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Ventisette anni fa moriva Sandro Pertini, le foto del presidente più popolare

Ventisette anni fa moriva Sandro Pertini, presidente tra il 1978 e il 1985, probabilmente il politico più popolare della storia repubblicana. Il primo socialista a occupare la presidenza della Camera e, poi, la massima carica istituzionale, l’ex partigiano enfatico e severo, è il presidente della strage di Bologna, del terremoto in Irpinia, della finale dei mondiali vinta sulla Germania al Santiago Bernabeu e del rapimento Moro. Ogni volta che l’Italia gioiva o era scossa per qualche motivo, Pertini usciva dal palazzo del Quirinale (dove non abitava) e andava in strada. Pertini è anche il presidente dell’incarico al socialista Craxi – che è comunque lo si rilegga oggi un passaggio storico per la storia del Dopoguerra – e il personaggio di Andrea Pazienza.

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Trump vuole più nucleare. Ma come stanno gli arsenali e cosa possono distruggere?

Parlando con la Reuters, il presidente Donald Trump ha spiegato che vuole gli Stati Uniti allarghino il loro arsenale nucleare. È la prima volta che parla dopo la campagna elettorale, quando invece aveva spiegato che tra le cose che faranno tornare l’America grande c’è anche la supremazia nucleare.
Trump ha detto che sarebbe «meraviglioso», se nessun Paese avesse un arsenale nucleare, ma che, visto che ce ne sono, gli Stati Uniti devono primeggiare e, invece, oggi  gli Stati Uniti hanno «accumulato un ritardo sulla capacità nucleare».

Una sparata come un’altra? Possibile: per allargare l’arsenale servono milioni di dollari, ricerca, investimenti. E comunque gli arsenali sono già colossali e in grado sia di funzionare da deterrente – il paradossale equilibrio nucleare degli anni della Guerra fredda – che per distruggere la vita sul pianeta Qui sotto una serie di grafici e dati sugli arsenali, la capacità nucleare, la storia dei test effettuati e la potenza delle bombe testate dalle varie potenze nucleari. Che al momento sono, per ordine di numero di testate: Russia, Stati Uniti, Francia, Cina, Gran Bretagna, Pakistan, India, Corea del Nord – e poi Israele, di cui non conosciamo l’entità degli arsenali nucleari.

Stima degli arsenali nucleari per Paese

 

La storia della corsa nucleare

(Bullettin of atomic scientists – in blu gli Usa, in rosso la Russia, le altre potenze nucleari hanno arsenali così piccoli che le strisce colorate quasi non si vedono)

Il numero di testate per utilizzo

(in marrone quelle per cui i trattati prevedono lo smantellamento, in giallo gli arsenali, con le righe le bombe schierate)

Quanto sono pericolose le bombe?

Qui un grafico inquietante: la bomba di Hiroshima, quella di Nagasaki e poi tutte quelle detonate nei test. Se Big Boy, la bomba Hiroshima, aveva una potenza di 15 kilotoni, pari a 15 quadratini rossi, Tzar Bomba, l’ordigno più potente mai testato, era pari a 50mila kilotoni. (la grafica è molto lunga, sotto altri contenuti)

 

Questo è quel che è successo con la bomba di Hiroshima, che paragonata a quelle di oggi è un petardo

Hiroshima: Ground Zero 1945 from ICP on Vimeo.

Una visualizzazione video della storia dei test nucleari

Trinity from Orbital Mechanics on Vimeo.

