Home Blog Pagina 908

Salvini parla di sostituzione degli italiani citando vecchie balle de La7. Ma le balle restano tali anche se lo dice la Tv

Matteo Salvini durante il corte contro l'immigrazione clandestina partito da Corso Venezia con destinazione finale piazza del Duomo a Milano, 18 Ottobre 2014. Sono in migliaia le persone scese in strada per manifestare ''contro l'invasione e le moschee'', Milano, 18 Ottobre 2014. ANSA/ DANIELE MASCOLO

C’è Matteo Salvini che oggi, ma anche ieri e ieri l’altro, si sbraccia sui social media per spiegarci che vuole rispedire a casa i maledetti clandestini. Oggi sono 600 gli sbarcati a Trapani che, petto in fuori, Salvini si appresterebbe a rispedire a casa.

Bene. In un post su Facebook, lo stesso segretario della Lega ci spiega un altro passaggio cruciale della sua visione delle cose facendo riferimento a un servizio, chiamiamolo così, andato in onda il 19 marzo 2016 su La7 durante La Gabbia. Il servizio è un attacco furioso a Laura Boldrini, che sarebbe la punta di lancia di un piano (dell’Onu? Di un grande vecchio? di George Soros? Delle banche?) per sostituire la popolazione italiana con quella straniera. Un attacco culturale, un piano della finanza che preferisce manodopera a buon mercato e senza diritti e una volontà ferma di tagliare le radici dell’Occidente. Ora, il video fa spavento e mostra come anche la Tv mainstream sia da tempo alle prese con la grande trasformazione: notizie false, distorte, montaggio di interviste e discorsi della presidente della Camera fatto ad arte e spiegazione delle sue parole che ne travisa o capovolge il significato. Guardatelo e capirete bene cosa significhi la discussione sulle fake news senza bisogno di spiegazioni.

Ora, se uno si facesse prendere dalla pancia risponderebbe dovrebbe rispondere con le parolacce e travisando la realtà come fanno quelli che parlano di piano della Boldrini per la sostituzione e invasione, pescando nei luoghi più torbidi della informazione e del Web.

Proviamo invece a rispondere con argomenti, cercando di essere rapidi, che agli slogan non si può rispondere con troppi ragionamenti.

1. Non c’è nessuna invasione.
I numeri e i ragionamenti messi bene in ordine li trovate in questo articolo di Alessandro Lanni scritto per Carta di Roma, da cui riprendiamo le infografiche. Le chiacchiere, si dice a Roma, stanno a zero. In Italia non c’è nessuna invasione, i flussi di immigrati sono costanti negli anni, anche quando al ministero degli Interni c’era il leghista Roberto Maroni, oggi presidente della Regione Lombardia. Salvini, Maroni, Bossi e compagni hanno governato, come pure Giorgia Meloni, per buona parte del periodo in esame. Non hanno fermato un bel niente. La tabella Istat mostra una crescita costante e, semmai, un calo tra 2014 e 2016.

2. I rifugiati sono meno che altrove e sono relativamente pochi
Qui le infografiche di Carta di Roma, i commenti sono superflui: Germania, Svezia, Turchia, Libano ospitano in termini assoluti e percentuali più rifugiati che l’Italia, che ne accoglie 131mila. Quanto al loro numero assoluto, questi sono più o meno quanti se ne contano a un concerto estivo al Circo Massimo di Roma o a due partite importanti di campionato.

3. Di che si parla quando si parla di sostituzione
Su Left che andrà in edicola 1 aprile, Roberta Carlini scrive un bell’articolo sulla natalità in Italia e sul perché non si fanno figli. Nel servizio de La Gabbia, si dice: «Perché invece di fare politiche per la famiglia accogliamo immigrati?». Una risposta potrebbe essere perché la crisi demografica è precedente all’immigrazione recente. Ma non è questo il punto. Avete presente quante riforme delle pensioni si sono fatte negli ultimi 20 anni? Una delle ragioni è l’aumento dell’aspettativa di vita (campiamo più a lungo) e, quindi, l’aumento del costo del monte pensioni da pagare. Nel frattempo, i giovani sono sempre meno e versano dunque sempre meno contributi. Bene, senza i contributi degli immigrati, l’Inps starebbe peggio di come sta. Vogliamo invertire la tendenza? Benone, accomodatevi, costruite asili, cambiate gli orari di lavoro, migliorate i servizi di welfare. Ma intanto, per i prossimi 20 anni serviranno immigrati. La sostituzione è una balla colossale.

