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Né establishment né populisti. Ecco perché serve una nuova forza politica europea

Former Greek Minister of Finance, Yanis Varoufakis, during the press conference at Foreign Press headquarter, about presentation of 'DiEM25' that lands in Rome this weekend to present its ?European New Deal?, Rome, 24 March 2017. ANSA/ GIORGIO ONORATI

Nel momento in cui il primo ministro britannico Theresa May ha fatto scattare l’articolo 50 del trattato di Lisbona per rendere inevitabile la Brexit, l’Europa si è trovata stretta tra due paradossi che rappresentano minacce immediate per l’Unione. David Cameron, il predecessore della premier conservatrice, ha tutte le ragioni per essere interdetto dagli esiti della sua sconfitta. La Gran Bretagna sta lasciando l’Europa dopo che la sua richiesta originaria di “geometrie variabili” che avrebbero consentito a Londra di chiamarsi fuori dai principi base dell’Unione europea venne respinta con forza da Berlino e, in forme meno severe, da Parigi. Eppure, proprio a causa della Brexit, Berlino e Parigi hanno finito con il prendere in considerazione l’idea di geometrie variabili come strada praticabile.

Il paradosso smette di essere tale se lo si osserva attraverso le lenti della consuetudine europea di rendere ogni sconfitta una virtù. La cancelliera tedesca Merkel si è sempre opposta a un’Europa a più velocità. Dopo il 2008, quando l’Eurozona ha cominciato a frammentarsi a causa della crisi finanziaria, si è persino opposta a incontri tra i leader dell’Eurozona per timore che minassero l’integrità dell’Unione. Oggi, dopo che la catastrofica gestione della crisi ha indebolito la legittimità dell’Europa, ha dato impeto ai brexiter e ha causato uno scivolamento dell’Unione verso la disintegrazione, la signora Merkel ha fatto propria l’idea che, non solo sia possibile consentire ai singoli Paesi europei di procedere a velocità diverse, ma anche di avere il diritto di andare in direzioni diverse.

L’Europa non può sopravvivere come istituzione dell’“ognun per sé”, del liberi tutti e dell’austerità, costruita su un processo decisionale in materia economica de-politicizzato che funge da foglia di fico a un federalismo nel quale alcuni Paesi sono condannati alla recessione permanente e ai debitori vengono negati i diritti democratici. L’Europa, insomma, ha bisogno di un New Deal che attraversi il continente, abbracciando tutti i Paesi, indipendentemente dal fatto che siano nella zona euro, nell’Unione europea o in nessuna di queste due.

Questo è il motivo per cui, il 25 marzo a Roma, mentre i leader europei venderanno la disgregazione della Ue come una storia di successo, DiEM25 presenta la sua proposta per un New Deal europeo e lancia un appello pubblico per portare il New Deal ai popoli d’Europa.

*L’autore è co-fondatore di DiEM25 ed ex ministro delle Finanze della Grecia

L’articolo completo è su Left in edicola

 

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Abbiamo chiesto ai leader della sinistra perché hanno accettato l’invito di Varoufakis

Foto Nicoloro G. 19/02/2017 Rimini Terza giornata conclusiva del Congresso fondativo di Sinistra Italiana. nella foto da sinistra Pippo Civati, Luigi De Magistris e Nicola Fratoianni.

Yanis Varoufakis butta sul tavolo le sue proposte e, insieme alla sua DiEM25, lancia un invito senza mezzi termini: un partito transnazionale in vista delle Europee del 2019 e uno spazio di convergenza italiano da realizzare il prima possibile. Un «fronte progressista», lo chiama l’ex ministro greco, alternativo ai nazionalismi di Trump, Le Pen e Salvini ma anche all’establishment della Troika e di Wall Street. Al centro del dibattito le proposte che avete letto nelle pagine precedenti, e sullo sfondo una buona occasione di incontro per le forze di sinistra del nostro Paese. Un’occasione per uscire dal pantano del politicismo italico che è stata raccolta da molti. Abbiamo chiesto loro perché.

Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha sottolineato l’importanza che «la forza delle città ribelli», deve avere in qualsiasi percorso unitario, di sinistra ed europeista. Se c’èì una cosa che convince più di tutte Pippo Civati è quell’idea di Yanis Varoufakis per cui «bisogna salvare l’Unione europea da se stessa», ci ha spiegato il segretario di Possibile. Disponibile a convergere anche Nicola Fratoianni – «perché è utile continuare a lavorare nella direzione di uno spazio pubblico e politico, europeo», dice – e Paolo Ferrero, che ne condivide «un obiettivo di fondo: costruire un terzo polo antiliberista e cosmopolita». Con un occhio all’establishment e l’altro alle destre nazionaliste che avanzano e, anche se per ora non sfondano, lasciano i loro segni in profondità, ci ha fatto notare l’eurodeputata del Gue Ngl Eleonora Forenza, perché «al di là del consenso nelle urne, il punto è come stanno condizionando il dibattito politico e il senso comune».

Del futuro dell’Europa e della sinistra parliamo su Left in edicola

 

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Una nuova idea di benessere alla base del patto sociale

© Ivano Di Maria, Europe Around The Borders

L’ispirazione del progetto DiEM25 al New Deal merita una riflessione. Il New Deal di Roosevelt, come poi il Piano Marshall, e in generale tutta la fase dell’intervento keynesiano nell’economia, avevano a monte due elementi: da una parte, la catastrofe generata dalla crisi del 1929 e, successivamente, da una guerra distruttiva senza precedenti; dall’altra, un patto sociale per lo sviluppo umano basato sull’idea che i bisogni di tutti dovessero essere soddisfatti. Come ebbe a sostenere lo stesso Roosevelt, gli uomini che vivono nel bisogno non sono uomini liberi: su questa idea fondamentale si è basato il patto sociale keynesiano e si è avviato un intero ciclo di sviluppo dell’Occidente. È certamente vitale, per la sinistra, difendere e consolidare le conquiste sociali di quella stagione politica: opporsi alla disgregazione dell’Unione europea significa anche questo, significa difendere quel modello di stato sociale, fondato sull’idea della soddisfazione dei bisogni di tutti, che in Europa si è radicato più che in ogni altra regione del mondo.
Ma non basta. È necessario oggi un nuovo patto sociale e una nuova ragione di essere per la sinistra. Si deve essere in grado di aggregare il consenso attorno a un’idea di benessere che vada oltre la questione della soddisfazione dei bisogni fondamentali. Muovere da un’idea di eguaglianza, di solidarietà, di difesa della cultura e dell’ambiente, della libertà di espressione, che è del tutto incompatibile con l’Europa di oggi: con la limitazione delle libertà politiche in alcuni Paesi dell’Est, con quella delle libertà di circolazione delle persone che altri Paesi rivendicano, con l’assenza di trasparenza e di democrazia all’interno delle istituzioni europee, con un’economia che in nome del profitto distrugge ambiente e cultura.

Il commento integrale lo trovate su Left in edicola

 

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E se Arturo diventasse la terza forza del Paese?

Ridere fa ridere l’avanzata del Movimento Arturo, tra gag televisive e tweet sagaci lanciati ai danni dell’Alfano o del Gasparri di turno. E ridiamo un po’ allora su Left in edicola da sabato 25, ricostruendo come Arturo sia sfuggito di mano ai suoi stessi creatori, alla banda di Gazebo, diventando un movimento che è ancora una burla, con tanto di primarie burla, ma è sicuramente impegnativo da gestire (anche per non mettere in imbarazzo mamma Rai, non più di troppo, almeno).

È cresciuto il movimento Arturo ed è diventato interessante anche oltre il fenomeno tv. E noi di quello ovviamente, soprattutto, parliamo. Prendendo sul serio quelli che – tipo Civati – vedono in Arturo un appello all’unità della sinistra.

Cosa ci dice Arturo della sinistra? Su Left in edicola ne parliamo con Michele Prospero, facendo un esercizio che è un po’ forzato, tocca dirlo, ma neanche troppo. Perché tra gli arturi, per ora, c’è di tutto, sì. Quando la settimana scorsa la banda di Gazebo ha fatto il live a “Libri come”, in platea, per dire, pronto ad applaudire tanto gli sketch quanto l’avanzata del Movimento, c’era anche Luciano Nobili, renzianissimo uomo del Pd romano, un piccolo Goffredo Bettini, e già capo della campagna elettorale, non fortunatissima, di Roberto Giachetti. «Sale piene, urne piene» ha scherzato Nobili ringraziando «il gotha del Movimento Arturo»: perché alla fine è una cosa che diverte tutti stare su twitter e giocarci su, darsi di gomito, cercando di farsi bannare (che è quello che succede quando un utente ne blocca un altro su un social) da Maurizio Gasparri o da Angelino Alfano.

