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La grande bugia di Donald il terribile

WASHINGTON, DC - JANUARY 19: U.S. President Donald Trump stands in the colonnade as he is introduced to speak to March for Life participants and pro-life leaders in the Rose Garden at the White House on January 19, 2018 in Washington, DC. The annual march takes place around the anniversary of Roe v. Wade, Supreme Court decision that came on January 22, 1974. (Photo by Mark Wilson/Getty Images)

Erano passate poche ore dalle prime agenzie che battevano l’uccisione di Qassem Soleimani a Baghdad che le azioni delle compagnie militari nordamericane avevano già fatto il salto: Lockheed Martin +3,6%, Northrop Grumman +5,4%, per citarne un paio. Quando c’è odore di guerra, l’industria bellica si frega le mani. E odore di guerra, all’alba di questo 2020, il Vicino Oriente lo sta già respirando.

Il nuovo anno si è aperto con due fronti di conflitto: Libia e Iraq. Ad accenderli due falchi, il presidente turco Erdogan e lo statunitense Trump. Entrambi mossi da interessi di parte, che sia mettere un piede nel basso Mediterraneo per il primo o calcoli economici e di alleanze regionali per il secondo. «Abbiamo agito la scorsa notte per fermare una guerra, non per iniziarla», ha detto il 3 gennaio Trump in conferenza stampa, con il corpo del generale iraniano Soleimani ancora caldo. Il giorno dopo il Pentagono ha annunciato l’invio di altri 3.500 marines in Medio Oriente, mentre i cittadini americani in Iraq – lo staff dell’ambasciata e i dipendenti delle compagnie petrolifere a sud – venivano evacuati in fretta.

Il 5 gennaio Trump faceva l’elenco dei 52 siti «importanti per l’Iran e per la cultura iraniana» che i suoi caccia potrebbero colpire (52 come gli ostaggi americani presi dopo la rivoluzione khomeinista del 1979) e twittava deliri («Gli Usa hanno appena speso 2mila miliardi di dollari in equipaggiamento militare. Siamo i più grandi, i migliori del mondo! Se l’Iran attacca una base Usa, o qualsiasi cittadino Usa, invieremo alcune di queste meravigliose nuove attrezzature!»). Che il tycoon non volesse una guerra non ci crede nessuno, da quando è salito al soglio della Casa Bianca lavora alacremente per trascinare l’Iran in un conflitto.

Non ci credono gli…

L’inchiesta di Chiara Cruciati prosegue su Left in edicola dal 10 gennaio

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L’Italia è Vlady e Filippo

Foto Valerio Portelli/LaPresse 13-05-2019 Roma, Italia Presidio antifascista degli studenti dell' universita La Sapienza Cronaca Nella foto: Presidio antifascista degli studenti dell' universita La Sapienza Photo Valerio Portelli/LaPresse 13 May 2019 Rome, Italy Anti-fascist presidium of the La Sapienza university students News In the pic: Anti-fascist presidium of the La Sapienza university students

Mi è sembrato giusto fare il mio dovere di cittadino, non di militante politico. L’aggressione che abbiamo subito a Venezia intorno alla mezzanotte del 1 gennaio ha avuto una eco superiore a quanto lontanamente immaginassi. Segno che c’è una coscienza diffusa di quanto sia cresciuto in questi ultimi anni un pericoloso rigurgito di estrema destra che miete consensi e recluta giovani. Non è dunque un episodio isolato, ma l’ultimo di una catena lunghissima che ha attraversato piazze, stadi, mass media.

Il neofascismo in Italia è una realtà. Si compone di simboli e di divise, di cori e di riti, di luoghi fisici e di luoghi virtuali. È animato da vecchi e nuovi maestri, ma ha un potente ascendente su frange non marginali di una nuova generazione che va incontro alla politica dei prossimi venti anni con l’armamentario del ventennio del secolo scorso. Ne hanno scritto in tanti, dal capolavoro di Scurati a tantissimi storici, intellettuali e giornalisti che si sono cimentati con la materia, ma non c’è ombra di dubbio che trasformare la paura della perdita di reddito e di lavoro in odio revanscista è il principale mestiere che questa destra sta facendo. Quella extraparlamentare e quella istituzionale, legati insieme da un’indissolubile destino. E che talvolta non esitano a mescolare le piazze, come dimostra Piazza San Giovanni della Lega Nord il 19 ottobre scorso con la presenza esplicita di Casapound e Forza Nuova.

