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Lo spot più stupido del governo Meloni

Nel quasi silenzio generale, mentre la presidente del Consiglio sbraitava in Parlamento, un’altra persona trasferita nel Cpr di Gjader, in Albania, è tornata in Italia ed è formalmente libera.

La giudice di pace di Roma, Emanuela Artone, ha sospeso la richiesta di riesame del trattenimento per la stessa pregiudiziale costituzionale già sollevata in merito ai Cpr italiani. C’è da stabilire se la detenzione di persone straniere per un tempo prorogabile fino a 18 mesi violi l’articolo 13 della Costituzione, considerando che modalità e procedimenti non sono ancora puntualmente disciplinati da una normativa di rango primario. C’è da verificare anche se venga leso il principio di eguaglianza (articolo 3 della Costituzione).

L’ennesimo fallimento del progetto albanese del governo è avvenuto mentre la Camera approvava il cosiddetto “decreto migranti” con 192 voti a favore e 111 contrari. Tutto questo mentre nell’immaginario collettivo l’“operazione Albania” viene ancora raccontata come un successo.

Finora il Cpr di Gjader ha rimpatriato 16 persone, riportate nei rispettivi Paesi dopo un viaggio di andata e ritorno con l’Italia. Molti di più, invece, sono stati liberati o ritrasferiti in altri Cpr sul territorio italiano. Tutto ciò attraverso continui viaggi sull’Adriatico, con l’impiego di mezzi e personale. Sedici persone rimpatriate, a fronte di costi enormi, per allestire lo spot pubblicitario più costoso, più inumano e più stupido che un governo possa immaginare.

Milioni di euro spesi per apparire abbastanza cattivi da saziare la bile dei propri elettori. Anche qui, ci starebbe bene un bello scrollamento di testa del ministro Giorgetti.

Buon giovedì.

Foto governo.it

L’Italia bollita nella pentola del melonismo

Il melonismo si è ormai trasformato in corrente politica, corrente di pensiero e in un rullo compressore sui diritti. Ogni giorno accadono fatti gravissimi che si accumulano senza nemmeno lasciare lo spazio per essere smontati. Ieri, in Commissione antimafia, il generale Mori si è fatto portatore dell’ennesimo rovesciamento della realtà, con i magistrati antimafia finiti alla sbarra e con un nuovo tentativo di riscrivere gli anni delle stragi. Corre veloce il melonismo, sempre intento a riscrivere la storia.

Le bugie si ingrossano, finché non sono abbastanza forti da sfilare come se fossero realtà. Le narrazioni vengono rivendute come fatti, i numeri sbrindellati alla bisogna, le leggi piegate, la Costituzione fantasiosamente interpretata. Ovvio che in questo gioco i giornalisti vadano puniti, intimiditi, silenziati, perfino spiati.

L’autoritarismo non è più roba da Ungheria. L’autoritarismo sta qui, e confida nella sempre efficace sindrome della rana bollita di chi lo subisce.

Di fronte a quest’onda nera servirebbe una cosa sola: l’autorevolezza dell’opposizione. Un’opposizione ferma, compatta, facilmente leggibile, con le spalle larghe, con lo sguardo lungo. E invece forse è arrivato il momento di riconoscere che – per ora – non c’è. Se c’è, non funziona. Del Partito democratico si notano gli spifferi che di giorno in giorno diventano crepe, in attesa che la segretaria Schlein batta un colpo. Il M5s si annacqua sul referendum di cittadinanza, come se fosse un vezzo da hobbisti dei diritti. Tra le macerie del Terzo polo si sbanda tra maggioranza e opposizione, sperando di raccattare un sorso di percolato.

E dell’autorevolezza, chi si fa portatore?

Buon mercoledì.

