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Marco Balzano: Racconto le vite degli altri

Bravo come pochi a raccontare l’ordinarietà della vita quotidiana, quel battito che scandisce un tempo uguale per tutti, il più esistenziale, cruciale in una esistenza, Marco Balzano nel suo nuovo romanzo Quando tornerò (Einaudi), affronta la storia di una famiglia rumena dentro la meccanica dei rapporti parentali, nei traumi psicologici che seguono la scelta di una madre di lasciare un piccolo paese di campagna della Romania orientale al confine con la Moldavia per venire a vivere in Italia a Milano, dove farà la badante. Un libro dai toni neorealistici, di grande forza espressiva e rigore stilistico.

Hai di recente affermato che è importante mettere da parte l’io privato e raccontare storie civili. Come quella che racconti nel tuo ultimo libro, un romanzo a tre voci sulle ferite esistenziali, famigliari, provocate dall’emigrazione femminile. Come è nata l’idea del romanzo e perché persegui sin dall’inizio della tua condotta un’idea di letteratura d’impegno civile?
Non intendo dire che sia importante in senso assoluto, per fortuna si può fare letteratura in infiniti modi: da lettore, ad esempio, mi piacciono libri molto diversi da quelli che cerco di scrivere. Dico che la letteratura che sta a cuore a me racconta delle storie che nascono da questioni trascurate o silenziate dal discorso politico e culturale. Mi entusiasma raccontare quelle storie che, per molte ragioni, preferiamo non guardare, che il sistema tende ad obliare perché conoscerle implicherebbe un ripensamento degli stereotipi, un cambiamento del punto di vista, l’adozione di un atteggiamento più complesso, un riconoscimento di responsabilità. Esiste, a mio avviso, un’intelligenza narrativa, una capacità euristica che le storie possiedono, capace di generare comprensione e conoscenza attraverso la seduzione del racconto e l’avventura delle vicende umane. Non sono molto interessato alle etichette, dunque non mi importa essere uno scrittore “civile” per partito preso. Semmai mi interessa l’etica della scrittura: il modo di usarla e la postura da assumere quando si scrive, che per come la intendo io implica lo studio e l’ascolto e solo in ultima istanza la scrittura e l’uso della fantasia. Se questi ingredienti caratterizzano uno scrittore civile (o politico), allora lo sono. Ma l’unica cosa a cui voglio restare fedele è l’ascolto dell’urgenza espressiva: scriverò storie di questo genere finché ne sentirò la necessità e riuscirò a entrare in contatto con questioni che avverto come una ferita e che sanno muovere il mio desiderio di conoscenza e di immedesimazione. Però se un giorno mi sorprendesse la necessità di scrivere, per esempio, un romanzo psicologico o di tornare a…


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I nostri studenti, veri eroi di oggi

Foto Cecilia Fabiano/LaPresse 10 Aprile 2021 Roma (Italia) Cronaca Manifestazione nazionale per la riapertura delle scuole Nella foto : la manifestazione in Piazza del Popolo Photo Cecilia Fabiano/LaPresse April 10, 2021 Rome (Italy) News National demonstration for the reopening of schools In The Pic : the protesters in Piazza del Popolo

«Sono la madre di Cardinale, come va mio figlio?» «Bene, studia» ho mentito io… Però ho aggiunto: «Ma è un ragazzo pieno di problemi»… E le ho parlato di questi problemi. Carenza affettiva, insicurezza, timidezza, aggressività improvvisa, foruncoli, tendenza al fascismo, balbuzie, occhi cerchiati, troppa televisione. Smarrita, «Io sono la madre di Cardinale» ha ripetuto la signora credendo che io avessi scambiato suo figlio per un altro. Poi ha aggiunto. «Lo so, non apre mai libro. Ma è tanto un bravo ragazzo». Ed è scoppiata a piangere. «Quelle lacrime mi hanno sconvolto… Stremati dal vuoto e dalla ribellione al vuoto, insegnanti e studenti andiamo in vacanza».

Nella descrizione dell’universo scolastico fornita circa trentacinque anni fa da Domenico Starnone in Ex cattedra non ci sono figure dominanti. I ruoli precostituiti vengono stravolti dalla realtà. Da quel che accade in classe e nei suoi dintorni. Da allora non è cambiato nulla. Anzi. Quel che s’iniziava ad intravedere, ormai si può distinguere, senza fatica. I ragazzi? Sempre più fragili. Spauriti. Abulici. Imprigionati in problemi che non possono risolvere. Perché troppo grandi per la loro età. Problemi in gran parte causati da quell’ambiente familiare che dovrebbe costituire un riparo, certo. Ed invece troppo spesso le figure rassicuranti del passato sono diventate ombre, minacciose. Variamente impegnate nel lavoro. Nel quale emergere, ad ogni costo, oppure da cercare, per sopravvivere. Ombre alla continua ricerca di una propria identità, anche affettiva. Adulti solo per l’anagrafe. Di queste incertezze i ragazzi si nutrono, anche a loro insaputa. Lasciando spazio a disturbi di ogni tipo.