Ma di cosa è figlia questa escrescenza fascistoide? Diciamolo chiaramente: di due fattori precisi, uno contingente, un altro di più lungo periodo. Il primo è…

L’articolo di Arturo Scotto prosegue su Left in edicola dal 10 gennaio

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Come farla finita con i fascisti del terzo millennio

President Donald Trump, accompanied by first lady Melania Trump, stand in the rain as they wait to welcome Greek Prime Minister Kyriakos Mitsotakis and his wife Mareva Grabowski-Mitsotakis before they arrive on the South Lawn of the White House, Tuesday, Jan. 7, 2020, in Washington. (AP Photo/Alex Brandon)

Come farla finita con il fascismo. Abbiamo ripreso il titolo di un volume a cui siamo molto affezionati, che raccoglie scritti dell’azionista e partigiano Ferruccio Parri perché continua a sembrarci fondamentale e più necessaria che mai la sua lezione di antifascista concreto e appassionato, non incline a ideologismi e a liturgie di partito. Il suo slancio nella lotta per libertà e giustizia contro l’oppressione, il suo richiamo alla responsabilità e al diritto-dovere di disobbedire ai regimi tornano in mente in queste giornate in cui la democrazia e la pace sono messe a dura prova da nazionalisti autoritari e irresponsabili come Trump a cui ora plaude Salvini.

Uccidendo il generale iraniano Soleimani in Iraq il presidente Usa ha innescato una serie di pericolose conseguenze che rischiano di far esplodere la polveriera Medio Oriente e che ci riguardano da vicino. Farla finita con il fascismo oggi significa condannare recisamente questo atto di guerra nordamericano che fa naufragare l’accordo del 2015 con l’Iran sul nucleare; significa esigere che il governo Conte II chiarisca quale sia il ruolo dell’Italia e informi i cittadini su come vengono utilizzate le basi Nato nella penisola in questo pericoloso scenario. Farla finita con il fascismo significa dire no alla guerra come stabilisce l’articolo 11 della Costituzione antifascista e pretendere che i soldati italiani tornino a casa. Ma non solo. La lotta contro le nuove forme di fascismo (aperte o striscianti) si gioca tanto sugli scenari internazionali quanto a livello locale e quotidiano, qui e ora.

Farla finita con il fascismo significa non rimanere inerti e indifferenti rispetto alle aggressioni squadriste che impunemente proseguono nei più diversi angoli della penisola, messe in atto da chi si dichiara fascista del terzo millennio. L’ultima in ordine di tempo proprio ad inizio anno, quando il coordinatore di Mdp-Articolo 1 Arturo Scotto, a Venezia, è stato preso a pugni, per aver osato esprimere il proprio pensiero rivolto a una cricca di giovani che stava inneggiando al duce e oltraggiando la memoria di Anne Frank. Dopo il primo piano dedicato alla crisi internazionale, non a caso, abbiamo voluto aprire la storia di copertina con la sua testimonianza. Il fascismo non è una opinione ma un crimine. Lo dice la nostra Costituzione e lo dicono le leggi che condannano l’apologia di fascismo. Vanno applicate. La scuola deve diventare davvero organo costituzionale insegnando la storia.

Negli anni Venti del Duemila non possiamo accettare che la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta al lager e testimone della Shoah, venga fatta oggetto di insulti e che sia colpita con parole d’odio. La commissione contro il razzismo e contro l’antisemitismo da lei promossa al Senato deve poter cominciare a lavorare. Per questo come settimanale Left lanciamo un appello che vede come primi firmatari lo scrittore e giornalista Furio Colombo e il sindaco di Milano Giuseppe Sala, che lo scorso dicembre a Milano ha organizzato una grande manifestazione di sindaci a sostegno di questa straordinaria donna, scrittrice e figura di primo piano della Repubblica.

Farla finita con il fascismo significa rifiutarsi di accettare che rappresentanti delle istituzioni attuino politiche xenofobe e usino parole razziste che alimentano discriminazioni. Non possiamo accettare l’autoritarismo di chi dice «me ne frego», di chi bacia il rosario e lascia i migranti alla deriva, come ha fatto l’ex ministro dell’Interno ora accusato di «sequestro di persona aggravato dalla qualifica di pubblico ufficiale». per il trattenimento a bordo della nave militare Gregoretti di 131 migranti, fra i quali molti minori.