4. Gli italiani, intesi come razza e cultura, non esistono
Questo è il discorso più vago e, al contempo, quello che più solletica la pancia di chi non vuole immigrazione. A dire il vero sono le razze e le culture che non esistono. Non in senso statico. È l’argomento che un tempo non si poteva usare perché scorretto. Oggi si può. Ne sentivamo la mancanza. Siamo un grande Paese, facciamo cose belle, siamo accoglienti, cuciniamo bene, abbiamo grande inventiva e sappiamo lavorare. Ma non siamo una cultura e una razza. Qualcuno spieghi a Salvini, che è stato qualche giorno fa in Sicilia, che i biondi, in quella meravigliosa isola del Sud, sono così perché per qualche tempo, l’isola era dominata dai Normanni. Che uno dei re più importanti della storia italica si chiamava Federico II di Svevia e che ai poeti della sua corte – questa è una esagerazione – dobbiamo l’italiano. O che i numeri con i quali conta male gli immigrati ce li hanno insegnati i maledetti arabi (prima, invece, li usavano quelli inventati dai cittadini di Roma Ladrona). Per venire a tempi recenti, il miglior calciatore europeo di sempre secondo l’Uefa si chiama Zinedine perché i suoi genitori sono immigrati in Francia dalla Kabilia, la regione berbera dell’Algeria. E il sindaco di Londra, che parla inglese meglio di quanto io parli l’italiano, è di origine pakistana e della sua risposta agli attentati terroristici i londinesi sono orgogliosi. Ah, l’ultimo presidente americano, quello prima del nipote di immigrati tedeschi che siede oggi alla Casa Bianca, si chiamava Barack Hussein ed era figlio di uno studente kenyota. Il sindaco di New York, più di una volta, invece, era nipote di emigranti italiani.

A Salvini spiegate anche che non esiste la Razza padana. Ma forse a quella non crede più neanche lui.

A Genova, Cassimatis disconosce Grillo e lo porta in Tribunale. Così il guru viene scavalcato per la prima volta

Marika Cassimatis durante la conferenza stampa indetta per spiegare perché "ricorrere al tribunale amministrativo regionale per chiedere la sospensiva del voto on line nazionale e il reintegro della nostra lista", a Genova.28 marzo 2017. ANSA/LUCA ZENNARO

Non molla, Marika Cassimatis. Ma c’è da chiedersi quanto durerà ancora. La ex candidata sindaco M5s di Genova, votata dagli attivisti ma “squalificata” da Grillo, è misteriosamente ancora interna al Movimento 5 stelle. Nonostante non sia stata ritenuta degna di rappresentare i Cinquestelle alle prossime amministrative e nonostante lei e gli altri 28 consiglieri esclusi abbiano presentato stamattina ricorso in Tribunale«Io e la mia lista, risultata vincitrice alle “primarie” 5s, vogliamo essere reintegrati. E chiediamo la sospensiva del voto nazionale», oltre a pubbliche scuse per tutti. Scavalca Grillo e va dritta al punto, la docente ligure, appellandosi alla legge nazionale che dovrebbe valere per tutti – inclusa l’Associazione M5s, che pure si è dotata di un proprio impianto para-giudiziario, ma che, puntualmente, si scontra con i dettami costituzionali che regolamentano la vita democratica (come abbiamo ricostruito sulle nostre pagine).

E così, ai giudici amministrativi Cassimatis chiederà di correre col simbolo pentastellato, nonostante la proprietà – Grillo e la Casaleggio Associati – abbia espresso pubblico diniego. Denuncia che va ad aggiungersi a quella per diffamazione rivolta proprio al guru dei Cinquestelle Beppe Grillo per l’accusa, non meglio specificata, di aver «ripetutamente e continuativamente danneggiato l’immagine del Movimento 5 stelle». «Molti dei 28 componenti di questa lista, incluso la candidata sindaco», scriveva Grillo il 17 marzo sul blog, «hanno tenuto comportamenti contrari ai principi del MoVimento 5 Stelle». Il post, definito da Cassimatis «estremamente oltraggioso» ha poi comportato la revoca del simbolo. Onta massima, nel Movimento 5 stelle – e che solitamente precede l’espulsione irrevocabile. Invece Cassimatis è ancora in sella e stamattina in conferenza stampa ha rilanciato: per la prima volta, un attivista Cinquestelle anticipa il Garante e lo trascina davanti al giudice. Una querela arriva anche ad Alessandro Di Battista, «per aver rilasciato dichiarazioni ingiuriose» nei confronti di Cassimatis e dei suoi compagni, definendoli “squali”. «A noi, che volevamo offrire il nostro tempo e la nostra passione per un ideale politico, per un’idea di giustizia. Sono insegnati, operai, lavoratori, studenti, tutti impegnati da anni al M5s. Alcuni di loro sono iscritti dal 2009, anno di nascita del Movimento». Gli hanno dato degli “infiltrati”: «Ma di cosa stiamo parlando?», rimanda al mittente una determinatissima Cassimatis.
«I consiglieri (autocandidatisi, che votando il loro candidato sindaco ne vanno eventualmente a comporre la lista, ndr) non erano noti a nessuno, quindi anche ci fosse stato un camorrista tra i miei votanti, la responsabilità sarebbe stata di chi li ha selezionati, ovvero lo staff». Senza contare che stando al Metodo Genova, sviluppato dalla capogruppo regionale appositamente per queste elezioni, «il sindaco avrebbe potuto, una volta giunta a conoscenza dell’identità dei suoi consiglieri, ricusarne uno o più e sostituirli con altri candidati. Senza bisogno dunque di invalidare tutta la lista».

