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No, l’Italia non è ancora uno Stato civile

+++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA +++ Un'immagine, tratta dal profilo Facebook dell'Associazione Luca Coscioni, del dj Fabo, al secolo Fabiano Antoniani, diventato cieco e tetraplegico a causa di un incidente stradale. L'uomo, 39 anni, si Ë rivolto all'Associazione Luca Coscioni e ha inviato un appello al presidente della Repubblica Sergio Mattarella affinchÈ intervenga sul fine vita. Roma, 19 gennaio 2016. ANSA/ FACEBOOK

Lunedì, il testo che dovrebbe introdurre le Dat (Dichiarazioni anticipate di trattamento), meglio noto come Testamento biologico, sarà in aula alla Camera. Ma – a dieci anni dalla morte di Piergiorgio Welby – siamo ancora lontani da una legge che legalizzi il diritto di morire.

E come questa, sono moltissime le leggi che ancora mancano in Italia, perché questa si possa definire uno Stato civile (nome tratto dalla trasmissione in onda su Rai3 che racconta amori e difficoltà delle unioni civili). Dalle adozioni stralciate dalla legge sulle unioni civili, passando per il cognome materno e il congedo di paternità, fino alle più gravi mancanze. Fra queste, la legge sul fine vita che la vicenda di Fabiano Antoniani, il 39enne divenuto tetraplegico e cieco in seguito a un incidente, ha riportato in auge. Su Left, abbiamo riportato il suo appello al presidente Mattarella, al quale Fabio chiede di intervenire per sbloccare la proposta di legge sull’eutanasia.

E si è riacceso anche il dibattito sullo Ius soli. Altro testo fermo in commissione Affari istituzionali del Senato. Così come una legge che introduca il reato di tortura, che tra il caso Cucchi e i richiami internazionali, forse, potrebbe anche vedere la luce. Prima o poi

Di tutto questo, si parla sul numero di Left in edicola da sabato.

Questo articolo, integrale, lo trovate su Left in edicola dal 28 gennaio

 

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Uno, nessuno, centomila Brunori. Il fuori onda

«È che mi sono ritrovato a fare canzoni tristi, ma c’è una parte “cazzona” (termine d’uso comune non ritenuto sconcio, quantomeno così è in Calabria, ndr) molto grossa in me, che nei concerti emerge anche spesso. Anzi, travalica!». Nell’intervista che leggerete sul cartaceo di Left, con Dario Brunori discutiamo di politica, di sinistra, di quanto sia sottile la linea tra il mostro in noi e il mostro in sé. Del suo nuovo disco (A casa tutto bene, Picicca dischi) e di quanto – rispetto ai passati lavori – stavolta risulti autentico. Liberato. Emancipato da sé, come lui stesso concorda. Ma a margine del nostro incontro, non potevamo esimerci dal chiedergli due battute sulla sua apparizione in “Savastano perdona. L’indie no”: il maestro del neomelodico, Enzo Savastano, viene rapito da un boss della musica indie. «Riuscirà l’eroe del “gagaga” a liberarsi dalle grinfie dell’indipendente?», si chiedono gli autori del video. Due risate con Brunori, ché prendersi sul serio va bene, ma non troppo.

Savastano spopola su youtube sfottendo la scena indie, e ti mette in mezzo: «Tua madre me l’ha detto che ogni volta che soffri ti chiudi nella stanza coi dischi di Brunori». Un mese dopo, nella clip di replica, gli dici: «Vieniti a piglia’ o perdono’». Lo hai cercato tu, ti ha cercato lui?
Ci siamo incrociati per caso, un nostro amico comune, il regista Denzel Minicozzi, mi ha detto che tra l’altro erano pure dei miei fan. A quel punto ho detto: allora vediamoci e ce la ridiamo. Perché ci vado a nozze con queste cose, in realtà è questo che vorrei fare! Così abbiamo inscenato il sequestro di Savastano da parte del boss indie, che sarei io (ride).

Mi tiri fuori le domande. Ma ‘sto indie esiste o no?
Ma sì. Possiamo chiamarlo indie o scena alternativa, esiste il fatto che alcune persone vogliano scrivere con un certo tipo di attitudine di certe cose e utilizzando un certo tipo di linguaggio, sia testuale che musicale, che non è quello convenzionale del pop mainstream. Poi che questo possa finire nel mainstream non cambia la sostanza. Benvenga che cose nate nell’indie siano finite o finiscano nel mainstream, sempre che mantengano la loro cifra. Perciò è anche bello non rinchiudere tutto in sole due etichette, perché non basta che qualcosa di indie finisca in radio per diventare mainstream. Finisce in un altro contenitore, sì. Ma è proprio per non guardare le cose in maniera acritica che bisogna guardare alla loro caratterizzazione e non ai contenitori in cui vanno a finire. Insomma, così come nell’indie ci sono cose che hanno caratteristiche diverse (indie pop, per esempio), anche nel mainstream possono esserci cose spietatamente pop o con un sapore più vicino all’alternativo. Direi che le cose finché mantengono una loro personalità sono definite da questo, a prescindere da dove vanno a finire.