Foto Gov
Foto NASA/JPL-Caltech

Pepe Mujica: La lotta è libertà, il senso della vita

Nel ricordare un grande uomo, un grande politico, un grande rivoluzionario vi proponiamo l’intervista realizzata a Montevideo dalla nostra collaboratrice Gabriela Pereyra (qui nella foto con el Pepe)

Pepe Mujica e Gabriela Pereyra con il numero di Left che gli dedicammo nel 2017

Pepe, tu sei ancora il punto di riferimento della sinistra in Uruguay, come ne vedi il futuro e cosa pensi dei giovani che, anche alla luce delle primarie del Frente amplio, si profilano come nuovi leader?
Io sono della idea che qualsiasi vittoria, qualsiasi trionfo non sia mai definitivo, perché non credo neanche alle sconfitte definitive. Negli uomini c’è l’idea della lotta permanente per salire scalino dopo scalino, con l’obiettivo di raggiungere lo sviluppo della civiltà. Questo non cade dal cielo, non è una casualità, ma scaturisce dalla naturale esigenza di realizzare la propria identità, di migliorare le condizioni di vita. Questo è essere di sinistra, dunque ciò che chiamiamo sinistra è l’espressione di una “vecchia” tendenza dell’uomo. Mi sento parente di Epamidonda, dei fratelli Gracchi, sono figlio di quella eterna lotta che esiste nella storia dell’uomo per la solidarietà, per un po’ di umanità, per migliorare, in contrapposizione alla visione conservatrice e reazionaria. Perciò confido nelle nuove generazioni, perché gli unici sconfitti sono quelli che smettono di lottare.

Dunque, sei ottimista per il tuo partito?
Nessuno è perfetto. L’importante è apprendere dagli errori. Pensiamo alla Rivoluzione francese, ai razionalisti, a Robespierre, che ragionando in un mondo religioso, pieno di pregiudizi, elevarono il dio ragione e non capirono che l’uomo è sì dotato della razionalità ma è anche passione, emozione, e oltre ai naturali bisogni della vita ha delle sue esigenze personali da realizzare. Insomma è molto più complicato di come lo vedevano. Questo per dire che le nuove generazioni, i nostri “eredi”, hanno a disposizione un arsenale di conoscenza che noi non potevamo avere. Devono saperlo mettere a frutto.

Al contrario delle nuove leve, la tua generazione ha vissuto sulla sua pelle l’idea di lotta.
È vero. Ti faccio qualche esempio. I lavoratori che lottarono per le otto ore di lavoro, otto ore di riposo e otto ore per vivere, sognavano un mondo utopistico. La storia umana è un cimitero di utopie, ma questa alla fine si è realizzata. Lottando. Quando ero ragazzo, la mia generazione faceva molta difficoltà ad avere i soldi per prendere l’autobus e andare al liceo. Abbiamo lottato per il diritto al biglietto gratuito per gli studenti. Oggi sembra una sciocchezza, ma quella lotta che forse molti studenti di oggi non conoscono, ci costò anche dei morti, i “martiri degli studenti”. Tutto quello che implica progresso umano e sociale, implica una lotta, niente è regalato dagli dei. Ci sono sempre gruppi di persone che aspirano a qualcosa di nuovo, di diverso, in tanti non raggiungono mai l’obiettivo ma con i loro “sogni” contribuiscono alla trasformazione della società. È per questo che confido nei “nostri” giovani. Ma non è una questione di nomi quanto di predisposizione alla lotta permanente. L’importante è non credere, in caso di vittoria, di aver preso il potere in maniera permanente. Perché è falso.

L’America Latina è tornata a vivere tempi difficili…
In tanti Paesi si vive come ai tempi della Santa Alleanza. Tempi con la retromarcia, conservatori, a tratti reazionari. Dobbiamo riuscire a separare la matrice conservatrice da quella reazionaria, impedire che chi è conservatore di trasformi in reazionario che appiattisce qualunque forma di lotta o di dissenso. Ma anche dal punto di vista progressista bisogna separare ciò che è progresso da ciò che è capriccio. Perché si rischia di sfociare nell’iperproduzione causando dei danni irreparabili alle generazioni future.

Vale a dire?
Ora siamo prigionieri, in modo subliminale, di una civilizzazione che è come una ragnatela gigantesca, che ha come nuova religione il mercato, e tendiamo a confondere essere con avere, allora la nostra vita è prigioniera e si confonde il progresso con il fatto di comprare nuove cose continuamente, e così fino all’infinito ed è una specie di gara dell’asino con la carota, perché questa civilizzazione è funzionale al mercato, ci trasformiamo in consumatori del tempo della nostra vita, in modo d’essere utili al successo del mercato. La gente vive in questo clima e non è facile uscirne.

