di ogni realtà e pensiero umano.

Gli esseri umani sarebbero dei fantocci di stoffa, senza identità e senza affetti.

In effetti la vita umana non ha alcun valore per il cristiano se non come riflesso dell’esistenza di Dio. Ed in effetti il rispetto per la vita umana del cristiano significa rispetto di Dio perché l’essere umano, in effetti, non ha alcun valore.

La nostra intera vita sarebbe solo apparenza. Un essere che riflette soltanto un’esistenza più autentica che sarebbe quella di Dio, unico e vero essere.

In fondo quelli appena detti sono ragionamenti molto semplici.

Non dovrebbe essere difficile comprenderli e comprendere che la dottrina cristiana è incompatibile con qualunque idea politica che miri alla realizzazione umana.

Che senso avrebbe infatti la realtà umana se l’unica verità sarebbe quella di essere fondamentalmente dei riflessi di Dio che si aggirano per il mondo ?

È quindi una vera tristezza vedere come ancora in quel che resta della sinistra si pensa che il pensiero e la dottrina cristiana sia necessaria per fare una politica che sia “buona” che si opponga a quella “cattiva” della destra.

Si pensa che sia necessaria una morale, un comportamento che “guidi” il fantoccio umano che altrimenti si realizzerebbe come spontaneamente cattivo.

Perché il Male, quello con la maiuscola, sarebbe prevalente nella realtà umana e il bene sarebbe da raggiungere tramite una educazione che obblighi a rimanere nei ranghi di ciò che è stabilito essere buono. Che quindi è stabilito in astratto, senza rapporto con la realtà. Anzi viene affermato esplicitamente che ciò che è buono è da riferire a Dio che è per definizione non esistenza.

Il comportamento deve essere regolato. La polizia, la coercizione fisica o la minaccia di essa sarebbe ciò che ci impedisce di essere violenti con gli altri, di uccidere il nostro prossimo.

La verità è tutt’altra.

Alla nascita compare in tutti gli esseri umani l’idea di esistenza di un altro essere umano che si può riassumere nella parola “amore” e con la certezza della possibilità di rapporto con l’altro che si realizza nelle parole “desiderio della sostanza dell’altro”.

Nel corso del 2015, nella sua rubrica qui su Left, Massimo Fagioli ha chiarito come la realtà psichica, la realtà non materiale umana, nasce dalla realtà materiale ed è fusa ad essa. Non esiste una psichica scissa dal corpo. E, di più ancora, non esiste una realtà non materiale al di fuori del corpo umano.

Perché la realtà non materiale è solo umana.

Ed è quindi solo umana la creatività, è solo umano l’amore, è solo umano il desiderio.

La dottrina cristiana è un sistema di pensiero il cui scopo è soltanto il domino sugli altri. Non ha niente a che fare con la loro emancipazione e realizzazione.

Soltanto quando questo sarà compreso, allora si potrà lavorare per la creazione di una forza politica che si potrà chiamare sinistra.

L’editoriale di Matteo Fago è tratto da Left in edicola dal 21 dicembre 2018


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Gli Usa via dalla Siria: un altro tradimento nei confronti dei curdi

epa07157319 A handout photo made available by the Turkish Presidential Press Office on 11 November shows Turkish President Recep Tayyip Erdogan (R) and US President Donald J. Trump (L) at the official dinner on the eve of the international ceremony for the Centenary of the WWI Armistice of 11 November 1918 at the Orsay museum in Paris, France, early 11 November 2018. World leaders have gathered in France to mark the 100th anniversary of the First World War Armistice with services taking place across the world to commemorate the occasion. EPA/TURKISH PRESIDENTIAL PRESS OFFICE HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

«Dopo storiche vittorie contro l’Isis, è tempo di riportare i nostri eccezionali ragazzi a casa». Così il 19 dicembre Donald Trump ha annunciato via Twitter il ritiro delle truppe Usa dalla Siria.
Una mossa a sorpresa che ha paralizzato per una giornata la Casa Bianca, lasciando a bocca aperta anche storici sostenitori di Trump. Il senatore Lindsey Graham si è dichiarato “preso alla sprovvista”, aderendo poi all’iniziativa di altri cinque senatori di scrivere una lettera al presidente in cui viene chiesto di riconsiderare le sue posizioni. Il ritiro delle truppe dalla Siria rappresenterebbe un grave colpo per i curdi delle Forze democratiche Siriane. L’Sdf ha avuto un ruolo chiave, insieme ai combattenti curdo-iracheni, nella lotta contro Daesh portata avanti ufficialmente dagli Usa e da altri Paesi occidentali. Grazie all’impegno della coalizione a guida Sdf, lo Stato Islamico ha perso più del 99% del territorio che controllava inizialmente. Gli analisti commentano il ritiro statunitense parlando di abbandono nei confronti dei curdi, alleati-chiave nel territorio conteso della Siria.