 

L’intervista a Brunori la trovate su Left in edicola dal 28 gennaio

 

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Le foto della settimana

© MENAHEM KAHANA/AFP/Getty Images

Storni sulla recinzione di confine nella Valle del Giordano in Cisgiordania

23 gennaio 2017. Docklands Light Railway (DLR) nella zona est di Londra. Una fitta nebbia ha costretto la cancellazione di circa 100 voli all’aeroporto di Heathrow e riacceso le preoccupazioni per la qualità dell’aria nella capitale

 

23 gennaio 2017. Indiani sikh nel complesso Gurudwara Bangla Sahib a Nuova Delhi

 

25 gennaio 2017. Beijing West Railway Station a Pechino. Centinaia di milioni di lavoratori pendolari sono in viaggio verso paesi e città lontane per vedere le loro famiglie e festeggiare la festa più importante del calendario cinese

 

25 gennaio 2017. Base aerea a Riyadh, Arabia Saudita. Ufficiali dell’esercito sotto il logo della Saudi Air Force durante la cerimonia del 50° anniversario

 

25 gennaio 2017. Un treno attraversa i distretti orientali di Aleppo per la prima volta da quando i ribelli hanno invaso la città dividendola in due parti una controllata dai ribelli e l’altra controllata dal regime

 

Un uomo egiziano supervisiona la raccolta di patate in un campo nel villaggio di Shamma

 

26 gennaio 2017. Periferia di Karachi, Pakistan. Funzionari della dogana distruggono centinaia di bottiglie di liquore illecite e farmaci di contrabbando nel paese

 

Betlemme, Cisgiordana. Agenti della forza di sicurezza israeliana durante gli scontri nella manifestazionein cui si chiedeva la restituzione dei corpi dei palestinesi uccisi durante gli attacchi contro Israele

 

Nessun uomo è illegale. Un momento della protesta contro il piano del presidente Donald Trump a costruire un muro lungo il confine degli Stati Uniti con il Messico

 

L’Italia a rischio e l’emergenza di Pulcinella

epa05731723 A handout photo made available by the Italian Fire Department shows rescuers searching for victims at the scene of the hotel Rigopiano in the town of Farindola, overwhelmed the previous night by a snow avalanche after three earthquakes hit, in Abruzzo region, Italy, 19 January 2017. According to an Italian mountain rescue team, several people have been killed in the avalanche that hit the hotel near the Gran Sasso mountain. EPA/ITALIAN FIRE DEPARTMENT HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

Ci preparavamo a dar voce alle popolazioni del Centro Italia sfollate dopo i terremoti di agosto e di ottobre, la mattina del 18 gennaio. Volevamo raccontare la loro attesa nel vedere mantenute le promesse fatte dal governo: i container entro Natale 2016, le casette (i cosiddetti map, moduli abitativi provvisori) tra la primavera e settembre 2017 e poi la ricostruzione. Anche quella – urgente – delle aziende che non possono aspettare perché se non torna il lavoro, sull’Appennino, non torneranno neanche le persone. Ma è arrivata la nuova sequenza sismica quella mattina del 18 gennaio – accompagnata a Roma dall’assurda “emergenza” delle scuole sgomberate – e dopo qualche ora la notizia della valanga che ha portato via e sommerso l’hotel Rigopiano, sopra il comune pescarese di Farindola. Poi i riflettori sui soccorsi, la speranza riaccesa dopo il ritrovamento di alcune persone in vita, il dolore per i morti.
Nelle stesse ore, nella stessa provincia di Pescara, a Teramo e Chieti, migliaia di persone restavano per ore e in molti casi per giorni senza corrente elettrica. E centiniaia di chilometri più a Sud, l’emergenza maltempo “metteva in ginocchio” – così dice in questi casi la tv – Messina e Reggio Calabria.

Che Italia è questa? Che non adegua il proprio patrimonio edilizio alle norme antisismiche? Che non impedisce di realizzare edifici nelle (tante) zone a rischio sismico o idrogeologico. Che non riesce a garantire l’attuazione dei piani anti-neve nei territori e non prende atto dei fenomeni meteorologici estremi sempre più frequenti. Che lascia migliaia di persone senza elettricità per giorni. La parola che sintetizza ciò che manca l’ha pronunciata il capo della Protezione civile Fabrizio Curcio: «Pianificare significa fare prevenzione», ha detto. «È inutile che poi ci accorgiamo di questi meccanismi solo e unicamente quando c’è l’evento eccezionale».