Farla finita con il fascismo significa abrogare i due decreti Salvini che questo governo aveva promesso, quanto meno, di modificare recependo i rilievi del presidente della Repubblica. E ancora: non possiamo accettare il fascismo di provvedimenti repressivi e liberticidi come quelli che hanno portato all’arresto di Nicoletta Dosio, professoressa di greco e latino, pacifista, ora in carcere per un reato di opinione, per aver protestato contro la Tav in nome della tutela dell’ambiente e della qualità della vita degli abitanti della Val di Susa e di tutti. «Davanti all’ingiustizia la resistenza è un dovere» scrive dal carcere ai lettori di Left .

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola dal 10 gennaio

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Stringa forte suo nipote

Ieri è accaduto l’ennesimo omicidio: un bambino di 10 anni si è intrufolato in un carrello di un Boeing 777 che era decollato dalla capitale della Costa d’Avorio per atterrare a Parigi. Il bambino non è sopravvissuto alle rigidissime temperature dovute all’altitudine ed è arrivato morto. L’ennesimo morto mentre cerca il diritto di avere speranza. Muoiono per mare, per terra e per cielo: è una lezione per chi crede di potere fermare le persone quando scappano dalla fame e dal piombo.

La notizia ovviamente ha fatto il giro dei media e dei giornali e quindi anche dei social. Proprio sui social si sono sprecati i soliti commenti di chi vede l’immigrazione come un pericolo per il proprio piccolo cortile. Sono gli stessi che inneggiano a Trump e che poi si stupiranno per i profughi che la guerra in Medio Oriente irrimediabilmente riverserà in Europa. Sono quelli che agiscono e abitano negli spazi ristretti del proprio piccolo cortile assolutamente inconsapevoli della complessità del mondo e infatti non riescono a mettersi in discussione nemmeno per un bambino morto nel carrello di un aereo.

C’è una signora, di una certa età, che ha commentato la notizia scrivendo “ha pensato di farsi rimborsare il biglietto?”. È una signora che nella foto del suo profilo Facebook stringe in braccio una bambino. Scorrendo la sua bacheca si ritrova una donna anziana fiera di essere di destra che pubblicizza la sua pizzeria a Milano, che ci mostra il suo pane fresco e che offende quelli che votano il PD.

Una persona, una nonna, che mette mano alla tastiera per ironizzare su un bambino che potrebbe essere suo nipote e che invece riesce a trattare come oggetto estraneo semplicemente per il diverso luogo di nascita. Ora, sia chiaro, non è lei che ci interessa e non è lei il paradigma di tutti i problemi ma sarebbe curioso sapere cosa spinga una donna così a sputare su un bambino per il gusto di farlo.

Perché in fondo la chiave di questo pessimo momento è proprio nella cattiveria degli insospettabili, che sono poi gli stessi che portano gli impresentabili a poter raccogliere credibilità (e voti) che sono inimmaginabili.

Cara signora Marcella, cosa la spinge ad essere così gretta? Quale disperazione la spinge a desiderare così fortemente la disperazione degli altri? Ci pieghi, davvero.

E stringa forte suo nipote.

Buon giovedì.

Contro il neoliberismo – introduzione

Con questo volume, che fa seguito ad una due giorni di convegno, vogliamo indagare ed evidenziare l’invasività del neoliberismo nella società e nelle politiche sociali: come si è manifestato nel corso del tempo e soprattutto gli effetti che ha prodotto e continua a determinare nelle politiche sociali, scuola, sanità, ambiente, cultura. Partendo dallo stato attuale e andando a ritroso per indagare sul come e il perché siamo arrivati alla situazione odierna, su come sono stati erosi i diritti affermatisi con le grandi riforme degli anni Settanta che avevano alla base l’universalità e il criterio di solidarietà.

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Nella prima parte esaminiamo le politiche sociali nell’era del neoliberismo, studiando come si è arrivati a questa Europa che non ci piace e quali basi nuove dovremmo cercare per una Europa politica futura. In particolare denunciamo le conseguenze negative del pensiero neoliberista sul Sistema sanitario nazionale approfondendo la tematica della salute come bene primario collettivo che non può prescindere dalla fusione tra fisico e psichico.

Nella seconda parte, invece, abbiamo cercato di  affrontare l’invasività del neoliberismo nella scuola, nella cultura, nelle trasformazioni urbane e nel mondo dell’arte, dando voce agli artisti. L’intento è anche quello di cercare e proporre idee nuove che possano orientarci e tirarci fuori da un senso di impossibilità, che ci viene proposto come un pensiero assoluto e immodificabile, come se non ci fossero alternative possibili per la creazione di una società più giusta.

