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La balla di Stato delle ecoballe campane

Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi durante la visita al deposito di ecoballe di Villa Literno, 11 giugno 2016. ANSA/ PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI/ TIBERIO BARCHIELLI +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

Masseria del Re. Lo Spesso. Fungaia. Masseria del Pozzo. Pianodardine. Coda di volpe. Somigliano ai nomi di antiche contrade di montagna, dove l’aria è incontaminata e la vita segue i ritmi dettati dai campi. Dietro questi appellativi fuori dal tempo, invece, si nasconde uno sterminato cimitero di rifiuti. La necropoli delle ecoballe: 5,6 milioni di bare nere dal peso di una tonnellata ciascuna, ammassate senza sosta tra il 2000 e il 2009, nel pieno dell’emergenza rifiuti che stremò la Regione Campania. Tra Giugliano e Villa Literno, a cavallo tra le province di Napoli e Caserta, ne riposano oltre 4 milioni. Il mare più inquinato d’Italia è lì di fronte, a un tiro di schioppo. Alle spalle, invece, si va consumando ogni giorno quella vergogna chiamata Terra dei fuochi.

L’equivoco nelle slide
È in questo preciso punto della mappa che lo scorso 30 maggio si accendevano i riflettori. Una benna a quattro denti afferrava il primo cumulo di rifiuti: le operazioni di rimozione delle ecoballe erano iniziate così. L’immagine di quel braccio meccanico, come Matteo Renzi e Vincenzo De Luca a favore delle telecamere, diventava l’epitome del riscatto di una terra martoriata. Presidente del Consiglio e governatore della Regione esultavano. Ma la prima ecoballa portata via da Villa Literno era un altro tassello della strategia mediatica partita molto tempo prima.

L’articolo continua Left in edicola dal 3 dicembre

 

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Cuba celebra Castro in attesa dei funerali

A stencil graffiti featuring Fidel Castro's image says in Spanish "Fidel among us," in an alleyway in Havana, Cuba, Sunday, Nov. 27, 2016. Castro, who led a rebel army to improbable victory in Cuba, embraced Soviet-style communism and defied the power of U.S. presidents during his half century rule, died at age 90 on Friday night. (AP Photo/Desmond Boylan)

Colta e indipendente, Cuba si prepara al dopo Castro. Scuola e sanità sono i punti di forza dell’Isola che per lunghi anni ha resistito all’embargo Usa. È questa la migliore eredità di Fidel. Mentre l’economia, dopo le riforme di Raul, stenta ancora.

Domani, domenica 4 dicembre, si terranno i funerali del líder máximo. La cerimonia si svolgerà nel cimitero di Santa Ifigenia, nella città di Santiago de Cuba, al termine di 9 giorni di lutto nazionale.

APTOPIX Cuba Fidel Castro

A mural featuring Fidel Castro shaking hands with American author Ernest Hemingway, left, covers a parking lot wall in Havana, Cuba, Sunday, Nov. 27, 2016. Castro, who led a rebel army to improbable victory, embraced Soviet-style communism and defied the power of 10 U.S. presidents during his half century rule of Cuba, died at age 90 in Cuba late Friday. (AP Photo/Ramon Espinosa)
(AP Photo/Ramon Espinosa)

Flowers placed by members of Mexico's communist party lay on an image of late Cuban President Fidel Castro, outside the Cuban embassy in Mexico City, late Saturday, Nov. 26, 2016. Castro, who led a rebel army to improbable victory in Cuba, embraced Soviet-style communism and defied the power of 10 U.S. presidents during his half century rule, died in Cuba on Friday at age 90. (AP Photo/Rebecca Blackwell)
(AP Photo/Rebecca Blackwell)

A Venezuelan militia member stands next a banner of Fidel Castro in the 23 de Enero neighborhood of Caracas, Venezuela, Saturday, Nov. 26, 2016. Castro, who led a rebel army to improbable victory, embraced Soviet-style communism and defied the power of 10 U.S. presidents during his half century rule of Cuba, died at age 90 late Friday, Nov. 25. (AP Photo/Fernando Llano)
(AP Photo/Fernando Llano)

A student writes on a sidewalk with chalk "Fidel in the hearts of the med students" during a vigil for the late Cuban leader Fidel Castro at the university where Castro studied law as a young man in Havana, Cuba, Saturday, Nov. 26, 2016. Castro, who led a rebel army to improbable victory in Cuba, embraced Soviet-style communism and defied the power of U.S. presidents during his half century rule, died at age 90. (AP Photo/Ramon Espinosa)
(AP Photo/Ramon Espinosa)

epa05650182 A man shows a poster with the image of late Cuban leader Fidel Castro in Havana, Cuba, 27 November 2016. Cuba begins the second of nine days of official mourning decreed by the Government for the death of former President Fidel Castro, with the main acts of homage to begin on 28 November and continue until 04 December 2016. EPA/Alejandro Ernesto
EPA/Alejandro Ernesto

 EPA/Ernesto Mastrascusa
EPA/Ernesto Mastrascusa

 

Una bandiera cubana postata a lutto, L'Avana, 27 novembre 2016. Cuba piange la morte del suo lider maximo, Fidel Castro, che guidò la rivoluzione dei barbudos che nel gennaio del 1959 prevalse sul regime di Fulgencio Batista. Il comandante rivoluzionario che si oppose sempre agli Usa è morto due giorni fa all'età di 90 anni. ANSA / LUCIANO DEL CASTILLO
ANSA / LUCIANO DEL CASTILLO

Lo speciale su Cuba è su Left in edicola dal 3 dicembre

 

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Una riforma che toglie voce ai cittadini

Un momento della manifestazione dei Comitati per il NO al referendum costituzionale, Roma, 27 novembre 2016. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Lo spirito generale che anima la riforma si trova nel rafforzamento del governo, nell’allontanamento dei cittadini, nella chiusura all’accesso delle istituzioni da parte di voci diverse della società. E così si vuole nascondere il conflitto sociale, perché gli interessi deboli non devono disturbare gli interessi consolidati». Lorenza Carlassare, prima donna in Italia a insegnare Diritto costituzionale, definisce così, in estrema sintesi, il ddl Renzi-Boschi su cui si vota nel referendum del 4 dicembre.