Questo articolo, integrale, lo trovate su Left in edicola dal 28 gennaio

 

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Yolocaust, quando ci si scorda del perché i monumenti sono stati costruiti

RNPS IMAGES OF THE YEAR 2011 - A girl rests on a concrete column at the Holocaust memorial in Berlin, June 17, 2011. REUTERS/Tobias Schwarz (GERMANY - Tags: CONFLICT SOCIETY)

A Berlino, nel quartiere Mitte, c’è un monumento costruito per commemorare le vittime dell’Olocausto. È il Denkmal für die ermordeten Juden Europas, Memoriale della Shoah inaugurato nel 2004. A realizzarlo è stato l’architetto Peter Eisenmann. È un’opera piuttosto ingente: 19.000 metri quadrati (dove priva sorgeva un palazzo di proprietà di Goebbles il ministro della propaganda nazista) circa 2711 blocchi di cemento di diverse altezze e dimensioni disposti l’uno accanto all’altro a formare una selva oscura, un vero e proprio labirinto, razionale, grigio e soffocante. Una metafora piuttosto riuscita di quella “banalità del male”, quella burocratizzazione e metodica razionalizzazione dell’assassinio, che aveva contraddistinto il Terzo Reich. Fra i monumenti eretti nel mondo in memoria del genocidio è uno dei più grandi per estensione, proprio per questo attira ogni anno un enorme numero di turisti. Turisti che, a tredici anni dall’inaugurazione del monumento, sembrano essere più concentrati sul design moderno e minimale, perfetto come sfondo per selfie da postare su facebook e instagram, che sull’effettivo significato storico del monumento.
Non è difficile infatti trovare persone che postano foto del genere:

Yoga everywhere #อยากยืดระดับสิบ #germany #berlin #gbtriptoberlin #yoga #yogaposes

Una foto pubblicata da beejariya_l (@beejariya_l) in data:

#jump#berlin#instaphoto#jesień

Una foto pubblicata da Aleksander Bartz (@abartz) in data:

E come queste, non su Instagram ma su Tinder (l’app per abbordare gente nelle vicinanze):

#tinder #holocaustmemorial #holocaust #yolocaust #berlin #history #herstory #hissorryass

Una foto pubblicata da posingwiththeholocaustmemorial (@posingwiththeholocaustmemorial) in data:

#lookovertheshoulder #seductive #holocaustmemorial #tinder

Una foto pubblicata da posingwiththeholocaustmemorial (@posingwiththeholocaustmemorial) in data:

O video come questi:

Il paradosso è evidente e grottesco. Fare yoga, mettersi in posa sorridenti sperando di attirare pretendenti, fare parkour o giocare a nascondino non sono attività adatte a un luogo del genere.
Shahak Shapira, giovane artista israeliano-tedesco, ha scelto di sottolineare la perdita di memoria (e la mancanza di consapevolezza) che manifestano in particolare i selfie scattati al memoriale di Berlino e ha lanciato il sito yolocaust.de (dalla crasi fra YOLO, slang per You only live once, e Olocausto) dove con una serie di fotomontaggi accosta le immagini dei visitatori del monumento, assolutamente fuori luogo, a quelle storiche dei campi di concentramento in cui sono morte le vittime che l’opera vuole commemorare. Il sito è stato visitato da circa 2milioni e mezzo di persone fra queste le dodici che sono raffigurate nei selfie che Shahak ha “rubato” dal web (sì perché anche questa è stata una delle questioni sollevate da yolocaust.de).

via GIPHY

«La maggior parte di loro – ha spiegato il giovane artista – hanno capito il messaggio si sono scusate e hanno deciso di rimuovere i loro selfie dai loro profili Facebook e instagram». Qui Shahak ha raccolto le reazioni delle persone al suo progetto.

via GIPHY

Guardare queste foto fa ancora più impressione se si pensa al fatto che nemmeno un monumento di 19.000 metri quadrati riesce a farci ricordare abbastanza in modo persistente e indelebile la più grande tragedia della storia contemporanea. La memoria si conserva con l’esercizio, è un bene prezioso quanto fragile, darla per scontata è il primo passo per perderla.

Da sinistra a destra: tutti contro Martin Schulz

epa05748840 The new appointed leader of the Social Democratic Party (SPD), Martin Schulz (C) stands next to the chairman Sigmar Gabriel (R) at his arrival to the group meeting in the Bundestag, in Berlin, 25 January 2017. Sigmar Gabriel announced on 24 January he would not run for chancellor in the general elections in September 2017 and proposed Martin Schulz as frontrunner and candidate of the SPD. EPA/FELIPE TRUEBA

Martedì scorso, la Germania e l’Europa hanno scoperto che Martin Schulz, l’ex-Presidente del Parlamento europeo, sarà il candidato del Partito socialdemocratico tedesco (Spd) alle prossime elezioni politiche del 24 settembre 2017.

La decisione è stata presa in autonomia dal Segretario generale della Spd, Sigmar Gabriel. Quest’ultimo, in quanto guida del partito avrebbe tecnicamente avuto la precedenza su Schulz, ma ha deciso di mettersi da parte per favorire «il successo del partito».

Non è un certo un segreto che Gabriel non sia visto di buon occhio da molti membri della formazione socialdemocratica. Ma a pesare di più sono stati i sondaggi in previsione della campagna elettorale. Gli ultimi numeri, rilasciati ieri dal Eurobarometer della ZDF (secondo canale televisivo pubblico tedesco, ndr.) indicano che Schulz è l’unico a poter avvicinare Merkel se si considera il livello di gradimento popolare: sebbene, per i cittadini tedeschi, il Cancelliere attuale rimanga la prima scelta con il 44 per cento di preferenze, il nuovo sfidante si avvicina di molto con un 40 per cento.