Il punto è contrapporre “la naturale socialità dell’essere umano e la ricerca della conoscenza” all’idea dell’uomo economico, cardine dell’economia neoliberista, che afferma che la società è composta da singoli individui razionali che guardano solo al proprio interesse personale; esseri umani privi di quella parte di vita che invece ci rende tali e che sono i sogni, gli affetti, le relazioni interumane e tutte quelle attività cosiddette “inutili” come le espressioni artistiche e ciò che possiamo riassumere nel “non cosciente” dell’essere umano. Siamo persuasi, invece, che si tratti di una costruzione storica ben precisa e non dell’ultimo orizzonte della storia come qualcuno afferma e vuole imporre.

Ci sarebbe molto da riflettere sul fallimento di un certo ceto politico che ha perso la speranza di trovare una nuova via per realizzare quel progetto di società lasciatoci dai costituenti, fra i quali ebbero un ruolo importante le donne costituenti, che, benché non numerose, furono determinanti per molte questioni. Norme semplici e comprensibili quelle della nostra Costituzione, che indicano la rotta da seguire e che delineano gli obiettivi e i compiti fondamentali della nostra Repubblica:

• rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, dove tutti i cittadini abbiano pari dignità sociale (art. 3);

• riconoscere e garantire i diritti inviolabili degli esseri umani sia come singoli che nelle formazioni sociali ove si svolge la loro personalità (art. 2);

• promuovere lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica; tutelare il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione (art. 9).


* Leda Di Paolo, Associazione culturale Amore e Psiche

In difesa di Rita Pavone

Foto Mario Cartelli/LaPresse27-11-2018 Roma, Italia SpettacoloMaurizio Costanzo Show sesta puntata agli studi VoxsonNella foto: Rita PavonePhoto Mario Cartelli/LaPresseNovember 27th, 2018 Rome, ItalyEntertainementSix episode of tv program Maurizio Costanzo Show at Voxson studiosIn the photo: Rita Pavone

Non amo Rita Pavone, credo di essere fuori dalla generazione che l’ha apprezzata musicalmente e soprattutto non amo le sue idee politiche, le stesse con cui attacca Greta Thunberg definendola “un personaggio da film horror” (con la solita superficialità di chi attacca la persona perché non sa affrontare le sue idee) e le stesse parole con cui si dichiara fieramente sovranista in difesa dell’Italia mentre risiede in Svizzera. Ogni tanto si è lasciata andare anche a un po’ di stupido complottismo: si domandava come mai non ci fossero vu’ cumpra’ sulla Rambla di Barcellona nel giorno dell’attentato. Insomma, non mi piace.

Mi viene però molto difficile pensare che non meriti (lei che fortunatamente fa la cantante e non l’opinionista politica) di andare a Sanremo chi come lei ha inciso dischi in sette lingue diverse per il suo successo nel mondo e chi è tra le otto cantanti italiane che sono riuscite a entrare in classifica in Gran Bretagna. La scelta della direzione artistica di Sanremo (che piaccia o meno) è una scelta del tutto legittima. E poi, dai, non è che Sanremo sia proprio un monumento alla modernità. No?

Non penso che il mondo debba essere popolato solo da persone che piacciano a me poiché non credo di essere il giudice supremo del gusto del mondo. Esprimo le mie opinioni, combatto quelle che trovo sbagliate e rivendico il diritto di disprezzare certi comportamenti ma mi pare davvero un po’ troppo credermi direttore del prossimo Festival di Sanremo. È vero che qui tutti si credono ministri, eh, ma questo è davvero troppo.

Credo anche che tirare fuori Rita Pavone per difendere Rula Jebreal (che merita di essere difesa) sia un giochetto sciocco, il solito trucco di confondere questioni diverse su piani diversi.

Anzi, se devo dirla tutta mi fa anche parecchio sorridere che i passati lottizzatori della Rai ora si lamentino della lottizzazione degli altri. Mi pare molto incauto, ecco. Così mi pare molto di cattivo gusto comporre meme in cui la Jebreal è bellissima e Rita Pavone è colta nella sua posa peggiore, con il tentativo malnascosto di farne un paragone fisico, come faceva Emilio Fede per sputtanare gli avversari politici.

Poi, tra l’altro, mi sembra che ci siano molte cose più importanti per cui spendere energie.

E invece ci sono cascato anch’io, in fondo.

Buon mercoledì.