Ma, insomma, l’esercizio si può sempre fare.

Perché di sinistra parla il fenomeno Arturo, irriverente stimolo. «Fate da soli ma fate educati» è ad esempio l’unica regola del Movimento, nel tentativo di segnare uno scarto rispetto a una politica da troppo tempo muscolare, tanto a destra, con la Lega, quanto a sinistra. E non vi ricorda infatti, quello dei gazebini, l’appello alla gentilezza di Giuliano Pisapia? E anche il primo slogan, fatto il verso ai 5 stelle, di sinistra parla: «Do-ve-sta! Do-ve-sta!», scandiscono i tre candidati, Makkox, Salerno e Bianchi, all’unisono, mostrandosi uniti sul ritmo tipico dell’O-ne-sta grillina. «Dove sta», già, «dove sta», si intende, la sinistra? Ah, a saperlo.

Con Michele Prospero abbiamo però provato a parlarne seriamente. Prendendo Arturo, per quello che per molti è: un appello all’unità della sinistra. A una sinistra nuova, una sinistra artura. Che è più gentile, per cominciare, ma non solo. Per Prospero – vi spiegherà in edicola – deve esser soprattutto una sinistra più sinistra. Dice Prospero che «la lista unitaria dovrebbe quindi organizzarsi sul tema del lavoro e della Costituzione che sono, a questo punto, i punti deboli del Pd di Matteo Renzi, che non ha alcuna voglia di aggiustare il tiro, perché è intimamente convinto della bontà sia delle sue teorie giuslavoriste che del suo disegno costituzionale».
Mettere al centro una teoria del lavoro e una visione costituzionale alternativa a quella del jobs act e della riforma Boschi e dell’Italicum, peraltro, «aiuterebbe a spiegare perché è Renzi stesso il problema, e che non c’entra nulla l’antipatia umana del personaggio, che non è insomma una questione di gentilezza come Pisapia, ad esempio, sembra a tratti sostenere».

L’articolo sul movimento Arturo è nel numero di Left in edicola da sabato 25 marzo, con la copertina dedicata all’Europa

 

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Dal Kashmir agli sbarchi nel Mediterraneo. Le foto della settimana

Profughi iracheni caricano i loro cellulari al campo Hamam al-Alil, dove molti sfollati di Mosul stanno trovando rifugio, mentre le forze governative continuano la loro offensiva per riprendere la città in mano all’IS. (AHMAD AL-RUBAYE/AFP/Getty Images)

19 marzo, 2017. Damasco, Siria. Un combattente del Failaq al-Rahman in Jobar, un quartiere periferico in mano ai ribelli. (AMER ALMOHIBANY/AFP/Getty Images)

Parigi. Scontri tra polizia e manifestanti durante la protesta contro la brutalità della polizia, la discriminazione e il razzismo. (CHRISTOPHE SIMON/AFP/Getty Images)

20 marzo 2017. VAN, TURCHIA. Un pastore con il suo gregge. (Ozkan Bilgin/Anadolu Agency/Getty Images)

Akra, Baghdad. Curdi iracheni fotografano con i loro cellulari i fuochi d’artificio per il capodanno persiano, un’antica tradizione zoroastriana celebrata da iraniani e curdi che coincide con l’equinozio di primavera. (SAFIN HAMED/AFP/Getty Images)

21 marzo 2017. Catania, Sicilia. Un imbarcazione strapiena di migranti che attendono di sbarcare nel porto della città a seguito di un’operazione di salvataggio da parte di Aquarius, una nave umanitaria gestito dalla ONG SOS Mediterraneo e Medici Senza Frontiere (MSF). L’operazione ha salvato 946 persone, tra cui 200 minori non accompagnati, che si trovavano alla deriva a bordo di nove barche in legno e gomma. (GIOVANNI ISOLINO/AFP/Getty Images)

