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Metti una sera un’orchestra che suona all’ex dogana

Il coro fa il suo ingresso sul palco. Subito dopo tocca ai pianisti, ai cantanti solisti e ai percussionisti. Il pubblico non manca. Arriva il direttore d’orchestra. Pochi attimi dopo risuonano le prime note, forti e decise, dei Carmina Burana di Carl Orff. Il concerto è cominciato. Solo che non siamo dentro un teatro ma all’aperto, all’EX Dogana di Roma. Intorno non ci sono eleganti palchetti laterali ma il cemento vivo di uno spazio metropolitano di archeologia ferroviaria. Una vera ex dogana, riqualificata oggi a centro culturale, circondata da binari in funzione e dal passaggio dei treni. La musica però risuona forte, anche più del rumore dei vagoni, il cui passaggio non rovina ne l’esecuzione ne’ il piacere dell’ascolto. Al contrario, acuisce la sensazione di vivere un’esperienza nuova: la musica classica suonata in un contesto del tutto inusuale. Questo è ciò che è andato in scena all’Ex Dogana lo scorso 30 settembre e in replica il 9 ottobre. “Un nuovo e vincente modo di fruire della classica” come lo ha definito chi quel concerto lo ha diretto: Pier Giorgio Dionisi. Romano, classe ’75, pianista e direttore d’orchestra e di coro. Ma anche Cultore della Materia in Filosofia Analitica e Angloamericana a Tor Vergata (motivo per cui gli piace sottolineare che ha fatto suo quello “scetticismo gioioso” tipico di Hume), nonché fondatore e Direttore del Coro di quartiere Nuova Arcadia.

Piergiorgio, avete portato la musica classica fuori dai teatri. In un contesto frequentato principalmente da giovani e giovanissimi. Com’è nata quest’idea?

È un’idea che ho sempre avuto. Fui contattato a febbraio 2017 da Sergio Maria Ortolani, mente operativa di dogana. Essendo mentalmente aperto visitai il luogo e mi fu proposto un concerto di classica in estate. Eseguimmo il Requiem di Mozart su un palco dove il giorno prima si era esibito un rapper e due giorni dopo ci sarebbero stati Elio e le Storie Tese, ma il pubblico non mancò. A fine concerto vennero da me giovani di 20-25 anni colpiti dalla bellezza del brano, ascoltato per la prima volta.

 

L’obiettivo, dichiarato, era quello di sperimentare un nuovo modo di fruire della classica. Anche in funzione della ricerca di un pubblico nuovo?

E’ proprio quello che abbiamo fatto. Perché la classica non puzza di vecchio, puzza di vecchio chi invece se la tiene stretta. Mi riferisco a quei musicisti che assumono una posizione aristocratica dove da un lato reputano tutto ciò che non è classico al di sotto, dall’altro si chiudono nei luoghi dei concerti abituali e aspettano che qualcuno faccia un passo verso di loro. Non posso negare che anche per me la classica abbia un valore più alto della canzonetta che si fa ai festival, ma questo non vuol dire che io non faccia qualcosa per uscire da questa dimensione aristocratica. Quello che abbiamo cercato di fare è stato proprio andare verso le persone, verso il pubblico. Soprattutto quello più giovane. Che magari non ti cerca ma non perché non ama la classica ma perché non ti conosce. Le sale da concerto istituzionali sono piene di gente di 50-60 anni. E questo va bene ma non basta. Se non sei tu, musicista, a smettere l’attesa ed andare verso i giovani, nei luoghi che frequentano, magari con prezzi più bassi, li perdi. Rischiando così di non avere ricambio di pubblico e di fare concerti oggi per gli anziani, domani per nessuno. Un danno anche per i giovani musicisti.

 

Qualcuno più tradizionalista potrebbe obiettare che un’operazione come la vostra può comportare anche dei rischi, magari quello di privare l’opera musicale di parte del suo valore.

Si ma è un rischio che si può evitare. Basta proporre, come abbiamo fatto noi a Dogana, la musica classica per quello che è, senza edulcorarla o annacquarla. Chi fa arte, chi suona, sta dando qualcosa che ha ricevuto da più parti e tu artista devi renderlo nella maniera più onesta e intellettualmente pulita possibile. Senza tralasciare che l’ascolto di un concerto di classica, così come tutte le attività culturali, richiede impegno. Un impegno duplice, sia da parte di chi suona che di chi ascolta. Ma quando la fatica è fatta entrambe le parti sono arricchite. L’atteggiamento subdolo c’è invece quando si dice che la musica classica è difficile per il pubblico, ma proporla in una dimensione edulcorata può far avvicinare in qualche modo le persone. Questa è un’operazione che non funziona. Non si può pensare che attraverso l’ascolto di una musica annacquata prima o poi si arriverà alla classica. Questo è il messaggio che da vent’anni arriva in Italia, ma non è così. La classica va proposta così com’è, portandola però dove ci sono le persone, soprattutto giovani.

 

Quanto è importante la presenza di luoghi e spazi culturali che sappiano sperimentare, innovare?