«Non vuole più uscire», mi scrive il padre di Gabriele. «Sai, ho parlato con i genitori di Sara. A casa piange. Dice di non sentirsi capita», mi avverte al cambio ora una collega. La mia casella istituzionale abbonda di email analoghe a quelle del padre di Gabriele. Tra colleghi si parla quasi esclusivamente dei disagi dei ragazzi. Che crescono così, tra difficoltà sulle quali la scuola non riesce ad intervenire quanto servirebbe. Nonostante gli sportelli di ascolto psicologico che da anni sono diventati uno dei servizi imprescindibili. Molto più delle biblioteche. Moltissimo più della didattica. Nonostante il supporto dei…


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Insozzare la Liberazione

Ci sono molti modi di insozzare il 25 aprile, ognuno con il proprio stile ma tutti tesi (come un braccio teso) per svilire e in fondo per provare a non scontentare i fascisti. Siamo ancora al punto in cui almeno si vergognano di leccare spudoratamente i fascisti e quindi provano ad accarezzarli di sponda. Almeno questo.

Giorgia Meloni se la gioca (come era immaginabile) trasfigurando la libertà di andare al ristorante e mette in mezzo partigiani (senza citarli, sia mai) e lavoratori provando a innescare la solita guerra tra disperazioni: “La libertà, mentre la celebriamo, non è più scontata – scrive – a oltre 70 anni dall’inizio della nostra Repubblica democratica, e ad oltre un anno dall’inizio della pandemia, il governo ancora pensa di potersi arrogare il diritto di decidere se e quando gli italiani possano uscire di casa. Appello a tutti coloro che credono nel valore della libertà: aiutateci ad abolire il coprifuoco“. Insomma: il coprifuoco è il nuovo fascismo, dice Giorgia Meloni. Complimenti.

A ruota arriva Salvini, che ormai è una Meloni in versione analcolica. Pubblica un video sui suoi social e urla: “Noi, donne e uomini liberi d’Italia, chiediamo la cancellazione dell’insensato COPRIFUOCO e la riapertura di TUTTE le attività nelle zone (gialle o bianche) in cui il virus sia sotto controllo’. Al momento le adesioni sono 7.750. Nel video pubblicato sul web, Salvini aggiunge: “Se saremo 10mila è un conto, se saremo 100mila o un milione… Oggi è la giornata della Liberazione. Io e la Lega daremo l’anima dentro al governo, perché le le battaglie si combattono stando dentro e non uscendo o scappando, cercando di limitare la prepotenza di chi vede solo rosso, divieti, chiusure e coprifuoco”. Insomma, una Giorgia Meloni al maschile con la differenza che lui sta al governo con quelli che vorrebbe pugnacemente combattere. Un eroe.

Pietro Ichino prova a allargare il campo riuscendoci male: “La Festa della Liberazione non può ridursi a un’acritica celebrazione dell’epopea partigiana: deve essere anche occasione per riflettere sulle responsabilità delle forze antifasciste nell’avvento della dittatura”. Benissimo: poi scriviamo un saggio sulla colpa degli ebrei che la Shoah se la sono andata a cercare.

Il sindaco di Codogno Francesco Passerini dimostra di essere più pandemico della pandemia rifiutando di togliere la cittadinanza onoraria a Mussolini con motivazioni che fanno spavento: “Codogno diede l’onoreficenza a Mussolini nel 1924, fu una iniziativa nazionale dell’Anci del tempo. E’ un atto storico, come quando Napoleone ha dormito a Codogno e poi andò a Lodi a far guerra. Non è che poi è venuto giù il palazzo dove dormì. Abbiamo anche alcune strutture che ricordano il periodo fascista, come Villa Biancardi che è ancora lì. E per fortuna. Non si può pensare di cancellare e demolire tutto perché costruito da una parte della storia ‘particolare’”. Insomma erano particolari, mica fascisti.