Hanno chiesto ripetutamente – pubblicamente e formalmente – documenti e chiarimenti, gli estromessi, ma dallo staff e da Grillo – che pure abita a due passi da lì – nessuna risposta, mail o telefonata.

L’unica motivazione addotta da Grillo per far mandare giù agli attivisti il suo atto di imperio è stato quel “Fidatevi di me”. Che per Cassimatis «non esiste, come prova, in nessuno Stato di diritto. Ma nemmeno nella Repubblica delle Banane». Dice di più, Cassimatis: «È rischioso, molto rischioso, andare dietro a questo tipo di impostazioni. Perché la democrazia è fatta di trasparenza. E la trasparenza qui non c’è».

Non solo. Come spiega l’avvocato Lorenzo Borrè (il legale che segue tutte le cause degli espulsi M5s e ora anche dei ricorrenti genovesi) sul numero di Left in edicola questa settimana, ogni persona ha diritto, come da articolo 111 della Costituzione, alla propria difesa. «Io devo essere messo in condizioni non solo di difendermi dalle accuse, ma anche di poter esercitare tale diritto in un contraddittorio, e con i documenti della accuse alla mano». E questo, per altro, «prima che avvenga il sanzionamento, non dopo».
E, sempre in base alla Carta, sarebbe tutelato anche il diritto di espressione, ricorda la grillina: «Per intenderci, mettere un like a un post di Pizzarotti, è sintomo di libertà di espressione, e non è un’aggressione al Movimento 5 stelle». Perché questi sono i “crimini” di cui stiamo parlando.

«Che cosa sta accadendo nel Movimenti 5 stelle?», si chiede dunque Cassimatis. «Ce lo stiamo chiedendo, come molti altri attivisti di tutta Italia ormai». Ma chissà che non sia la giustizia a raddrizzare la piega poco democratica del  Movimento 5 stelle.

Di Genova e del M5s parliamo su Left in edicola

 

SOMMARIO ACQUISTA

I campi di concentramento per rifugiato entrano in funzione in Ungheria

epa05440660 Migrants queue up in their camp at the border between Serbia and Hungary, in front of container buildings of a Hungarian tranzit zone at Horgos, Northern Serbia, 25 July 2016. The transit zone is a kind of border station where migrants and refugees intending to continue their journey to the European Union can apply for refugee status in Hungary. EPA/Edvard Molnar HUNGARY OUT

Trecentoventiquattro container di quelli che vedete nei grandi parcheggi vicino ai porti o sulle navi mercantili sono stati installati in due campi definiti dal governo ungherese “zone di transito”. Da oggi entrano in funzione. Il governo Orban si prepara infatti, a partire da oggi, a implementare la legge che prevede la detenzione in questi campi di tutti gli stranieri extra comunitari che passino il confine illegalmente, anche se lo fanno per richiedere lo status di rifugiato. La legge votata il 7 marzo scorso prevede la detenzione di tutti costoro, vecchi e bambini compresi, nel periodo in cui la loro domanda viene vagliata. L’Europa, l’Unhcr e l’Alta corte per i diritti dell’uomo avevano censurato una pratica simile – non stabilita per legge – già nel 2013. L’unica cosa consentita ai richiedenti asilo sarà tornarsene oltre il confine con la Serbia, ovvero fuori dall’Unione europea. I due campi, posti nei pressi dei confini, vengono definiti zona extraterritoriale, un escamotage per violare le convenzioni internazionali.

Oggi il commissario europeo per l’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, sarà a Budapest per un incontro con il premier ungherese divenuto campione della guerra totale all’immigrazione (contro i migranti ha speso quasi un miliardo di euro). Chissà che Avramopoulos abbia qualcosa da dire e non annunci finalmente misure contro Budapest. A oggi, l’Europa ha quasi taciuto sulle pratiche ungheresi che violano le convenzioni internazionali e l’Ungheria, dove nel 2016 30mila persone hanno chiesto asilo e solo 423 lo hanno ottenuto.

«E’ difficile non concludere che la scarsa propensione della Commissione a fare pressioni sull’Ungheria ha incoraggiato altri Paesi dell’Unione per replicare il suo approccio. In Polonia, progetti di modifica alla legge in vigore permetterebbero una simile detenzione automatica dei richiedenti asilo o li costringerebbero a dirigersi in  Bielorussia – Paese senza una protezione efficace per coloro che fuggono dalle persecuzioni. In Slovenia, emendamenti alla legge rendono più facile l’espulsione dei richiedenti asilo verso la Croazia». ha scritto Lidya Gall di Human Rights Watch.

La Svezia ha proposto di tagliare i fondi europei a quei Paesi che si rifiutano di accogliere i rifugiati nell’ambito del programma di redistribuzione interno all’Europa. La stessa Svezia, a oggi, è l’unico Paese ad aver criticato apertamente Budapest, paragonando i centri di detenzione previsti dalla legge ai Gulag.