 

Contro la secessione dei ricchi. Se ne discute a Bologna in vista delle elezioni

Dopo la tappa siciliana del “Laboratorio Sud”, organizzato da Left, transform!italia, Partito della Rifondazione Comunista e Partito del Sud, con l’appuntamento dello scorso 20 dicembre 2019 a Catania e prima di proseguire il tour nel 2020 in altre Regioni del Sud, il 10 gennaio 2020 il Sud-Lab farà una importante tappa a Bologna. Si confronteranno studiosi e giornalisti che da tempo hanno sollevato il problema della Autonomia differenziata, Comitati locali a favore della Salute, dell’Ambiente, della Scuola pubblica e di tutti quegli aspetti su cui l’Autonomia differenziata impatta. In poche parole si analizzeranno tutte o quasi le sfaccettature che la “Secessione dei Ricchi” avrà sulla vita dei cittadini; chi ne beneficerà, pochi, e chi invece ne uscirà stritolato, la gran parte. Ricordo che in Emilia Romagna si voterà il 26 gennaio prossimo e che, purtroppo, la Regione a guida Pd è una delle tre che ha richiesto il Regionalismo differenziato, pur con meno materie richieste rispetto a Lombardia e Veneto, ma con gli stessi rischi, la stessa perniciosità, sia per le classi più deboli sia nei confronti dell’unità nazionale. Si cercherà così di esplorare le svariate problematiche collegate al processo iniziato nel 2001 con la modifica del Titolo V, con l’intento di aggregare i tanti che resistono, al fine di fornire e ricevere idee e soluzioni anche con un confronto diretto e serrato. Non è un caso che Rifondazione comunista e Partito del Sud partecipino insieme alle elezioni regionali nella Lista “L’Altra Emilia Romagna, che vede inoltre la presenza di Pci e Comitati civici: la sola lista che chiede con decisione il ritiro della richiesta di Autonomia differenziata da parte della Regione.