Professoressa, partiamo dall’inizio: perché questa revisione costituzionale non va bene?

Non va bene per una serie di ragioni interne alla materia costituzionale. Ma non va bene ancora di più se leghiamo la riforma alla legge elettorale con cui fa corpo unico. Cosa che hanno sempre detto, tanto è vero che il presidente del Consiglio ha posto la fiducia sull’Italicum e l’ha voluto approvare prima della riforma costituzionale.

In una parola, cosa c’è che non va?

La verticalizzazione del potere e soprattutto la forte tendenza a togliere la voce ai cittadini.

Quali sono le norme che portano a questo?

Intanto il Senato non lo votiamo più, è inutile che dicano che poi faranno una legge. E questo segue ciò che è accaduto con le Province. Dovevano toglierle, invece ritornano sotto un’altra forma con l’unica differenza che siamo stati tolti noi cittadini dalle Province! Cioè non votiamo più i loro organi di rappresentanza. Inoltre la legge elettorale, se resta così, stravolge l’esito del voto e quindi altera la volontà espressa dagli elettori. Non crea una Camera rappresentativa, anzi, concentra il potere nelle mani di poche persone, in particolare nelle mani del capo della lista. Così, tra l’altro, si altera anche la forma di governo, per cui il capo della lista che vince diventa automaticamente presidente del Consiglio senza il passaggio formale attraverso il presidente della Repubblica, il quale non potrà più scegliere il nuovo capo del governo.

Quali sono i punti deboli del nuovo Senato?

Della natura e della funzione del Senato si è sempre parlato molto, fin dall’assemblea costituente. Adesso si è optato per la rappresentanza delle istituzioni locali sostenendo che finalmente questa Camera diventerà espressione delle autonomie territoriali, ma non è vero per niente. Perché i senatori non sono eletti dai cittadini, anzi, la cosa stravagante è che sono i consiglieri regionali a eleggerli. Cioè, si eleggono tra loro. Ma al di là del fatto che talvolta si tratta anche di una classe politica non sempre specchiata, è una cosa insensata.
Perché sceglieranno con criteri politici, in proporzione alle loro forze. I senatori poi non hanno vincolo di mandato, quindi non rispondono al consiglio regionale e alla fine risponderanno solo ai partiti di appartenenza.

Che ne pensa dei senatori eletti tra i sindaci?

Ci sono 21 sindaci che non rappresentano nessuno. Non vengono eletti dai loro consigli comunali né da tutti i consigli comunali di una Regione e naturalmente non sono scelti dai cittadini. Niente di tutto questo. Sono eletti anche loro dai consigli regionali. L’autonomia comunale non è rappresentata. È tutta rappresentazione, ma nel senso di una specie di teatrino di provincia, mal costruito, in cui si fingono un sacco di cose.

L’intervista continua su Left in edicola dal 3 dicembre

 

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“L’alleato azero”, il fumetto che ci spiega perché dobbiamo tenere d’occhio l’Azerbaigian

Due giornalisti, un comitato cittadino, un gasdotto da centinaia di milioni di euro, “una dittatura postmoderna”. E, sullo sfondo, quel mare che ispirò le poesie dello scrittore azero Nizami Ganjavi quando l’Azerbaigian non esisteva ancora. Si tratta di un fumetto, ma prende spunto dalle vicende reali che negli ultimi anni hanno preso corpo in Azerbaigian (il maggior esportatore di petrolio della zona) e hanno a che fare con alcuni Paesi – come l’Italia – che fanno affari nel Mar Caspio per il petrolio e ora vorrebbero canalizzare il gas naturale in un nuovo corridoio.

L’alleato azero è una graphic novel disegnata da Claudia Giuliani (alla sua seconda esperienza editoriale) e curata dall’associazione italiana Re:Common, che da anni monitora le grandi opere e ha recentemente svolto ricerche in Azerbaigian e nei Paesi coinvolti per appurare le premesse della costruzione del gasdotto Trans-Atlantico (Tap), progettato per collegare il Mar Caspio e il Salento.

La protagonista scelta dagli autori del fumetto è Khadija Ismayilova, l’icona del giornalismo d’inchiesta azero, che ha svelato ante litteram – ed è stata incarcerata per questo – le proprietà off shore del presidente  Ilham Aliyev e che negli anni ha subìto numerose minacce e processi con accuse disparate per la sua attività critica nei confronti delle violazioni di diritti civili e politici da parte del governo.
A fare da sfondo alle vicende economiche e geopolitiche che coinvolgono tutta l’Europa (dalla Svizzera alla Grecia), c’è il governo dell’Azerbaigian, la prima repubblica parlamentare musulmana del mondo (1918), che ultimamente è stata definita una “dittatura postmoderna”.

Un Paese spesso assimilato all’Arabia Saudita per il tenore di vita alto e contemporaneamente considerato europeo per le aperture democratiche (o presunte tali), membro del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea di Radiodiffusione, repubblica laica e multiculturale a maggioranza sciita, l’Azerbaigian è stato spesso accusato da organizzazioni internazionali autorevoli come Amnesty International, Human Rights Watch e Freedom House di aver violato i diritti civili e politici di giornalisti, scrittori, attivisti e comuni cittadini che hanno espresso dissenso nei confronti del governo vigente.