Lavoro, unità, diritto alla felicità. Così la sinistra discute senza litigare

Da sinistra Nicola Fratoianni, Maurizio Landini,Michele Emiliano, Pippo Civati, Paolo Ferrero e Paola Falcone nel corso del convegno organizzato tra gli altri da Sinistra Italiana nell'auditorium Cgil a Roma, 23 febbraio 2017. ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI

Giovedì 23 febbraio, Roma. Nella Sala Fredda della Cgil, a due passi da piazza Vittorio, si tiene un incontro in cui si parla di politica. Di sinistra, in particolare. Non possiamo fare a meno di andare, dietro il tavolo – promette l’invito – troveremo a discutere Maurizio Landini e Anna Falcone, Pippo Civati e Nicola Fratoianni, Paolo Ferrero e persino Michele Emiliano. Incredibile, pensiamo, val da solo la camminata. E per via Borromeo, al numero 12, al nostro arrivo troviamo ammassate telecamere e fotografi. Ma capiamo subito che è Michele Emiliano a suscitare gran parte dell’interesse. «Verrà?», si chiedono in molti. Il candidato alla guida del Pd alla fine è arrivato. E nel Pd, alla fine, ci è rimasto: «L’Italia mi descrive come un uomo tentennante – dice tra il serio e il faceto poco dopo dentro la sala – ma vi sembrano troppe 24 o 48 ore per prendere una tale decisione?», chiede dopo aver preso posto tra Civati e Ferrero. I primissimi interventi degli organizzatori, i deputati Airaudo e Marcon e poi, gli interventi che – no – stavolta non sembrano dettati da un moto politicista, ma si attengono alle questioni sul tavolo: i referendum sociali di primavera della Cgil – il fatto che il governo continui a non fissare una data per il voto – e una Sinistra da ricostruire. Intanto Anna Falcone, con la sua sola presenza, ricorda che questo voto segue a una vittoria referendaria, quella del 4 dicembre. Sulla bocca di tutti risiede la parola Unità. Nella Sala Fredda, insomma, è stato rotto il ghiaccio. Ecco cosa è stato detto.

«Vedere questo tavolo è già una speranza per chi dal giorno dopo il 4 dicembre ha iniziato a temere per una sinistra capace solo di litigare», dice Anna Falcone. È l’unica donna tra i relatori, a lei è stato affidato il compito di aprire gli interventi e lo fa senza mezzi termini: «è cambiato lo scenario, e lo hanno deciso i cittadini che ci hanno dato una lezione: quando si fa una campagna con spirito unitario, con alti ideali e rifiutando “l’uomo solo al comando” come unica prospettiva possibile, possiamo lavorare insieme e vincere». Parla a nome dei 750 comitati sparsi in tutto il territorio nazionale e ce non si sono sciolti, perché aspettano adesso di vederla attuata la Costituzione che sono riusciti a difendere. E, citando Podemos, ai suoi interlocutori lancia una provocazione: «Quando i cittadini non trovano spazio nel dibattito politico se lo creano. Ma io vorrei vedere insieme l’esperienza dei partiti con la freschezza dei comitati». Parte da una frattura anche Maurizio Landini, che sottolinea il dato storico dei prossimi referendum: sono stati promossi direttamente da un sindacato, senza l’intermediazione di un partito. Segno dei temi, segno di scollamento. Ma anche segno di un’ambizione: La nostra è una battaglia di egemonia, se porteremo 26 milioni di persone a votare , e avremo il quorum, non saranno solo i dipendenti iscritti alla Cgil”. Poi, da buon sindacalista, avverte: «Non c’è sinistra possibile senza Unità sociale del lavoro». Non solo la politica è divisa, ma lo è la società stessa e ancor di più il mondo del lavoro: «Nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro – spiega il segretario Fiom – c’è paura, del proprio compagno di lavoro e dell’imprenditore. E non ci sono strutture e strumenti per difendersi. Perciò non basta cambiare le leggi, ma dobbiamo essere portatori di un cambiamento delle politiche economiche. È necessario ricostruire una connessione sentimentale».