«Mi hanno chiamato in ogni modo possibile e tutti ci hanno condannato» ha detto Orban alla radio riferendosi al fatto che nessuno lo critica più «Ma quello che abbiamo fatto è diventato accettabile per tutti». La speranza è che l’Europa, tanto solerte sul tema dei bilanci, lo diventi anche in materia di asilo e rispetto dei diritti umani.

 

Nel nord Europa sale l’inflazione, ma Mario Draghi continua per la sua strada

epa05838594 President of the European Central Bank (ECB) and chairman of the European systemic risk Board, Mario Draghi (R) arrives to attend a press conference 09 March 2017 following the bank's interest rate decision, Frankfurt, Germany. The European Central Bank said they will hold all main interest rates unchanged with base rate being 0 per cent and deposit rate remaining at -0.4 per cent. The bank also held on to its quantitative easing programme until December 2017, but lowered the monthly programme to 60 billion euro. EPA/ARMANDO BABANI

Jan Smets, Presidente della Banca centrale del Belgio, nonché Membro del Consiglio direttivo della Banca centrale europea (Bce), ha difeso la politica monetaria di Mario Draghi ai microfoni di Reuters.

Smets ha ribadito che «non ci sarà – per il momento – alcun cambio di rotta». Tradotto: si continua ad acquistare titoli di debito pubblico (e privato) e il tasso di interesse rimane invariato allo 0%.

Nelle ultime settimane, a fronte di un aumento dell’inflazione in alcuni Paesi del nord Europa, si erano fatte larghe richieste di un cambio di direzione rispetto alla strategia della Bce. Ma Smets non ha usato mezze parole per descrivere gli attuali “rapporti di forza” interni agli organi direttivi della massima istituzione finanziaria europea: «Le visioni che vanno contro la politica attuale, sono in minoranza».

Settimana scorsa, anche il capo economista della Bce, Peter Praet, ha ribadito che «un’uscita dal programma sarebbe prematura». In effetti, in questo momento, il rialzo dei prezzi è dovuto soprattutto all’aumento del costo dell’energia. Praet ha ricordato che è necessario riscontrare lo stesso trend per altri beni nel paniere prima di trarre conseguenze significative.

Chi sostiene che la Bce conduca una politica monetaria “dannosa”? Jens Weidmann, il Presidente della Bundesbank tedesca. Ma anche Ewald Nowotny, governatore della Banca centrale austriaca aveva recentemente aperto la porta a un possibile rialzo dei tassi di interesse.

La quantità totale di titoli acquistati dalla Bce nel quadro del suo programma di “quantitative easing”, iniziato nel marzo del 2015, ha raggiunto un valore di quasi 1,500 miliardi di euro e dovrebbe raggiungere poco più di 2 mila miliardi di euro totali a dicembre di questo anno.

All’interno degli uffici dell’istituto finanziario di Francoforte, si è anche tornato anche a parlare di Monte dei Paschi di Siena. Daniele Nouy, Presidente del Meccanismo unico di vigilanza della Bce, ha affermato che la banca italiana «è solvente», altrimenti non si «sarebbe potuto nemmeno discutere di ricapitalizzazione». La Bce aveva valutato in quasi 9 miliardi l’esigenza di capitale dello storico istituto finanziario italiano.

Leggi anche:

GreciaEkathimerini Secondo il Ministro dell’energia greco, Panos Skourletis, la proposta da parte dei creditori internazionali di privatizzare il 40%  dell’azienda pubblica di erogazione dell’energia elettrica equivale a una «cannibalizzazione dell’azienda»

Regno UnitoThe GuardianNel Regno Unito, si vota per eleggere il Segretario generale di Unite, il più grande sindacato del Paese. Dal risultato dipende anche la leadership di Corbyn nel Labour

 

5 notizie in 3 minuti: Trump contro l’ambiente, i colloqui Lega-M5S e i sondaggi francesi

epa05874255 US President Donald J. Trump holds up H.J. Res. 57, which overturns a rule on school accountability standards that are part of the Every Student Succeeds Act, after signing the bill during a ceremony in the Roosevelt Room of the White House in Washington, DC, USA, on 27 March 2017. Trump signed four bills, H.J. Res 37, H.J. Res 44, H.J. Res. 57 and H.J. Res. 58, that nullify measures put in place during former President Obama's administration. EPA/Andrew Harrer / POOL

