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Nell’abisso della disumanità

"Restiamo Umani (We remain Human)" network activists are chained to the entrance of the Ministry of Infrastructure in solidarity with migrants in Rome, Italy, 11 July 2018. ANSA/VINCENZO TERSIGNI

Forse il decreto sicurezza bis poteva essere approvato al Senato senza bisogno del voto di fiducia. La maggioranza a Palazzo Madama è labile; alcuni senatori del M5s avevano manifestato contrarietà al decreto ma poi non hanno avuto il coraggio di un voto contrario e sono usciti dall’aula. Il “soccorso nero” di Forza Italia e di FdI poteva giungere evitando di dover blindare il decreto su cui pesavano 1.240 emendamenti. Il ministro dell’Interno ha voluto la prova di forza. Il risultato, nella serata di lunedì 5 agosto, è stato di 160 voti favorevoli, 57 contrari, 21 astensioni (FdI e Svp) che in tal modo hanno appoggiato il governo, e poi c’è la non partecipazione al voto di Forza Italia, utile a non abbassare il quorum per marcare una posizione. Lo scenario potrebbe riproporsi presto, con una maggioranza sul filo di lana. Il dl presentato senza relatore, (in assenza del parere della commissione Bilancio, la Affari costituzionali non ha potuto votare gli emendamenti, ennesimo oltraggio al Parlamento), aveva subito alla Camera modifiche peggiorative. Si pensi all’articolo 2 in cui, esasperando le sanzioni si afferma che «in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane, salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, si applica al comandante della nave la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 150.000 a euro 1.000.000. La responsabilità solidale … si estende all’armatore della nave. È sempre disposta la confisca della nave utilizzata per commettere la violazione, procedendosi immediatamente a sequestro cautelare».

L’utilizzo del termine «responsabilità solidale» fa rabbrividire ma l’applicazione stessa dell’articolo costituirà motivo di contesa giuridica. È di pochi giorni fa il dissequestro della Mare Jonio di Mediterranea. La procura di Agrigento non ha ritenuto valido fermare l’imbarcazione che ha agito in nome delle convenzioni internazionali sovraordinanti le leggi dello Stato. Ma col decreto, in caso di «sequestro inoppugnabile» l’imbarcazione requisita potrà essere, se considerata inutilizzabile, distrutta dopo due anni dal provvedimento. Va ricordato, per distribuire equamente le responsabilità politiche, che l’emendamento che prevede la confisca è stato voluto dal M5s, del resto il senatore Elio Lannutti, esponente del Movimento, non ha esitato a citare Marx in salsa sovranista per motivare la condivisione di tali normative. L’articolo 4 prevede invece il potenziamento delle operazioni di polizia sotto copertura anche con riferimento alle attività di contrasto del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in accordo con operatori di polizia di Stati con i quali siano stati stipulati appositi accordi per il loro impiego nel territorio nazionale. Tre milioni di euro a disposizione in 3 anni. Questo apre la strada a una gestione di fondi assai opaca e sovranazionale. Si insiste su un potenziamento dei presidi di polizia, rendendo più agevole il reperimento di locali idonei alla ridefinizione dei compiti degli agenti mentre, nell’articolo 9 (comma 1.1) emerge l’int…

L’inchiesta di Stefano Galieni prosegue su Left in edicola dal 9 agosto 2019


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La politica del tempo

Il 5 agosto 2019 sarà una data da ricordare. Per la prima volta il parlamento italiano ha approvato una legge, il decreto sicurezza bis, che di fatto spinge chiunque si trovi in presenza di naufraghi, ossia persone in difficoltà in mare, a lasciarli al loro destino. In altre parole, è stata approvata una legge che autorizza l’omissione di soccorso e la conseguente strage eventuale.
Cosa deciderà di fare un peschereccio che si trovi ad intercettare una richiesta di soccorso da un barcone di disperati?
Cosa farà un mercantile di passaggio nel mare libico avvistando un gommone semiaffondato e carico di donne e bambini?
Il ministro dell’Interno potrà decidere, a sua completa e insindacabile discrezione, se autorizzare l’imbarcazione che ha salvato i naufraghi ad entrare in un porto italiano oppure no.
Viene violato in maniera sfacciata il principio di uguaglianza stabilito dalla Costituzione. Il ministro dell’Interno stabilisce chi è “uguale” e può essere salvato e chi no e non doveva essere salvato. E quindi lasciato morire.
Il ministro dell’Interno farà il portiere. Chi entra e chi non entra nei porti.