Anche in Europa le destre avanzano inesorabilmente.
L’odio contro i migranti che si è sviluppato in Europa paradossalmente può aiutare a portare in luce le ombre della nostra civiltà. I popoli non hanno memoria. L’Europa è rinata mille volte dai propri disastri. I nostri cognomi, i cognomi di tanti cittadini sudamericani rappresentano il grido muto del dolore vissuto dall’Europa nel secolo scorso, giusto? Ma l’Europa ricca ha commesso ogni tipo di crudeltà. Si è spartita l’Africa con una matita e ora pretende che gli africani non sbarchino sulle sue coste. È impossibile impedirlo, ma costerà molta sofferenza. In ogni caso quella dell’Europa, e di Salvini che pensava di risolvere tutto con la vergogna della chiusura dei porti, è una battaglia persa.

Perché?
Perché vinceranno le donne d’Africa che hanno 8-10 figli. Perché i Paesi europei invecchiano e non si possono sostenere senza mano d’opera, hanno bisogno degli immigrati. Da una parte gli sputano in faccia e non li vogliono fare entrare in Europa, poi però devono fare i conti con la realtà. Questo accade anche negli Usa che respinge i messicani. Sanno benissimo che senza di loro l’intera produzione agricola crollerebbe.

Eppure Trump continua a discriminare i messicani…
Sai dov’è il pericolo? Nel fatto che ci evolviamo e invece d’avere un mondo integrato, ci troveremo un mondo di muri, con i poveri e disgraziati da una parte e dall’altra i fortunati e ricchi, o per lo meno, gli appartenenti a settori della società con un certo livello di ricchezza e di istruzione. Questa dicotomia è un pericolo, questi due mondi sono un pericolo. Noi lottiamo per un mondo integrato, un mondo interdipendente, consapevole che ciascuno di noi ha bisogno dell’altro per vivere.

Come vedi il futuro dell’ambiente?
Non sono ottimista. Ora come ora è condannato dalla civiltà dello spreco. Il vero ecologismo è politico. O l’essere umano è capace di prendere misure a livello mondiale o ci stiamo condannando all’olocausto ecologico. L’alternativa al consumo continuo non è tornare alle caverne. Ci sono risorse per tutto, ma abbiamo bisogno di parametri industriali diversi, a livello mondiale. Invece stiamo indebolendo i pochi accordi internazionali esistenti. Ogni prodotto oggi dovrebbe essere concepito per un eventuale riciclo che dovrebbe essere incluso in parte del costo. Il riciclaggio deve essere trasformato in un’occasione e non nella condanna di chi è sommerso dalla povertà.

Tra pochi giorni l’Uruguay torna alle urne (lo stesso giorno dell’Argentina). Cosa pensi che accadrà?
Io lotterò per far sì che ci vada bene. Ma se per caso andasse male, bisogna continuare a lottare, dov’è il problema? Siamo stati in carcere, sotterrati, perseguitati, torturati. A chi mi parla di sconfitta io dico che l’unica sconfitta è quando ci si arrende. Io dico che il problema è un altro. Viviamo perché siamo nati, e questo è l’unico “miracolo” sulla terra, la nascita. Ma alla nostra vita dobbiamo dare un senso, e per me è la militanza politica per migliorare le condizioni sociali. È la mia ragione di vita, perché se non vivo per una causa, allora l’unico motivo diventa pagare delle rate. Io questa la chiamo libertà, perché con un pezzo del tempo della mia vita faccio ciò che voglio non ciò che mi viene imposto.

L’intervista di Gabriela Pereyra a Pepe Mujica è stata pubblicata su Left dell’11 ottobre 2019

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Due licenziamenti, due sentenze: l’8 e 9 giugno si vota anche per loro

Due lavoratori, stessi turni, stesso mare, stessa fatica. Diversi solo nella data di assunzione: uno prima del Jobs Act, l’altro dopo. Entrambi licenziati per aver osato iscriversi al sindacato e aver chiesto diritti. Il primo reintegrato, o meglio: risarcito con 61mila euro dopo cinque anni di processo. Il secondo liquidato con 13mila euro. A far la differenza non è la giustizia, ma la legge che ha svenduto la dignità a colpi di riforme.