La tappa di Bologna giunge a proposito per ricordare come l’autonomia differenziata non sia solo un progetto contro il Sud d’Italia, ma un vero e proprio disegno neoliberista di privatizzazione su scala nazionale, un attacco micidiale e premeditato contro le classi popolari. La spallata definitiva all’unità nazionale. Non a caso la Lega Nord ha ancora oggi, al primo punto del proprio statuto, la secessione della Padania, cosa che, unita alla mancata cancellazione dei decreti sicurezza da parte di questo governo, porterà in pochi anni al regredire completo dello Stato sociale con la formazione di un vero e proprio Terzo Stato, composto da una moltitudine di salariati precari e senza diritti e impossibilitati a protestare, sia a Nord che a Sud.
Bisogna infatti comprendere che la diseguaglianza sociale è oggi una evidente scelta politica ed è l’architrave su cui si regge tutto l’impianto dello sfruttamento bestiale del Sud, ma anche delle classi più disagiate del Nord. Un Sud visto sempre più e solo come colonia estrattiva e discarica terzomondista. Nemmeno avere, nei fatti, già creato da anni due Italie composte da cittadini di serie A e serie B ha provocato reazione alcuna nei cittadini, il tutto grazie al silenzio, quando non mistificazione, dei media. Ma è ovvio che arrivando “al collo di bottiglia” prima o poi la conflagrazione sarà inevitabile, visto che il panorama politico si sta già avvitando in spirali sempre più concentriche di incertezza, odio e rancore sociali, aizzate ad arte da politici e media che mirano ad alimentare sempre di più la lotta fra poveri. Il tutto convogliato attraverso la costruzione di una mitologia arcaica e a processi psicosociali che alimentano e legittimano disparità e diseguaglianza, facendo apparire come accettabili sperequazioni di stato sociale.
I pregiudizi hanno una importanza fondamentale in questo gioco di specchi, che dura nei confronti del Sud dall’Unità d’Italia, perché legittimano ogni tipo di decisione discriminatoria. Si tende così a far passare come meritevole di rispetto, quasi di discendenza divina, la presenza di una “aristocrazia del denaro”, con una chiave di lettura pseudo calvinista, vista come appartenente ad un ordine universale predestinato. Per cui chi è ricco è perché lo merita, altrettanto dicasi per chi è povero. Così facendo il nemico è solo chi è più povero e sfortunato di noi, lo sguardo, il rimprovero, lo sfottò è sempre rivolto e chi è più in basso. Sono cose già viste al Sud e che fanno parte a pieno titolo anche della “Nuova Questione Meridionale”.
Così facendo e grazie all’assenza dello Stato, che da tempo ha rinunciato alla sua funzione redistributiva e di compensazione sociale, come dovrebbe essere da dettato costituzionale, si è creata una vera e propria oligarchia dei ricchi favorita spesso dalla continuità decennale e familistica con la politica, quasi sempre supportata da privatizzazioni di imprese pubbliche contro l’interesse della collettività, da opacità e contiguità.
L’ultima proposta Boccia sul Regionalismo differenziato, infatti liquida definitivamente tutto ciò che è pubblico, abbattendo i diritti garantiti e sanciti dalla prima parte della Costituzione.
Settori dei poteri economici e finanziari vogliono abbattere lo Stato sociale, farne campo di profitto con privatizzazioni a pioggia. Se infatti viene distrutta l’unità nazionale, con la formazioni di piccole entità regionali, crolla anche l’esigibilità dei diritti universali, che devono valere per tutto il Paese, con diritti uguali per tutti in base al dettato costituzionale.
L’Europa della finanza sta spingendo da tempo in questa direzione. È l’Europa del liberismo più sfrenato e dell’austerity, che poco si interessa dei suoi cittadini se non marginalmente. La Costituzione italiana, con i suoi diritti garantiti, anche se ad oggi poco applicati, è vista come un nemico da abbattere.
Quello che sta accadendo in Gran Bretagna e Spagna ci dà uno spaccato di quello che sta avvenendo sottotraccia in Europa e che potrebbe presto portare al collasso di entità statuali che ci parevano eterne ed immodificabili. Lo stesso vale per il MES, un meccanismo di controllo degli Stati, soprattutto di quelli del Sud Europa..
Chi continua a proporre il Regionalismo differenziato persegue un progetto secessionista ed eversivo dell’unità nazionale e degli interessi del popolo, andrebbe fermato immediatamente. Una forza di sinistra non può che opporsi a questa deriva antipopolare. Chi è d’accordo con queste posizioni così come fanno, governatori secessionisti , parlamentari, intellettuali, gruppi di potere e governi si assume interamente e a futura memoria la responsabilità della possibile e certo non auspicata “balcanizzazione” del Paese. Chi poi asseconda questo progetto partendo da posizioni progressiste di sinistra ha una responsabilità doppia, come in Emilia-Romagna. Imbarazzante poi il balletto di chi da “sinistra” non solo sostiene elettoralmente queste richieste, presentando una lista a favore del presidente Bonaccini sulla base del “voto utile” ad un fronte che predica un antifascismo di facciata, ma è addirittura firmatario in prima persona di risoluzioni a sostegno e definizione della richiesta di autonomia regionale.
In realtà chi si affronta oggi in Emilia Romagna sono solo due facce dello stesso monocolore verde, il rosso è semplicemente scomparso dai simboli dei cosiddetti progressisti, e già questo la dice lunga. La cosa peggiore è che, in questo delirante scenario secessionista, la Lega, ormai nazionale, trova sponde in parte del Pd, come appunto in Emilia-Romagna, dove il presidente Bonaccini si è posto all’inseguimento della Lega su temi di destra e, come detto recentemente da Luciano Canfora in una intervista sul Manifesto: «Anche questo disgusta. Ma come può il Pd pensare di recuperare nel centro-sud con una proposta simile a quella di Zaia».
Sconvolgente poi che nella “Lista del Presidente Bonaccini”, trovi ricovero un imprenditore, rifiutato anche dalla Lega, che pochi anni fa aveva licenziato più di 500 ciclofattorini con un sms. Ci si sarebbe aspettato di vedere in una lista di sinistra uno dei tanti ciclofattorini licenziati, invece…
L’involuzione “genetica” del Pd emiliano è quasi totalmente compiuta, di sinistra non resta molto, solo un lontano ricordo, come ha dimostrato dapprima la mozione del settembre scorso del Parlamento Europeo che ha equiparato nazismo e comunismo, votata da larghissima parte degli europarlamentari Pd, e pochi giorni fa l’improvvido documentario per le scuole ad opera del Comune di Reggio Emilia su Nilde Iotti, dove non si pronuncia mai la parola o l’appartenenza comunista da parte sua o di Togliatti. Ennesima offesa a storia e memoria.
Ma dicevamo dell’impatto delle politiche di rigore e neoliberiste al Nord, sede della prossima tappa di Bologna. Dobbiamo considerare infatti che nella sola Lombardia ben 200mila famiglie si trovano in condizione di povertà assoluta (Rapporto Polis 2019) in gran parte le stesse che vivono nelle case popolari. Edifici quasi sempre fatiscenti con all’interno famiglie composte spesso da pensionati, malati e disabili. Le abitazioni non sono solo in periferia, ma anche a pochi chilometri dal centro. Parti di città che mostrano l’altra faccia della medaglia di quella che è presentata come la capitale della moda, del benessere, del design, ma che nasconde in sé anche una città composta da persone che faticano ad arrivare a fine mese, quando va bene.
Inoltre, solo per restare agli ultimi giorni apprese dai quotidiani, drammatica la situazione di Torino, dove raddoppiano i senzatetto: la metà sono italiani cinquantenni, con il Servizio Adulti in difficoltà nel reperire nuovi posti letto. Oppure quello che sta accadendo in Friuli Venezia Giulia, Regione da sempre considerate ricca e virtuosa ove come scrive Il Gazzettino: «La spesa sanitaria elevata è dovuta anche al ricorso alla sanità privata per ottenere prestazioni in tempi contenuti. La questione dei tempi di attesa per l’accesso alle prestazioni sanitarie regionali viene studiata da oltre un decennio con il risultato che la maggior parte delle famiglie sostiene spese di tasca propria per l’acquisto di almeno una prestazione sanitaria specialistiche, analisi del sangue, esami specialistici. Ma c’è chi proprio non ce la fa e rinuncia: il 3,5% delle famiglie del Fvg è costretto a dire no alle spese per i consumi sanitari, rischiando di ledere il proprio stato di salute».
Se questa è la situazione di Milano o di Reggio Emilia, dove vi sono molte similitudini con quanto descritto per la “capitale morale “, come dimostrato nei giorni scorsi da una inchiesta della “Gazzetta di Reggio”, figuriamoci la situazione nel Mezzogiorno dove la percentuale della popolazione in povertà fra assoluta e relativa è intorno al 40%, dove infatti l’aspettativa di vita si sta già da qualche anno progressivamente riducendo.