È decisiva. Dobbiamo essere grati a Dogana e a chi mette a disposizioni spazi per fare magari un balletto, del cinema. Noi musicisti abbiamo bisogno di spazi. Pur essendo profondamente laico, come musicista sono grato ai parroci che mettono a disposizione chiese antiche con un’acustica straordinaria per fare concerti. Abbiamo bisogno di persone che dicano vieni a farlo e vediamo come va. E restando in tema di spazi, abbiamo bisogno che ci siano più esempi come Ex Dogana o la Citta dell’Altra Economia, strutture che sono state riconvertite in centri culturali, di aggregazione. Cosa che si potrebbe fare ad esempio con le ex caserme. Luoghi nei quali, una volta riconvertiti, la gente possa esprimersi, dialogare, creare iniziative.

Ha citato giustamente alcuni esempi di questo tipo. Le notizie raccontano però perlopiù di spazi culturali che a Roma vengono fatti chiudere. Anche a livello nazionale (non ultimo il caso del centro sociale Làbas a Bologna). Insomma, spazi di resistenza ci sono, ma la politica, locale e non solo, non sembra prestare molta attenzione alla cosa

Non mi intendo di politica e non voglio entrare nel merito. La politica italiana e romana ha tanti problemi da risolvere ma non si può sempre mettere la cultura per ultima. Se non fai cultura crei delle persone inconsapevoli, senza obiettivi. Se trovassimo il coraggio di investire in cultura, a partire dalla scuola, questo aiuterebbe il cittadino ad essere più consapevole e anche più rispettoso. Con la cultura si formano persone che pensano e muovono l’opinione pubblica. La cultura andrebbe poi svecchiata, che non vuol dire rottamata. Un’operazione che potrebbe cominciare dalle scuole. Da musicista anelo un concerto per bambini, anche uno in cui i bambini siano distratti e facciano casino, ma che si siano. Non mancano organizzazioni che fanno concerti nelle scuole, magari in forma ridotta. Si sta facendo ma quello che di buono si fa è poco pubblicizzato.

 

 

Basta catto-comunisti

E così è successo. I comunisti sono diventati manifestamente cattolici praticanti. Anche se loro mantengono i loro distinguo. Dicono che si tratta solo di cose interessanti, nessuna rinuncia ai propri valori.

Staino, vignettista storico de l’Unità nonché ultimo direttore dello stesso giornale prima della chiusura del giornale che fu del Pci ad opera dell’editore voluto da Renzi, fa le sue vignette per l’Avvenire.
Quale sia il motivo non si sa. Staino, a lungo presidente onorario dell’Uaar, associazione che promuove e difende i diritti degli atei, fa vignette per il giornale dei vescovi, uno tra gli ultimi rimasti a prendere fior di quattrini dai contributi diretti all’editoria. Peggio fa il manifesto, giornale comunista (come si definisce nel sottotitolo) che pubblica in allegato un libro di Jorge Maria Bergoglio alias papa Francesco. Entrambi dicono che non è come sembra. Non hanno abiurato ai loro ideali. Ma le parole del papa gli sono vicine. Sono parole di sinistra, dicono. Io veramente non capisco. Non vi capisco cari amici. Possibile che siate così disperati che non vi resta che buttarvi nelle braccia della Chiesa che, ovviamente, non aspetta altro? Forse avete paura. Forse non capite. Non riuscite a capire come sostenere ideali di sinistra e combattere le continue idee contrarie che vi arrivano addosso. Forse non sapete come combattere e opporvi a chi dice che siete morti e finiti con il crollo del comunismo dell’89. Purtroppo il comunismo è fallito. Lo era già dall’origine. Il modello di società immaginato da Marx non funziona. Il comunismo ha illuso masse di persone che avevano speranze genuine e vere. La promessa era grande ma non è stata mantenuta. E il motivo è in realtà semplice: il comunismo è fallito non tanto perché la teoria economica è sbagliata (e lo è). È fallito perché non ha un’idea di cosa sia un essere umano! L’unica cosa che pensa il comunismo dell’essere umano è il suo essere razionale.

In verità l’essere umano è solo in piccola, piccolissima parte, razionale. La vita di ognuno di noi è guidata e vissuta in modo irrazionale, inteso come una realtà interna sana e intelligente che però non risponde a logiche matematiche come vorrebbero le teorie economiche. Proprio qualche giorno fa è stato dato il Nobel per l’economia a chi ha pensato e teorizzato che l’essere umano, l’Homo oeconomicus come lo chiamano gli economisti, non ha un comportamento razionale. Ora tutto questo per dirvi, cari compagni, che vi sbagliate di grosso con il papa.

Vi ostinate a negare che esista una realtà irrazionale, non cosciente così, andate da chi dice di sapere di questo irrazionale quando in realtà è razionale come e più di voi. Non capite che in quel pensiero c’è un inganno mortale che fa morire anche quel vostro pensiero irrazionale di volere il bene degli altri. I cattolici non hanno alcun interesse al bene degli altri. Non lo hanno mai avuto nella storia e non lo hanno adesso.