Intanto, Schulz ha già avuto modo di scambiare qualche parola con il pubblico. Martedì scorso, durante una breve conferenza stampa, l’ex eurodeputato ha dichiarato che, in tempi di «divisioni sociali profonde, la Spd deve tornare a essere il punto di riferimento per le famiglie e i cittadini della Germania». «La mia esperienza da sindaco, mi ha permesso di tenere sempre a mente questo obiettivo», ha affermato Schulz.

Inoltre l’ex-Presidente del Parlamento europeo ha ricordato che la Spd rappresenta «storicamente l’argine contro le derive anti-democratiche»: il riferimento al partito di destra, Alternativa per la Germania (Afd), è sembrato evidente. Interrogato sul ruolo internazionale della Germania, Schulz ha ovviamente ribadito il suo europeismo.

Ma, per il popolo della sinistra, il nodo vero rimane quello della potenziale alleanza con il partito della sinistra radicale, Die Linke, e i Verdi: «La Spd ha l’obiettivo di guidare il Paese e, pertanto, qualsiasi alleanza verrà presa in considerazione. Ma eventuali partner dovranno orientarsi nella direzione del nostro programma». Sono parole che, almeno per ora, non chiudono la porta allo scenario.

Eppure, se Schulz non ha escluso nulla, proprio Die Linke e i Verdi sono sembrati molto più scettici. In occasione di due talk show che si sono tenuti tra martedì e venerdì, i leader dei due partiti si sono espressi sul tema.

Martedì sera, in occasione del dibattito Maischberger, uno dei volti di punta della Die Linke, Sahra Wagenknecht, ha dubitato della capacità del nuovo candidato della Spd di incarnare un vero cambiamento politico. Wagenknecht ha criticato il mondo delle istituzioni di Bruxelles, la forza delle lobby e ha tirato nel calderone lo stesso Schulz per aver guidato i lavori del Parlamento durante l’era della grande coalizione tra socialdemocratici e popolari. Inoltre «Schulz viene dall’ala di destra della Spd […] e ha appoggiato trattati come il CETA e il TTIP», ha sottolineato la leader della Die Linke, dimostrando che esiste un problema di «credibilità».

Due giorni dopo la presa di posizione di Wagenknecht, la collega di partito, Katha Kipping (Kipping rappresenta l’ala “realista” della formazione tedesca, mentre Wagenknecht appartiene alla corrente radicale, ndr.), ha partecipato al talk show Maybrit Illner, anche questo dedicato al “fenomeno Schulz”. Al pari di Wagenknecht, Kipping  ha espresso dubbi sul fatto che Schulz possa rappresentare uno spostamento verso sinistra della Spd: «Se guardiamo al suo operato a Bruxelles, Schulz è stato soprattutto un “manager” della grande coalizione». Kipping si è poi detta «curiosa» di capire se il candidato socialdemocratico metterà in campo «soltanto retorica». Ma la leader della Die Linke ha anche lanciato un messaggio perentorio alle formazioni progressiste: «Sarebbe bene che tutti – Spd, Die Linke e Verdi – smettessimo di guardare ai sondaggi e prendessimo  coscienza del fatto che abbiamo una responsabilità: quella di mobilitare un immaginario popolare per un cambiamento reale nel Paese ».

Dal canto suo, Katrin Göring Eckardt, dei Verdi, ha sottolineato che a Bruxelles Martin Schulz è stato l’emblema della politica fatta dietro alle porte chiuse. Eppure, ha ammesso che, con l’ex Presidente del Parlamento europeo, la campagna elettorale diventerà «più interessante». Incalzata sulle possibilità di un’alleanza con la Spd e Die Linke, ha escluso «qualsiasi tipo di accordo prima del voto» e specificato di combattere per un «governo verde».

Insomma, Die Linke e Verdi non hanno certo accolto Martin Schulz a braccia aperte. E mentre a sinistra non si fidano affatto del “politico Schulz”, la destra descrive la candidatura come uno «spostamento a sinistra» indiscutibile da parte della Spd.

Dal Partito liberale (Fdp) fino all’Unione cristiano democratica (Cdu) di Angela Merkel, passando per l’ala conservativa bavarese dell’Unione cristiano sociale (Csu), sono tutti d’accordo: Schulz è «l’uomo degli “eurobond” e di una politica di solidarietà internazionale incondizionata verso i Paesi del sud Europa». Carsten Linnemann (CDU), ospite anche lui del secondo talk show, si è rallegrato per la candidatura di Schulz: «Finalmente ci sarà di nuovo una differenza tra la Cdu e la Spd. Ed è un bene per la democrazia».

Insomma, la nomina di Schulz ha creato un polverone in Germania. Tutti sembrano voler tirare alla giacchetta dell’ex Presidente del Parlamento europeo per buttarlo a terra; ma ognuno lo fa con argomentazioni speculari a quelle dei propri avversari politici.

Ma chi è veramente Martin Schulz e cosa ha in mente per il Partito socialdemocratico e la Germania? Probabilmente la verità sta da qualche parto “nel mezzo”, tra le critiche della sinistra radicale e della destra, in una zona grigia indefinita.