La stessa Ismayilova è stata sostenuta ripetutamente dalla comunità internazionale in occasione dei numerosi processi (e arresti), intimidazioni e minacce che ha subìto per aver diffuso informazioni critiche su Aliyev. Uno degli scandali più celebri risale al 2012, quando la giornalista, in seguito alla pubblicazione di alcuni articoli critici, ha ricevuto minacce di “umiliazione pubblica” ed è stata ricattata con un video privato che la ritrae con il suo compagno in atteggiamenti intimi, girato da telecamere nascoste, e diffuso sul sito di un partito di opposizione. Non cedendo al ricatto – la diffusione di video di questo genere può avere degli effetti drammatici in Azerbaigian -, la giornalista ha accusato il governo di aver violato la sua privacy e di averla ricattata e ha sporto denuncia. Le indagini – che non hanno portato a nulla – sono cominciate soltanto dopo la diffusione pubblica del video, a danno della giornalista.

Ma il caso eclatante che ha reso la Ismayilova un’eroina dei diritti e della libera coscienza azera è legato alla già citata denuncia delle proprietà off shore della famiglia Aliyev (risalente al 2010), confermata dalla recente pubblicazione dei Panama Papers, che palesa la presenza di proprietà non dichiarate e non tassate a nome delle figlie del presidente. In seguito a questa vicenda, la giornalista – per ironia della sorte – è stata accusata (ingiustamente) di evasione fiscale e imprigionata.

Il fumetto –  nelle librerie dal 25 novembre ed è stato presentato ieri alla Federazione nazionale della stampa italiana e alla Libreria del Viaggiatore di Roma – mentre sostiene le ragioni dei No Tap salentini, contrari alla costruzione del corridoio del gas, denuncia le violazioni dei diritti umani in Azerbaigian e critica i Paesi europei che pur di fare affari non si pronunciano sulle pratiche autoritarie di Aliyev.

A raccontare il contesto politico e sociale dell’Azerbaigian, all’incontro organizzato da Re:Common, Articolo 21 e sostenuto da Amnesty International, è intervenuto l’avvocato Rasul Jafarov, un’altra icona dell’attivismo azero, che ha spiegato perché è importante comprendere la situazione transcaucasica.
Imprigionato varie volte per aver diretto campagne contro le misure autoritarie del governo azero, come la campagna “Sign for democracy” che ha diffuso durante l’Eurovision Song Contest tenutosi in Azerbaigian, Rasul Jafarov, è uscito di recente dal carcere dopo due anni per una grazia ricevuta e continua, finché può, a frequentare l’Europa per raccontare il suo Paese.
Per dare un’idea dell’elevato numero di “prigionieri di coscienza” in Azerbaigian, Rasul ha presentato un dossier che raccoglie i nomi e le vicende giudiziarie di prigionieri accusati di reati comuni (evasione fiscale, detenzione di droga) che dovrebbero essere considerati prigionieri politici alla luce del diritto internazionale. Sono 119 i nomi “sicuri” di Rasul, tra giornalisti, scrittori, poeti, semplici utenti twitter, arrestati alla luce delle loro posizioni politiche non dichiarate dalle autorità.

«L’aspetto più subdolo – ha detto l’avvocato – è che sulla carta i prigionieri sono accusati di reati comuni, ma in realtà sono presi di mira per motivi politici, che il governo non esplicita». Un meccanismo oscuro che preserva la democrazia di facciata, molto cara all’Azerbaigian per motivi di identità storica e di alleanze, ma che di fatto la nega ogni giorno nei suoi tribunali, mancando agli impegni che ha preso con il Consiglio d’Europa e con le organizzazioni internazionali cui dice di aderire. «Il mio Paese merita la democrazia», ha concluso Rasul, «perché ha lottato molto per ottenerla storicamente, prima contro l’impero russo e poi contro l’Unione Sovietica», diventando la prima repubblica musulmana del mondo.

«Che cosa fa l’Europa e cosa fa l’Italia per contrastare le violazioni dei diritti in Azerbaigian?»
La risposta di Re:Common non lascia dubbi: se le cose non cambiano, siamo destinati a essere il primo partner economico dell’Azerbaigian per la costruzione del gasdotto Tap calpestando il diritto alla “opzione zero” dei popoli coinvolti nell’impresa, che vorrebbero di “no” al progetto.

Hollande è “morto” e anche la sinistra non si sente troppo bene

epa05656143 A photo illustration of French daily newspapers bearing French President Francois Hollande on their frontpages, in Paris, France, 02 December 2016. Hollande on 01 December 2016 announced he will not run for re-election as French president. EPA/IAN LANGSDON

Ieri sera, il Presidente della Repubblica francese, Francois Hollande, ha annunciato che non si candiderà per un secondo mandato alla guida del Paese.

Così facendo, Francois Hollande è riuscito a superare se stesso: nel 2012 era stato festeggiato come il secondo socialista della V Repubblica francese ad aver battuto il Presidente in carica – prima di lui, c’era riuscito soltanto Francois Mitterrand -, ma quattro anni dopo è addirittura passato alla storia come il primo socialista a rinunciare a una potenziale, sebbene difficile, rielezione.

L’ormai “Presidente uscente”, ha annunciato il ritiro attraverso un discorso di 13 minuti, trasmesso in diretta televisiva e rivolto ai cittadini francesi.