Il Jobs Act è stato il grimaldello: ha smontato l’articolo 18 e aperto la strada alla libertà di licenziare. Chi è entrato dopo il 7 marzo 2015 è diventato lavoratore di serie B. Anche quando il sopruso è identico, anche quando la sentenza è unanime. È la giurisprudenza diseguale che inchioda lo Stato alla sua ipocrisia.

Il caso di Rimini, raccontato da Collettiva (13 maggio 2025), è una scheggia di verità: tre pescatori tunisini licenziati perché avevano alzato la testa. Due a tempo indeterminato, uno a termine. Il messaggio dell’azienda era chiaro: chi reclama i diritti, perde il posto. Uno ha dovuto accontentarsi del minimo sindacale, l’altro ha lottato per anni per vedersi riconosciuto il torto. Il terzo, sparito dai radar, resta il fantasma delle tutele evaporate.

L’8 e 9 giugno si voterà anche su questo. Non è una battaglia simbolica: è la possibilità di restituire a tutti lo stesso grado di tutela. Perché il diritto al lavoro, per essere tale, non può dipendere dalla data in cui firmi un contratto. E perché la giustizia, se selettiva, diventa complice del sopruso che dovrebbe correggere.

Buon martedì.

 

Foto Adobstock

Armi obsolete per l’Ucraina, profitti d’oro per l’industria bellica

Da qualche tempo nella stampa internazionale vengono esposti forti dubbi sulla qualità delle armi europee fornite a Kiev per portare aventi la guerra per procura della Nato. Di questa guerra, si sa, pagano le spese centinaia di migliaia di famiglie ucraine che hanno perso i loro cari, ma gioiscono le aziende belliche. Tuttavia l’aspetto sinistro è che questo stillicidio avvenga anche a causa di un supporto a volte pressappochista a volte calcolato fornito dagli alleati del “padrone” americano.

L’Italia di Meloni, Crosetto e Co ha ceduto a costo zero a Kiev diversi armamenti che sul campo hanno dimostrato impressionanti lacune, così come avvenuto per altri Paesi europei. Certo, verrebbe da dire, se le armi sono state “regalate” non è un problema. Il problema c’è, invece, perché quando un’arma si rivela un giocattolo, come quelle italiane, sul campo di battaglia questo si traduce in migliaia di morti. Come avviene in Ucraina.

L’Italia nella prima metà del 2023 ha fornito a Zelensky vari pezzi di artiglieria M109. Questi pezzi di artiglieria  risalgono agli anni Sessanta del secolo scorso e sono mezzi ormai obsoleti e praticamente pezzi da museo. Tuttavia deve essere sfuggito a qualcuno dei nostri “strateghi” che in Ucraina si combatte un conflitto ibrido ad alta intensità, nel quale l’utilizzo di mezzi come i droni e tools come l’Intelligenza artificiale è all’ordine del giorno. Infatti da febbraio a giugno 2023 l’Ucraina ha subito fra le più devastanti sconfitte della guerra, in special modo grazie alla superiorità dell’artiglieria russa.

Ma da un punto di vista economico tuttavia non c’è da preoccuparsi: le imprese belliche hanno comunque ottenuto pesanti guadagni con la rimessa in funzione dei pezzi semoventi, che sono risultati inferiori a quelli russi ma che sono sostati comunque un bel po’ ai contribuenti europei.

La vicenda dei carri Leopard tedeschi poi non è stata meno ridicola: la Germania e altri Paesi hanno concesso un bel numero di questi carri a Kiev dietro un accordo che ha fatto la fortuna anche di un’azienda belga, la Versluys.

Questa ditta acquista armamenti in dismissione con la speranza che vengano prima o poi riacquistati da governi che necessitano di vecchi equipaggiamenti militari o che necessitano di pezzi di ricambio. Questa volta le casse dei venditori di armi rottamate sono state rimpinguate da paesi europei e in certi casi dai paesi stessi che avevano ceduto i vecchi carri per poco denaro. Ma questo, pur essendo già di per sé imbarazzante e ridicolo, non è tutto: i Leopard al fronte sono stati un devastante flop. Questi carri appaiono, secondo la testata “Spectator”, particolarmente vulnerabili indovinate a che cosa? Ai droni… ma chi se lo aspettava che nel teatro bellico ucraino venissero utilizzati i droni? Certo non lo stato maggiore tedesco, certo non gli “strateghi” europei.