Un ragazzo pakistano durante un temporale. Ogni anno il 22 marzo si celebra la Giornata Mondiale dell’Acqua come un mezzo per focalizzare l’attenzione sull’importanza di acqua potabile e sulle politiche per la gestione sostenibile delle risorse idriche. Ansa EPA/SHAHZAIB AKBER

21 marzo 2017. Kabul, Afghanistan. Una giostra in un campo nei pressi del Santuario Sakhi durante il festival Nowruz che segna il primo giorno di primavera e l’inizio dell ‘anno nel calendario persiano.
(WAKIL KOHSAR/AFP/Getty Images)

Una ragazza musulmana del Kashmir all’interno della cucina della sua casa nella zona di Baramulla a circa 22 chilometri a nord di Srinagar, nel Kashmir indiano. Mediamente uno studente salta circa tre giorni di scuola per provvedere al rifornimento di acqua potabile per sè e per la sua famiglia. Ogni anno il 22 marzo si celebra la Giornata Mondiale dell’Acqua come un mezzo per focalizzare l’attenzione sull’importanza di acqua potabile e sulle politiche per la gestione sostenibile delle risorse idriche. Ansa EPA / FAROOQ KHAN

23 marzo 2017. Londra. Personale dei servizi di sicurezza raccolgono indizi tra i detriti, dopo l’attacco terroristico del 22 marzo sul ponte di Westminster nel centro della città. (JUSTIN TALLIS/AFP/Getty Images)

Frequentare e vivere le periferie in un continuo dialogo con le città, un concetto caro, a Renzo Piano che ha dato vita al nuovo campus della Columbia University a West Harlem. Il ‘Lenfest Center for the Arts’ e il ‘Jerome L. Greene Science Center’, entrambi disegnati dall’architetto italiano, apriranno questa primavera, mentre l’intera struttura, che si estende per quasi dieci isolati, sarà completata entro il 2030. (Ufficio stampa)

Civili iracheni fuggono dalla città di Mosul mentre le forze irachene avanzano nella lotta contro gli jihadisti dello Stato islamico (AHMAD GHARABLI/AFP/Getty Images)

Un insolita immagine di un mandorlo in fiore durante una nevicata nella città di Avila, Spagna, dove, dopo l’ondata di calore che ha portato i termometri fino a 22 gradi, la temperatura è di nuovo scesa a meno 8,3 gradi. ANSA EPA / RAUL SANCHIDRIAN

23 marzo 2017. Hyderabad, India. Un’operaia indiana controlla un tampone formato da fibra di legno triturato in una fabbrica di condizionatori di raffreddamento. (NOAH SEELAM/AFP/Getty Images)

23 marzo 2017. Kharkiv, Ucraina. Un enorme nuvola di fumo sale dal deposito di munizioni delle forze armate ucraine, vicino alla città di Balakiya. ANSA EPA/PAVLO PAKHOMENKO

24 marzo 2017. Jindo, Corea del Sud. I lavori sul traghetto Sewol che affondò vicino Jindo il 16 aprile 2014, uccidendo almeno 295 persone, nove persone sono ancora disperse. I passeggeri erano per lo più studenti delle scuole superiori in gita scolastica. Ansa EPA / LEE Myeong-IK / POOL

Dal Book Pride parte la mobilitazione per salvare la bibliodiversità e le librerie indipendenti

Book Pride -©-Emanuel-Balbinot-Alessia-Zampieri

Un appello per  salvare la bibliodiversità e le librerie indipendenti in Italia parte dalla terza edizione del Book Pride, la fiera degli editori indipendenti che si tiene a Milano dal 24 a domenica 26 marzo, negli spazi dell’ex Ansaldo di Milano e al Mudec.