Va dritto al sodo Paolo Ferrero: «C’è un obbligo di unità, non ideologico ma concreto», dice il segretario di Rifondazione. E, senza troppi giri di parole, propone d’emblée il metodo: non è necessario sciogliersi o chiedere lo scioglimento a qualcuno, ma basta una cessione di sovranità a un soggetto unitario. «Al netto del 10% delle cose su cui non siamo d’accordo, sul 90% possiamo costruire un processo di partecipazione. Per una sinistra che sia un fatto di massa e non di testimonianza», dice Ferrero che torna sul voto del 4 dicembre per far notare ai sui interlocutori che «non riusciamo a sedimentare le cose positive, rispetto a una sorta di sfiducia nei confronti del popolo italiana. Invece un popolo di sinistra c’è, ma ha difficoltà a esprimersi».
Un piccolo battibecco con Emiliano suscita qualche risata in sala – «Ti faccio i miei migliori auguri ma resto convinto che il Pd sia parte del problema e non la soluzione. Il Pd, e non solo Renzi» – poi gli cede la parola. La platea è tiepida quando dietro il microfono c’è Michele Emiliano, ma lui ci prova: «Stasera i media hanno fotografato un possibile centrosinistra, ma sappiamo che non è detto che si realizzi». Tra le incognite, soprattutto, c’è la sua vittoria alle primarie del Pd, scelta presa perché «si augura che il Pd sappia riprendere coscienza». E pone alla platea la domanda retorica: «È possibile che il maggior partito del centrosinistra sia ostaggio di una persona sola? La scissione avrebbe lasciato vivere un Pd snaturato, se invece il Pd divenisse oggetto di partecipazione popolare sono convinto che quello di cui parliamo qui diventerebbe realizzabile. È necessario sbloccare il centrosinistra, venire fuori dal guaio in cui noi stessi ci siamo cacciati. Vi chiedo aiuto per questo».


«Questa sera siamo tutti qui e stiamo bene». Pippo Civati tira su il morale un po’ a tutti. «Andiamo oltre la rappresentazione plastica della politica che viene riportata dai media e da noi stessi. Cominciamo a parlare di noi, a parlare bene di noi», dice serio. E rilancia: «Questo tavolo deve essere un luogo permanente – e ironicamente si rivolge all’unico dem in sala: Prendiamo anche Emiiano dai…» Sono da poco passate le otto della sera. Il passo successivo è già arrivato. Da venerdì a domenica, sempre a Roma, si svolgono i lavori della “Costituente delle idee” indetta dalla sua Possibile. Nicola Fratoianni, appena eletto segretario di Sinistra italiana, è il primo a raccogliere l’invito «per uscire dalla cappa del politicismo ed entrare nel merito delle questioni». A lui è affidato l’ultimo degli interventi, lui non manca di entrare nel merito e snocciola proposte su cui costruire la tanto chiamata in causa Unità, proposte che – certamente – uniscono. Intanto, assicura, ogni giorno, insieme al deputato Airaudo che gli siede accanto, continuerà a chiedere dai banchi della Camera una data per i referendum su voucher e appalti.

Perché la sinistra si divide sempre?

Un momento durante l'assemblea nazionale del Pd all'Hotel Parco dei Principi, Roma, 19 febbraio 2017. ANSA/ANGELO CARCONI

«Professoressa ma perché la sinistra si divide sempre?».

È una mattina come le altre e sono a scuola, la domanda me la pone uno dei miei alunni di quinta mentre sto spiegando la Rivoluzione russa e mostrando il variegato spettro di forze scese in campo contro lo Zar: i bolscevichi di Lenin, i menscevichi di Martov, i socialisti rivoluzionari, i cadetti…Non è la prima volta che un mio studente fa un’osservazione di questo tipo e quindi non mi coglie impreparata: ogni volta che in quarta studiamo la Rivoluzione francese o in quinta i socialismi alla fine dell’800 o più avanti ancora affrontiamo il 900 e le scissioni del Partito Socialista prima e poi quelle tra comunisti massimalisti e riformisti qualcuno dal fondo della classe alza la mano.

Già, perché tante divisioni?