Basta ricordare solo qualche concetto di base ma ce ne sono decine:
1. L’uguaglianza per la Chiesa è uguaglianza di fronte a dio. Questo significa che gli esseri umani per loro NON sono tutti uguali. Chi non crede in dio NON È UGUALE a chi crede. Come dire che è meno umano. È famosa la frase di questo papa che dice “Un bambino battezzato NON È UGUALE ad un bambino non battezzato”. Come dire che il bambino non battezzato lo possiamo tranquillamente ammazzare, perché non è un essere umano. Questo si chiama RAZZISMO cari compagni.
2. Devo ricordare che idea ha la Chiesa delle donne? Ricordate che le donne nella Chiesa (le suore) vanno in giro con un velo che copre i capelli? Se una donna va in visita dal papa si deve mettere il velo. Vi devo ricordare la posizione della Chiesa nei confronti della contraccezione e dell’aborto?
3. Ve lo siete dimenticato lo scandalo orribile della pedofilia nella Chiesa? Ah certo voi dite “ma questo papa è tanto bravo, ha risolto tutto!” Siete sicuri sicuri? Ragazzi, siete giornalisti, informatevi! Informatevi e informate correttamente i vostri lettori. E se ancora sostenete che sono poche pecore nere allora perché la Chiesa sistematicamente protegge i preti pedofili evitando che vadano a processo? Perché sostiene che un aborto è un peccato mortale e invece un prete pedofilo commette solo un peccato contro la morale?

Forse non lo capite perché non lo vedete ma il prete pedofilo uccide il bambino perché annulla la sua realtà, che non ha la sessualità che si svilupperà solo alla pubertà. L’aborto invece non uccide nessuno. Non c’è l’essere umano prima della nascita. Per quello che ci riguarda noi di Left sosteniamo senza nessun tipo di incertezza l’essere atei come elemento fondante di una sinistra che voglia essere autentica, ossia interessata veramente agli esseri umani e alla loro realizzazione. Ciò che ci permette di non avere dubbi e di non confonderci è una teoria che dice esattamente cos’è un essere umano, qual è la sua origine e qual è il senso del suo essere al mondo. Non c’è bisogno di dio. Anzi. Siamo in grado di comprendere cosa è dio, o meglio cos’è il pensiero che viene detto “dio”. Sappiamo perché “l’uomo crea dio”. Noi conosciamo la pulsione di annullamento, quella dinamica che compare nella malattia mentale, quella che rende anaffettivi e stupidi, il massimo della distruzione degli esseri umani. È la stessa dinamica che alla nascita, come ha spiegato Francesca Fagioli in tv a Linea Notte il 9 ottobre, realizza il massimo della creazione quando, fusa alla vitalità del corpo, è fantasia di sparizione: annullamento del mondo inanimato e fantasia di rapporto con un altro essere umano. Questa teoria fonda una nuova antropologia oltre che una nuova psichiatria. Ciò che ci permette di sapere tutte queste cose e molte altre è la teoria della nascita di Massimo Fagioli. Sì sempre lui. Quello di cui insisto a scrivere sempre. E il motivo è perché mi è incomprensibile questa ottusità assoluta di certa sinistra: ma è così difficile leggere un libro di Massimo Fagioli invece che un libro del papa?

L’editoriale di Matteo Fago è tratto da Left in edicola


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Senza dio

Come si fa a lottare per i diritti delle donne, a parlare e scrivere di autodeterminazione, a mobilitarsi per la piena applicazione della legge 194 e al contempo riferirsi al papa come leader ideale della sinistra? Basterebbe questa domanda per mostrare la feroce contraddizione che c’è nel dirsi di sinistra e seguaci di Bergoglio. Che continua a fare il proprio mestiere lanciando anatemi e additando come assassine le donne che decidono di interrompere una gravidanza. «Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto del Signore che, prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo». Queste parole di papa Francesco si trovano in una nota pastorale in cui il pontefice parla della Chiesa come di un ospedale da campo per esseri umani derelitti, resi tali da «ferite spirituali» e colpe tra cui l’aborto.

In questi anni Bergoglio – oggi osannato come leader, non solo dai vertici del Pd, ma anche da nuove formazioni di sinistra e perfino dalla radicale Emma Bonino – non si è limitato a predicare, ma è intervenuto a gamba tesa (come si diceva della Cei ai tempi della battaglia contro la legge 40) in questioni che riguardano la politica e la legislazione italiana, pontificando sulla vita umana, che comincerebbe dal concepimento, sul fine vita, negando la possibilità di poter morire con dignità ai malati terminali perché la vita è un dono di dio. I risultati si sono visti chiaramente in questi anni, la legge 40, voluta trasversalmente da cattolici di destra e di sinistra è una legge antiscientifica e crudele che confonde la realtà del bambino con quella dell’embrione e del feto e per questo l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani. E che ancora oggi, nonostante sia stata smantellata pezzo dopo pezzo nelle aule dei tribunali impedisce di utilizzare gli embrioni congelati e non più idonei all’impianto in utero per ricerche scientifiche che potrebbero in futuro portare a terapie di malattie oggi incurabili.

Come si fa a definire di sinistra e a considerare un faro un papa che vuole far ammalare di depressione le donne, inculcando in chi ha abortito l’idea di aver ucciso un bambino. Un’idea medievale, che va contro ogni evidenza scientifica, dal momento che come è ampiamente accertato dalla moderna neonatologia, «prima delle 23-24 settimane il feto, se nasce, non ha nessuna possibilità di vita in quanto le connessioni cerebrali fra organi sensoriali e corteccia non sono formati». Ma il papa e i cattolici intignano. Controllare la sessualità femminile, coartare il desiderio, impedire la realizzazione dell’identità femminile nel rapporto intimo e profondo con il maschile è sempre stata la fissa dei cristiani. E papa Francesco tiene “alta” questa tradizione, seguito da esponenti del Pd che in Europa hanno fatto crociate in difesa dell’embrione che a loro dire sarebbe uno di noi. Il ministro della Salute del governo Renzi e Gentiloni, ispirata dal “santo” papa ha lanciato – ricorderete – un inaccettabile fertility day in cui, si esortavano le donne, come ai tempi di Mussolini di dare figli alla patria… e a dio.