Lo vedete quel fumo di carbone che esce dalle ciminiere? Inspirate a pieni polmoni, che vi fa bene! Questa è la logica dell’ordine esecutivo che Donald Trump si appresta a firmare per cancellare le politiche ambientali e relative al clima promosse da Obama. Dopo la batosta terribile presa sulla controriforma della Sanità e seri dubbi che sulla possibilità di far approvare una riforma delle tasse che non sia solo uno sconto per i ricchi, il presidente populista deve dimostrare di essere vivo. Il testo dell’ordine esecutivo prevede la cancellazione di una normativa che impone al governo federale di considerare il cambiamento climatico quando si scrivono nuove politiche; la fine dei limiti alle emissioni delle centrali elettriche imposti dal Clean Power Act; la fine del blocco dell’acquisto di carbone da parte del governo e la possibilità di fare fracking idraulico nelle terre tribali dei nativi americani. L’ordine è una specie di promessa mantenuta con i minatori di West Virginia, Pennsylvania e Kentucky ma il New York Times spiega che non avrà effetti sul loro lavoro. Gli Usa non importano carbone e le miniere sono sempre più automatizzate. Ergo, più carbone, più fumo nell’aria, nessun nuovo minatore. Le notizie su Trump sono molte, una buona è che il gradimento del presidente ha toccato un nuovo minimo, al 36% e che il trend si conferma qualsiasi sondaggio o modo di leggerlo si scelga (come spiega il Washington Post).

 

Un’alleanza M5S Lega dopo il voto del 2018?

Politico.eu sostiene che sia possibile e che ci siano colloqui in corso. L’articolo cita Di Maio e Salvini, i quali dicono: «Noi le alleanze le facciamo in Parlamento» (il primo), «Devono cambiare posizione su come si chiudono le frontiere» (il secondo) e poi, per dare sostanza al titolo, cita una fonte anonima, una sola, che sostiene: «Queste discussioni ci sono, ma è difficile prevedere cosa succederebbe una volta che l’alleanza fosse in piedi». Sull’Europa, le due forze politiche hanno posizioni simili, sulla politica estera (Trump, Putin) non troppo distanti e sull’immigrazione non sono agli opposti. Ciò detto, per ora sembra fantapolitica. Credibile, ma pur sempre fantapolitica.

 

In Francia, Macron prende il largo

Saranno buoni i sondaggi francesi? Se così fosse, Emmanuel Macron avrebbe un vantaggio su Marine Le Pen di ben 8 punti al primo turno. Il che lo posizionerebbe come super favorito al secondo. Come vedete qui sotto, l’ex ministro socialista, oggi indipendente, continua a crescere (la colonna blu è il dato più recente). Anche Le Pen, ma meno rapidamente ed è molto scesa rispetto a qualche settimana fa. A fare le spese dell’ascesa di Macron i due candidati dei partiti che tradizionalmente si contendono l’Eliseo: la somma di Repubblicani e Socialisti fa 26%, un quarto dell’elettorato. La sinistra, fosse unita, però, potrebbe arrivare al secondo turno. Ma Mélenchon e Hamon non sembrano intenzionati a unirsi. Paese che vai…. anzi no: la sinistra è divisa un po’ ovunque.Armi nucleari al bando? Dimenticatevelo

A New York sono in corso negoziati per un Trattato internazionale che metta fine all’incubo nucleare. Vi partecipano 113 Paesi. Meno quelli che hanno l’atomica: Usa, Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord sono contrari. Alle potenze nucleari si uniscono altri 31 Paesi che si sentono meglio sotto l’ala protettiva del fungo atomico. Il che significa che non se ne farà nulla. In un intervento al Council on Foreign Relations, la nuova ambasciatrice Usa all’Onu, Nikki Halley, una delle figure più moderate nominate da Trump, ha spiegato che «Il mondo è troppo insicuro per rinunciare all’atomica». Noi, invece, con Trump, Putin, Modi, Netanyahu che viaggiano assieme alla loro valigetta nucleare dormiamo sereni.

La foto: il ciclone Debby sbarca in Australia

I venti soffiano più forti della media di questo tipo di tempeste, è più lento (e quindi fa danni più a lungo). Debbie è sbarcato sulle coste del Queensland e sta scoperchiando case e abattendo alberi.

 

 

Minzolini, dimissioni o no, resterà senatore

Un fermo immagine tratto da un video di Alanews mostra alcuni senatori che si congratulano con Augusto Minzolini nell'aula del Senato dopo il voto contro la sua decadenza. Roma, 16 marzo 2017. ANSA/ ALANEWS

Le parole di Luciano Violante – ex magistrato, saggio in varie commissioni per le riforme, esponente del Pd – sono piaciute molto ad Augusto Minzolini, già cronista parlamentare d’assalto (per quanto d’assalto possa esser un cronista parlamentare), direttore del Tg1 prodigo di videoeditoriali e ora senatore di Forza Italia, condannato nel novembre 2015, in via definitiva, in Cassazione, per peculato e per questo al centro di una polemica sulla sua permanenza in parlamento. La legge Severino, infatti, prevederebbe la sua decandenza, peraltro sostenuta da un parere votato nel luglio 2016 dalla giunta parlamentare competente.