La domanda non ammette indugi anche perché la storia poi ci insegna che di fronte a queste frammentazioni hanno sempre vinto l’uomo forte (Robespierre, Napoleone, Stalin…) e le forze di destra (i fascisti, i nazisti, i franchisti…). La domanda, inoltre, coglie assolutamente nel segno e mi dà l’occasione di parlare di attualità, visti gli ultimi sviluppi del congresso del Partito democratico e così ci ritroviamo a pensare ai grandi problemi che hanno contraddistinto la storia della sinistra in Europa fin dai suoi esordi.

Mentre cerco di rimettere insieme le idee per trovare una risposta plausibile e neanche troppo scontata e stupida mi strappa un sorriso il ricordo di Corrado Guzzanti quando, in un suo esilarante spettacolo del 2010, imitava Fausto Bertinotti che ideava una nuova strategia politica: la sparizione della sinistra per via di scissioni. «Negli ultimi tempi – diceva – gli animali di grossa taglia non fanno più paura, quindi bisogna attaccare il nemico per via di microorganismi: scindersi scindersi fino a sparire». Oggi lo sketch del comico romano appare di una lungimiranza disarmante e allora la risposta è d’obbligo perché ne va dell’identità della sinistra non solo in Italia, ma in Europa e nel mondo intero.

La storia della sinistra è sempre stata caratterizzata da una miriade di scissioni che non è sufficiente spiegare come frutto dell’esercizio della libertà di pensiero, non fosse altro che per via di tali divisioni la sinistra molte volte nella storia è stata sconfitta favorendo l’ascesa al potere di forza autoritarie e illiberali. Mentre parlo e spiego, organizzo il pensiero e mi viene in mente ancora il giornalista di Raitre Maurizio Mannoni che, durante una puntata di Linea Notte del 28 novembre 2014, pose la stessa domanda del mio studente all’ospite che aveva in studio: lo psichiatra Massimo Fagioli.

«Professore, le pongo una domanda che è sia politica che psicoanalitica: perché questa eterna tentazione di scissione nella sinistra?». Fagioli rispose con una battuta fulminante che mi colpì molto: «Ci sono sempre state le scissioni fin dalla Rivoluzione francese perché si è imposto l’ideale della libertà, che era solo una libertà dei mercati, che ha portato all’individualismo facendo fallire l’ideale dell’uguaglianza».

(…)

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L’insopportabile familismo perbenista italiano

Il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, all'inaugurazione dell'anno giudiziario della Corte dei Conti regionale, al Castel dell'Ovo, Napoli, 17 febbraio 2017. ANSA / CIRO FUSCO

Forse alla fine ce lo meritiamo uno come De Luca, che di fronte alla domanda sul presunto “scambio di favori” che vedrebbe suo figlio candidato alla Camera per le prossime elezioni politiche in cambio di un suo appoggio alla candidatura di Matteo Renzi come segretario del Pd risponde con un muso impietrito e muto come nelle peggiori fiction di camorra.

Forse ci meritiamo anche il fatto di avere avuto per più di mille giorni una squadra di governo che in gran parte stava tutta nel raggio di qualche decina di chilometri lì dove l’ex premier aveva fatto lo scout giusto per il gusto di rinfacciarcelo tutti i giorni insieme a don Milani.

In fondo siamo un Paese che sulle vicinanze si gioca gran parte delle dinamiche: se srotoliamo l’adolescenza della nostra classe dirigente ci ritroviamo dentro un nodo di amici magicamente trasformati in collaboratori e fiduciari.

Questi che parlano di meritocrazia (che è un feticcio falso come il cuoio in fibre plastiche) sono gli stessi che innalzano (anche se di nascosto, anche se simulando di non saperne) la fedeltà come elemento imprescindibile e non fa niente se le capacità sono inefficaci.

Un governo di “amici d’infanzia” e una squadra di sostenitori costruita sullo “scambio” è la fotografia degli uffici in cui avanzano i leccaculo, di dipartimenti che premiano i falsi cortesi, di aziende che falliscono passando ai figli, di consigli di amministrazioni che attraversano le ere senza cambiare mai i cognomi.

Si resiste alla povertà, è vero, ma anche al deserto etico. Di continuo.