La fiera è organizzata da Odei, l’Osservatorio degli editori indipendenti, in collaborazione con il Comune di Milano. parte oggi con un importante incontro per rilanciare la legge Zampa di promozione alla lettura, un provvedimento articolato, che in uno dei suoi punti fissa il tetto degli sconti al 5 per cento. Di fatto la guerra al ribasso  premia solo i grandi gruppi editorali e svilisce il lavoro creativo e di scouting che tanti piccoli editori svolgono in Italia, guardando alla qualità, al contenuto, facendo ricerca.  Su questo tema  a Book Pride 2017 si tiene un importante incontro a cui partecipa, tra gli altri Andrea Palombi, direttore editoriale di Nutrimenti e nella dirigenza di Odei.  Gli abbiamo chiesto di aiutarci a tracciare un quadro della situazione  in Italia dove la legge Levi stabilisce già un tetto massimo del 15 per cento allo sconto che i librai possono applicare; un tetto che la maggiar parte degli editori piccoli e medici giudica troppo alto, chiedendo un ulteriore contenimento degli sconti. Ma il Parlamento tace.

«Purtroppo la legge è ferma in attesa di esser portata in commissione», spiega Paolombi. «E il problema è ovviamente che la legislatura volge al termine con il rischio che tutto finisca in un nulla di fatto per l’ennesima volta. Certo, se ci fosse la volontà, una possibilità ci sarebbe: recepire i punti qualificanti della nostra proposta, penso innanzitutto all’abbassamento della soglia dello sconto massimo sul prezzo dei libri al 5 per cento nella legge Giordano Zampa, sulla promozione della lettura, che è in stato molto più avanzato di discussione e che potrebbe arrivare in aula in pochissimo tempo.

In Europa molti Paesi hanno già una legge. Per esempio la Svizzera e perfino la Spagna. Il risultato è una maggiore tutela della biblio diversità?

Certo, e basta guardare i numeri. In Francia la legge Lang è del 1981, fissava per l’appunto uno sconto massimo sul prezzo dei libri al 5%. E leggi simili hanno adottato Spagna, Olanda, Svizzera, Portogallo, ecc. In Germania, poi, è vietato qualsiasi sconto sui libri. Sembra una piccola cosa, ma in realtà è uno strumento potente per garantire certezza a tutta la filiera e soprattutto garantire l’esistenza delle librerie indipendenti e, di conseguenza, anche una possibilità di visibilità per gli editori indipendenti. In sostanza, per difendere la bibliodiversità. Partendo da due concetti di base: che un libro deve essere comparto perché è bello, non perché è in promozione e che tutti dovrebbero concorrere a pari condizioni, cosa che oggi purtroppo in Italia non avviene.
Dicevo che i numeri danno ragione a legislazioni di questo titpo: in Italia, prima con lo sconto selvaggio, oggi con lo sconto più alto del resto d’Europa, ad eccezione della Gran Bretagna, i lettori sono continuati a diminuire progressivamente. E oggi siamo arrivati, come si sa, alla cifra drammatica del 40% di italiani che legge almeno un libro l’anno, cioè al 60% che non legge affatto. Solo nell’ultimo anno abbiamo perso altri 800 mila lettori. E’ utile ricordare ogni volta che i lettori in Germania sono più dell’80%, in Francia il 70, persino in Spagna, paese molto simile al nostro sono oltre il 62%, 22 punti sopra a noi. E questo è uno “spread” che ci dovrebbe preoccupare almeno tanto quanto quello sul debito. La nostra politica dei prezzi dei libri, tutta tesa a tutelare grande distribuzione e grandi gruppi, ha portato a una drammatica morìa di librerie indipendenti, solo negli ultimi anni hanno chiuso in più di 300 ed intere porzioni di territorio sono ormai culturalmente desertificate, senza una libreria che spesso rappresenta un vero e proprio presidio culturale. Credo che sia una questione che dovrebbe porsi con urgenza il governo, perché è impossibile immaginare crescita e sviluppo economico in un clima di declino culturale.

Quali  sono le proposte di Odei  che saranno presentate al Bookpride 2017?