Incredibile ma vero, tutto questo è stato cancellato con un colpo di spugna dai tanti compagni di strada con i quali abbiamo lottato contro una legge anti scientifica e crudele come la legge sulla fecondazione assistita. è tristissimo vedere chi ha speso la vita per la legalizzazione dell’aborto oggi genuflettersi al papa. “Per un posto in Papamento”, abbiamo scritto qualche mese fa. Per tornare a fare il ministro con Pisapia, Prodi, Gentiloni, Letta, Calenda. E con la benedizione del pontefice. Infischiandosene di una questione per noi irrinunciabile, che si può riassumere in due parole: onestà e coerenza. Da qui la scelta del tema di copertina di questa settimana: l’ateismo. Ancora una volta guardando oltre la prospettiva retriva di questa classe politica italiana, guardando oltre il minuscolo Vaticano si scopre che il mondo è grande e che essere atei non è qualcosa di strano o di esotico, ma la condizione naturale, spontanea, responsabile, pienamente consapevole e serena di miliardi di esseri umani. Con buona pace dei compagni che si aggrappano a Bergoglio.

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola


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Conversione non è sinonimo di lotta di classe

Papa Francesco saluta Emma Bonino nell'Aula Paolo VI, durante l'udienza a circa 7.000 bambini per l'incontro organizzato dalla Fabbrica della Pace, Citt‡ del Vaticano, 11 Maggio 2015. Pope Francis with Italian former Foreign Ministry Emma Bonino, during the audience to almost 7000 children, meeting organized by 'Peace Factory', in Paul VI Hall, Vatican City, 11 May 2015. ANSA/ GIUSEPPE LAMI

Alla marea di libri, oggetti, gadget e souvenir apologetici legati al culto della personalità di papa Francesco già disponibili nelle edicole di tutto il Paese, si è da qualche giorno aggiunto un volumetto distribuito insieme a il manifesto, contenente i tre discorsi del papa (peraltro notissimi e ampiamente discussi a suo tempo dalla stampa di tutto il mondo) ai rappresentanti dei “movimenti popolari”.

Superata la sorpresa, dal momento che, merce rara di questi tempi, le “cronache vaticane” del quotidiano mi sono sempre apparse equilibrate e intelligenti, la prima tentazione è stata quella di liquidare la cosa come una mera operazione commerciale, come puro marketing. Da tempo alla disperata ricerca di lettori, il “quotidiano comunista”, ho pensato, punta probabilmente a conquistare qualche copia in più tra i frequentatori delle parrocchie e degli oratori. Niente di male, business is business e la sopravvivenza di un giornale è una cosa seria. Da questo punto di vista, sarà comunque interessante vedere se la manovra avrà successo o se l’uso di un marchio inflazionatissimo come quello del pontefice argentino non rischi soprattutto di far perdere al giornale romano molti dei suoi lettori più affezionati, infastiditi dalla deriva papista della testata che fu di Rossanda e Pintor.

Ad ogni modo, se si vuole prendere sul serio la faccenda, bisogna ammettere che si tratta di un’operazione scorretta e dannosa, di una vera e propria gigantesca cantonata politica. È scorretta e dannosa perché il papa va preso sul serio e non manipolato ai propri fini. Farlo passare per un criptocomunista è patetico e ha come unica conseguenza quella di dare un risalto del tutto ingiustificato ad alcuni suoi discorsi genericissimi e francamente mediocrissimi sul piano del livello culturale e della sofisticatezza dell’analisi politica. Come egli stesso ha ripetuto alcune centinaia di volte, ma evidentemente la cosa non entra nelle teste di certi “compagni” eternamente alla ricerca di nuovi idoli….

L’articolo del sociologo Marco Marzano prosegue su Left in edicola


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Iran, Trump all’attacco

Foto di Nicola Zolin

George Orwell scriveva che «il linguaggio politico è stato progettato per fare sembrare le bugie veritiere» e «per dare una parvenza di solidità al vento puro», in una complessa miscela di “eufemismo”, “cose date per scontate” e “vaghezza”. La retorica anti-Iran (Deal) del presidente statunitense Donald Trump corrisponde spesso all’istantanea scattata dallo scrittore britannico nel 1946. Proviamo a ricostruire (per poi destrutturare) i meccanismi di costituzione dei fatti secondo l’inquilino della Casa Bianca, proprio attraverso le sue stesse parole.