Fenomenale anche il sindaco di Salò: “Dopo la caduta del Fascismo – dice all’opposizione che chiedeva simbolicamente di togliere la cittadinanza onoraria a Mussolini – sui banchi dove state ora accomodati, si sono seduti uomini che di antifascismo e lotta partigiana potevano sicuramente fregiarsi di sapere tanto, tanto più di Voi, e di Noi, avendo fatto parte personalmente di quella lotta, avendoci messo la faccia e, avendo spesso, rischiato la vita per gli ideali in cui credevano. Eppure queste persone non si posero, allora, il problema della Cittadinanza onoraria”. Insomma: se non l’hanno fatto gli altri io mi sento assolto.

Sceglie la linea del banalissimo e goffo provocatore anche il professore universitario Riccardo Puglisi, star presso se stesso su Twitter, che ci butta un po’ di liberismo d’accatto: “Mi sembra di capire che parecchi partigiani comunisti volessero passare direttamente dalla liberazione alla dittatura del proletariato”. Che spessore, ma dai.

Infine lui, Renzi: “Oggi è festa di libertà. Memoria di chi ha combattuto per salvarci, impegno per il futuro. Rileggere oggi le lettere dei condannati a morte della resistenza commuove e spalanca l’anima”. Non è festa di libertà ma festa della Liberazione dal nazifascismo, ma figurati se riesce a dirlo. E scrive “resistenza” in minuscolo, genio. Però la festa della libertà, se gli può interessare, si festeggia proprio domani in Sudafrica. Sempre che non abbia impegni dal principe saudita.

Buon lunedì.

Il 25 aprile dei deboli, degli oppressi e dei dimenticati

Un 25 aprile triste per i 130 morti in mare a causa di uno scarica barile tra autorità europee e libiche. La festa della Liberazione di quest’anno è anche ricordare gli ultimi, quelli che rischiano la loro vita e quella dei propri familiari per un futuro migliore.

Il ricordo della Liberazione dal giogo nazifascista che tanta sofferenza ha portato agli italiani – con le leggi razziali, con una guerra all’insegna della presunta superiorità di una “razza”, con l’oppressione di alcuni esseri umani su altri, con lo sterminio di vite nei campi di concentramento, le persecuzioni, le rappresaglie, gli eccidi – può benissimo essere paragonato alla colpevole indifferenza di chi lascia morire in mare esseri umani che per quasi due giorni hanno chiesto aiuto.

Nessuno ha risposto alle richieste di “alarm phone” (la piattaforma che segnala i migranti in pericolo nel Mediterraneo) lasciando che prevalesse la disumanità colpevole sull’umanità solidale. Si può essere assassini con condotte attive, ma lo si può essere anche con condotte omissive. In un periodo di grande disinformazione è necessario studiare la storia e mantenerne salda la memoria, per celebrare degnamente la Liberazione. È altrettanto necessario attualizzarla anche ai nostri giorni.

Con la Liberazione abbiamo ottenuto il diritto di poter manifestare il nostro pensiero, di abbracciare una religione piuttosto di un’altra, di votare liberamente, di essere liberi di circolare senza discriminazioni di alcuna natura e senza il pericolo di essere imprigionati o uccisi per quello che scriviamo o pensiamo. Riflettiamo contestualizzando tutte le nostre conquiste e poi domandiamoci criticamente: siamo sicuri di essere stati completamente liberati? Le regole che stiamo osservando sono realmente al servizio dell’uomo o piuttosto l’uomo ora è asservito alle regole.

Le perversioni dell’economia egoistica, della salute calpestata, della socialità dell’asservimento al più forte, dell’uomo come mezzo e non come fine, della natura stuprata, della politica corrotta, ci rendono veramente liberati? Gli Stati dovrebbero essere a servizio del bene dell’umanità: è realmente così oggi? Celebriamo il ricordo come è giusto che sia, ma nelle celebrazioni non guardiamo solo al passato, ma viviamo il presente e soprattutto costruiamo il futuro nel rispetto pieno dei diritti fondamentali della persona umana.

*

L’autore: Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). E’ ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.

Liliana Segre: Ricerca, cultura e conoscenza sono il vaccino contro i discorsi d’odio

«Non perdono e non dimentico, ma non odio», ha detto in più occasioni la senatrice a vita Liliana Segre. Anche se quando, a 14 anni, riconquistò la libertà dopo l’internamento ad Auschwitz era ridotta a pelle e ossa e aveva sul cuore il macigno della perdita dei propri cari uccisi dai nazisti. Aveva visto e sperimentato nel lager come sistematicamente i nazisti cercavano di annichilire e annientare l’identità umana degli innocenti internati, donne, uomini, bambini come lei, cercando di ucciderli psichicamente, prima ancora di farlo materialmente, fino a far sparire i loro corpi cercando di cancellarne anche la memoria. Dobbiamo molto a Liliana Segre, anche per questo, per aver rifiutato il veleno dell’odio, per aver avuto il coraggio di ricordare e testimoniare, per tanti anni andando nelle scuole a parlare con i ragazzi, scrivendo libri come il recentissimo Ho scelto la vita (Solferino), La memoria rende liberi (Rizzoli), La sola colpa di essere nati (Garzanti). Le dobbiamo molto per il suo lavoro di senatrice e se possibile ancor di più da quando ha accettato la presidenza della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio, da lei fortemente voluta.