Intanto una chiamata di responsabilità a tutto il mondo editoriale. Oggi un larghissimo fronte di librai ed editori sostiene la necessità di una revisione della legge Levi nella direzione che abbiamo indicato con la proposta di legge Zampa a cui abbiamo collaborato. Anche le principali catene di librerie sono ormai d’accordo sulla limitazione dello sconto al 5%. Resta solo la resistenza di un grande gruppo editoriale, ma il potere di veto non dovrebbe essere concesso a nessuno e sarebbe ora che anche la politica si assumesse le sue responsabilità.
Ci sono poi almeno altri due punti che ci stanno molto a cuore e che dovrebbero marciare di pari passo con la revisione della Levi. E cioè l’introduzione di detrazioni fiscali per l’acquisto di libri, un altro punto contenuto nella proposta di legge che abbiamo presentato. E un piano serio, e operativo, sulla promozione della lettura. Un piano, triennale o quinquennale, capace di fissare obiettivi concreti da raggiungere in termini di allargamento della base dei lettori. Ci piacerebbe, anche qui, per similitudine con i piani di rientro dal debito, che ci si ponessie ad esempio l’obiettivo di portare a leggere almeno il 50% degli italiani in 3 anni. Obiettivi importanti non per editori e librai, ma per la qualità stessa della nostra convivenza e della nostra democrazia.

Da Merkel a Tsipras, le dichiarazioni sull’Ue alla vigilia del meeting di Roma

March 10, 2017. Brussels, Belgium: German Chancellor Angela Merkel (L) is talking with the Greece Prime Minister Alexis Tsipras during an EU chief of state summit in the Europa building, the EU Council headquarter. - NO WIRE SERVICE- Photo: Thierry Monasse/dpa Photo: Thierry Monasse/dpa

A poche ore di distanza dal meeting di Roma, i capi di governo dei Paesi membri dell’Ue e delle istituzioni europee continuano a parlare di Europa e Brexit.

Merkel ottimista

Angela Merkel ha rilasciato un’intervista alla Passauer Neue Presse. Il cancelliere tedesco ha detto che nei prossimi anni la politica comunitaria si comporrà di due binari principali: «Il primo è quello della Brexit, il secondo riguarda lo sviluppo del progetto di integrazione».

Per quanto riguarda l’evoluzione dell’Ue, Merkel ha detto di avere le idee chiare: «Maggiore cooperazione e integrazione per una politica di difesa comune, la lotta contro il terrorismo, la protezione dei confini esterni e tutto ciò che riguarda il benessere economico-lavorativo delle future generazioni».

La leader dell’Unione cristiano-democratica (Cdu) ha poi messo mano alla retorica tradizionale, sostenendo che «chi collabora in questi ambiti e condivide una moneta unica, non cerca guerre intestine». Ma, ha anche ricordato che «la pace non è un evento scontato», soprattutto se si guarda a ciò che accade nel resto del mondo.

Alexis Tsipras polemico

Alexis Tsipras, ha invece inviato una lettera dal tono polemico al presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, al Presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, nonché a Paolo Gentiloni e al Primo ministro maltese, Joeph Muscat. Il leader di Syriza ha insinuato che “l’acquis comunitario” viene applicato all’intera Unione, ad esclusione della Grecia.

Tsipras ha fatto riferimento all’obiettivo dell’Ue di assicurare «progresso, prosperità e pace» ai cittadini del Continente. E ha sostenuto che il programma di aggiustamento economico, che è stato imposto alla Grecia nel corso degli ultimi 7 anni, rappresenta una sorta di “sospensione” dei principi fondamentali dell’Unione. Più nel dettaglio, Tsipras ha sottolineato che la Grecia si trova di fatto esclusa dall’ “acquis comunitario” legato ai diritti sociali, dalla logica dello scambio e dell’implementazione di “buone pratiche”.

Ieri, parlando a Roma, il Primo ministro greco ha anche detto che la crisi ha creato una faglia tra l’Europa del Nord e del Sud, nonché stimolato «stereotipi aggressivi e irrazionali».

È apparso evidente il riferimento alle parole di Dijsselbloem: «Per fortuna ci sono poche persone che voglio nascondere le disuguaglianze causate dalle politiche neoliberiste, dietro a differenze culturali inesistenti. Chi lo fa, ricorre a stereotipi ridicoli e a una retorica distorta che oppone un nord prudente a un sud irresponsabile». Infine, Tsipras ha chiesto a Dijsselbloem di convincere la Germania ad aumentare il livello degli investimenti.

Juncker concentrato sul Brexit

Nel frattempo Jean Claude Juncker, ha parlato di Brexit ai microfoni della Bbc: «Si tratta di un fallimento e di una tragedia» per l’Unione europea.