È il 6 ottobre, accogliendo a cena i vertici militari americani, Trump parla di «calma prima della tempesta». Resta criptico, non menziona esplicitamente Teheran. La stessa sera aggiunge: «Teheran non rispetta lo spirito» dell’accordo sul nucleare. Si riferisce al cosiddetto Iran Deal, l’intesa firmata il 14 luglio 2015 tra i Paesi del gruppo 5+1 (Usa, Russia, Francia, Cina, Gran Bretagna, più la Germania), l’Ue e l’Iran per la sospensione delle sanzioni imposte da Unione europea e Nazioni unite contro il programma della Repubblica islamica. Poi il presidente Trump continua, alimentando una narrazione dell’urgenza di fronte a una minaccia percepita: «Non dobbiamo consentire all’Iran di ottenere le armi nucleari». E ancora, traccia il profilo del nemico, spostando l’attenzione dall’oggetto della questione – l’accordo sul nucleare – al coinvolgimento militare iraniano rispetto alla sicurezza regionale: «Il regime iraniano sostiene il terrorismo ed esporta violenza, spargimenti di sangue e caos nel Medio Oriente. Quindi – continua nel suo ragionamento – l’Iran non …»….

Testo di Stella Morgana, foto di Nicola Zolin

 

L’articolo di Stella Morgana e il reportage fotografico di Nicola Zolin proseguono su Left in edicola


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Ius soli, bambini e insegnanti “occupano” Piazza Montecitorio

Il sit-in a Montecitorio a favore del IUS SOLI 12 settembre 2017 a Roma. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Pizza Montecitorio, dopo la protesta per la legge elettorale, lascia il posto oggi al movimento di insegnanti, genitori e alunni che chiedono l’approvazione della legge sullo ius soli. Oggi, 13 ottobre, a partire dalle 16.30 si dà appuntamento la rete degli  #Italianisenzacittadinanza e a L’Italia sono anch’io per trasformare Piazza Montecitorio nella Piazza della Cittadinanza, con laboratori creativi, flash mob, cori e palloncini tricolore per ribadire la necessità del voto immediato della Riforma che introduce lo ius soli temperato e lo ius culturae.

Anche perché dopo il voto di fiducia per la legge elettorale non si comprende perché non si sia utilizzato questo strumento – molto usato negli ultimi governi – per l’approvazione della legge che, ricordiamo, era il primo punto della campagna elettorale del Pd di Bersani nel 2012. Dalla presentazione del testo di legge, nel 2013, sono passati oltre 4 anni e invece di approvare una legge giusta che regolarizza 800mila minori “italiani senza cittadinanza”, la politica ha preferito soffiare sul vento della paura. Infondata e basata solo sul calcolo elettorale.
«I rappresentanti di Senato e Governo –  si legge nel comunicato dei promotori della manifestazione di oggi – devono dimostrare senso di responsabilità verso i bambini e le bambine che in Italia crescono, votando immediatamente la riforma. Lo stesso premier Paolo Gentiloni ha recentemente definito quella sulla cittadinanza una riforma di civiltà, impegnandosi ad approvarla entro l’autunno».
Secondo i promotori del Cittadinanza day, il movimento #ItalianiSenzacittadinanza e l’Italia sono anch’io, è questo il momento per votare una legge che sancisce il principio che “chi cresce in Italia è italiano”, riconoscendo così la ricchezza interculturale dell’Italia di oggi, miglior antidoto alle preoccupanti derive razziste e ai discorsi d’odio.
All’iniziativa hanno già aderito la rete degli “Insegnanti per la Cittadinanza”, che hanno lanciato un appello e uno sciopero della fame cominciato il 3 ottobre e promosso iniziative nelle scuole in tutta Italia, e altre realtà del mondo della scuola. Il 13 ottobre i vignettisti Biani, Vauro, Natangelo, Fabio Magnasciutti e gli studenti di illustrazione di Officina B5 saranno in piazza per disegnare con i bambini.
Le associazioni e i movimenti che hanno aderito qui
Per adesioni: [email protected]

Weinstein – Asia Argento: quindi lo stupro ha una data di scadenza?

Che meraviglia vedere i benpensanti che benpensano e benscrivono un po’ dappertutto ergendosi giudici dei tempi di denuncia di Asia Argento, che “solo ora” (come Angelina Jolie e Gwyneth Paltrow) ha trovato il coraggio di denunciare il produttore di Hollywood Harvey Weinstein, uno dei tanti uomini che vive il potere spicciolo della propria posizione come carne a forma di uomo attaccata al proprio pene.

La colpa di Asia Argento (e di molte altre) sarebbe quella di avere “beneficiato” del rapporto sessuale estorto oppure di averlo denunciato troppo tardi oppure di non avere avuto “il coraggio di dire no” e per qualcuno anche tutte e tre le colpe insieme.

Evidentemente, mi deve essere sfuggito, da qualche parte si è deciso, in caso di stupro, di aprire la sagra della bile e dei giudizi sulla stuprata piuttosto che sullo stupratore, tutti presi (uomini e donne) dall’ansia di farsi saputelli come dal manuale della “brava stuprata”, seguendo le regole dei modi e dei tempi che ha deciso il senso comune. Evidentemente da qualche parte ci deve essere scritto che la paura (come la sottomissione e la vergogna e il dolore così difficile da elaborare) debba seguire le buone maniere. Mica lui, il maiale, no: tutti a giudicare la paura.