Senatrice Segre, quali risultati si aspetta dal lavoro della Commissione?
Finalmente dopo il lungo periodo di impedimenti imposti dalla pandemia, i lavori parlamentari possono riprendere in condizioni di più piena efficienza. È stato quindi possibile costituire la presidenza della Commissione straordinaria contro gli hate speech, passaggio indispensabile per iniziare i lavori. Colleghe e colleghi di tutte le parti politiche hanno realizzato la più ampia convergenza sul mio nome per la presidenza, sono davvero molto onorata e grata a tutte e tutti. In primis alla presidente Elisabetta Alberti Casellati, sempre molto presente e sensibile. Nei limiti delle mie forze cercherò di corrispondere al meglio a questo importante incarico. Riunirò quanto prima l’ufficio di presidenza per stabilire un piano di lavoro, una serie di audizioni, ricerche, raccolte di materiali, testimonianze e tutto quanto potrà essere utile conoscere ed approfondire. Ricordo che questa è una Commissione straordinaria di conoscenza e studio, non ha affatto poteri né di indagine né, ancor meno, giudiziari e para-giudiziari. Noi conosciamo, studiamo, approfondiamo, forniamo materiali e riflessioni, testimoniali e scientifiche, italiane e internazionali, perché il Parlamento possa essere messo nelle condizioni di legiferare con la più piena cognizione di causa.

Lei più volte ha denunciato che parole di odio, comportamenti e fake news in passato sono stati il terreno fertile per atti discriminatori e razzisti che in Italia sono sfociati nelle leggi razziali. In che modo la Commissione può arginare questa deriva?
Non c’è dubbio che ignoranza e atteggiamenti violenti e discriminatori si presuppongono e si alimentano. Questo in verità è sempre accaduto nella storia dell’umanità. Una democrazia matura ne è consapevole. Proprio per questo coltiva storia, memoria, educazione, formazione. Ma non c’è dubbio che oggi il problema ha acquistato un profilo nuovo. Tanto “quantitativo” quanto “qualitativo”, dovuto all’enorme diffusione dei social media, cioè di strumenti di comunicazione che mettono nelle mani tendenzialmente di tutti la possibilità di diffondere informazioni, linguaggi, pensieri, ma sempre più spesso anche insulti, offese, falsità. La portata dei fenomeni è cresciuta esponenzialmente, in una spirale che si autoalimenta e che pone proprio alla democrazia problemi inusitati, tanto più urgenti da affrontare. La Commissione nasce da questo. Da questo quadro, dall’urgenza delle questioni, dalla necessità di conoscere e di prospettare soluzioni, che poi il Parlamento assumerà nelle forme e nei tempi che riterrà.

«La storia è un “bene comune”. La sua conoscenza è un principio di democrazia e di uguaglianza tra i cittadini» lei ha detto in un appello in favore della tutela dell’insegnamento di questa materia. La Commissione può contribuire a mettere in chiaro una volta per tutte cosa è stato e cosa ha fatto il fascismo e a confutare il mito di “italiani brava gente” che ancora oggi persiste?
Il mio impegno di testimone e di parlamentare per lo sviluppo della conoscenza storica e in generale per la migliore formazione di ragazzi e ragazze rientra proprio nella consapevolezza dei problemi di cui dicevo sopra. La democrazia deve rispondere nel suo insieme: come scuola, come sistema dell’informazione, come istituzioni politiche, locali, nazionali e internazionali, per arginare fenomeni come la violenza fisica o verbale. Se non riusciamo a garantire questa crescita generale della nostra società, pretendere di arginare la marea di fake news ed insulti sarà come vuotare l’oceano con un bicchiere d’acqua. Una volta Piero Gobetti scrisse che il fascismo era “l’autobiografia della nazione”, di un Paese povero, ignorante, rancoroso, senza una classe politica davvero nazionale, democratica, responsabile. La dittatura nacque proprio da un fallimento storico delle classi dirigenti. Ancora una volta la storia ci deve essere maestra.