Domenica 29 gennaio, Martin Schulz si presenterà ufficialmente al pubblico come candidato Cancelliere della Spd. Lo farà tenendo un discorso al centro di Berlino, presso il Forum Willy Brandt.

 

 

Come comunica la Casa Bianca di Trump (e dello stratega Steve Bannon)

epa05752717 White House Chief of Staff Reince Priebus (L) and Senior Counselor to President Trump Stephen Bannon (R) walk to board Marine On Marine One on the South Lawn of the White House in Washington, DC, USA, 26 January 2017. President Trump is on a day trip to Philadelphia to meet with Republican lawmakers. EPA/SHAWN THEW

Una settimana alla Casa Bianca e il mondo che conoscevamo non esiste più. Almeno nelle parole e negli annunci di Donald Trump. Muro con il Messico pagato con le tasse sull’import, tortura, dimissioni – forse forzate – della maggior parte dello staff dirigenziale del Dipartimento di Stato (la testa della diplomazia, che aveva lavorato sia con i democratici che con i repubblicani), sono solo alcune delle cose da ricordare. Più tardi l’incontro con Theresa May, che di certo regalerà qualche sorpresa – già ieri May ha parlato a Philadelphia facendo un discorso discutibile e poco europeo.

Tra le cose nuove, se si guarda al nuovo presidente, c’è il suo modo di comunicare. Che vale la pena di essere osservato da vicino. Partiamo da un tweet nel quale rilanciando un messaggio inviatogli da un anonimo conservatore texano, Trump rilancia l’idea che 3 milioni di persone avrebbero votato illegalmente. Le prove? le fornisce Gregg Phillips, il texano in questione. O meglio, le fornirà. In Italia scherziamo da anni sulle scie kimike. Questa è più o meno la stessa cosa.
La teoria secondo la quale le elezioni di novembre sono state falsate da numerose frodi e solo per questo Clinton ha preso più voti, è una panzana. Senza contare che ben tre dei massimi esponenti dello staff comunicazione di Trump sono registrati a votare in più di uno Stato – ovvero, volendo avrebbero potuto votare più di una volta.

In un’intervista con il New York Times lo stratega di Trump, Steve Bannon (nella foto in alto con Reince Priebus, capo dello staff alla Casa Bianca), a cui abbiamo dedicato un ampio ritratto qui e che sembra avere un ruolo cruciale nella modalità di comunicazione di tutta l’amministrazione, ha spiegato che «i media non hanno capito quel che sarebbe successo, farebbero bene a starsene zitti in un angolo per un po’….non capiscono gli Stati Uniti e sono la vera opposizione». Bannon si dice «orgoglioso» dell’operato di Michael Spicer, portavoce della Casa Bianca che ha attaccato Cnn per aver mostrato foto «false» della cerimonia di inaugurazione sostenendo, come è vero, che a quelle del 2008 e del 2012 ci fosse più gente che non a quella di venerdì 20 gennaio 2017. Kelyanne Conway, parte del nucleo ristretto dei comunicatori del presidente, ha parlato di “alternative facts”, fatti alternativi.

Il giorno successivo, è la volta del Messico, con il tweet qui sotto, Trump dice: «Se non vogliono pagare per il muro, allora sarà bene cancellare la visita» (ufficiale, del presidente Pena Nieto). Detto, fatto: il presidente messicano, che con una serie di tweet ha cercato di abbassare i toni, sceglie di cancellare la visita. Nasce la diplomazia via twitter e non è troppo diplomatica.

Passo successivo: far circolare la notizia che il muro alla frontiera con il Messico verrà pagato da una tassa del 20% sulle importazioni da quel Paese. Una misura che allarma l’industria dell’auto e Wal Mart, il più grande datore di lavoro d’America, che dovrebbe alzare i prezzi, con un colpo all’occupazione e ai consumi della parte meno ricca della società americana (da Wal Mart si vende tutto quel che serve per vivere a poco prezzo). Dopo che tutti gli analisti spiegano che la tassa è di fatto una tassa sui consumo degli americani, l’amministrazione fa sapere che forse il dazio non è il modo migliore per “far pagare il muro ai messicani”.

Infine l’episodio più improbabile: nei giorni scorsi l’account twitter ufficiale del Park Service, che gestisce l’area dove si è tenuta l’inaugurazione, pubblica delel foto che comparano la folla del 2009 a quella del 2017. Trump prende il telefono, chiama il direttore del servizio nazionale parchi e gli chiede di pubblicare altre foto. Nel frattempo un account twitter di un parco del South Dakota viene censurato per aver pubblicato dati scientifici sul cambiamento climatico – in un modo, a dire il vero, visibilmente polemico con l’amministrazione.