I sistemi d’arma SAMP/T per la difesa aerea forniti dall’Italia all’Ucraina sono stati infine la ciliegina sulla torta della tragicomica vicenda, almeno sinora. Questi sistemi d’arma missilistici tanto invocati dal ministro Crosetto e che avevano dato adito la scorsa estate ad un siparietto abbastanza inquietante del governo sono tornati alla ribalta, a sentire alcune testate, per la loro inefficienza. Ma andiamo con ordine.

Nell’estate 2024 l’Italia cede all’Ucraina ben due sistemi d’arma (e già qui verrebbe da ridere). Nel mese di agosto Crosetto si scaglia contro le aziende italiane colpevoli di non essere in grado di approntare in tempi utili il secondo sistema da inviare in Ucraina. Le ditte italiane avrebbero dovuto lavorare, per il ministro della Difesa, ventiquattrore su ventiquattro e sette giorni su sette. Questo per soddisfare la sua impellenza di “dover consegnare questi sistemi d’arma” tanto risolutivi. A settembre Delmastro, sottosegretario alla Giustizia dello stesso governo Meloni, aveva affermato che la consegna era in realtà in anticipo. Viene da chiedersi perché Delmastro, che si occupa di giustizia abbia risposto sulla questione, e perché l’uno contraddicesse apertamente l’altro. Tuttavia questo governo che alla contraddizione quanto alla recitazione ci ha abituato non può certo stupirci con questo gustoso teatrino estivo.

A nemmeno un anno dalla tanto agognata fornitura però in Ucraina si accorgono che la catena logistica di fornitura del munizionamento è inefficiente e i sistemi risultano pressoché inutilizzabili e comunque che i sistemi sono, per resa, nettamente inferiori a varie altre tipologie di armamento similari, come ad esempio i Patriot USA. Nel frattempo Kiev è sotto il bombardamento dei droni russi e i civili ucraini muoiono, ma non rileva molto per chi ha intascato i soldi della rimessa in pristino dei sistemi SAMP/T.

Purtroppo l’assenza di strategia politico militare di Paesi come l’Italia e dei loro decisori politici, oltre ad un calcolo nella fornitura di armi obsolete teso a svuotare i magazzini e i depositi dove venivano accatastati dall’esercito pezzi di artiglieria come l’M109L ha compromesso le sorti della guerra. La Russia da sola ha dimostrato una superiorità strategica, militare e un adattamento economico che i Paesi della Nato sono ben lungi da avere. L’Ucraina e soprattutto Zelensky, fidandosi dei loro “alleati” occidentali sono stati il mezzo e la carne da cannone di una guerra per procura di Washington che poi hanno perso. I vantaggi strategici russi sono ormai consolidati e dovranno essere riconosciuti al tavolo della pace. Detto come deve essere detto l’Ucraina, dopo la devastante débâcle afgana è l’ennesima disfatta della Nato e umiliazione degli obbedienti alleati di Washington.

La frammentazione del diritto internazionale ha permesso a Stati dalla politica ambigua come l’Italia e la Germania di far prosperare le proprie industrie belliche cedendo materiale pressoché scadente al condiscendente Zelensky e del tutto non adatto al teatro, condannando l’Ucraina.

L’autore: Francesco Valacchi è cultore della materia, dottore di ricerca in scienze politiche all’Università di Pisa. Si occupa di geopolitica, con particolare riguardo all’area asiatica. Il suo ultimo libro è A nord dell’India, storia e attualità politica del Pakistan (Aracne)

 

Antifascismo sotto controllo, fascismo sotto tutela

I fascisti marciano in centro a Milano in formazione paramilitare. In duemila, con saluti romani e simbologie vietate. Nessuno li ferma. Nessuno li identifica. Nessuno li denuncia.

Pochi giorni dopo, a Roma, la polizia si presenta invece davanti a un banchetto della Cgil che distribuisce volantini sui referendum contro il Jobs Act. Gli attivisti vengono identificati uno a uno. A Udine, l’università nega un’aula per un incontro con Landini: evento “troppo politico”. Parlare di lavoro, oggi, è un’attività da sorvegliare.

L’Anpi lo scrive chiaramente: non si tratta più di provocazioni, ma di una “gravissima condotta apologetica”, in violazione delle leggi Scelba e Mancino. E quindi della Costituzione, che nella sua XII disposizione vieta la ricostituzione, anche indiretta, del partito fascista.