Premesso che il fascismo e il razzismo non sono opinioni ma crimini, come si può rispondere a chi “accusa” la Commissione di essere un mezzo per limitare la libertà di pensiero e di espressione?
Ho provato a dirlo già all’inizio: noi non accusiamo e non condanniamo nessuno. Ma certo terremo i fari accesi sui problemi, contribuendo a individuare cause, responsabilità, possibili soluzioni. L’ultima cosa che potrebbe venirci in mente è privare qualcuno della libertà di opinione e di espressione. Certo però la libertà mai è licenza, impunità, arroganza. Il limite è sottile, ma una classe politica degna di questo nome non può rinunciare al dovere di individuarlo e seguirne le linee e gli sviluppi. Vorrei concludere, proprio in fatto di libertà, ricordando che l’articolo uno della nostra Costituzione recita: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». La libertà è un costrutto, storico e giuridico. Ha sempre dei “limiti”. Questi “limiti” sono costitutivi della libertà. Non la impoveriscono, la arricchiscono. Perché la rendono esercizio di responsabilità. L’unico veramente degno di un essere umano. La libertà di ognuno come condizione della libertà di tutti, che poi significa che la mia libertà finisce dove comincia quella degli altri. Nessuno può dire: “Faccio come mi pare!” Non solo perché non è possibile, ma perché non è giusto.

**

La difesa della libertà, dei diritti e dei valori umani è il filo rosso che connota da sempre il suo impegno, come testimone sopravvissuta al lager, come scrittrice e come senatrice. Lo stesso che l’ha portata a promuovere, con coraggio e tenacia, una Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo e antisemitismo. L’iter è stato lungo e faticoso. Fu istituita al Senato con una mozione approvata il 30 ottobre 2019, senza i voti di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia (in tutto ebbe 151 sì, 98 astensioni e nessun no). E ci è voluto più di anno perché diventasse operativa. Left aveva promosso un appello firmato da Furio Colombo e molti altri, perché la Commissione potesse cominciare a svolgere il proprio compito che è di ricerca e di studio. E ora che la Commissione è stata varata siamo grati alla senatrice Segre anche perché ha accettato di presiederla. Buon lavoro! s. m.


L’intervista è stata pubblicata su Left del 23-29 aprile 2021

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Quante falsità per screditare la lotta partigiana

Irrilevanti dal punto di vista militare. Anzi, protagonisti di un’esperienza controproducente, che ha portato alla morte di numerose vittime innocenti. Rubagalline, profittatori ed estorsori. Ma anche vendicatori assassini e criminali di guerra. Sono solo alcuni dei luoghi comuni attribuiti ai partigiani che compongono il ricco – ahimè – arsenale della retorica anti resistenziale in Italia. Una mix di falsità, racconti parziali e banalizzazioni costruiti attorno alla vicenda della Liberazione che hanno iniziato a diffondersi sin dal dopoguerra, per poi sedimentarsi negli anni della costruzione della cosiddetta “memoria condivisa” (quelli post ’89, per intenderci, quando Berlusconi portava per la prima volta al governo esponenti del Movimento sociale italiano, era il 1994, o quando Violante insediandosi alla presidenza della Camera chiedeva di «riflettere sui vinti di ieri» in riferimento ai ragazzi di Salò, era il 1996), ed infine frantumarsi in pillole velenose pronte ad invadere la rete all’epoca dei social.

«Assistiamo al proliferare di discorsi sulla Resistenza sempre più appiattiti sul presente e semplificati, e proprio per questo efficaci» dice a Left Chiara Colombini, storica e ricercatrice presso l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea. «In Italia – prosegue – non manca la memoria della lotta partigiana, il punto è che essa tende ad allontanarsi sempre più dalla conoscenza storica. E ciò accade purtroppo a causa della circolazione di distorsioni e luoghi comuni, ma non solo. Anche chi vorrebbe alimentare una memoria non ostile ai partigiani talvolta tende a rinunciare alla complessità e ad inaridire il discorso sulla Liberazione».

Evitare questa deriva, riportando la vicenda partigiana nel proprio contesto, ricostruendo l’intricata trama di desideri, necessità, paure, vincoli materiali di chi scelse di opporsi al nazifascismo mettendo a rischio la propria vita, è lo scopo dell’ultima opera di Colombini, Anche i partigiani però…, saggio pubblicato nella…


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Desaparecidos di ieri e di oggi, il peggior nemico è l’indifferenza