Asli Aydintasbas, giornalista turca e membro anziano del Consiglio europeo per gli Affari esteri, ha commentato dicendo che gli Stati Uniti stanno compiendo, in questo modo, un altro storico tradimento nei confronti dei curdi.
Non solo, infatti, Daesh non è stato affatto battuto, ma abbandonare i curdi a sé stessi rappresenta un grosso regalo alla Turchia di Erdogan, oltre che a Russia e Iran. Nonostante Trump neghi le proprie responsabilità, dichiarando che «gli Stati Uniti non vogliono essere il poliziotto del Medioriente», il mantenimento degli equilibri politici è da sempre una prerogativa irrinunciabile degli Stati Uniti. La guerra contro lo Stato Islamico è solo una delle chiavi di lettura che si possono dare del conflitto portato avanti in Medio Oriente. È innegabile infatti che sia in atto anche un tentativo di ridisegnare lo scacchiere della zona. Ritirandosi prima che una soluzione politica stabile sia stata definita per l’area, Trump lascia campo libero ai suoi avversari nella spartizione delle aree di influenza. La Russia ha già iniziato a riempire i vuoti lasciati dai precedenti ritiri delle forze occidentali, con la speranza di recuperare quanto perso dopo la fine dell’Unione Sovietica. Putin ha accolto molto favorevolmente l’annuncio di Trump, dicendo che si aspetta di vederne presto i frutti concreti.

Con il ritiro delle truppe statunitensi, la bilancia del potere nell’area penderà tutta verso il regime di Bashar al Assad e dei suoi sostenitori, gli sciiti della Guardia rivoluzionaria iraniana e i guerriglieri Hezbollah libanesi. In più, l’assenza Usa andrebbe a indebolire l’area nordest della Siria, lasciando soli i curdi nel tentativo di resistere agli attacchi turchi. Erdogan non ha mai fatto mistero di voler invadere la Siria passando proprio da quel confine, ufficialmente con lo scopo di combattere l’Sdf, che considera una forza terroristica poiché derivato del Pkk. La lotta interna con la Turchia che ne risulterebbe avrebbe come conseguenza quella di richiamare al Nord le truppe curde impegnate invece nell’area sudest, quella dove Daesh controlla gli ultimi territori che gli sono rimasti. Lo Stato Islamico non è infatti stato battuto come sostiene Trump: mercoledì un bombardamento su Raqqa che ha ucciso un soldato curdo è stato rivendicato proprio dalle forze dell’Isis, che ammontano ancora a svariate migliaia. Nonostante non si sappia quanto Daesh sia effettivamente in grado di rialzare la testa dopo la partenza dei 2000 soldati americani, il rischio c’è.

Lasciare i curdi al proprio destino comprometterebbe anche tutte le future operazioni in Medio Oriente, negando agli Stati Uniti la possibilità di guadagnarsi la fiducia dei combattenti locali in aree critiche come Yemen, Somalia e Afghanistan. L’unica possibilità rimasta all’Sdf è tentare un nuovo accordo con il regime di Damasco, offrendo appoggio al governo in cambio di alcune concessioni di autonomia nei propri territori. Essere costretti a stringere un patto con Assad rappresenterebbe un grosso fallimento per l’unica forza che ha tentato di istaurare un vero regime democratico in Medio Oriente, sforzi che sembrano non essergli stati riconosciuti dal loro più forte alleato occidentale. Subito forti sono state le critiche provenienti dall’Europa. Germania e Gran Bretagna si sono dichiarate contrarie alla scelta di Trump, non considerando Daesh una forza ancora del tutto sconfitta. La ministra francese per gli Affari esteri Nathalie Loiseau ha annunciato che il suo Paese resterà in Siria; il terrorismo non è stato debellato, come ha dimostrato l’attentato a Strasburgo.
Posizioni molto critiche anche dall’Italia, dove Giovanni Paglia di Sinistra Italiana ha dichiarato: «La decisione di Trump di ritirare i soldati Usa dalla Siria orientale, aprendo la strada all’offensiva turca contro i curdi, è un vero e proprio crimine di guerra. L’Ue, l’Italia, noi tutti dovremmo intervenire in difesa di chi ha sconfitto l’Isis e costruito una vera esperienza di democrazia nel Medio Oriente».
Per ora Donald Trump rimane sulla sua linea, annunciando anche un ulteriore ritiro di truppe, questa volta dall’Afghanistan. Sempre forti le ostilità a Washington, il cui emblema sono state le dimissioni del Segretario della Difesa Jim Mattis. Forse i curdi hanno ancora qualche alleato sul suolo statunitense.

Roma, Mimmo Lucano cittadino onorario dell’VIII Municipio ma la Raggi non ci sta

«In un Teatro Palladium stracolmo, abbiamo avuto l’onore di conferire la cittadinanza onoraria del Municipio Roma VIII a Domenica Lucano per il suo impegno a Riace, simbolo di accoglienza, fratellanza e futura umanità» dice Amedeo Ciaccheri, presidente del Municipio Roma VIII e rivela: «Poco prima dell’iniziativa Virginia Raggi ha scritto una diffida nei miei confronti perché “solo l’Assemblea Capitolina è deputata ad individuare persone, non residenti in Roma, che abbiano incarnato i valori fondanti della città e meritino quindi tale riconoscimento”».

«Non arretreremo di un centimetro rispetto al mandato ricevuto – assicura Ciaccheri -. La sindaca mi diffida perché non ritiene Mimmo Lucano meritevole della cittadinanza onoraria? Allora sono orgoglioso di aver superato dei cavilli burocratici. Al contrario se, come immagino, anche Virginia Raggi è “amica” di Riace allora La invito, e con Lei tutta l’Assemblea capitolina, a seguire il mio esempio e ad avviare l’iter per la concessione della cittadinanza a Mimmo Lucano».

Il video dell’intervento di Lucano e il conferimento della cittadinanza onoraria durante la serata al Palladium per la candidatura di Riace a Nobel per la pace promossa tra gli altri da Left, Re.co.sol e dall’VIII municipio

(Teatro Palladium di Roma, 20 dicembre 2018, da sinistra Mimmo Rizzuti, Mimmo Lucano, Amedeo Ciaccheri, Simona Maggiorelli)