Ma più della violazione colpisce l’impunità. Più dell’impunità, colpisce la protezione. Perché qui non c’è vuoto normativo. C’è una scelta politica.

Un antifascismo sotto osservazione, un fascismo sotto tutela. Chi difende la Repubblica viene fermato, chi la insulta viene accompagnato.

C’è una linea netta che divide chi può manifestare e chi deve giustificarsi. Chi inneggia a un regime può contare sull’indifferenza istituzionale. Chi distribuisce volantini deve mostrare i documenti.

Non è solo un doppio standard. È un test di resistenza della democrazia. E lo stiamo fallendo, giorno dopo giorno, corteo dopo corteo, silenzio dopo silenzio.

Buon lunedì. 

 

Foto AS

L’ultimo giorno di Gaza, il penultimo respiro

Gaza è viva, respira ancora.
Ha il corpo a pezzi, i capelli bruciati,
gli occhi spenti,
il viso incenerito.
Ma è viva, Gaza è viva.
Respira, sotto una coltre di fumo denso
sotto un cielo di polvere da sparo
piombato sulla terra tutto intero.
Schiacciata da slavine di grandine putrida
lei è viva e respira.
La tiene sveglia la cantilena del pianto
di una bambina sola
che con le dita tremanti
chiude gli occhi a sua madre
esanime a terra
eppure così bella
con quell’azzurro di pupille in un velo di pelle scura.
Danza lenta un ballo da funerale
ma il ritmo lo dà una pentola rovesciata
che ha dimenticato il profumo del cibo
picchiata dal cucchiaio
nelle mani d’un bambino.
Fame secca, sete asciutta, buio crudo
e il sangue e’ un ruscello caldo che scorre tra montagne di macerie
di cemento e carne.
Sul tappeto della preghiera
un vecchio poggia la fronte fredda
e chiude gli occhi in cerca d’istanti di pace.
Il silenzio è pausa fra il precipitare di bombe e attesa di reiterato rumore assordante.
Gaza è attorcigliata
intorno a un minareto crollato
come una kefiah intorno a un collo di donna.
Respira, respira, senti che respira ancora Gaza
nel suo ultimo giorno, il penultimo respiro.

L’autore:Andrea Maestri è avvocato per i diritti umani e autore del libro
Il penultimo respiro di Gaza” edito da Left

Foto AS

Gaza, India, Trump: e noi guardiamo un comignolo

Giovedì sera, ospite di Corrado Formigli, il giornalista – ormai quasi vate – Paolo Mieli ha auspicato una “milizia” coordinata dal papa e dal quasi papa Pizzaballa per “scortare gli aiuti umanitari dentro Gaza”. Qualcuno in studio, da Tomaso Montanari al direttore di Domani Emiliano Fittipaldi, faceva notare come non sia compito dei papi disinnescare il genocidio in atto per mano del governo israeliano. Il governo israeliano, del resto, è grande amico dell’Occidente, non è certo l’ostico Putin. Entrambi i governi – Israele e Russia – sono criminali, ma molta della forza di Benjamin Netanyahu deriva proprio dall’amicizia, ai limiti della collusione morale, con Usa ed Europa. C’è ovviamente anche l’Italia, con tutti i partiti di maggioranza che balbettano vigliacchi, quasi impauriti, inzerbinati ai piedi degli assassini del governo israeliano.

Mieli ha il grande pregio di aver sintetizzato il momento attuale, con la politica sospesa in attesa di un Papa, sperando che il Papa possa fare ciò che la politica non vuole e non sa fare. Poi accadrà, come accade da secoli, che il Papa faccia il Papa – niente più di quello – e la politica al massimo si ritroverà a strapazzarlo per usarlo come clava contro questo o quell’avversario.

Passata la sbronza del conclave che ha farcito il giornalismo da reality – con telecamere fisse per ore su un comignolo e un gabbiano (e un pulcino rivenduto come auspicio) – ci si renderà conto che le persone a Gaza hanno continuato a morire, che tra India e Pakistan si è accesa l’ennesima guerra, che Putin bombarda la tregua, che Orbán sta cacciando gli omosessuali, che Trump concima fame e odio. E a quel punto, sfumata la cerimonia clericale, ci si accorgerà che tocca affidarsi alla politica, questa politica, così pavida e deludente, senza invocare cardinali o papi.