Se, da un lato, Hollande ha difeso il suo periodo all’Eliseo, dall’altro, ha fatto capire che la sua decisione mira a evitare una «dispersione della sinistra», un’evoluzione politica che «da socialista, non può accettare». «È per questo motivo che, in vista delle elezioni, chiamo a raccolta tutto il campo progressista», ha concluso Hollande.

La maggior parte dei suoi colleghi ha sottolineato «il coraggio» e la «dignità» del gesto politico. Eppure, a qualsiasi occhio analitico, quando Hollande parla di «dispersione della sinistra», le parole del Presidente devono apparire come un gigantesco eufemismo.

Con la mancata candidatura di Emmanuel Macron (Ministro dell’economia del governo Hollande, fino alla fine di quest’estate) e Jean Luc Mélenchon (leader del “Partie de gauche”, “Partito di sinistra”) alle primarie della sinistra del gennaio 2017, il campo comune non sembra disperso, bensì “inesistente”. Per la leadership socialista rimangono in ballo, realisticamente, soltanto Manuel Valls, l’attuale Primo ministro – in realtà, la candidatura ufficiale del “delfino” di Hollande non è ancora arrivata – e Arnaud Montebourg, rappresentante dell’ala di sinistra del partito e, proprio come Macron, ex-Ministro dell’economia.

In ogni caso, un sondaggio di qualche giorno fa, ha dimostrato che, se si votasse oggi, la sinistra non avrebbe alcuna chance di arrivare al ballottaggio. Il distacco fra i due nomi della destra istituzionale e radicale, Francois Fillon e Marine Le Pen, e il resto dei potenziali candidati è troppo grande.

Hollande ha quindi ragione quando dice che soltanto un candidato unico della sinistra potrebbe arrivare al ballottaggio. Ma confonde la causa della malattia con il sintomo: il problema vero non sta nei nomi, bensì nelle politiche, per non dire visioni di società, che i candidati della “sinistra” incarnano.

Già un anno fa, nei media francesi si era parlato del fatto che su alcuni punti – soprattutto in materia economica – il divario fra le posizioni dei socialisti e della sinistra radicale, è paragonabile a quello tra socialisti e il Front National.

E poco importa se proprio Manuel Valls, ancor prima che Hollande annunciasse la sua ritirata, in un’intervista per Le Journal du Dimanche, abbia inveito contro il discorso “della sconfitta anticipata” della sinistra. Come scrive Philippe Waechter su Le Monde, in un momento storico in cui le principali sconfitte del governo Hollande sono legate soprattutto allo sviluppo economico e alla disoccupazione (tolta la grande questione della sicurezza), è difficile immaginarsi una qualsiasi campagna elettorale progressista comune.

La sinistra francese è in un cul de sac? Probabilmente sì, anche se rimane un grande paradosso. Nel caso di un ballottaggio tra Francois Fillon e Marine Le Pen, sarà proprio l’universo frantumato dei progressisti a decidere chi andrà all’Eliseo.

 

 

 

Cuba e Usa a confronto (indovinate chi è il migliore?)

«Fidel Castro è morto!» ha praticamente esultato Donald Trump appena appresa la notizia, e pochi giorni dopo ha diffuso una nota per spiegare quel punto esclamativo: «Oggi il mondo segna la scomparsa di un dittatore brutale che ha oppresso il suo popolo per quasi sei decenni. Mentre Cuba rimane un’isola totalitaria, è nelle mie speranze che la giornata di oggi segni il suo distacco dagli orrori sopportati troppo a lungo e verso un futuro in cui il magnifico popolo cubano viva finalmente nella libertà che merita».

Suonano come una minaccia gli annunci di Trump che, mentre l’Isola è ancora alle prese con l’ultimo saluto a Fidel, avverte: «Migliorate sui diritti civili o salta l’accordo con noi». Abbiamo messo a confronto alcuni dati che riguardano Cuba (11,3 milioni di abitanti) e gli Stati Uniti (309,1 milioni di abitanti)

Livello di Alfabetizzazione:
Cuba: 99,8% (10/215)
USA: 99% (45/215)

Sanità:
Cuba: Pubblica e gratuita al 100%
USA: Privata con copertura assicurativa a carico del singolo contribuente

Tasso di mortalità infantile (ogni 1.000 nuove nascite):
Cuba: 4,6 decessi
USA: n. 6,5 decessi

Aspettativa di vita:
Cuba: 78.77 anni
Usa: 78,09 anni

Istruzione universitaria:
Cuba: interamente pubblica e gratuita compreso il materiale didattico.
Usa: A pagamento e a numero chiuso per costi non accessibile a tutti

Disoccupazione
Cuba: 4%
USA: 6%

Prodotto interno lordo:
Usa: 14,59 trilioni di dollari
Cuba: 62,7 bilioni di dollari

Libertà di stampa:
Usa: 41esima
Cuba: 171esima

Tasso di corruzione percepita:
Usa: 16/168
Cuba: 56/168

 

La riforma Renzi pensa il popolo “minorenne”. No allo Stato padre padrone

Appena ho letto la riforma della costituzione presentata dalla ministra Boschi, ho deciso che avrei votato NO. Al di là delle singole modifiche, i cui pasticci nella teoria e le cui conseguenze nella pratica sono state indicate già dai migliori costituzionalisti, voterò NO perché da cittadina mi ripugna il pensiero di fondo che si annida nel cuore stesso della riforma: che la governabilità (o stabilità) sia un valore inversamente proporzionale alla partecipazione. Rendendo il senato ineleggibile, triplicando le firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare, abbassando il quorum solo se aumentano del 60% le firme per i referendum abrogativi e inserendo la clausola di supremazia, il governo Renzi ci sta dicendo: “più diventa difficile per i cittadini partecipare alle decisioni e meno sono gli organismi di loro rappresentanza, meglio governiamo”.