La somma di tutti questi episodi non può essere derubricata come un caso di impulsività cronica di una figura non adatta a fare il presidente di condominio. Trump ha ribadito alcuni concetti vistosamente falsi durante discorsi e interviste, le sue prime uscite ufficiali da presidente. Parallelamente i suoi, Spicer dal podio della casa Bianca e Bannon nell’intervista, hanno sparato ad alzo zero contro i media ufficiali. Il messaggio, diretto alla sola base elettorale del presidente e non al popolo americano nel suo complesso, è chiaro: vi raccontano frottole su quel che siamo e quel che vogliamo, la verità ve la diciamo noi e poi smascheriamo i nostri e vostri nemici denunciandoli pubblicamente. Non c’è niente di nuovo. Parlare “tra noi”, individuare un nemico potente, additarlo, fornire una versione dei fatti alternativa è una pratica di tutti i movimenti populisti contemporanei e non. I nemici, in questa fase, sono i media e il Messico. E l’uso dell’account twitter non è un modo per parlare con il presidente di un Paese amico e vicino (c’è quell’antico strumento che si chiama telefono), ma per rilanciare un’immagine di presidente combattente.

Il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer e Kellyanne Conway, consigliera del presidente, nella hall della Trump Tower

Si tratta di una vecchia modalità della destra americana, che da decenni si è creata una linea di comunicazione diretta con la propria base utilizzando la talk radio conservatrice, siti e FoxNews che hanno ascolti e audience clamorosamente alti per essere (FoxNews esclusa) media alternativi. Un ambiente chiuso, con proprie figure di riferimento, super popolari ma che, con qualche eccezione, tendono a evitare di comparire sui media più noti o in Tv. Tra l’altro, i tweet di Trump spesso sono in relazioni con contenuti diffusi da FoxNews o in risposta polemica a quelli di altri media. Come se si trattasse di un nostro spettatore arrabiato-troll qualsiasi.

Steve Bannon, cresciuto come produttore di informazioni all’ombra di Breibart News (di nuovo, nel pezzo su di lui c’è molto), è uno che di quell’ambiente si intende ed evidentemente sta lavorando per mantenere quel profilo a questa presidenza. Nel frattempo, come già successo in campagna elettorale, Trump usa i grandi canali, gli appuntamenti ufficiali, per produrre comunicazione al pubblico generale che abbia gli stessi contenuti ma che non sia bollabile come “conservative news”. È un lavoro ben fatto che punta, tra le altre cose, a influenzare, condizionare la maggioranza repubblicana in Congresso, il cui elettorato è abituato al modo di comunicare di Trump e compagnia. In effetti, in questa prima settimana, escluse poche voci coraggiose (i senatori McCain e Graham ad esempio), si sono tutti messi in riga dietro alle proposte e ai modi di fare rischiosi del presidente. Per tutte queste ragioni, sui media americani è in corso un grande dibattito su come e cosa fare di fronte a questo contesto cambiato, nel quale il podio della Casa Bianca non è più il luogo dello spin per una comunicazione ufficiale istituzionale ma uno strumento di propaganda dai toni aspri.

A Capri previsto l’arrivo di 45 rifugiati. Ma è rivolta. Eppure, oggi tutti celebrano la Shoa

una foto via camerelle a Capri. La notte scorsa una ragazza di 17 anni ferancese e' stata violentata sull'isola azzurra. La giovane è stata trovata in stato di incoscienza in strada da un operatore ecologico, ed è stata portata in ospedale dove i medici hanno constatato la violenza e le hanno applicato cinque punti di sutura. ANSA

«Vi do un suggerimento: i rifugiati non sono altro che persone che sono dovute scappare dal loro Paese perché li erano discriminate e perseguitate. È il giorno della memoria, si ricordano le vittime del più grande sterminio dell’epoca contemporanea, roba infame su cui una percentuale di colpe ce l’hanno avuta anche i nostri connazionali. Allora visto che avete dato i numeri, perché forse, c’è una remotissimissima ipotesi che vengano qua 23 rifugiati, risparmiatevi le frasi strappa lacrime sugli Ebrei perché non è cosa».

A scriverlo su facebook, è Roberto Bozzaotre, giovane vicesindaco di Capri, che salvo una curiosa chiosa su “mazzettari” e “ricattatori” (intendendo i giornalisti) che dovrebbero essere spediti in Siria, chiede ai suoi cittadini di risparmiarsi ipocrisie.

A causare lo sdegno di Bozzaotre, la reazione di una parte degli abitanti della raffinata isoletta, sollevatisi all’ipotesi di accogliere circa 45 migranti. Stando ai criteri di ripartizione previsti dal programma ministeriale, infatti, i rifugiati dovrebbero essere suddivisi, tra gli altri, anche tra il Comune di Capri e quello di Anacapri, che in relazione al numero di abitanti residenti, in caso di emergenza dovrebbero ospitarne una ventina ciascuno. Meta di vacanze estive altolocate e sicuramente paesaggio da sogno noto in tutto il mondo, l’isoletta è preoccupata all’idea della “invasione”.

«Abbiamo sempre detto che Capri è un’altra cosa – spiega l’ex sindaco Ciro Lembo alla stampa locale – non può essere messa sullo stesso piano degli altri Comuni. Abbiamo ordinanze ferree che impediscono a zingari o extracomunitari di vendere prodotti nell’isola. Quando sono arrivati, siamo sempre riusciti a farli ripartire con il primo traghetto disponibile», si vanta. «Questa storia dei profughi è davvero ingiustificabile».