Buon venerdì.

Economia e occupazione, fuori dalla propaganda di Meloni

Il 2 maggio l’Inps ha pubblicato i dati sulla richiesta di Cassa integrazione guadagni relativi ai primi tre mesi del 2025. Viene da dire “finalmente”. Dato che, sotto il governo Meloni, l’Istituto ha cessato di comunicare i dati mensili sugli ammortizzatori sociali. L’ultima rilevazione mensile è stata quella di settembre del 2024. Poi, i dati hanno cominciato a fluire su base trimestrale.
Cosa è successo, dunque, nei primi tre mesi del 2025? In questo intervallo di tempo si è registrata – nell’elaborazione dei dati Inps realizzata, come di consueto, dal Centro studi dell’associazione Lavoro&Welfare – una forte crescita della richiesta di ore di Cassa integrazione. Nel 2025 si rafforza il dato tendenziale di crescita della Cig sul 2024: +30,22%. Tale incremento è concentrato tra la Cig ordinaria, che copre il 52,66% del monte ore complessivo, e la Cig straordinaria, che arriva a coprire un altro 47,12% di tutta la Cig autorizzata nel 2025.

Va ricordato che la media della richiesta negli ultimi 12 mesi si mantiene sopra i 45 milioni di ore al mese, in forte aumento rispetto all’anno precedente.
È bene, qui, ricordare la distinzione tra Cig ordinaria e straordinaria. La prima viene attivata per il verificarsi di condizioni contingenti come mancanza di commesse, fine di un contratto di fornitura, scarsità di materie prime, eventi catastrofici imprevisti, come incendi o alluvioni, o infine, per periodi di manutenzione non ordinaria. La Cig straordinaria, invece, viene attivata nei casi di ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione aziendale.

Ma attenzione: anche in casi di crisi aziendale di particolare rilevanza in un settore o in un territorio e per cessazione vera e propria dell’attività di uno stabilimento o di un’impresa.
La “Nota congiunturale” pubblicata dal Centro studi di Confindustria in aprile osserva che «il Pil italiano è atteso in crescita modesta nel primo trimestre 2025» e «che la situazione mostra segni di deterioramento sia per il terziario che per l’industria».

Frenano i servizi: «Il turismo ha iniziato bene il 2025: +7,1% annuo a gennaio la spesa dei viaggiatori stranieri. Negativi, però, gli altri indicatori per i servizi: a febbraio Rtt (Csc-TeamSystem) segnala un forte calo del fatturato del settore; a marzo, l’Hcob-Pmi, indica un’espansione più moderata (52,0 da 53,0); la fiducia delle imprese si è ridotta in ciascuno dei primi tre mesi del 2025». E, per quel che riguarda l’industria: «A febbraio la produzione è calata (-0,9%), dopo il rimbalzo a gennaio (+2,5%). La variazione acquisita nel primo trimestre è positiva (+0,4%) dopo 5 trimestri in calo. Rtt indica un calo profondo del fatturato a febbraio, l’indice Pmi segnala ancora una flessione a marzo (46,6 da 47,4), il che vuol dire che la fiducia peggiora. I dazi agiranno negativamente principalmente sul manifatturiero».

Confrontiamo queste osservazioni con i dati della produzione industriale diffusi dall’Istat. Ebbene, secondo l’Istituto di statistica, la produzione italiana vede proseguire la flessione che si protrae dal 2023 e, secondo i dati più recenti, relativi al mese di febbraio, prosegue la discesa dell’indice destagionalizzato della produzione industriale: -0,9% rispetto a gennaio, con un calo tendenziale del 2,7% su base annua. Siamo al venticinquesimo mese consecutivo di caduta.

Le tendenze illustrate da Confindustria e Istat confermano l’andamento in crescita della richiesta di Cassa integrazione guadagni. Tant’è che nelle nostre analisi emerge che, oltre al peso crescente dei volumi di ore della Cigo e della Cigs, uno dei fattori della variabilità mensile delle ore è la riattivazione di molti decreti di Cigs – sospesi in precedenza – che tornano ad essere utilizzati dalle aziende. I decreti di Cigs riattivati sono riferiti soprattutto alla causale dei contratti di solidarietà (che comporta una riduzione dell’orario di lavoro): nel 2025, da gennaio a marzo si è trattato di 562 decreti, con una crescita di oltre il 50%.