Violante, intervenendo a Pisa, durante una lectio magistralis, ha però preso le parti di Minzolini, che – avrete letto nei giorni scorsi – è stato “salvato” dal Senato con un voto in plenaria su una mozione presentata da Forza Italia: il 16 marzo con 137 voti (e alcuni voti di parlamentari Pd, prontamenti schiaffati in prima pagina, alla gogna, dal Fatto Quotidiano, accanitissimo sulla vicenda) il Senato ha annullato il parere della Giunta per le autorizzazioni.

«La legge Severino affida alle Camere la possibilità di deliberare ed è quindi sbagliato, come è stato detto da alcuni giuristi che la scelta parlamentare è stata illegittima», sostiene dunque Violante, che ha poi generalizzato. E ha fatto un invito alla riflessione persino condivisibile: «Il codice penale», ha detto, «è diventato la Magna Charta dell’etica pubblica: si tratta di un segno di autoritarismo sul quale penso valga la pena di riflettere». Violante – come fa lo stesso Minzolini, e come fanno i dem che hanno votato in suo favore – si riferisce, quando dice che la votazione è stata legittima (i 5 stelle hanno parlato di un atto illegittimo, invece) all’articolo 66 della costituzione italiana. E, in particolare, alla parola “giudica”, usata certo non casualmente nel testo. Che è: “Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”. «Travaglio», ha detto per questo Minzolini a Radio Radicale, «ha fatto campagna per il No come l’ho fatta io, al referendum di dicembre, solo che lui evidentemente non l’ha letta».

Il capo dell’associazione nazionale dei magistrato, Piercamillo Davigo – come altri – ha invece ricordato che la condanna di Minzolini aveva anche una pena accessoria, questa non sospesa, e che quindi il problema va «al di là della legge Severino», legge che prevede la decadenza in automatico per chi condannato a pene superiori ai due anni, ma che secondo Minzolini andrebbe però interpretata alla luce dell’articolo 66 che evoca una funzione giudicante del parlamento. «Minzolini», ricorda però Davigo, «è interdetto dai pubblici uffici: è una persona interdetta dai pubblici uffici non può votare, figurarsi fare il parlamentare».

Il dibattito potrebbe andare avanti per ore – e in effetti va avanti da giorni, anche con pezzi interessanti e spunti di critica condivisibili rispetto alla legge Severino – ma tanto lo stesso Augusti Minzolini, incassando il voto a lui favorevole, aveva promesso di tagliare la testa al toro dimettendosi lui. La promessa era già alla sua seconda versione, perché già un anno fa aveva assicurato di voler lasciare: ma questa volta aveva detto che avrebbe depositato le dimissioni questo lunedì, contento di aver ottenuto dal Senato una vittoria di principio. La posa è quella di chi vuole così assicurare di non esser certo attaccato al seggio, alla poltrona.

Peccato che la sua sia una posa. E non solo perché ancora ieri, lunedì, Minzolini dice che le presenterà, le dimissioni, quando smetteranno di chiedergliele (AGGIORNAMENTO: Minzolini ha depositato nella mattinata di martedì 28 marzo la lettera di dimissioni). Dimettersi, come forse sapete, in Parlamento è cosa complicata, e non basta mica protocollate una lettera (che comunque al momento Minzolini non ha fatto). Perché le dimissioni vanno calendarizzate (e ci possono volere mesi) e poi approvate (e generalmente la prima volta le dimissioni vengono respinte). Ne sa qualcosa Giuseppe Vacciano, ex Cinque Stelle, passato al Misto, senatore, che ben quattro volte si è sentito dire di no.

Alla fine della legislatura manca appena un anno, anzi meno. Giusto o sbagliato dunque, “Minzo” in Senato, non è neanche più un tema: perché Minzolini resterà senatore fino alla fine.

Poletti? Del resto senza calcetto secondo voi come potrebbe finirci ministro, uno così

Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, durante la seconda giornata di lavori della kermesse organizzata da Matteo Renzi al Lingotto, Torino, 11 marzo 2017. ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

Niente da fare, è recidivo. Il ministro (chissà poi perché) del lavoro (chissà poi quale) Giuliano Poletti infila l’ennesima offensiva scemenza nei confronti dei giovani (dopo quella dei giovani emigrati all’estero in cui ci disse che “alcuni è meglio non averli tra i piedi”) e durante un incontro con gli studenti dell’istituto Manfredi Tanari di Bologna dice: «Il rapporto di lavoro è prima di tutto un rapporto di fiducia. È per questo che lo si trova di più giocando a calcetto che mandando in giro dei curriculum.»

Ha ragione Poletti: il fatto che sia ministro dimostra come l’appartenenza da sempre qui da noi funziona più del merito. E se dobbiamo continuare a vergognarci per le bestialità proferite da questi cialtroni diventati classe dirigente è proprio perché il disfacimento etico e morale perpetrato negli anni oggi è scivolato talmente in basso da poter essere addirittura esibito.

Il Paese che si scambia favori al circolino del tennis, alle cene di gala o appunto al campo di calcetto è quello che si è curato più della preservazione delle sue oligarchie piuttosto che della distribuzione dei diritti e delle opportunità. Così accade che nello stesso giorno in cui si viene sapere che a Treviso a una donna incinta viene chiesto di pagare il proprio sostituto per non essere licenziata il ministro che dovrebbe tutelarla riesce a farsi deridere con una frase del genere.