L’ex Primo ministro lussemburghese ha affermato che le negoziazioni saranno «cordiali» e corrette, ma anche, che le istituzioni europee non faranno sconti di alcun tipo. La priorità numero uno per il presidente della Commissione rimane la difesa dei diritti dei cittadini Ue sul suolo britannico: «Non è una questione di negoziazione, ma di rispetto della dignità umana».

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L’impegno schietto di Tabucchi e il gusto di sperimentare

«L’anniversario dei cinque anni dalla scomparsa di Antonio Tabucchi è diventato con grande spontaneità l’occasione per i suoi allievi, per i suoi amici, per ricordarlo», racconta Maurizio Boldrini, docente di giornalismo e nuovi media, fra i promotori della giornata di studi che si tiene oggi all’Università di Siena, in quell’ateneo «nel quale Antonio ha lasciato in maniera più incisiva ala sua impronta di docente e di studioso». Nei giorni scorsi altri incontri e convegni in onore dello scrittore e studioso di letteratura portoghese si sono tenuti a Firenze, a Genova e il 23 marzo a Vecchiano dove era nato ed era tornato a vivere, dopo aver lasciato l’amatissima Lisbona. «Tutte queste iniziative sono partite da un lavoro che un gruppo di giovani cineasti ha realizzato qualche tempo fa, ripercorrendo, appunto le vie dello scrittore. Poi il docu-film, Rua da Saudade 22», racconta Boldrini. Che poi è diventato un volume curato da Diego Perucci e Riccardo Greco: «Un volume che raccoglie le interviste rilasciate da alcune figure che sono state , per motivi differenti, molto vicine allo scrittore. L’elenco è eterogeneo, si va dai colleghi universitari agli artisti, dagli allievi di ambito accademico a quelli della sua “bottega letteraria”».

Col passare del tempo emerge con più chiarezza quanto Tabucchi, oltre a essere un abile narratore con romanzi di successo come Sostiene Pereria (Feltrinelli) e con saggi come Un baule pieno di gente (Feltrinelli) fosse stato anche uno sperimentatore di nuove forme narrative. Tanto da essere l’unico narratore compreso nel volume Canone 2030 (Enrico Damiani editore) in cui il critico Filippo La Porta, insieme ad altri, prova a immaginare quale sarà l’atlante della letteratura italiana del futuro. In questo libro, in particolare, è Giulio Ferroni a dedicare un saggio al poco convenzionale Tabucchi di Per Isabel, Un mandala uscito nel 2013.
«Ormai credo che gran parte della critica consideri Antonio Tabucchi comune un grande scrittore della seconda metà del Novecento europeo. Così innovativo che viene letto da miglia di giovani e nuovi lettori», commenta Maurizio Boldrini. «Innovativo sia per i temi che per la forma di scrittura. Anzi: le forme di scrittura. Ogni genere, dai racconti al romanzo, dalle scritture sociali alle lettere». Di questi aspetto innovatore parla oggi a  Siena Paolo di Paolo che dello scrittore è stato amico ed è profondo conoscitore dell’intera sua opera. Insomma, sottolinea il giornalista e docente universitario senese: «Non si deve pensare che in queste giornate, la nostalgia per Tabucchi, o l’aneddoto personale, prevalga sul contributo scientifico, c’è l’affetto ma anche il rigore nelle testimonianze che ci ricordano l’impegno civile di Tabucchi in difesa della Costituzione o delle minoranze, il suo legame con i grandi intellettuali contemporanei, i suoi studi letterari, la genesi di alcune opere».

Antonio Tabucchi è stato  un intellettuale appassionato e schietto nell’impegno. Un tipo di impegno oggi sempre più raro? «Sì, la sua radicalità non è inseribile dentro gli abituali schemi nei quali ci muoviamo», risponde Boldrini. «Era un azionista in un’Italia che ha sempre scansato le idee degli azionisti. Era un anarchico se c’era da difendere gli indifesi d’ogni genere e, al contempo, un sincero democratico al quale stavano molto a cuore le sorti delle nostre istituzioni. Se c’era una causa per la quale battersi lo trovavi sempre in fila, specie nelle lotte, non so, per la difesa dei rom o in quelle contro il degrado della politica e per la difesa della Costituzione. Scriveva questo sui giornali e su riviste come Micromega, firmava appelli e s’arrabbiava un bel po’ quando vedeva la decadenza culturale avanzare nel nostro Paese».