Members of the Madres de Plaza de Mayo and Abuelas de Plaza de Mayo human rights organizations -joined by thousands of demonstrators- carry a large banner with portraits of people disappeared during the 1976-1983 military dictatorship, during a gathering to commemorate the 42th anniversary of the 1976 coup, along Mayo Avenue in Buenos Aires on March 24, 2018. About 30,000 people went missing after being arrested during the right-wing military regime that ruled Argentina from 1976 to 1983, according to Human Rights organizations. Many of those abducted were accused of being leftist sympathizers or deemed subversive by the regime. / AFP PHOTO / EITAN ABRAMOVICH (Photo credit should read EITAN ABRAMOVICH/AFP via Getty Images)

Maria Rosaria Grillo è nata a Napoli l’8 agosto del 1951. Ancora bambina si è trasferita con i genitori e le sorelle a Buenos Aires in Argentina. Crescendo, la passione per la politica l’ha portata ad aderire alla “Juventud Guevarista” ed è così che ha conosciuto il suo futuro marito Venancio Basanta. Maria Rosaria e Venancio sono stati sequestrati da ignoti il 14 settembre 1977. “Rosa” lavorava come impiegata e si stava per laureare in Economia. Alcuni testimoni dicono di averla vista tempo dopo nel centro clandestino di detenzione e sterminio “Campo de Mayo”. Era incinta di due mesi. Insieme alla tristemente famosa caserma Esma, Campo de Mayo è stato il più grande lager clandestino della dittatura civico-militare argentina (1976-83). Vi sono state segregate almeno 5mila persone e solo 100 sono sopravvissute. Sono partiti da qui centinaia di “voli della morte” dai quali i prigionieri “colpevoli” di non aderire al regime sono stati gettati in mare ancora vivi, dopo aver ricevuto l’estrema unzione da cappellani cattolici.

Salvatore Privitera è nato a Grammichele (Catania) il 21 ottobre 1947. Trasferitosi in Argentina, a Mendoza, quando aveva 7 anni con i genitori e il fratello Paolo, si è via via avvicinato alla politica diventando, da medico, attivista nel sindacato. È stato arrestato nel 1976 con la moglie Dora nell’ospedale dove lavoravano con l’accusa di aver preso parte a un’azione terroristica contro una caserma. Dopo l’assoluzione con formula piena è però rimasto in carcere e solo tre anni dopo è stato rimpatriato in Italia. Salvatore è stato sequestrato da ignoti nel 1980 mentre tentava di rientrare in Argentina per combattere la dittatura. Da allora, come Maria Rosaria Grillo, Salvatore Privitera è scomparso: sono due dei 65 cittadini italiani ancora desaparecidos sui circa mille che la dittatura ha eliminato. Come è noto, in quei 7 anni sono state almeno 30mila le persone vittime di sparizione forzata. Gran parte di esse furono sequestrate, torturate, uccise ed eliminate tra il 1976 e il 1977 quando il capo della giunta era Videla.    

All’inizio del 1984, poche settimane dopo la fine della dittatura e l’insediamento del presidente Raúl Alfonsín, la neonata Commissione nazionale sulla scomparsa delle persone (Conadep) e le Abuelas de Plaza de Mayo che sin dai primi anni del regime erano alla ricerca dei nipoti scomparsi con i loro genitori o nati durante la prigionia, chiesero aiuto per le identificazioni a Eric Stover, allora direttore dello…


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Dategli un Ponte e affosserà il Sud

Italy's new Prime Minister Mario Draghi leaves after addressing deputies before submitting his government to a vote of confidence, in the Italian Parliament in Rome on February 18, 2021. - Italian Prime Minister Mario Draghi was set on February 18, 2021 to win the final parliamentary seal of approval for his government, allowing him to focus on his country's unprecedented health and economic crisis. (Photo by GUGLIELMO MANGIAPANE / POOL / AFP) (Photo by GUGLIELMO MANGIAPANE/POOL/AFP via Getty Images)

Quando si tratta di prendere in giro gli abitanti del Sud ecco che spunta immancabilmente fuori l’ipotesi del Ponte sullo Stretto. Da Forlani, a Berlusconi, a Renzi fino a Draghi, ormai quella del Ponte è una storia che si dipana nel corso degli ultimi decenni con sempre lo stesso finale: promesse a vuoto a cui, dopo le elezioni di turno, segue un nulla di fatto. In Parlamento addirittura è appena nata la coalizione per il Ponte sullo Stretto: i renziani si sono alleati a Lega e Berlusconi. Non proprio una garanzia per il Sud, visto che sono tutti personaggi che hanno, da sempre, avuto un occhio di riguardo per favorire “prima il nord”. Il Ponte potrebbe così essere usato come arma di distrazione di massa per “buttare la palla avanti” mentre nelle interviste dei vari ministri si spostano quote percentuali sempre più rilevanti dei fondi del Next generation Eu verso Nord. La preoccupazione poi aumenta se si pensa che è quasi certo che il governo presenterà il Piano di rilancio alle Camere il 26 aprile e lo manderà a Bruxelles il 30.