Buon venerdì.

Con questo numero rivendichiamo l’unicità e originalità di una storia

Left è nato il 17 febbraio 2006 insieme alla rubrica di Massimo Fagioli. Per la prima volta oggi, dopo 11 anni e una settimana, usciamo senza la rubrica Trasformazione. Per questo motivo ho chiesto ai direttori e alla redazione un regalo. Per una settimana lasciamo perdere l’attualità. Facciamo un numero interamente dedicato a Fagioli, alla sua ricerca e a quella cosa straordinaria e incomprensibile chiamata Analisi collettiva. Perché glielo dobbiamo ma anche perché è la nostra storia.

Spesso ci è stato chiesto polemicamente: perché gli date quello spazio? Perché non gli toccate nemmeno una virgola di quello che scrive? Cosa c’entra Fagioli con la sinistra? Perché lo avete sempre difeso contro tutto e tutti? Le risposte sono tante. Ma quello che oggi mi sento di affermare con forza è che una delle caratteristiche uniche di Left è sempre stata la rubrica settimanale di Fagioli. Non esiste e non è mai esistita in nessun’altra rivista o giornale del mondo una cosa così particolare. È stato un segno distintivo, un’identità, sin dalla nostra nascita 11 anni e una settimana fa. Con questo numero vogliamo rivendicare l’unicità e originalità di questa storia.

Fagioli dopo la pubblicazione dei sui quattro libri che hanno fondato la Teoria della nascita, ha sviluppato il suo pensiero in oltre 550 articoli. Il suo linguaggio misterioso e poetico ci ha accompagnato, facendo ricerca sulla realtà psichica umana, per tutti questi anni, ogni settimana senza mai un’interruzione.

Una ricerca su un settimanale di attualità… una ricerca fatta in pubblico, alla luce del sole, che chiunque può leggere. Difficile certo, anzi difficilissima, ma mai incomprensibile. Chi voleva e chi vuole approfondire e capire, ha tutti gli strumenti per farlo. Un enorme patrimonio di conoscenze a disposizione di chi voglia sapere.

Lo ha sempre sostenuto Fagioli, la ricerca sulla realtà umana non è qualcosa che va chiuso in un ambiente accademico ed elitario. L’Analisi collettiva, il grande gruppo che ha tenuto per 41 anni, in cui si è svolto un rapporto di cura e di formazione, comprendeva sempre, fin dall’inizio, la ricerca. Anche quando era, soprattutto, cura della malattia mentale. La sua rubrica, così originale ed unica, come l’Analisi collettiva, sono state una proposizione di ricerca svolta in pubblico. I lettori del nostro giornale non sono specialisti di psichiatria. I partecipanti all’Analisi collettiva erano solo in piccola parte psichiatri e psicologi.

La mia idea è che sia l’Analisi collettiva che la rubrica Trasformazione sono state proposizioni politiche di sinistra. Di una sinistra che non rimane soltanto un ideale astratto o banalmente la buona amministrazione della cosa pubblica ma diventa realtà interna, quindi pensiero ed azione, di migliaia di persone.

La conoscenza della realtà psichica umana e la ricerca su di essa deve essere un patrimonio pubblico, di tutti e a tutti accessibile. Perché ogni essere umano vuole conoscere e sapere di se stesso e del suo rapporto con gli altri. Perché una sinistra vera non potrà mai esistere se non si comprende, fino in fondo, la realtà psichica degli esseri umani.