 

Ecco un estratto da Rue da Saudate 22 in cui Maurizio Boldrini racconta il leggendario incontro fra Tabucchi e Camilleri:

Mi è capitato di incontrare Camilleri, poiché d’estate si ritira sempre in un paesino dell’Amiata, Bagnolo, ormai da circa vent’anni, da quando faceva il regista e lavorava in Rai. Lo andai a intervistare, avevo deciso di fare una serata di ricordo di Antonio Tabucchi a un anno dalla scomparsa e andai convintissimo che i due fossero in stretto contatto. Avevano firmato appelli, naturalmente contro Berlusconi, sulla cultura italiana, scritto entrambi per Micromega e altre riviste, quindi andai proprio convinto di strappare una intervista, una testimonianza. Lui fu molto cortese, accettò, ma durante l’intervista scoprii che in realtà i due non si erano mai incontrati. E perché non si erano mai incontrati? Lui sostiene che la colpa era di Antonio Tabucchi, perché Tabucchi era un girovago, prendeva appuntamenti e non li rispettava, e lui invece è molto più stanziale, più fermo. Però, il loro rapporto è cresciuto nel corso di molti anni, dai tempi della Sellerio, per capirci, ed era un rapporto fatto di cartoline, le cartoline di Antonio appunto, che spediva dai vari paesi che girava e nelle quali diceva «ci incontriamo», oppure da telefonate nel cuore della notte in cui fissava appuntamenti che poi non venivano ovviamente rispettati. Di fatto, i due non si sono mai conosciuti. Partendo da questo, ovviamente con il vezzo tipico degli scrittori, ha abbinato il loro rapporto a quello inesistente che lo stesso Tabucchi aveva scritto, in un bellissimo e piccolo pamphlet, fra due grandi scrittori: Pessoa e Pirandello. Risulta ovviamente che Pirandello sia legato a Lisbona e da una cabina telefonica di quella città abbia provato a mettersi in contatto con Pessoa, ma non ci sia riuscito, oppure non si sa se non ci sia riuscito, oppure forse si sono incontrati e hanno discusso sugli eteronimi, non si sa. Tra Camilleri e Tabucchi era intercorso lo stesso rapporto che era intercorso tempo addietro tra Pessoa e Pirandello. Così era Antonio Tabucchi.

Metti che un giorno l’Italia sia guerrafondaia e filonucleare: giocare d’anticipo, stavolta

Un reparto di militari alla parata militare del 2 Giugno 2014 a Roma ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Lo scorso ottobre durante una riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che trattava di disarmo e questioni di sicurezza internazionale, 123 nazioni hanno votato a favore della Risoluzione L.41,  mentre 38 (compresa l’Italia) hanno votato contro e ci sono stati 16 Paesi astenuti. La risoluzione votata (la trovate qui) si proponeva di fissare una conferenza programmatica di tutti gli Stati membri per individuare uno “strumento giuridicamente vincolante per vietare le armi nucleari, che porti verso la loro eliminazione totale”.

Il voto contrario dell’Italia (a braccetto con gli USA) scatenò nei mesi scorsi un folto coro di polemiche indignate. Brevi e postume, come al solito. Ovviamente. Fu piuttosto triste assistere anche al malcelato silenzio (o al massimo qualche editorialino sdraiato) da parte di una certa stampa che di quei tempi (era ottobre ma sembra un secolo fa) aveva la preoccupazione di non disturbare il manovratore Renzi.

E non fu un errore o una decisione presa d’improvviso: quel voto è avvenuto dopo una chiara risoluzione del Parlamento Europeo che invitava tutti gli Stati membri Ue a partecipare in modo costruttivo ai negoziati ma nemmeno questo era bastato.

Noi siamo un Paese bravissimo a infiorettare lo sdegno posteriore, lo condividiamo milionesime volte e ce lo portiamo in ufficio. E se fosse che per una volta, una volta almeno, ci pensassimo prima? La data per il prossimo incontro dell’ONU è il prossimo 27 marzo. Tra quattro giorni. Abbiamo tutto il tempo per pensarci. Pensateci.

Buon venerdì.