Chi accusa la proposta di riforma di avere elementi di autoritarismo non sbaglia: se passasse, la riforma consentirebbe al governo di intestarsi un potere enorme a ogni elezione grazie a un ipertrofico premio di maggioranza, e per tutta la legislatura non doversi confrontare più non solo con opportuni contropoteri interni alle istituzioni, ma molto meno anche con i cittadini. Attualmente abbiamo molti modi legittimi di intervenire sull’azione di governo, non solo quello di votare i nostri rappresentanti; ma la modifica del Titolo V – che regola le competenze tra stato e regioni – interverrà pesantemente anche sulla capacità dei movimenti popolari di fare pressione sui propri amministratori, che davanti alle proteste allargheranno le braccia e diranno: non dipende più da noi.

L’unica esperienza di partecipazione civica non partitica che ha segnato gli ultimi vent’anni – cioè i comitati di resistenza popolare alle scellerate decisioni centrali – perderà ogni possibilità di influire sui decisori locali e ottenere ascolto: per il governo sarà sufficiente invocare il superiore interesse nazionale per rendere illegittima qualunque forma di opposizione territoriale che voglia influire dal basso sull’idea di sviluppo del paese. Davanti a depositi nucleari, inceneritori, trivellazioni, basi militari e grandi opere insensate avremo meno strumenti per pretendere alternative sostenibili. Quel Sì nella sua sostanza significa: “spostati ragazzino, lasciami lavorare” e vorrebbe generare una costituzione a misura di uno stato padre, di un governo padrone e di un popolo minorenne. Il tutto in cambio dell’abolizione del Cnel? Grazie, ma preferirei di NO.

«No alla riforma che esclude i cittadini». L’appello di scrittori, registi e attori

Moni Ovadia

«Sono sempre più convinto che sia necessario come non mai votare no a questo referendum. La nostra Costituzione è il frutto delle lotte partigiane e del grande fronte antifascista che si creò nel nostro Paese. Quello che questo governo sta tentando di fare con questa cosiddetta “riforma” è in realtà un vero stravolgimento della nostra Carta, anche nei suoi principi generali. Il vero cambiamento sarebbe invece oggi dare finalmente piena applicazione ai dettati costituzionali garantendo a tutti il diritto al lavoro, alla conoscenza, alla cultura», dice a left il regista Citto Maselli che insieme a Moni Ovadia, Massimo Carlotto, Furio Colombo e altri stilato un manifesto della cultura per il no alla riforma Renzi firmato da moltissime personalità del mondo dello dello spettacolo, della letteratura, dell’università.
«Voto no al referendum perché  la riforma Renzi perché questo questo governo non legittimato dal voto popolare e  per questo non può cambiare la carta fondamentale della Repubblica, al più può fare gestione amministrativa ordinaria», dichiara Moni Ovadia. «Voto no –  dice l’attore, autore e regista -perché questa revisione non è nell’interesse dei cittadini ma fa solo l’interesse del presidente del Consiglio». Tanto da invalidare anche la carta dei valori del Pd. «Basta rileggere il terzo comma della carta del 2008 laddove diceva di rispettare la Costituzione e di difenderla dai cambiamenti a colpi di maggioranza», ci fa osservare Ovadia.  E in effetti così recita la carta d’intenti del Pd:  «La Costituzione repubblicana, nata dalla Resistenza antifascista, è il documento fondamentale dal quale prendiamo le mosse. La Costituzione non è una semplice raccolta di norme: oggi non meno di ieri è la decisione fondamentale assunta dal popolo italiano sul come e sul perché vivere insieme. La sicurezza dei diritti e delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che essa non è alla mercè della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri». Ipse dixit il Partito democratico che nel 2008 dichiarava anche come propria missione «ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza, anche promuovendo le necessarie modifiche al procedimento di revisione costituzionale. La Costituzione può e deve essere aggiornata, nel solco dell’esperienza delle grandi democrazie europee, con riforme condivise, coerenti con i princìpi e i valori della Carta del 1948, confermati a larga maggioranza dal referendum del 2006».
no-steinbergL’APPELLO: « Ci ono molte le ragioni per cui votare no alla riforma costituzional Renzi Boschi, siamo scrittori, docenti, registi, autori, attori, artisti, scenografi, direttori della fotografia, produttori, musicisti, giornalisti, ricercatori, operatori culturali. Abbiamo storie personali e percorsi diversi, ma tutti ci siamo ritrovati concordi nel ritenere giusto e responsabile che i lavoratori della cultura, dell’informazione e della conoscenza si schierino apertamente nel merito del referendum sulla cosiddetta «riforma» costituzionale. Poiché siamo convinti del ruolo determinante della cultura e della conoscenza per combattere la rassegnazione e l’antipolitica, per la costruzione di una democrazia vera basata sulla partecipazione e non sull’esclusione, per una vera riforma delle Stato e delle sue istituzioni il cui compito è quello di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che … impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese», poiché siamo convinti di tutto questo sentiamo in pieno l’importanza di un nostro impegno diretto nella battaglia per impedire questo devastante tentativo di stravolgimento della nostra Costituzione. Noi firmatari di questo «appello» votiamo no e chiediamo di votare no per ridare speranza in un futuro diverso, per opporre il «nostro» cambiamento alla loro «restaurazione» antidemocratica. Dopo una serie di leggi che hanno demolito i nostri diritti fondamentali – dal «jobs act» alla «buona scuola» alla riforma della Rai – con questa «deforma» costituzionale si tenta di demolire i principi fondamentali per i quali abbiamo sempre lottato e che sono alla base della nostra democrazia. Questa revisione costituzionale è stata fatta da un Governo in forza di una maggioranza ottenuta in base a una legge dichiarata incostituzionale dalla Corte. Questa revisione ha diviso il paese in due mentre la Costituzione è e deve essere di tutti. Calamandrei disse durante i lavori preparatori della Carta: «Nel campo del potere costituente il governo non può avere alcuna iniziativa, neanche preparatoria». «Quando l’Assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti».Questa revisione costituzionale riduce il Senato ad un’assemblea non eletta dai cittadini ma composta da nominati dai partiti che godranno dell’immunità parlamentare; sottrae poteri alle Regioni per consegnarli al Governo; non ci sarà nessuna semplificazione ma la moltiplicazione dei procedimenti legislativi e la proliferazione di conflitti di competenza tra Camera e nuovo Senato, tra Stato e Regioni; ridotte le autonomie locali e regionali, l’iniziativa legislativa passa decisamente dal Parlamento al Governo, contro il carattere parlamentare della nostra Costituzione.Il nostro orizzonte è invece l’attuazione piena della nostra Costituzione, il nostro cambiamento è la costruzione di una democrazia partecipativa nella quale i cittadini possano tornare ad essere protagonisti. Se vincerà il no, il 5 dicembre potrà essere per tutti un nuovo inizio.