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«Ritirate le deleghe della Buona scuola, vanno contro i diritti dei più deboli». L’allarme di familiari e docenti

Una classe del liceo Newton di Roma, visto dal corridoio oggi 12 settembre 2011 a Roma. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

«Quella delega rischia di gettare a mare tutta l’istruzione per i disabili. E anche le altre non facilitano la loro vita, vanno ritirate tutte». Per lanciare questo allarme ai parlamentari oggi davanti a Montecitorio a partire dalle ore 15 fino alle 19 è in corso un presidio di centinaia di associazioni, la Rete dei 65 movimenti, provenienti da tutta Italia, che rappresentano oltre centomila cittadini, tra insegnanti, genitori di ragazzi disabili. Alla protesta hanno aderito anche tutti i sindacati, sia confederali che di base, oltre alle associazioni degli studenti e a partiti come Sinistra italiana.
La protesta non si ferma qui. Domani venerdì 24, al liceo Tasso di Roma si terrà un seminario di formazione per docenti sull’inclusione, parteciperanno tra gli altri il sottosegretario all’Istruzione Vito De Filippo e il giudice onorario della Cassazione Ferdinando Imposimato, sempre molto critico contro le violazioni dei principi costituzionali.

Ma perché questa ribellione collettiva? Non è bastata la legge 107, che ha causato non pochi problemi non solo nei contenuti, ma anche nell’organizzazione scolastica. Adesso arrivano 8 decreti attuativi relativi ad altrettanti temi cruciali per l’istruzione e che il 17 marzo diventeranno legge. Vanno a completare, per così dire, la Buona scuola. Allora, nel 2015, si disse che le deleghe erano troppe, che si lasciava carta bianca al Governo su troppi temi sensibili. Poi il tempo è passato, il Governo senza ascoltare nessuno è andato avanti ed ecco qua le 8 deleghe, targate Renzi-Giannini, con il via libera della ministra Fedeli, arrivata con il governo Gentiloni. La delega contestata è la 378 “Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità”. In Commissione Istruzione e cultura di Camera e Senato si stanno tenendo le audizioni di associazioni, esperti, comitati, ma c’è poco tempo perché i parlamentari entrino dentro argomenti così complessi come quello dell’inclusione scolastica per i disabili oppure la formazione iniziale dei docenti o ancora la valutazione. È una delle critiche che fanno i sindacati: troppo poco tempo per cambiare qualcosa dei decreti attuativi.

Chi ha promosso la mobilitazione, ha individuato precisi punti che non vanno. Li elenca la professoressa Daniela Costabile, portavoce della Rete dei 65 movimenti che ha organizzato la protesta e che fa parte anche dei Partigiani della scuola, uno dei movimenti nati contro la Buona Scuola.
«Noi come rete siamo nati proprio per la delega disabilità, ma poiché i danni per i disabili vengono anche da tutte le altre deleghe, noi chiediamo il ritiro di tutti i decreti attuativi. Per questo motivo ha aderito alla nostra rete tutto il mondo della scuola. Questa è l’unica manifestazione contro i decreti», spiega.
La critica più forte è quella per cui le famiglie, con la delega sono tagliate fuori dal sistema dell’istruzione che nei casi di studenti disabili costituisce una rete complessa. Mentre prima della delega, grazie alla legge 104 del 1992 c’erano 41mila gruppi Glh, cioè gruppi di lavoro e studio che ogni dirigente creava nella propria scuola, formati da docenti di sostegno e curricolari, operatori sociali e familiari, adesso, tutto questo sistema viene spazzato via. La stessa legge 104 viene depotenziata e molti degli articoli della norma di 25 anni fa vengono cambiati. «Abbiamo scoperto dalla relazione tecnica – dice Costabile – che il Governo elimina tutti i gruppi che c’erano per ogni scuola, e al loro posto ha inserito dei Git, gruppi per l’inclusione territoriale, in cui ci sono 4 presidi e due docenti, i quali devono decidere le ore di sostegno da dare i ragazzi. Se prima con la legge 104 scattava automaticamente il docente di sostegno adesso non è più così. La 104 è stata depotenziata da questa delega». Trecento Git, uno per ogni ambito territoriale, la nuova geografia scolastica, ecco la novità della delega 378 che non va giù ai familiari.
«Dovranno decidere, senza conoscere i ragazzi, cercheranno di razionalizzare, ma c’è una sentenza, la n.80 del 2010 che dice che quando si tratta di ragazzi con disabilità, il pareggio di bilancio non c’entra nulla, bisogna dargli tutto quello che serve», continua la professoressa. Ma non è solo questo il punto contestato. Un altro riguarda la possibilità di aumentare il numero di alunni nelle classi in cui è presente uno studente disabile. Da 20 si passa a 22. Ma in quell’articolo 3 “Prestazioni e competenze”, c’è un passaggio che desta preoccupazioni. Laddove si parla della formazioni delle classi, si legge: «consentire, di norma, la presenza di non più di 22 alunni ove siano presenti studenti con disabilità certificata». «Questa norma è contestata da tutti – dice Daniela Costabile – anche da parte dell’osservatorio Miur per la disabilità, perché così sale il numero di alunni per classe». Inoltre, con la legge 104 bastavano 6 giorni per la certificazione del bambino all’inizio del suo percorso scolastico, adesso gli avvocati delle associazioni hanno calcolato che di giorni ne occorrono 60. «Quindi niente snellimento burocratico», sottolinea la portavoce della rete dei 65 movimenti. «La commissione medica è stata integrata da figure che non c’entrano nulla – continua – un terapista della riabilitazione, chissà, forse per vedere se un ragazzino è autonomo e può stare solo senza il sostegno… E poi c’è anche un medico dell’Inps, un ispettore che non risponde al ministero della salute, non vorrei che i ragazzini verranno trattati come falsi invalidi».