In realtà, “la storia dei profughi” non andrebbe affatto “giustificata”, in quanto l’ordine arriva dal Prefetto di Napoli, Gerarda Maria Pantaleone, che ieri ha illustrato ai Comuni le procedure, e segue precise direttive stabilite dal ministero degli Interni. Il prefetto «ha lanciato un segnale di allerta ai rappresentanti dei vari comuni presenti – si legge nella nota istituzionale – invitandoli ad approfondire quanto le norme (contenute sia nel programma del competente ministero degli Interni (Sprar), sia nei provvedimenti prefettizi già assunti in passato sul tema) prevedono per l’accoglienza ai soggetti interessati». In relazione a questo, Pantaleone invita a tenersi pronti e rendersi eventualmente disponibile, qualora una situazione di emergenza lo richiedesse, cosa che «consentirebbe un più adeguato approccio al problema e, soprattutto, eviterebbe che la mancanza di una programmazione specifica possa causare particolari problemi ai territori comunali».

Non ultimo, la procedura segue – non se ne abbia l’ex sindaco Lembo – quel dettame costituzionale che ricorda che la legge sarebbe uguale per tutti. E soprattutto, uguale per tutti dovrebbe esserlo il senso di umanità. Che evidentemente, invece, come sottolineato dal vice primo cittadino 28enne (lista civica “La PrimaVera”), vale per commemorazioni lontane nel tempo, e meno per fenomeni contemporanei. Pubblicare sulla propria pagina facebook indignazione per lo sterminio si, concedere ospitalità a chi è sopravvissuto a stermini in corso oggi, a guerre, tratta, naufragi, anche no.

Ed è proprio il web che ancora una volta fa venire fuori la parte “migliore” delle persone: «Sai quante malattie nuove adesso arrivano». Oppure, sempre seguendo quella solidarietà che vale sempre solo a metà: «Se Capri disponesse di una cinquantina di posti letto per i bisognosi sarebbe giusto offrirli ai nostri connazionali del centro Italia».

Si attendono i commenti di vip e personaggi in vista, come successe nella radica chic Capalbio. Nel giorno della memoria, ricordiamo anche questo: l’attuale egoismo che fa sentire una parte della popolazione lontanissima dalla sofferenza e dallo strazio di guerre che invece, ci riguardano moltissimo.

La storia, dovrebbe insegnare.

 

Se non ci fossero, dovremmo andare a prenderceli. Intervista a Emma Bonino

È dura. Come sempre, e non ci gira intorno. È stanca? No. È sempre lì, questa la sorpresa ogni volta, e combatte. Qualche giorno fa, l’ex ministro degli Esteri Emma Bonino, insieme ai Radicali italiani ha organizzato un convegno, “Come vincere la sfida dell’immigrazione?”: perché è ora «di superare la logica della Bossi-Fini», una legge vecchia di quindici anni che ragiona per «rimpatri e accordi bilaterali» in un mondo che non è più quello. «Occorre scendere per strada e iniziare a dire la verità», dice. Sembra uno slogan ma non lo è. La pasionaria Bonino ha lanciato la mobilitazione per una Legge di iniziativa popolare che superi il vecchio impianto della Bossi-Fini e il racconto falso di una continua emergenza a cui far fronte respingendo i migranti, «tappandoli in Africa o costruendo muri e muretti». «Mentre invasione non è, ci servono». Bisogna cambiare il racconto e lavorare seriamente sull’integrazione.

Emma, che sta succedendo a Belgrado? Sono giorni che vediamo immagini terribili, migliaia di persone fare la fila al freddo e al gelo per un tozzo di pane…

Sì, sono stati fatti paragoni col ’43 e nel frattempo, non dimentichiamolo, ne sono affogati qualche centinaio nel Mediterraneo. Il punto rimane sempre lo stesso. Solo in questi primi venti giorni del 2017 sono sbarcate (salvate o non salvate) 2.800 persone, esattamente il doppio dell’anno scorso nello stesso periodo. E continuerà, questo è evidente, nonostante il periodo invernale. In più in Libia, come si sa, sono “tappati” (letteralmente tappati) in condizioni terribili di stupri e violenze più di 260mila, se non 300mila rifugiati provenienti da vari Paesi africani. La situazione è questa e, foto o non foto, ogni giorno che passa, si conferma il dato tra rifugiati e migranti. E l’unica cosa che viene in mente all’Europa è di tapparli da qualche parte.
Bisogna poi tener conto che su dieci africani in mobilità solo uno tenta la strada europea, gli altri si muovono all’interno del continente, già fragili di loro, con conseguenze che si vedranno, forse, tra qualche anno.