Dovremo assistere all’omicidio di chi tenterà comunque di attraversare il canale di Sicilia e non troverà nessuno che potrà o vorrà salvarlo… non sarà più reato l’omissione di soccorso?
Certamente le partenze dalla Libia continueranno. Perché non si sono mai interrotte anche in assenza di navi di soccorso. Perché ogni barca che parte ha l’obiettivo di arrivare in Italia (e alcune in effetti ci riescono) e non di raggiungere una nave di soccorso. Perché chi si imbarca sa benissimo di rischiare la vita e malgrado ciò si imbarca lo stesso ben sapendo delle centinaia di altri che sono morti in mare.
Il nostro ministro dell’Interno non si rende conto perché è accecato dal culto di se stesso. È molto orgoglioso della sua politica che fa morire persone in mare. Sono danni collaterali che evidentemente lui accetta e anzi sostiene pensando evidentemente che fare politica sia come fare la guerra.
Obbliga chi va per mare a commettere omissione di soccorso che in molti casi diventa, purtroppo, strage. Questa è la verità del decreto sicurezza. Una legge che sanziona chi evita le stragi in mare.
Un cortocircuito mentale assurdo che parte da un pensiero completamente errato: quello dell’invasione e della conseguente sostituzione etnica.
Questo sarebbe il reale motivo della chiusura delle frontiere. Si delimita lo spazio. Si alzano muri per non far passare fisicamente le persone. Non devono venire qui. Nella nostra terra nel nostro spazio. Perché altrimenti ci sostituiscono. Anche se non si capisce che vorrebbe dire sostituzione. Forse i sovranisti pensano a L’invasione degli ultracorpi in cui invasori alieni si sostituiscono alle persone replicandole perfettamente tranne che per una completa assenza di sentimenti?

Giuseppe Genna in un articolo dell’espresso del 30 luglio scorso fa riferimento ad Hobbes per dire che la politica moderna è geometria. Per ricostruire la sinistra bisognerebbe quindi trovare una terza dimensione spaziale che superi la codificazione spaziale “destra-sinistra” senza annullarla.
È sicuramente una suggestione molto affascinante ma io credo che bisogna cogliere quello che c’è dietro a questa immagine della politica come geometria.
La geometria è ciò che serve a definire e misurare lo spazio e a rendere con la matematica le relazioni spaziali tra gli enti che esistono nello spazio. Quindi non è tanto che la politica è geometria. Ma è più interessante pensare che la politica moderna, secondo la definizione di Hobbes, si occupa della gestione dello spazio e di ciò che nello spazio esiste. Ovvero della realtà materiale non umana. Di tutto ciò che è fuori di noi. In altre parole, la politica si occupa principalmente dei bisogni. Di ciò che è materiale. Dove la parola materiale va intesa come tutto ciò che non è umano.
E allora l’essere umano dove lo mettiamo? Certamente ha necessità materiali, ovvero bisogni. Ma tutti sappiamo perfettamente che i bisogni non esauriscono ciò che l’essere umano cerca e vuole. Significa avere una visione molto limitata della vita umana pensare che essa realtà si esaurisca nella soddisfazione dei bisogni.