Altro articolo della delega che ha fatto sollevare tutti, familiari e insegnanti, è l’articolo 16 “continuità didatica”: «Per valorizzare le competenze professionali e garantire la piena attuazione del piano annuale di inclusione, il Dirigente scolastico propone ai docenti dell’organico dell’autonomia di svolgere anche attività di sostegno didattico, purché in possesso della specifica specializzazione».
Tradotto, significa che anche i docenti curricolari, se hanno una specifica specializzazione, sono chiamati a fare il docente di sostegno. «La prospettiva è che il preside faccia lavorare il docente sia sulla classe che sul ragazzino, quindi questo perde il docente di sostegno. È un tranello», sottolinea con amarezza Daniela Costabile.
In sintesi, il senso che emerge da questa delega è quello della razionalizzazione, del “fare cassa”. Ma  sostenere le ragioni del bilancio sulla pelle di chi è più debole non è possibile. D’altra parte anche la Corte Costituzionale, poche settimane fa ha sancito che il pareggio in bilancio non ha ragion d’essere rispetto ai diritti di chi ha una disabilità. Vedremo se il Parlamento recepirà l’allarme di migliaia di cittadini che partono da una situazione di svantaggio e che quindi devo essere tutelati ancora di più.

I Sioux bruciano il campo contro l’oleodotto in South Dakota. Che si farà anche con soldi italiani

epa05809559 A handout photo made available by the North Dakota Joint Information Center on 22 February 2017 shows an aerial view of the Oceti Sakowin camp, Morton County, North Dakota, USA, 19 February 2017. Authorities began the removal of protesters opposing the Dakota Access Pipeline (DAPL) from the camp on 22 February 2017, after the expiration of an evacuation deadline ordered by state and federal authorities. Protesters reportedly set some fires to destroy teepees and other abandoned dwellings as they left the camp during the eviction. The camp, located on federal land near the Standing Rock Sioux Reservation, was illegally set to protest the nearby Dakota Access Pipeline, media added. EPA/NORTH DAKOTA JOINT INFORMATION CENTER HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