Primi firmatari:
Citto Maselli (regista), Moni Ovadia (autore, regista, attore), Massimo Carlotto (scrittore), Furio Colombo (giornalista), Giancarlo Ruocco (fisico, Università La Sapienza)

Per inviare la propria adesione: [email protected]

Firmatari al 28 novembre 2016
Roberto Accornero (attore),Danilo Amione (critico e docente di cinema presso Istituti Universitari),Vitaliano Angelini (pittore, incisore),Nicasio Anzelmo (regista), Enzo Apicella (disegner, pittore, giornalista),Piero Arcangeli (compositore, etnomusicologo),Manuela Arcidiacono (attrice),Mino Argentieri (docente universitario, direttore “Cinema sessanta”),Tina Argiolas (docente e operatrice culturale),Lino Ariu (presidente Circolo del Cinema “Nuovo Pubblico” – Monserrato),Giorgio Arlorio (sceneggiatore),Marco Asunis, (presidente FICC Federazione Italiana Circoli del Cinema),Dorotea Ausenda (attrice),Tiziana Bagatella (attrice),Ugo Baistrocchi (funzionario Mibact e critico cinematografico),Jaures Baldeschi (direttore artistico del Circolo del Cinema “Angelo Azzurro” di Castelfiorentino-FI),Matteo Bartocci (giornalista, il manifesto),Michela Becchis (docente di storia dell’arte Università di Chieti),Aldo Beneduce (ISS),Giancarlo Bocchi (regista), Giuseppe Boy (attore), Maria Concetta Borgese (danzatrice coreografa),Marina Boscaino (docente, giornalista),Benedetta Buccellato (attrice-autrice teatrale),Memmo Buttinelli (docente di biologia Università La Sapienza),Luigi Cabras (operatore culturale C.S.C. Società Umanitaria – Cineteca Sarda-Cagliari),Paola Cabras (traduttrice e operatore culturale Sardinia Film Festival), Giuseppe Cacciatore (docente di Storia della filosofia, Univ. Federico II di Napoli),Maria Dolores Calabrò (operatrice culturale di Passaggi d’Autore – Intrecci Mediterranei – Sant’Antioco),Marino Canzoneri (presidente Arci Sardegna),Maria Caprasecca (operatrice culturale),Renato Caputo (docente Storia e Filosofia Unigramsci)Michela Caria (docente e operatrice culturale),Pino Caruso (attore), Luigi Cassandra (attore),Alberto Castellano (critico cinematografico),Kiki Casu (socia attivista del Cineclub Sassari, Ficc),Alessandro Cauli (operatore culturale), Valeria Cavalli (autrice),Renato Cecchetto (attore),Carlo Cerciello (regista, direttore del Teatro Elicantropo di Napoli),Barbara Chiesa (attrice), Lamberto Consani (attore), Michael Crisantemi (scrittore),  Bruno Crucitti (attore), Wasim Dahmash (docente di cultura araba Cagliari), Enzo De Camillis (regista e scenografo), Marco Dentici (scenografo),Marino Demata (presidente Assoc. Culturale Rive gauche – Arte cinema),Gerardo Di Cola (storico del doppiaggio), Pippo Di Marca (regista teatrale-attore), Angelo d’Orsi (docente di Storia del pensiero politico Università di Torino) Amedeo Fago (scenografo, regista), Matteo Fais (giornalista e scrittore), Maria Paola Fanni (docente e attivista culturale), Franca Farina (funzionaria archivista cineteca CSC), Simonetta Fasoli (dirigente scolastica Roma), Paolo Favilli (storico, Università di Genova), Gianni Ferrara ((professore emerito di diritto costituzionale Università la Sapienza di Roma), Marialuisa Fresi (docente linguistica italiana e operatrice culturale), Clara Gallini (antropologa), Gabriella Gallozzi (giornalista), Mario Gelardi (autore e regista teatrale, direttore del Nuovo Teatro Sanità di Napoli), Rosa Genovese (attrice), Salvatore Gioncardi (attore),Ignazio Gori (scrittore), Giovanni Greco (scrittore, regista teatrale),Gianni Guardigli (autore), Andrea Ilari (ricercatore CNR) Silvia Innocenzi (produttrice),Biagio Interi (docente, presidente Circolo “Albatros” di Chiaramonte Gulfi – Rg), Gianfranco Laccone (ricercatore agronomo), Franco La Magna (giornalista, storico e critico cinematografico), Mariano Lamberti (regista),Maria Lenti (poetessa), Guido Liguori (docente di Storia del pensiero politico, presidente della International Gramsci Society Italia ),Giorgio Lo Feudo (docente e operatore culturale),Gaja Lombardi Cenciarelli (scrittrice),Antonio Loru (presidente Circolo Amici del Cinema di Villacidro), Fabiomassimo Lozzi (regista),Gianni Lucini (scrittore e autore),Salvatore Maira (regista),Cecilia Mangini (regista),Fabio Marceddu (attore),Ivano Marescotti (attore),Umberto Marino (autore, regista),Claudio Marrucci (scrittore),Gabriele Martini (attore),Patrizia Masala (vice presidente FICC Federazione Italiana Circoli del Cinema), Sergio Massenti (attore),Giovanni Mazzetti (direttore Centro Studi e Iniziative per la redistribuzione del lavoro)Monica Mazzitelli (scrittrice e regista),Gianni Minà (giornalista),Giovanna Montella (docente di diritto pubblico La Sapienza),Lia Morandini (costumista),Raul Mordenti (docente Università Tor Vergata)Martina Mulas (operatrice culturale Società Umanitaria-Cineteca Sarda),Mattia Murgia (Associazione Notorius Università di Cagliari),Francesco Nicolosi Fazio (ingegnere, scrittore, giornalista),Dante Olianas (responsabile associazione Iscandula Cagliari),Ottavio Olita (giornalista e scrittore),Vincenzo Orsomarso (insegnante e scrittore),Marco Antonio Pani (regista),Vera Pegna (scrittrice),Giuditta Peliti (operatrice culturale),Massimo Pellegrinotti (operatore culturale Cineclub Roma),Stefano Petrucciani (docente di Filosofia politica, Università di Roma “La Sapienza”),Paolo Pietrangeli (musicista, regista)Peppeto Pilleri (operatore culturale Associazione Laboratorio Ventotto),Pina Rosa Piras (docente, Università Roma tre),Angelo Pizzuto (giornalista, critico teatrale),Giorgio Poidomani (operatore culturale),Alessandro Radovini (Presidente del Circolo Lumière di Trieste),Indiana Raffaelli (musicista),Elisabetta Randaccio (critico cinematografico e operatrice culturale), Gianluca Riggi (Teatro Furio Camillo),Anna Maria Rivera (antropologa, Università di Bari),Nino Russo (regista),Vincenzo Russo (musicista Scuola Popolare di musica Testaccio)Paola Sambo (attrice),Antonia Sani (docente, Scuola e Costituzione),Massimo Sani (regista),Enzo Saponara (attore),Giovanni Saulini (produttore),Nando Antonio Scanu (operatore culturale ed ecologista),Nando Scanu (fondatore Cineclub Sassari),Daniela Scarlatti (attrice),Angela Scarparo (scrittrice),Heidrun Schleef (sceneggiatrice),Massimo Spiga (traduttore, scrittore),Laura Stochino (docente e operatrice culturale),Stefania Tuzi (architetto, ricercatrice),Angelo Tantaro (direttore di Diari di Cineclub),Mara Vardaro (docente),Leonardo Varvaro (docente, Università della Tuscia),Alfonso Veneroso (attore),Antonio Veneziani (scrittore),Pasquale Voza (prof. Emerito Letteratura italiana – Università di Bari),Anita Zagaria (attrice),Chiara Zanini (freelance e critica cinematografica),Ann Zeuner (ricercatrice ISS),Giulia Zoppi (autrice),