Il tutto ovviamente occultato da media complici, che anzi eleggono pochi giorni fa Milano come la città italiana dove vi è “la più alta qualità della vita”. Il non detto è che a Milano puoi vivere benissimo, ma ovviamente solo se sei a dir poco benestante. Ecco perché intendere l’Autonomia regionale solo come un contrasto Sud/Nord, sarebbe riduttivo, trattandosi di un progetto neoliberista, con profonde radici europee, che mira alla privatizzazione progressiva e pervasiva di tutto ciò che oggi è inteso come welfare, sia a Nord che a Sud, a danno delle classi più deboli, che come visto sopra, che già oggi si ritrovano impoverite dalla “crisi” dell’ultimo decennio e che domani, una volta privatizzata la sanità, avranno difficoltà anche a curarsi.
Una situazione per il Mezzogiorno causata dal fatto che «negli ultimi dieci anni c’è stata una perequazione alla rovescia», come da parole del presidente Svimez Adriano Giannola pochi giorni fa audito alla Camera. La certificazione che il Meridione ha lasciato sul campo, a tutto vantaggio del Nord, una parte rilevante, di parecchie decine di miliardi di euro, delle risorse destinate a finanziare gli investimenti pubblici nell’area più svantaggiata del Paese.
Tutti fattori che, uniti alla riproposizione del Regionalismo differenziato senza definizione dei Lep, aspetto che già da un decennio costano al Sud mancati investimenti (che vanno al Nord) per 61,3 miliardi di Euro l’anno ci fanno ben capire come ci sia una precisa volontà nel condurre una lotta senza quartiere ai più poveri deprivandoli di welfare e servizi a solo vantaggio dei soliti potentati economici.
Ecco perché l’appuntamento di Bologna è molto importante, a pochi giorni dal voto, per approfondire i tanti temi del contrasto al neoliberismo spinto, al fine di ingenerare una riflessione che possa auspicabilmente portare ad una riconsiderazione del tema nel vero interesse di tutti i cittadini.
A tal fine saranno invitati tutti i candidati presidenti alla Regione per un confronto ed un approfondimento sul tema.

Non riuscite nemmeno a pronunciare la parola «pace»

Immaginate di essere in ufficio, stamattina, a discutere di quel folle di Trump, delle nefandezze di Soleimani, della guerra che si sta accendendo, dell’ennesima prova di esportazione della democrazia che altro non è che un turpe calcolo utilitaristico sulla prossima campagna elettorale e sui proventi dei signori della guerra e immaginatevi mentre ribadite che l’Italia ripudia la guerra e che il fine della politica internazionale sia la pace. Provate a pronunciare la parola pace, in queste oree notate come venite guardati di sbieco.