Vediamo in concreto come si manifestano queste tendenze nel nostro tessuto industriale. Perché è qui che la situazione, di fatto, catastrofica per un Paese industriale come il nostro, si mostra in tutta la sua durezza, a partire dalla filiera dell’automotive. Infatti, fino a marzo, il settore meccanico è quello che richiede più ore: oltre 81 milioni, con un incremento che raggiunge il 52,48%. Segue la metallurgia: oltre 20 milioni di ore, +47,01%; poi, pelli e cuoio, con oltre 12 milioni di ore, +63,99%. A seguire: chimica, oltre 9 milioni di ore, +34,88%; Tessile, oltre 8 milioni di ore, +4,61%; Edilizia, oltre 5 milioni di ore, +8,47%; Legno, oltre 5 milioni di ore, +8,18%.

Tutto questo dimostra come i dati vadano guardati nella complessità che compongono nel loro insieme. Il governo Meloni vanta come un successo la previsione di un modesto incremento del Prodotto interno lordo legata, lo abbiamo ricordato molte volte, a quei settori del terziario come ristorazione e turismo che non possono certo tenere in piedi un Paese che sta, di fatto, perdendo la propria industria. E, nel video diffuso da Palazzo Chigi per il primo maggio, la presidente del Consiglio ha magnificato una crescita dell’occupazione che riguarda, non a caso, proprio quei settori. I quali sono caratterizzati da un basso numero di ore lavorate procapite e da salari assai inferiori a quelli dell’industria.

In attesa dell’impatto dei dazi scatenati dall’Amministrazione Trump, ancora tutto da verificare, ma che già deprime le aspettative delle imprese, la situazione economica di questo Paese, così come quella di tutta l’Europa, è indubitabilmente difficile. E dal governo sarebbe lecito attendersi molta più serietà, completezza dei dati economici ed occupazionali al posto della sola propaganda, e risposte all’altezza dei problemi più urgenti del Paese.

L’autore: Cesare Damianogià sindacalista e parlamentare in tre legislature, è stato ministro del Lavoro ed è presidente dell’associazione Lavoro & Welfare

In foto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni al question time del 7 maggio foto Gov

Meloni vive su Marte, ma governa l’Italia

Giorgia Meloni è tornata in Senato come Alice nel Paese delle meraviglie. Ma il suo racconto al premier time sembra scritto dai fratelli Grimm sotto psicofarmaci: l’Italia cresce, i salari migliorano, il Pil è solido e la giustizia sociale è dietro l’angolo. I dati Istat dicono tutt’altro, ma lei tira dritta: la produzione industriale cala? Colpa dell’ambientalismo. I salari sono fermi? Merito suo se non vanno peggio. Le liste d’attesa in sanità? Colpa delle Regioni, ovviamente.

Meloni annuncia anche che porterà la spesa militare al 2% del Pil. Dieci miliardi da trovare, senza dire dove. Il pane costa troppo? Pazienza, ma le armi non devono mancare. Per i poveri l’ottimismo è una forma di sussidio: basta ascoltare la premier e la fame passa.

Alle opposizioni che le ricordano la realtà, risponde con arroganza: chi non applaude è nemico della patria. Elly Schlein parla di bugie al Parlamento, Giuseppe Conte la paragona a un alieno. Lei, nel dubbio, si vanta persino del gas liquido comprato da Biden, ma rassicura: se torna Trump, non ci torneremo dalla Russia, giura.

Alla fine, la favola si conclude con un pizzico di propaganda sul premierato, un tocco di repressione sui migranti e una carezza al proprio ego. Si vanta del “25% di migranti rimpatriati” con l’accordo Albania, ma sono appena nove persone. E racconta che “quasi tutti” sono autori di reati gravi, senza uno straccio di verifica. Nella fiaba di Meloni l’Italia è un successo, ma fuori dal Senato si fa la fila alla Caritas. E quando finisce l’incantesimo restano solo i dati, la povertà, le code negli ospedali e un Paese che non si riconosce nel suo specchio deformante.

Buon giovedì.

Foto NASA/JPL-Caltech/MSSS