 

Referendum, perché le ragioni del Sì non reggono

Governabilità: il mantra dei sostenitori del Sì e la maggiore fonte di dubbio per gli indecisi in vista del voto di domenica 4 dicembre. È indispensabile un cambiamento così profondo della Costituzione per raggiungere quest’obiettivo? Ne abbiamo parlato con Gaetano Azzariti, docente di Diritto costituzionale alla Sapienza di Roma e autore per Laterza di Contro il revisionismo costituzionale: il libro incita a ricostruire, non abbandonare o disattendere la Carta, come invece chiedono soggetti “interessati” del calibro di J.P. Morgan o della Bce.

Professor Azzariti, garantire la governabilità attraverso la riforma della Carta fondamentale non è un obiettivo sensato?
C’è una confusione culturale: la Costituzione non deve garantire la governabilità, deve limitare i sovrani. Quindi esattamente il contrario: organizza i diritti e i poteri e pone in essere i pesi e i contrappesi del sistema politico. A garantire la stabilità sono le leggi elettorali. Infatti, da 22 anni almeno, siamo alla disperata ricerca della stabilità cambiando una legge elettorale dopo l’altra. Il risultato atteso non è stato raggiunto e ora si rilancia affidando alla Costituzione un ruolo improprio: anziché organizzare il potere si cerca attraverso essa una stabilità per il governo.

E perché questo rappresenta un problema?
Perché questa riforma è caratterizzata dalla verticalizzazione e concentrazione di potere nelle mani di un solo organo, il governo.

Non garantisce l’equilibrio tra poteri?
La nostra forma di governo parlamentare perde il suo equilibrio. Si fa esattamente il contrario di quello che il buon riformatore, anche costituzionale, in Italia dovrebbe fare. Oggi la forma di governo è squilibrata perché il Parlamento è in crisi e non fa nulla, converte soltanto decreti legge ed è “servente” del governo. La riforma rafforza questo processo degenerativo.