Immaginate di raccontare a qualcuno che c’era in giro un tizio sconveniente, probabilmente un assassino, che non riuscivate proprio a sopportare, che non avevate voglia di affidare ai normali meccanismi della giustizia e della diplomazia e che sotto le feste l’avete fatto saltare in aria. Pensate di dichiararlo al mondo e di riceverne applausi.

La grandezza (feroce e vergognosa) della guerra è che l’attacco militare è solo un piccolo scorcio della grande operazione che viene messa in atto: fare la guerra significa violentare il dibattito internazionale facendo perdere di vista i valori generali e costringendo tutti ad occuparsi solo di aspetti particolari. Si discute se sia stato il momento giusto per fare saltare in aria un uomo trasformando una nazione in una polveriera e sono rarissimi quelli che si rifiutano di intrufolarsi nella discussione inquinata chiarendo che no, non è mai il metodo giusto.

Ci si fa confondere con un attacco travestito da legittima difesa e si ascolta il presidente Usa dichiarare che non sopporterà attacchi nemici anche se, a ben vedere, nell’ottica distorta della guerra sarebbero una difesa.

Diceva Lutero: «La pace è più importante di ogni giustizia; e la pace non fu fatta per amore della giustizia, ma la giustizia per amor della pace». Ogni volta che la leggo mi sembra illuminante. Questi non hanno nemmeno il coraggio di pronunciare la parola “pace”. Stanno così: a grufolare tra le ghiande che ci hanno messo a disposizione per illuderci di decidere.

E mi viene una malinconia per il pacifismo, per quello che è stato e per i grandi interpreti che ha avuto. Chissà quando ci accorgeremo dei danni culturali che il cattivismo ha provocato.

Buon martedì.

Omicidio Soleimani: il video dell’attacco in diretta NON è il video dell’attacco in diretta

Su Huffingtonpost.it è stato pubblicato “un video dello strike che ha ucciso il generale iraniano Soleimani ad opera degli Stati Uniti venerdì scorso, nei pressi dell’aeroporto internazionale di Bagdad”. Stando a quel che si legge nell’articolo, il video è stato intercettato nei “social media arabi insieme a materiale fotografico del luogo dell’attentato nell’immediatezza dell’attacco” e il materiale – “video e foto” – è “già stato sottoposto all’analisi dell’intelligence”. Ebbene, secondo Huffingtonpost.it “il filmato documenterebbe il momento il cui drone aggancia l’obiettivo, il pulmino dove viaggiava il bersaglio”. Ma dalle foto appare evidente che il video riprende un luogo diverso. Attorno alla macchina colpita dal drone che filma la scena ci sono delle case e un muro, mentre nelle foto si vede chiaramente che da un lato della strada c’è un muro e dall’altra parte alcune palme e nessuna abitazione. La differenza risulta notevole anche in base a un altro video pubblicato sempre da Huffingtonpost.it


I mille volti del Gansu

Nella regione del Gansu terminano le estremità occidentali della muraglia cinese, il limite estremo dove inizia l’immenso altopiano del Tibet e a nord il deserto dei Gobi. Gli antichi viaggiatori diretti ad oriente, si lasciavano alle spalle il deserto del Taklamakan e lungo il corridoio del Gansu raggiungevano l’attuale Lanzhou e poi proseguivano per le grandi città imperiali.

Sulle rive del Fiume giallo, Lanzhou si conquistò l’appellativo di città dorata grazie alla prosperità dei suoi commerci e alle ricchezza di materie prime. Ancora oggi è un hub strategico per commercio e trasporti ed un enorme polo nell’industria pesante, nel tessile, nella raffinazione e nel petrolchimico.

Uno skyline di grattacieli, gru e ciminiere. Eppure poche centinaia di chilometri sono sufficienti per abbandonare completamente l’area urbana e catapultarsi ad oltre tremila metri in remoti villaggi popolati da monaci, studenti, pastori, nomadi e gli Hui, antica popolazione mongola/turca di fede musulmana. Terre selvagge, autentiche e dal fascino immutato.

La Via della seta non fu solo scambi commerciali, fu mescolanza di ideologie e credenze, contaminazione e diffusione di filosofie e culti. Fu così per…

Il reportage di Sandro Montefusco prosegue su Left in edicola dal 3 gennaio

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