Nessuno che si interroghi sui contesti e sulle condizioni del ricatto. No, no. Troppo complesso. E la complessità non va di moda nei pensieri che annaspano per stare nei 140 caratteri. E la ferocia delle donne che, come dice bene Michela Murgia, “hanno ingoiato la cultura maschilista” racconta bene lo stremo di questo Paese nella capacità di comprendere le fragilità degli altri.

Poi, in tutto questo, mai nessuno che qui da noi (nemmeno gli eroi e le eroine che strepitano in queste ore) abbia il coraggio di raccontare delle migliaia di Harvey Weinstein nostrani, con nomi e cognomi italiani, che tastano l’eventuale disponibilità delle provinanti o delle “sottoposte” solo per aggiungere un tacca alla propria viscida libido. Quello che tutti sanno ma non dicono di “mostri sacri della televisione”, di registi vicini all’Oscar, di decine di agenti televisivi che trattano le donne come carne fresca. Nessuno che abbia il coraggio di dire che di Asie Argento qui in Italia è zeppo, anche se hanno dovuto subire per prospettive molto più corte. O forse è proprio quello il problema. E la ferocia.

Buon venerdì.

Incontri e convegni per far vivere il Museo campano di Capua

Museo campano di Capua

Grazie alla mobilitazione della rete di associazioni e del mondo dell’università il Museo Campano di Capua rinasce come luogo di vita e di socialità, come centro di diffusione della cultura come fattore di coesione sociale e di apprendimento permanente. In questi giorni già vi sono stati eventi importanti, con la presentazione del nuovo volume del professor Giuseppe Angelone nella prestigiosa sala Liani. Il 23-24 settembre, nell’ambito delle Giornate europee del patrimonio, nella sala di Capuanova c’è stata una anteprima della mostra di mailing art, con una selezione di opere giunte da tutte il mondo, che sono in fase di catalogazione da parte degli studenti del Liceo Pizzi.
La petizione con l’appello rivolto al ministro Dario Franceschini, lanciata su Change.org, continua a raccogliere migliaia di adesioni da ogni parte del mondo.
Ed è solo l’inizio. Dal primo ottobre e per tutti i fine settimana del mese, si svolge nelle sale del museo la manifestazione “Le Università incontrano il Museo Campano”, un fitto calendario di lezioni brevi di archeologia, di arte, di letteratura e di storia tenute da docenti universitari, ricercatori, dottorandi e studiosi che donano il loro tempo e le loro conoscenze, frutto di anni di studi, a chi voglia conoscere più a fondo i tesori di Palazzo Antignano e, attraverso di essi, la storia del territorio, dai tempi preistorici ad oggi.
L’evento è il coronamento della petizione Salviamo il Museo campano di Capua. Salviamo la nostra memoria, iniziativa promossa anch’essa da circa 200 docenti firmatari, provenienti dalle università di tutta Italia, e lanciata sulla piattaforma online change.org  che ha raccolto finora circa 15mila adesioni. Lo scopo è quello di far conoscere il patrimonio del Museo campano e le sue collezioni, ancora troppo poco conosciuti al di fuori del territorio cittadino.
Come una sorta di didascalie parlanti, i relatori presenteranno, ad orari stabiliti, un pezzo in esposizione, con riferimento alla loro personale esperienza di ricerca e al valore di quel reperto illustrandone le origini e l’importanza storica e culturale.
Il visitatore di Palazzo Antignano, quindi, potrà addentrarsi nelle sale del museo e soffermarsi ad ascoltare le descrizioni di archeologi, storici, storici dell’arte e della letteratura di un particolare oggetto, che sarà preso come spunto per spiegare la storia, le usanze e le consuetudini del periodo in cui è stato realizzato.
I temi approfonditi attraverseranno millenni di storia, fino ai giorni d’oggi, dalle tanagrine di terracotta alle ceramiche ellenistiche, dai materiali dell’anfiteatro campano alle sculture medioevali, dalle statue votive delle #MatresMatutae alle antiche monete ed ai mosaici. Le lezioni, potranno riguardare anche l’immaginario artistico e letterario legato a Capua e ai tesori custoditi nel museo.
La storia di Capua e di tutto il Meridione d’Italia si intreccerà alla letteratura e all’arte di cui le preziose collezioni del museo sono una straordinaria testimonianza. Saranno aperte sale del museo normalmente inaccessibili al visitatore, come la biblioteca storica, sede di antichi manoscritti e cartografie. Lezioni di industrial design e di arte contemporanea, ma anche il percorso della ricostruzione post bellica del museo e racconti secolari di famiglie reali, la cui storia ha attraversato quella di palazzo Antignano.
I principali atenei coinvolti nella manifestazione sono le Università Federico II e Suor Orsola Benincasa di Napoli, l’Università della Campania Luigi Vanvitelli. Ma a queste si aggiungono l’Università L’Orientale di Napoli, l’Università del Salento, l’Università Autonoma di Barcellona, l’Istituto Storico Italiano per il Medioevo di Roma, la Biblioteca Hertziana Max-Planck-Institut für Kunstgeschichte di Roma ed altre autorevoli istituzioni.
L’evento, organizzato in collaborazione col Museo campano di Capua e patrocinato dal Comune di Capua , nasce da una profonda sinergia con le realtà associative locali che hanno contribuito all’organizzazione e saranno presenti per tutto il periodo di svolgimento della manifestazione.
Promotrice dell’evento, insieme agli studiosi, l’Associazione culturale Capuanova, presente sul territorio dal 1984 e che per il museo sta portando avanti il progetto di valorizzazione e diffusione della conoscenza della collezione delle matres matutae #AdottaunaMadre (www.adottaunamadre.it), in collaborazione con la rete le Piazze del Sapere/Aislo Campania. Il 28 ottobre la manifestazione culminerà in un convegno con esponenti del mondo accademico ed istituzionale. ( Pasquale Iorio)