Ma non è importate “sapere subito chi governa”?
Si è forzato molto con l’Italiacum. Si usa una frase della cui portata evidentemente non ci si rende conto appieno: “Sapremo chi governa il giorno stesso delle elezioni”. Si continua a cercare di dare una corazza al governo. Dovremmo chiederci piuttosto come mai dopo tanti sforzi maggioritari non abbiamo reso più stabili i governi. Si scoprirebbe quello che sappiamo tutti: che l’instabilità è dettata non dalla crisi della Costituzione ma dalla crisi della rappresentanza politica.

Come se ne esce allora?
Parafrasando lo slogan di Matteo Renzi, bisognerebbe veramente invertire la rotta, dare più spazio alla rappresentanza politica, al Parlamento, alla partecipazione… Sono contrario a questa riforma perché credo che prosegua quello che chiamo il lungo regresso. Ecco, le ragioni del No si sostanziano nel cercare di interrompere questo lungo regresso e invertire la rotta. Il No è la condizione minima per riaprire la dinamica politica.

Ma di fronte alla critica per cui la riforma soffoca il dissenso, dentro la maggioranza e sul territorio, perché non dovrebbe essere altrettanto rilevante il fatto che stabilisce il principio dei costi standard, che la siringa abbia finalmente lo stesso prezzo in Lombardia e in Calabria?
La siringa in questa fase ha preso il posto della casalinga di Voghera. Battute a parte, questa riforma è stata fatta per coprire l’incapacità della politica di rispondere all’esigenza sociale della tutela dei diritti. Se l’obiettivo è far pagare la siringa allo stesso prezzo evitando sprechi, non c’è bisogno di modificare la Costituzione, basta applicare le norme in vigore.

L’articolo continua Left in edicola dal 3 dicembre

 

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Dopo il No, la democrazia che vogliamo

«Vedo dal mio osservatorio madrileno, fuori dai dibattiti quotidiani italiani, che a sinistra del Pd l’errore si ripete uguale come ai tempi di Rifondazione. Mi sfugge la parte construens…». Così una mia amica e collega mi scriveva in privato dopo aver letto il mio editoriale sui populismi “di lotta e di governo”. Mi esplicitava la sua incertezza su cosa votare il 4 dicembre e sosteneva di poter distinguere tra riforma costituzionale e governo.
Pochi giorni dopo è venuto a trovarmi in redazione un giornalista francese. Davanti a un caffè, ha raccontato che all’estero molti vedono la riforma costituzionale come uno strumento per garantire la governabilità nel Paese dei “venti governi dal 1992”.
Così abbiamo deciso di rispondere con il servizio di copertina di questo numero.“Perché No?” ci siamo chiesti ancora una volta, convinti che trovare nuove risposte sia un irrinunciabile stimolo a migliorare.
Abbiamo approfondito il “mantra” della governabilità da assicurare a tutti i costi (cavallo di battaglia del Comitato per il Sì), provando a sviscerarlo con i costituzionalisti Azzariti e Carlassare, senza tecnicismi. Abbiamo ragionato di populismo “di governo” come sintomo di un sistema politico in crisi. E abbiamo raccolto alcuni contributi dai quali si traggono evidenze di fondo. Ne viene fuori che la riforma costituzionale è una sorta di “arma di distrazione di massa” dietro alla quale si celano i fallimenti della classe politica di questi venti e più anni. Un’arma impugnata per sostituire la rappresentanza e la partecipazione con la concentrazione del potere in mano a un governo allineato al pensiero unico e al neoliberismo.

L’altra evidenza riguarda proprio l’esistenza e la praticabilità di un’alternativa al pensiero unico per cui il potere dev’essere nelle mani di pochi (e qui si trova il nesso tra riforma e governo che non vede la mia amica giornalista). Non a caso, entrambi i costituzionalisti citano Costantino Mortati, costituente e studioso della Costituzione, scomparso nel 1985. A lui che era tutt’altro che un pericoloso comunista – fu deputato della Dc – si deve l’idea di una democrazia che funziona soltanto se si riducono le disuguaglianze e si garantiscono la rappresentanza e la partecipazione. Certo, siamo lontani dai tempi in cui si poteva ragionare della centralità dei partiti politici, ma è evidente la necessità di trovare forme nuove di protagonismo politico, in grado di garantire le libertà e l’autonomia dei territori e di valorizzare il conflitto come presupposto di scelte condivise. E non consociative.
Così, il nostro “Perché no?” è diventato “Perché No!”, un’esclamazione che porta con sé il gusto della sfida collettiva, affrontata con la consapevolezza che, come diceva Guevara, «i liberatori non esistono, sono i popoli che si liberano da sé». Abbiamo chiesto “Perché no?” anche ad alcuni esponenti della sinistra, ai sindaci di Roma e di Napoli, a persone del mondo della ricerca e della cultura. Qualche punto in comune c’è, forse gli albori di quella pars construens che la mia amica trapiantata a Madrid cerca e giustamente non trova nella politica politicante, e che noi troviamo – molto spesso – nella società. Tanta strada si dovrà ancora fare.

Sarebbe bello partire dalla vittoria del No. Una vittoria collettiva e sentita. Un trampolino per mettere insieme tutte le energie possibili e impossibili e costruire una democrazia diversa. Diversa dai populismi dall’alto e da quelli dal basso. Diversa da quella che abbiamo vissuto in questi ultimi quasi 30 anni e diversa da quella che avremmo se vincesse il Sì.
Comunque vada, siamo fieri di essere dalla parte giusta. Insieme.

Ps: Dalla prossima settimana avrete tra le mani una Left rinnovata. L’obiettivo è di restituirvi sempre meglio quello che vogliamo essere: una rivista che va a fondo, che pensa, studia e viaggia, che costruisce sinistra senza inganni. La pars construens della democrazia che vogliamo.

L’articolo continua Left in edicola dal 3 dicembre

 

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