Visto in questo modo ciò che manca nella politica è banalmente l’idea del tempo. Tempo che deve essere necessariamente riferito all’essere umano.
Tutti gli esseri umani, tutti noi, abbiamo un tempo. Siamo nati, viviamo per un tempo più o meno lungo e poi moriamo. Nessuno è immortale. Nessuno non è nato.
Con la morte scompare il pensiero ma non il corpo. Il corpo di un essere umano prima di scomparire del tutto impiega migliaia di anni. Il pensiero invece scompare istantaneamente.
Il pensiero compare alla nascita nel corpo del feto che proprio per questa comparsa non è più feto e diventa bambino. Il feto non esiste più, quel corpo scompare per sempre e compare un essere umano. Essere umano che per il tempo della sua vita sarà corpo e mente.
Fino appunto alla morte, che è il termine del funzionamento del corpo che ha, come conseguenza, la scomparsa del pensiero.
Tutti gli esseri umani hanno una biologia simile tra di essi. Ma sono tutti diversi tra loro. La sequenza del Dna di ogni persona attualmente vivente sulla terra è unica e questa determina caratteri somatici del tutto irripetibili. Ma questo è vero non solo nello spazio ma anche nel tempo. Tutti gli esseri umani vissuti sulla terra dalla comparsa dell’homo sapiens ad oggi hanno Dna diverso tra di loro. Non esistono due esseri umani uguali (con l’unica eccezione evidente dei gemelli monocoriali).

Data questa ineliminabile diversità fisica cosa è ciò che ci rende tutti uguali?
Ciò che ci rende tutti uguali è la dinamica psichica della nascita, scoperta da Massimo Fagioli nel 1970 e teorizzata in Istinto di morte e conoscenza.
Molto sinteticamente essa dice che il pensiero compare alla nascita per la reazione della sostanza cerebrale della retina dell’occhio allo stimolo assolutamente nuovo della luce. Questo stimolo fisico (la luce) sulla sostanza biologica (la retina) determina una reazione che è un pensiero di non esistenza dello stimolo stesso. Ma questo pensiero di inesistenza non è assoluto. L’esistenza materiale della biologia del corpo del feto, che proviene dalla stasi del liquido amniotico, fa si che il pensiero di inesistenza del mondo diventi una fantasia di esistenza di se stesso in rapporto con un altra realtà di essere umano simile a se stesso.
Possiamo dire che ciò che fa l’uguaglianza non è una dinamica spaziale (la realtà biologica del corpo, diverso per tutti) ma è una questione temporale (la dinamica di comparsa della mente, uguale per tutti alla nascita).
Ciò che manca alla politica è allora la comprensione che essa deve riguardare sia lo spazio che il tempo. Non è quindi una semplice questione di trovare una terza dimensione spaziale. Ma è che bisogna trovare una quarta dimensione temporale.
Allora ora forse possiamo ipotizzare quello che in realtà è la paura nascosta in quella che viene chiamata “sostituzione etnica”.
Il nostro tempo è limitato.

Tutti siamo destinati prima o poi a non essere più. Ci saranno altri che vivranno la loro vita e il loro tempo. Vedendola in modo distorto, in maniera spaziale, viene fuori un concetto di “sostituzione”. Noi saremo “sostituiti” da altri, saremo “rimossi e sostituiti”.
In realtà non c’è alcuna sostituzione. È soltanto la realtà della vita che ha un inizio e una fine.
Volendo usare questa brutta parola è quindi in qualche modo una “sostituzione temporale”.
Chi pensa alla “sostituzione etnica” sono allora quelli che pensano di essere eterni. Pensano che il tempo non esista. Hanno paura della morte. Della loro propria morte che in realtà è la morte del pensiero.
Hanno un pensiero razionale che non ha nessuna possibilità di comprendere che la vita non si svolge solo nello spazio ma anche nel tempo.
Un tempo nel quale, ogni istante può essere una nuova nascita nella misura in cui riusciamo a realizzarci nel rapporto con gli altri. E la realizzazione può essere qualcosa che riesce ad essere oltre ai limiti del tempo e a vincere il tempo e la morte nella misura in cui crea qualcosa che può rimanere oltre i limiti della propria vita.
Se si accetta la propria nascita si accetta anche la propria morte. Si accetta la propria esistenza nel tempo.
Altrimenti si vivrà come dei morti che fanno morire gli altri. Non sono riusciti a vivere perché hanno annullato il tempo e credono che l’essere umano sia soltanto spazio.
Essi sono in verità gli ultracorpi da cui dobbiamo difenderci.