Ma il dubbio, quello vero, è che Poletti sappia esattamente da che parte stare: nel lavoro (così come nella vita e ancor di più nella politica) si può stare con i forti o con i deboli. E Poletti (come già il governo Renzi) ha avuto centinaia di occasioni per chiarire da che parte sta. Basta guardare il curriculum del ministro, qui: se smette di leccare i forti, se smette di giocarci a calcetto, secondo voi come potrebbe finirci ministro, uno così.

Buon martedì.

Questo mostro amore. Leggere Shakespeare per imparare a difendersi dalla pazzia di Otello

Otello Orson Welles

«Nella gelosia c’è più egoismo che amore», diceva La Rochefoucauld. La parola «gelosia», già nella sua radice «zhlos», evoca bramosia di possesso, l’idea violenta di voler controllare l’amata, di tenerla incatenata. Ma tutto questo si può davvero chiamare “amore”? Si può parlare di passione quando si cerca di coartare l’altro, di bloccarlo, di impedirgli di realizzare la propria identità? Sono queste le domande che la psicopedagogista Valerie Elizabeth Moretti con il regista Jacopo Boschini cerca di far nascere nei ragazzi che partecipano al progetto Questo mostro amore, realizzato dalla cooperativa AttivaMente. La psicopedagogista (che ha collaborato con Alberto Pellai, dell’Università Statale di Milano in progetti di prevenzione della pedofilia) in questi giorni sta lavorando sul testo dell’Otello di Shakespeare in alcune scuole di Napoli. L’obiettivo “far vedere” agli studenti la dinamica di rapporto malata che si sviluppa fra Otello e Desdemona. «Shakespeare ha una grandissima profondità nell’indagare l’animo umano e i suoi drammi si prestano benissimo per far riflettere i ragazzi su certe dinamiche violente di rapporto che nulla hanno a che fare con l’amore», spiega Moretti raccontando a Left questo progetto che è già stato sperimentato con successo nelle scuole di Como e che nulla ha che fare con la cosiddetta teatro terapia.

In questo caso i  testi shakespeariani offrono uno spunto per parlare di emozioni, di quel passionale mondo interno che si accende nel rapporto uomo-donna. Al contempo però con testi drammatici come Otello si cerca di portare in luce quelle dinamiche violente ed estreme che caratterizzano invece i rapporti patologici. «Lo facciamo usando strumenti di info teatro», precisa Moretti. A scuola si legge Otello, dunque, per analizzare le dinamiche patologiche fra i due personaggi e per cercare poi di affrontare la questione più complessa: Otello, impazzito, che  passa all’atto arrivando ad uccidere Desdemona.

«I ragazzi fanno domande, si interrogano, vogliono capire, sono molto coinvolti nella discussione, tanto che quando alla fine del percorso andiamo a teatro dove il collega Jacopo Boschini recita alcuni brani, sono loro stessi a chiedere di vedere l’intero spettacolo», aggiunge Valerie Moretti. A Napoli l’appuntamento in teatro è per  il 10 aprile al Bellini.  Alla riuscita di questo progetto (che presentiamo per festeggiare la Giornata mondiale) concorre anche il linguaggio immediato e coinvolgente di una graphic novel, con un tratto grafico che cambia a seconda dell’intensità emotive che coinvolgono i due partner.

Questo mostro amore

Si tratta di un lavoro di fantasia che nasce però da un caso di cronaca in cui un ragazzo ha scattato foto della propria ragazza in intimità e poi le ha diffuse su internet. Nel percorso didattico che Valerie Elizabeth Moretti svolge insieme agli insegnanti questo graphic novel diventa uno strumento per dare ai ragazzi informazioni di base su questioni legali, su ciò che lecito e su ciò che invece è lesivo diffondere e quali possono essere le conseguenze. Dalle tragedie greche, ai drammi shakespeariani al graphic novel, l’arte e il teatro aiutano ad indagare a fondo quel «mostro dagli occhi verdi che dileggia la carne di cui si nutre», di cui parlava Shakespeare.