Il presidente Trump ha firmato l’ordine esecutivo pochi giorni fa e le multinazionali che hanno deciso di costruire l’oleodotto che dal Canada arriverà nelle raffinerie degli Stati Uniti passando per le terre sacre e le fonti di approvvigionamento di acqua dei Lakota Sioux hanno immediatamente ripreso la costruzione. Il campo che nei mesi passati ha raccolto fino a 10mila attivisti ambientalisti e nativi americani di tutte le tribù era quasi deserto ormai e le autorità locali avevano dato ordine di evacuarlo. I pochi che restavano hanno inscenato una protesta, fatto dei riti propiziatori e poi dato fuoco al campo. Alcuni sono stati arrestati. Difficile dire se questa storia finisca qui.
Tra le cose che sappiamo però è che le banche finanziano il progetto a prescindere dalle proteste dei nativi e degli ambientalisti. Tra queste c’è l’italiana Intesa Sanpaolo a cui Greenpeace Italia ha chiesto se intende proseguire nel finanziamento. L’olandese Amro ha infatti dichiarato che se la costruzione si farà senza l’assenso delle tribù locali, il suo finanziamento verrà meno.

«La domanda è doppiamente importante oggi, visto che la banca ha recentemente “confermato il suo impegno a seguire da vicino e con la massima attenzione i risvolti sociali e ambientali legati al finanziamento del Dakota Access Pipeline – in particolare il rispetto dei diritti umani – in coerenza con i principi espressi nel suo Codice Etico”, come si legge in un documento ufficiale», si legge nel comunicato di Greenpeace. (qui un articolo che segnala tutte le banche coinvolte nel progetto) Ambientalisti e tribù native hanno lanciato una campagna per disinvestire dalle banche che prestano soldi al progetto. È una modalità di azione che negli Usa ha spesso funzionato, proprio contro le multinazionali del petrolio.

Il video di presentazione della campagna contro le banche che investono nell’oleodotto

Come Macron cerca di riguadagnare terreno su Le Pen

epa05790704 Leader of France's far-right Front National political party and candidate for the 2017 French presidential elections Marine Le Pen visits the 'Promenade des Anglais' in Nice, France, 13 February 2017. EPA/SEBASTIEN NOGIER

Gli scenari delle elezioni Presidenziali francesi sono in costante evoluzione. Ieri, Emmanuel Macron ha ottenuto l’appoggio ufficiale di François Bayrou, sindaco di Pau e Presidente del “Mouvement Démocrate” (Modem), una forza politica centrista ed europeista.

Bayrou ha proposto a Macron di integrare nel programma elettorale alcuni temi-cavalli di battaglia del Modem. Tra questi, la promessa di una legge sul “conflitto di interessi”, ma anche un impegno a favore del pluralismo nel quadro politico francese.

Il candidato del movimento En Marche (“In Marcia”) ha prontamente accettato l’offerta di Bayrou. I due leader si dovrebbero incontrare proprio oggi per definire i dettagli e ufficializzare l’accordo.

Durante le primarie della destra repubblicana francese, Bayrou aveva appoggiato Juppé. Inoltre, durante le ultime settimane, aveva chiesto a Fillon di fare un passo indietro, in seguito agli scandali legati all’utilizzo, da parte di quest’ultimo, di soldi pubblici per assumere i propri famigliari.

Bayrou ha motivato così la sua scelta a favore di Macron: «Nel Paese, c’è un’urgenza di cambiamento. [Il mio], è un gesto per dare speranza alla Francia».

Il sostegno di Bayrou sposterà l’ago della bilancia a favore di Macron nello scontro con Marine Le Pen? Difficile dirlo. Ma è probabile che il gesto rappresenti un’ulteriore spallata nei confronti di Fillon, per il quale, a questo punto, sembra più difficile arrivare al secondo turno.

Dal canto suo, Marine Le Pen ha visitato Beirut. Cosa c’è dietro al viaggio del leader del Front National in Libano? Probabilmente la volontà di dimostrare una “credibilità internazionale”. Anche perché, negli stessi giorni, Emmanuel Macron è stato ospitato da Theresa May a Londra. Un chiaro segno, di quali siano le preferenze dell’élite politica europea.

Nel frattempo, il Presidente uscente, Francois Hollande, in visita presso gli stabilimenti di Alstom e General Electric di Belfort, ha cercato di difendere il bilancio della sua presidenza. Ma, soprattutto, ha alzato la voce contro il rischio del «protezionismo».

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