L’editoriale di Matteo Fago è tratto da Left in edicola dal 9 agosto 2019


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Il giro del mondo in 15 reportage

SOMMARIO

Introduzione di Simona Maggiorelli

Rwanda, la rinascita al femminile del Paese delle mille colline di Martina Di Pirro • da Kigali

Polveriera Sahel di Giacomo Zandonini • da Tillabéri, Niger

Sudan, si alza il vento della rivolta di Antonella Napoli • da Khartoum, Sudan

Depredati a casa loro di Lorenzo Giroffi e Giuseppe Borello • da Dakar, Senegal

Tra i pescatori di Zarzis che respingono gli xenofobi di Giulia Bertoluzzi • da Zarzis, Tunisia

Le note dell’Intifada musicale di Chiara Cruciati • da Betlemme, Palestina

I desaparecidos del Paese dei cedri di Roberto Prinzi • da Beirut, Libano

Oltre la fine della guerra di Laura Silvia Battaglia • da Sana’a, Yemen

Benvenuti nel regno ultranazionalista di Kusturica di Luca Leone • da Višegrad, Bosnia

Prigionieri dell’Europa sull’isola di Lesbo di Valerio Cataldi • da Lesbo, Grecia

Il sapere è la libertà delle donne di Marina Lalovic • da Karachi, Pakistan

«Democracy and freedom», l’utopia degli studenti di Tienanmen di Mah Sileih • da Pechino, Cina

L’incubo degli sfollati di Marawi di Matteo Miavaldi • da Iligan, Filippine

Un selfie nel cuore dell’Amazzonia di Angelo Ferracuti • da Manaus, Brasile

Nella casa dei libri di Saramago di Shady Hamadi • da Lanzarote, Spagna

ACQUISTA IL LIBRO
 

 

“Him”, Maurizio Cattelan (2001)

“Him”, Maurizio Cattelan (2001)

Rapinatori di democrazia

Luigi Di Maio e Matteo Salvini in un'immagine ripresa a Roma, 8 luglio 2019. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Che Paese sarà l’Italia nel caso si dovesse davvero arrivare al taglio dei parlamentari che potrebbe essere l’ultimo atto del moribondo governo giallonero? Una riforma costituzionale che taglierebbe il 36,5% dei parlamentari e che si aggiunge solo per citarne alcuni ai due decreti “sicurezza”, ai tagli al finanziamento dei giornali e, se ci dovesse essere tempo, alle insidie del salario minimo per la tenuta dei contratti collettivi di lavoro. Sembra per ora scongiurata l’autonomia differenziata ma a mettere insieme i pezzi si compone comunque il puzzle impressionante della più grande rapina del secolo. Una rapina di democrazia. «Stiamo assistendo a uno scivolamento da un modello fondato sullo Stato di diritto alla cosiddetta democrazia autoritaria in cui permangono forme apparentemente democratiche, ma svuotate di contenuto», denuncia Federico Fornaro, di Mdp-Articolo1, capogruppo di Liberi e uguali (Leu) in commissione Affari costituzionali della Camera. A seguito della modifica costituzionale muterà il numero medio di abitanti per ciascun parlamentare eletto. Per la Camera da 96.006 a 151.210. Il numero medio di abitanti per ciascun senatore cresce, a sua volta, da 188.424 a 302.420. Il dato più alto d’Europa, secondo un dossier del 29 luglio curato dai servizi studi di Camera e Senato.