Meno di cento ore per il dibattito in Parlamento, mentre nel Paese non ci sarà tempo nemmeno di leggere il Pnrr. D’altra parte è risaputo che il parere dei cittadini in epoca post democratica conta poco o nulla. Così saranno decise in Italia le politiche pubbliche del prossimo decennio, praticamente senza discussione alcuna dato che tutti, o quasi, i partiti fanno parte della maggioranza.
Anche senza entrare nei dettagli tecnici o nelle problematiche ambientali che riguardano la costruzione del Ponte, basti ricordare che per ferrovie, strade, telecomunicazioni, rete idrica, energia, secondo l’analisi della Facoltà di Ingegneria della Sapienza di Roma, sulla base del lavoro degli Stati generali svoltisi nell’estate del 2020 e coordinato dall’attuale ministro Colao, l’Italia nel suo insieme (fra Nord e Sud, operando la celebre “media del pollo”) è addirittura in 53esima posizione nel mondo. Il solo Mezzogiorno, dove si viaggia a binario unico, dove non c’è Alta velocità, carente in strade, telecomunicazioni, rete idrica, energia, in che posizione si colloca?

Così mentre il dibattito sulle grandi infrastrutture nel Meridione è incentrato esclusivamente sull’eterna ed affabulatoria diatriba sul Ponte sullo Stretto, poche settimane fa in Regione Sicilia è arrivata la comunicazione da parte di Rete ferroviaria italiana (Rfi) dell’avvio della gara d’appalto da dieci milioni di euro per ripristinare parte del collegamento tra Gela e Catania interrotto dopo il crollo di un ponte all’altezza di Niscemi ben dieci anni fa, nel maggio 2011. Oggi per andare da Gela a Catania in treno e percorrere una distanza di circa 110 chilometri occorrono circa cinque ore. Per non parlare di…


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Prima i soldi degli italiani

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Il 14 aprile, in piazza Castello a Torino, molte realtà che da anni si occupano di azzardopatia hanno manifestato contro l’intenzione della destra di smantellare la legge regionale n. 9/2016. Tra le altre cose, quella legge ha introdotto anche in Piemonte il cosiddetto distanziometro, vale a dire il divieto di installare slot e apparecchi assimilabili entro una certa distanza da luoghi sensibili: scuole, ospedali, compro oro, banche e così via. Nel caso del Piemonte, la distanza attualmente è fissata a 300 metri per i comuni con meno di 5mila abitanti, e a 500 metri per gli altri. Inoltre, la legge concede a chi aveva già installato slot e simili un termine per adattarsi alla nuova disciplina, variabile dai 18 mesi ai 5 anni a seconda del tipo di esercizio commerciale e della data dell’autorizzazione a installare gli apparecchi. In particolare, per le autorizzazioni concesse a partire dal 1 gennaio 2014 il termine è di cinque anni: dunque sta per scadere, dato che la legge è entrata in vigore a maggio 2016.

A salvare i gestori ha pensato la maggioranza di destra in Regione Piemonte, proponendo una riforma della disciplina vigente ora all’esame del consiglio regionale. La proposta di legge, primo firmatario il leghista Claudio Leoni, mira a depotenziare il distanziometro, riducendo il divieto a 250 metri per tutti i comuni e limitandolo alle sole nuove concessioni. In sostanza, i promotori vogliono che le sale giochi e le sale scommesse già aperte possano rimanere dove sono, anche se si trovano nel raggio del distanziometro.
La proposta è stata molto criticata da medici e psicologi. Richiamando i dati dell’Istituto superiore di sanità, gli operatori hanno sottolineato che attenuare i divieti rischia di amplificare il dato congiunturale, che va nel senso di un aumento del numero dei giocatori d’azzardo: numero che si era ridotto durante il primo lockdown (in controtendenza, come prevedibile, l’azzardo online) per poi raggiungere valori superiori a quelli pre-pandemia nella seconda parte del 2020.
Prima di continuare, facciamo un passo indietro, alla relazione sugli effetti della legge 9/2016, che la legge stessa prescrive alla giunta regionale di predisporre periodicamente. Come osserva Avviso pubblico (una rete di amministrazioni locali che dal 1996 si impegna per l’affermazione della legalità, della trasparenza e della giustizia sociale, ndr) in…

*-*

L’autore: Luca Casarotti fa parte del collettivo Senza slot


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Gli invisibili del vaccino anti Covid

Kyiv, Ukraine - March 18, 2020: Homeless woman in medical mask sits in an underground passage near a closed subway. Due to the coronavirus epidemic, the Ukrainian government has closed the subway.