Filippine, Duterte “il punitore” revoca la licenza di uccidere alla polizia

epa06228079 Philippine President Rodrigo Duterte gestures during his speech in Pasay City, south of Manila, Philippines, 26 September 2017. Duterte attended the Department of Justice's 120th anniversary celebration. EPA/MARK R. CRISTINO

Lo chiamano “il punitore”, perché i suoi metodi nella“guerra alla droga” sono letali, perché è un sanguinario, perché risponde così ai reporter nel suo paese, le Filippine: «solo perché sei un giornalista, non vuol dire che non verrai assassinato». Perché ha dichiarato che sarebbe «felice di sgozzare milioni di tossicodipendenti», che la «morte accidentale di bambini» nella sua campagna di guerra alla droga era «solo un danno collaterale».

Ma adesso basta. Con un memorandum, oggi il presidente Rodrigo Duterte ha trasferito i poteri che aveva conferito a polizia, militari ed altri corpi statali armati, alla Pdea, l’agenzia anti-droga delle Filippine, che ha solo 1800 membri attivi e che costituiscono solo l’1% delle forze dell’ordine nazionali.

Sono morte migliaia di persone da quando il presidente filippino ha dichiarato quindici mesi fa la legge marziale e ha dato la luce verde a tutte le sue divise per sparare a vista. Non necessariamente si doveva essere colpevoli per morire nel paese del “Punitore”: bastava essere dei sospetti per perdere la vita. Non solo i trafficanti, ma anche i piccoli spacciatori, i piccoli criminali sono stati uccisi sotto gli occhi delle loro famiglie. Sono molti gli innocenti che hanno perso la vita per sbaglio, 3900 sono stati gli omicidi sommari, compiuti strada per strada, casa per casa, omicidi di “personalità legate al traffico di droga”, il cui sangue ha bagnato le strade principali delle città fino a quelle più remote delle campagne.

Per le organizzazioni umanitarie troppe sono le morti non spiegabili e non collegabili con il business degli stupefacenti: sono state duemila le persone uccise in circostanze non chiarite. Nonostante le proteste degli attivisti dei diritti umani, le lacrime e urla dei parenti dei morti, Rodrigo Duterte non si è mai fermato. Fino ad ora, fino a qui: adesso ha finalmente detto stop alla polizia – 160mila divise – ordinando di terminare le operazioni brutali e sempre mortali della sua campagna anti-droga.

Non è stato un atto d’umanità, ma una scelta politica: la sua popolarità è in declino, le manifestazioni contro di lui si moltiplicano, i manifestanti chiedono di “stop the killings”, fermare gli omicidi, e “basta legge marziale”. La popolazione scende in piazza soprattutto per chiedere “justice for Kan”, uno studente 17enne.

Kan è stato assassinato ad agosto in circostanze non chiarite nella provincia settentrionale di Manila, la capitale dove siede il leader “castigatore”, che ha chiamato “figlio di puttana” l’ex presidente americano Barack Obama, mentre dal nuovo, Donald Trump, ha ricevuto i complimenti “per l’incredibile lavoro svolto” con la sua guerra ai trafficanti nel paese.

 

Piotta aka Tommaso: «Roma mia come sei caduta in basso»

Italian singer Piotta poses for the Italian premiere of ''Suburra La Serie'' in Rome, Italy, 04 October 2017. ANSA/ ETTORE FERRARI