Considerato uno dei massimi esperti di sistemi elettorali, Fornaro ha appena compiuto una simulazione degli effetti della riforma Fraccaro (in realtà copiata pari-pari dal ministro M5s da un precedente testo del forzista Quagliarello) svelando le distorsioni della rappresentanza. Se alla Camera l’attribuzione dei seggi avviene su scala nazionale, e si ridurrà proporzionalmente per tutti, al Senato dove i seggi sono distribuiti a livello regionale, l’effetto sarà quello di uno sbarramento implicito nei collegi uninominali che toccherà il 33% in Abruzzo, Liguria, Marche e Sardegna, del 25% in Basilicata dove il taglio degli eletti sarà del 57%. Una regione come la Liguria, da 8, eleggerà solo 5 senatori, uno ogni 314.139 abitanti e il Piemonte da 22 passerà a 14 con soli 5 collegi su 8 provincie. «Se è vero che la democrazia rappresentativa è malata, siamo all’11% di fiducia nel Parlamento, invece di curare la malattia avvicinando l’elettore all’eletto, si fa l’esatto contrario», avverte Fornaro. Crescerà il peso dei grandi elettori nell’elezione del presidente della Repubblica e, a Rosatellum vigente, i partiti intermedi non riusciranno a eleggere in metà delle regioni. Se si fosse votato un Parlamento “riformato” assieme alle europee, la Lega avrebbe sfiorato la maggioranza assoluta (da 42 a 44 senatori, da 76 a 93 deputati) mentre i pentastellati, per i quali il pacchetto Fraccaro sarà un harakiri, da 225 deputati sarebbero crollati a 54 e da 111 senatori a 28, una cura dimagrante che avrebbe colpito anche Forza Italia e, in misura minore il Pd. «Inoltre – continua Fornaro – non c’è alcuna prova che, in un sistema bicamerale paritario, un minor numero di senatori possa fare lo stesso lavoro della Camera. E il peso del singolo senatore diventerebbe più importante e più esposto a pressioni esterne, alle lobbies. L’unica è che non si raggiunga in ultima lettura la maggioranza assoluta e dipenderà dalla tenuta della maggioranza e dagli “aiutini” esterni di Fdi che è una stampella, come fu Verdini per Renzi».

Anche Erasmo Palazzotto, deputato di Sinistra italiana e tra i promotori della piattaforma Mediterranea, punta l’indice sullo «svuotamento della funzione parlamentare grazie al contratto di governo, con il Parlamento che può solo ratificare norme già concordate dai due partiti di governo. In aula dibattiti compressi e una riforma della Costituzione che rischia di essere approvata in tempi strettissimi. Una dimensione per cui le istituzioni…

L’inchiesta di Checchino Antonini prosegue su Left in edicola dal 9 agosto 2019


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Libri al rogo. Ancora

A file photo, dated July 15, 2019, of Turkey's President Recep Tayyip Erdogan. (ANSA/AP Photo/Lefteris Pitarakis) [CopyrightNotice: Copyright 2019 The Associated Press. All rights reserved]

Se vi serve qualche nuova immagine per raccontare l’aria mefitica che si annusa in giro potete raccontare che l’indicibile continua a accadere senza che in troppi se ne accorgano, come se fosse una cosa da niente, tutto normale. Abbiamo passato decenni a fingere contrizione per i roghi di libri organizzati nel 1933 dai tedeschi che bruciarono tutto ciò che non era in linea con l’ideologia nazista, li abbiamo visti nei film, nei documentari, li abbiamo guardati con la certezza che una mostruosità del genere non potesse più accadere e invece il passato è già qui, ha la faccia del premier turco Erdogan e contiene la stessa spinta repressiva di chi non sapendo controbattere alle tesi dei suoi avversari decide di instaurare il silenzio e di chiamarlo libertà.

Scrive The Guardian che il governo turco avrebbe bruciato qualcosa come trecentomila libri negli ultimi tre anni perché ritenuti vicini alle tesi dell’oppositore politico di Erdogan, Fethullah Gülen – questo ha dichiarato il ministro dell’Istruzione Ziya Selçuk – e sono molte le associazioni umanitarie che raccontano della chiusura di almeno ventinove case editrici considerate nemiche del governo e del premier.

Ovviamente non ci è dato di sapere secondo quali criteri si sia deciso di mettere i libri al rogo (del resto in democrazie storpie come quella turca è il buonsenso del capo a dettare le regole) ma nel dicembre del 2016 un giornale turco scrisse che almeno un milione e 800mila libri di scuola erano stati ritirati perché contenevano la parola “Pennsylvania” che è lo stato americano dove Gülen vive da alcuni anni in esilio volontario.

Del resto parliamo della stessa Turchia che dopo il tentato golpe ha iniziato una serie di farneticanti ronde per arrestare presunti attentatori alla sicurezza nazionale tra politici, giornalisti, intellettuali e liberi cittadini. È la stessa Turchia che ha ormai cancellato la libertà di stampa lasciando spazio solo alle opinioni perfettamente allineate a Erdogan. È la stessa Turchia, sì proprio quella, che il nostro ministro dell’Interno ha indicato come buon alleato per l’Italia nello scacchiere europeo.