Nell‘Otello, William Shakespeare ha messo a fuoco, in modo incomparabile, dinamiche visibili e invisibili e le “logiche” del delirio. Tanto che nel dramma Emilia rivolta a Desdemona, la sposa di Otello dice in modo fulminante: «Non si è gelosi per un motivo, si è gelosi perché si è gelosi. La gelosia è un mostro che si concepisce da se stesso».  Istigato da Iago, Otello arriva a delirare, è convinto del tradimento di Desdemona che ai suoi occhi diventa « lurida sgualdrina», «demonio». Accecato dal proprio delirio Otello la uccide. L’interrogativo inquietante  su cui Valerie Moretti invita i ragazzi ad interrogarsi è come sia possibile che una persona che si dice così innamorata arrivi non solo a picchiare e ad esercitare violenza psichica e fisica, ma passi a pianificare l’uccisione dell’amata.«Idiota assassino, come hai potuto uccidere una donna tanto buona?», dirà Emilia ad Otello. Attraverso questo lavoro sul testo shakespeariano il progetto di AttivaMente cerca di rendere i ragazzi più consapevoli del fatto che un rapporto di coppia violento nasce in dinamiche che vanno al di l à della coscienza talora mascherate dietro un comportamento da fidanzato e da marito, apparentemente normale,  geloso e possessivo, come insegna da secoli la società patriarcale. L’obiettivo è alto, aprire gli occhi alle giovani generazioni sulla violenza nascosta in figure come quella del pater familias che si regge su un’identità  solo sociale e razionale, che può andare drammaticamente in frantumi di fronte di fronte a una proposizione di indipendenza e di libertà di una donna.

 Per chi volesse continuare ad approfondire il tema della violenza sulle donne il 28 marzo nell’Aula Magna dell’Istat in via Cesare Balbo 14, a Roma  si svolge il convegno scientifico dal titolo “La violenza sulle donne: i dati e gli strumenti per la conoscenza statistica”. Introduce i lavori Giorgio Alleva, presidente dell’Istat, seguito dall’intervento di Maria Teresa Amici, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Due cose sul week end europeo, tra vertici retorici, allarmismi ministeriali e cortei desolati

(L-R) Italian Prime Minister Paolo Gentiloni, European Commission Presiden Jean-Claude Juncker and European Parliament President, Antonio Tajani, during an EU summit meeting at the Orazi and Curiazi Hall in the Palazzo dei Conservatori in Rome on the occasion of the celebrations to mark 60th anniversary of signing the Treaty of Rome, Italy, 25 March 2017. ANSA/EUROPEAN PARLIAMENT PRESS OFFICE-MARCO ZEPPETELLA +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

La prima è sulla gestione dell’ordine pubblico. Non ci sono stati scontri, come avrete visto, e noi ne siamo contenti. Ma c’è un ma, ovviamente. Intorno a mezzogiorno, sabato, alcuni pullman sono stati fermati all’ingresso di Roma, a Tor cervara, e 160 persone sono trattenute per otto ore. Erano i violenti? Quello che sappiamo è che sui tre pullman né sulle auto c’erano spranghe, bombe o chissà cosa. C’era un coltellino, è vero, ma infilato in una forma di toma. E poi sciarpe e felpe col cappuccio. A noi colpisce comunque la frase del questore Guido Marino che ha dichiarato che le otto ore sono state spese per verificare “precedenti penali e orientamento ideologico”. L’espressione è come minimo scivolosa. E ci colpisce poi che Minniti finisca osannato stamattina da ben due quotidiani di destra, Libero e il Giornale per la sua capacità di tenere a “bada i violenti”, così scrivono entrambi. Il dubbio che ci viene, anche al netto del pregiudizio sui due quotidiani, è che il prezzo di questo successo sia molta tensione, distribuita a piene mani nei giorni precedenti, con la conseguenza – speriamo non voluta – di una frenata nella partecipazione e uno schiacciamento – a posteriori immotivato – delle ragioni di chi contesta questa Europa con le non-ragioni dei violenti.

La seconda cosa da dire è sugli esiti del vertice. Per ora, al netto di abbondante retorica europeista e una generica risposta ai “populismi euroscettici”, sostanzialmente nulli. Per vedere come e se cambierà l’Europa, d’altronde, lo stesso Paolo Gentiloni dice che si dovrà vedere i prossimi mesi: «Da qui all’autunno la discussione con Bruxelles sarà aperta e potrà produrre risultati», dice a palazzo Chigi dove ha incontrato le regioni. Gentiloni ha detto anche che «i trattati non sono intoccabili», però poi ha spiegato il Def che sta preparando il governo. Un Def – dice – che punta su infrastrutture e crescita, ma costruito ancora sui vincoli di bilancio.

Ecco. Ci sembra più credibile la posizione che abbiamo ascoltato all’evento di Diem di sabato sera – potete rivederlo sul sito di Left che era media partner – e che vi raccontiamo in edicola. Non ci dispiacerebbe che anche a palazzo Chigi arrivasse parte dello spirito che anima, ad esempio, le città ribelli di sindaci come Colau, in spagna, o De Magistris. Le piazze desolate, vuote, del week end, però, ci dicono che se quella è la direzione giusta, molto ancora bisogna lavorare, evidentemente, sulla diffusione e sulla condivisione, sul sostegno sociale a quelle idee. E sulle pratiche politiche. Che a cambiare, insomma, deve esser non solo l’Europa ma la sinistra. Troppo divisa, tra mille sigle e narcisismi, e troppo spesso lontana.

su_divider text=”In edicola ” style=”dotted” divider_color=”#d3cfcf”]

Del futuro dell’Europa parliamo su Left in edicola e qui in digitale

 

SOMMARIO ACQUISTA