«Usciamo per strada con una legge di iniziativa popolare per cambiare racconto sull’immigrazione», hai dichiarato così in occasione dell’incontro al Senato, dove hai lanciato con i Radicali Italiani la proposta di una mobilitazione nazionale su una Legge d’iniziativa popolare di riforma della Bossi-Fini…

Ho detto sostanzialmente che è inutile che ci riuniamo tra “già convinti”, e che quello che serve e che finora non c’è stato è una risposta coraggiosa ai vari stereotipi e bufale e menzogne che sono state rovesciate, senza mai un contraltare autorevole, sull’opinione pubblica italiana. In giro ci sono stereotipi di tutti i tipi: è un’invasione, ci rubano il lavoro, pesano sul bilancio dello Stato…tutte falsità. Su cui nessuno ha reagito molto, neanche dicendo banalmente che il declino demografico del nostro Paese – come quello della Spagna, del Portogallo, della Germania e della Bulgaria – fa sì che, per esempio, in Italia per mantenere un equilibrio tra forza lavoro e pensionati servirebbero 160mila nuove forze ogni anno per i prossimi dieci anni. Perché siamo un Paese e un continente che diventa sempre più vecchio. Per cui se non si dicono queste verità e invece continua a girare la voce che “ci rubano le pensioni”, oltre a salvare le persone, a fare il meglio che si può, a garantire assistenza a chi riesce ad arrivare, non cambierà mai nulla. Dobbiamo invece dare una risposta coraggiosa, dire delle verità anche scomode e proporre una politica che certamente di questi tempi non va per la maggiore, quella che porta a una necessaria integrazione. Perché, ripeto, a parte i valori, noi ne abbiamo bisogno. Questa sarebbe una politica – e devo dire che capita raramente – in cui gli interessi nazionali coincidono con i valori. Quindi, in teoria dovrebbe essere facilissimo portarla avanti, perché succede davvero di rado che gli interessi coincidano con i valori. Questa è una di quelle rare volte. Eppure non accade.

L’intervista del direttore Ilaria Bonaccorsi a Emma Bonino, continua su Left in edicola. Del servizio di copertina, fa parte il reportage Umanità sottozero, realizzato da Stefano Catone con le foto di Johannes Moths, che ci porta a Belgrado. Dove profughi afghani, pakistani e siriani, sono rimasti incastrati nel gelo davanti all’ennesima frontiera, quella Serba. 

«Vagano avvolti nelle coperte grigie e con ai piedi scarpe sfasciate e ciabatte di plastica. Sono partiti mesi fa ma il loro cammino si è fermato a Subotica, al confine ungherese. Non oggi, non ieri, ma settimane fa. Quando i muri li hanno bloccati in Serbia».

 

Gli articoli integrali del servizio di copertina li trovate su Left in edicola dal 28 gennaio

 

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Se c’è più neve che umanità

Se c’è più neve che umanità, c’è da preoccuparsi davvero. Difficile questa settimana scegliere la storia per voi. Erano più di una, erano tutte importanti. Tutte parlano di voi e di noi. Di voi e di noi parla il terremoto e quello che abbiamo vissuto in questi mesi e in questi anni in cui si è continuato a fare finta di non vedere, a vedere e nascondere, a vedere e a fare male. Per negligenza, incompetenza, ignoranza, delinquenza, c’è un po’ di tutto in questa storia. Allevatori sotto la neve, terremotati sotto la neve, migranti abbandonati sotto la neve. In questi giorni le immagini si fondono e bombardano gli occhi. Un gelo affettivo che diventa fisico e che lascia al freddo. Senza umanità. File di uomini in cerca di un tozzo di pane e di una vita. Non è il ’43, è il 2017 (hanno scritto sulla rete) e siamo in Europa. Un’Europa piena di bufale, come ci dice Emma Bonino, di nuovo in campo per cambiare intanto la nostra di politica. Per cambiare una legge, la Bossi-Fini, e un racconto che non sta in piedi perché se non ci fossero i migranti, se non arrivassero, tra qualche tempo dovremmo andare a prenderceli noi. Allora basta bufale, basta politiche dell’emergenza e Cie. Basta “tappare” le persone in Africa o sotto il mare. Basta muri e muretti. Politi che di accoglienza diffusa sul territorio, allargamento del sistema Sprar, politiche di integrazione legate al lavoro e convivenza con un fenomeno che esiste già e con il quale viviamo da anni. «Perché gli italiani non sono razzisti», lo dice l’ex ministro degli Esteri. «Semmai non amano il disordine», e allora ordine va fatto. Abbiamo “bisogno” di 160mila persone all’anno per dieci anni. Siamo un continente ricco e vecchio. E loro ci servono, banalmente. Occorre solo organizzarsi. Il resto sono balle e balle. E allora Emma la pasionaria lancia la mobilitazione per una Legge di iniziativa popolare, vostra e nostra, che superi la logica dei rimpatri, del mandiamoli a casa loro, perché non è vero che l’integrazione è fallita. Semplicemente non è mai iniziata. Proviamo a spiegarvi come, come tante altre volte, e perché. Ed il perché è in tante altre storie, è persino in Francia, in quello strano personaggio, Benoît Hamon, che ha battuto Manuel Valls e che domenica andrà a ballottaggio al grido di “far battere il cuore alla Francia e far respirare la democrazia”. Ed in effetti, la sensazione spesso è quella, manca il respiro e il cuore sembra aspetti per battere di nuovo.

Ps: Da martedì, di cuore ce n’è uno in più che batte, è nato Giovanni e a lui dobbiamo un mondo senza bufale.

L’editoriale è tratto da Left in edicola dal 28 gennaio

 

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