Giovanni ha raggiunto l’America, il sogno di una vita migliore. È il 1919 e per gli immigrati la vita è dura, lavori umili e mal pagati, alloggi in cui le condizioni igieniche sono precarie e 2 o 3 famiglie ammassate in un appartamento che potrebbe ospitare non più di 4 persone. Sono gli anni in cui la Spagnola sta mietendo milioni di vittime, alla fine della pandemia saranno quasi 50 milioni i morti nel mondo. Nessuno si interessa della vita di Giovanni e nessuno è disposto a curarlo, lui è un invisibile. Non ha documenti validi e non ha i soldi per pagare un medico. Si deve affidare solo alla fortuna e alla prudenza. Nessuno si preoccupa di dargli informazioni, di assicurarsi che sia protetto.

Questa storia è pura fantasia, ma potrebbe essere accaduta. E non è poi così diversa da quella di mezzo milione di persone che vivono in Italia, oggi. Sono 500mila gli invisibili nel nostro Paese (secondo alcune stime anche 600mila). I numeri riportati così fanno impressione, ma non si ha mai la precisa percezione della reale incidenza di percentuali e cifre. Bene, immaginate che per ospitare mezzo milione di persone servono 5 Maracanã, lo stadio più grande al mondo; oppure ci vorrebbero 56 Symphony of the Seas, la più imponente nave passeggeri in servizio sui mari oggigiorno.

In Italia mezzo milioni di cittadini non possono vaccinarsi. Se state pensando solo ai migranti (magari irregolari) non potreste essere più lontani dalla realtà.

La pandemia non è uguale per tutti Tra gli invisibili per il servizio di vaccinazione ci sono senza tetto che non hanno documenti, cittadini comunitari ed extracomunitari che non hanno un permesso di soggiorno o una tessera sanitaria. Ci sono gli apolidi e le comunità di rom, sinti e camminanti che vivono nella nostra nazione da decenni. Il diritto alla Salute di queste persone è stato sospeso. Perché? La burocrazia. Verrebbe da ridere, se non fosse che si tratta della vita di persone che non hanno nessuna colpa. Sono persone sfigate, nel senso che hanno perso la buona sorte. Il problema contro il quale si scontrano è la necessità di avere un codice fiscale e una tessera sanitaria valida. Per gli stranieri residenti in Italia esistono infatti dei codici speciali, lo Stp per gli stranieri extra comunitari temporaneamente presenti o l’Eni che è un codice per i cittadini europei non iscritti. Solo che questi codici non vengono riconosciuti dalle piattaforme di prenotazione dei vaccini.

Che la pandemia non sia una livella è ormai chiaro. Abbiamo avuto la dimostrazione di come anche le crisi sanitarie non siano stragiste cieche, i Paesi occidentali e le nazioni ricche hanno uno scudo protettivo in più. Così come all’interno degli stessi Paesi industrializzati abbiamo assistito a decessi di 18enni per la mancanza di un’assicurazione sanitaria o di famiglie che durante la pandemia non avevano neanche i soldi per fare la spesa e altre che hanno una scorta di carta igienica che gli basterà fino al 2024.

Ecco la domanda che ci stiamo ponendo: è possibile dimenticarsi che questi invisibili sono accanto a noi? Si può continuare ad ignorare queste persone? L’Italia sta proseguendo nella sua opera di rimozione di un passato, della sua storia di migrazioni e sofferenze, da Sud a Nord e dall’Italia nel mondo. Ma è giusto mettere da parte il suo passato di migrazioni? Si può cancellare la propria umanità? Vogliamo veramente essere responsabili della morte anche di una sola persona che avremmo potuto proteggere? Per cosa poi… formalismi, burocrazia, una stringa di codice che permetta di inserire i codici di prenotazione di queste persone. Perché sono persone, non numeri. E hanno lo stesso diritto di ciascuno di noi alla tutela della Salute.

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IL 23 aprile alle 20:30 i temi di questo articolo saranno al centro dell’incontro dal titolo “Covid, il diritto al vaccino è di tutti?”

Intervengono: Mimmo Lucano, Rocco Borgese (Flai Cgil di Gioia Tauro), Salvatore Geraci (presidente Società Italiana di Medicina delle Migrazioni), Michele Iacoviello (coordinatore cliniche mobili Emergency) e Leonardo Filippi (giornalista di Left)

Diretta video qui -> https://www.facebook.com/Rivieraweb/posts/4460675427310740