«Oggi è un giorno importante, uno di quelli che ricordi da vecchio». Esordisce così Piotta, al secolo Tommaso Zanello, cantante, musicista rapper, produttore e anche scrittore, a commento del fatto che il suo brano “7 Vizi Capitale” è divenuto sigla di Suburra, la serie televisiva italiana in onda dallo scorso 6 ottobre (diretta da Placido, Molaioli e Capotondi, tratta dall’omonimo film, a sua volta ispirato al romanzo di De Cataldo e Bonini) distribuita da Netflix, in programma anche in tutto il mondo. A stupirlo è proprio tutta questa visibilità, anche se il cantautore romano, che da sempre canta di Roma, di visibilità, soprattutto sui social, ne ha. Divenuto famoso col tormentone di “Supercafone”, brano anni Novanta, accompagnato da coreografia e video virali, l’artista è in auge da quasi trent’anni. Vantando collaborazioni cinematografiche e musicali, con molte realtà rapper, Piotta/Tommaso è anche scrittore e dj radiofonico e ha creato l’etichetta “La grande onda”. Il 13 ottobre viene pubblicato un doppio cd. Con la testa al nuovo album e il cuore alla città eterna che vede versare in drammatiche condizioni, Piotta, che da tempo ha abbandonato la “er”, ci racconta di questo suo momento particolare.
Sei reduce da una lunga tournée, sei stato anche oltre oceano. Adesso la sigla, poi l’uscita del doppio. Che momento stai vivendo?
Il tour è andato bene, calcolando che non era supportato dall’uscita di un nuovo album. Adesso ripropongo, insieme alla sigla/brano “7 Vizi capitale”, un doppio cd. Conterrà sia “Nemici”, uscito nel 2015, che il precedente “Odio gli indifferenti”. “Nemici” ha avuto un ottimo riscontro e una buona visibilità, il precedente aveva avuto meno visibilità perché ero in una fase di cambiamento, anche a livello musicale. Non ho grandi sponsor, anzi ho la mia etichetta e non c’è il passaggio nelle radio mainstream. Volevo che “Odio gli indifferenti”, album che a me piace tantissimo per suoni, contenuti, ospiti, avesse la visibilità che merita.
Titolo evocativo, quello della sigla di “Suburra”, serie ambientata nella “tua” Roma, su cui non rinunci mai di parlare. Spesso dici che non ti preoccupa tanto come è ridotta, ma come risollevarla.
Sarei non sano di mente, se non fossi preoccupato; credo di dire oggettivamente, perché è sotto gli occhi di tutti, quello che è lo stato delle cose. Per la mia età, per aver fatto un bel percorso di vita, a Roma, cui sono legatissimo, devo tanto perché permea molte delle mie canzoni. Da quelle che erano le prospettive, di me adolescente e giovane studente, e poi ventenne universitario e poi trentenne e poi via dicendo, io vedo che adesso siamo nella fase discendente.  Il gap con le altre città è così grande che poi non basta più una generazione a risolvere un problema.
Hai mai provato, da cittadino, a interpellare le istituzioni, a dire la tua?
Sinceramente no, ma non perché adesso c’è la sindaca Raggi. Anche nel passato ho avuto un rapporto con le istituzioni piuttosto algido, forse anche loro nei miei confronti: diciamo che mi ritengo avulso dai meccanismi istituzionali. Non perché sia un ribelle a tutti i costi, ma faccio l’artista e oltre al lato creativo c’è questa dimensione un po’ più solitaria. So di far parte di una collettività e di dare il mio contributo, ma ci tengo ad avere la mia libertà. In certi contesti avere a che fare con le istituzioni significa fare un compromesso, perché la politica è un punto di incontro, e in quanto tale non è il tuo. Quindi, l’artista è più utile per denunciare, raccontare certe cose; fare politica non è il mio ruolo. Poi, anche se arrivasse una giunta con capacità miracolose, ai confini della realtà, non basterebbe nemmeno quella per cambiare le cose. Per esempio, intervenire sulle infrastrutture, occorre un preciso tempo tecnico, per cui già una generazione l’hai fatta fuori, non potrà beneficiarne. “7 Vizi Capitale” è un po’ un quadro di tutta questa situazione: un brano notturno, scuro, malinconico. C’è Caravaggio come luce… Comunque, mi piacerebbe vedere ripartire questa città e non vedere continuamente amici che partono!
Se fossi sindaco, anche solo per un giorno, quale sarebbe la prima cosa che faresti?
Io non saprei gestire una città, ci vuole coraggio anche solo pensarlo. Però sarebbe necessario valorizzare tutto ciò che di storico abbiamo, al di là del turismo: è troppo poco sfruttato, per quello che, gratuitamente, Roma offre a tutti noi che la viviamo tutti i giorni.  Non parlo di sfruttarla nel senso brutto del termine, ma di valorizzarla. La serie “Suburra” è bellissima e vedere Roma, di notte, fotografata in un certo modo, già solo questo è una ricchezza enorme, che pochissime città nel mondo possono offrirti. Successivamente, bisognerebbe investire il guadagno in quello che non c’è a livello di infrastrutture.
Soprattutto sui social,  la tua la dici sempre, anche in maniera ironica, non ti tiri mai indietro. 
Comunicare mi è sempre piaciuto, anche prima che esistessero i social. Per la mia generazione sono qualcosa di eccitante, purché dentro alcuni limiti. A volte mi chiedono come facevamo a comunicare e io rispondo che si usciva di casa, si andava per strada, e già c’era un’apertura verso il mondo esterno, poi arrivava il contatto, a volte fisico, cominciavi a osservare, che è diverso da guardare, e capivi da un dettaglio, da quel piccolo particolare che sì, in quella persona si riconoscevano i tuoi stessi interessi e allora si cominciava a dialogare. Personalmente, il mezzo che ho scelto per comunicare è quello della musica, soprattutto nella dimensione del concerto, che è il massimo, altro che youtube.
Dopo l’uscita di questo doppio album, quali sono i tuoi progetti?
Mi chiuderò in studio con le persone con cui collaboro per finire il nuovo album, che vedrà la luce l’anno prossimo e sarà accompagnato da un tour mirato.
Qual è la cosa che ti piace di più fare a Roma, anche per prenderti un po’ di pausa dalla musica?
Prendere lo scooter, salirci sopra, casco ok, maglietta leggera, soprattutto se è estate. Non pensare quasi a niente e lasciarsi andare in giro per Roma, sia le zone a cui sono molto più legato: villa Ada, villa Paganini; ma anche la periferia, dove ho molti amici o fratelli, come il Quadraro vecchio, Torpignattara. La città meno turistica e più vissuta ogni giorno.