E chissà se abbiamo gli anticorpi per sapere leggere un fatto del genere.

Buon giovedì.

Più tutele per tutti con un contratto europeo

Prima di essere modificata geneticamente dagli accordi di governo gialloverdi la parola «contratto» parlava subito di lotte sindacali. Ad essere sinceri la parola ha potuto essere abusata anche perché l’uso proprio si è andato indebolendo purtroppo nel corso degli anni (decenni) in cui la lotta di classe si è rovesciata a favore dei padroni e anche i contratti lo hanno registrato.

L’Europa come modello sociale era stata costruita proprio grazie alle conquiste contrattuali. Ancora di più lo era stata l’Italia proprio come forma unitaria e costituzionale. Invece nell’Europa reale, incredibilmente opposta a quella sociale, il lavoro tutelato dai contratti viene solo evocato ma un vero livello di contrattazione collettiva, che, per altro, sarebbe quanto mai funzionale alla tanto declamata armonizzazione, a livello europeo non è previsto. Infatti quando Ursula von der Leyen deve “chiamare” il voto grillino, ma anche di molti liberali e socialisti, nel suo discorso di presentazione a Strasburgo evoca una cosa diversa come il salario minimo europeo.

La presidente della Commissione europea, in realtà, evoca il riferimento ai contratti. Ma per capire meglio le intenzioni e i problemi sarà bene richiamare una parte, assai meno ripresa, del suo discorso, in cui parla di una assicurazione europea sulla disoccupazione. Di cosa si tratta? E che relazione ha, visto che viene richiamata insieme, col salario minimo? Che per essere tutelati dalla disoccupazione bisogna pagarsi una assicurazione privata?

Visto il…

Una questione di umanità

Siamo sulla meravigliosa costa ionica della Calabria a Caulonia con Mimmo Lucano, a pochi km da Riace, dove da ottobre vive in esilio forzato per via dell’inchiesta che si è abbattuta su di lui e sul modello ventennale di accoglienza che è riuscito a sviluppare in questi luoghi, studiato ed apprezzato in tutto il mondo civile. Il processo assorbe ogni suo pensiero e la preoccupazione è palpabile, vive lontano dalla sua casa, dalla sua famiglia, non è più sindaco e non può lavorare, ma Lucano tiene a ribadire:

«Ho perso tutto, rifarei tutto».

Anche perché in buona sostanza, cosa ha fatto?

Quando delle persone sono in pericolo di vita come si può non aiutarle? Sarebbe inaccettabile fare il contrario. Per questo dico che per es. Carola Rackete, come fece Impastato contro la mafia, ha trasmesso un messaggio universale di umanità con la sua resistenza a Salvini. In questo siamo simili. Entrambi siamo stati accusati del reato di umanità. Io l’ho commesso sulla terra, lei in mare.

Dopo due anni di intercettazioni telefoniche e ambientali, riscontri sui conti correnti e tanto altro non è stato trovato nulla che potesse provare un suo arricchimento nella gestione dello Sprar di Riace, comune di cui è stato sindaco per tre mandati.

Il gip stesso ha detto che non ho preso una lira. E la Cassazione ha messo nero su bianco che in relazione ai reati che mi hanno contestato (matrimoni combinati, turbativa d’asta etc, ndr) ho agito per fini moralmente apprezzabili e come prevede la legge. Per questo ha chiesto di revocare le misure cautelari che mi tengono in esilio. Ma, cosa mai successa, la procura non ha tenuto conto della Cassazione. Posso dire che c’è un accanimento? Per di più io non sono più sindaco, come posso reiterare il reato?

Già, perché c’è questo accanimento? Cosa rappresenta Riace?

Io sono un militante come tanti, non sono io che faccio paura. Penso che Riace faccia paura a quei partiti che hanno fondato il loro potere sulla battaglia alle Ong e al mondo dell’accoglienza, perché dietro c’è una precisa progettualità politica. Le persone che arrivano sono i nuovi proletari, l’accoglienza è il prodotto di un’ingiustizia del mondo: c’è dunque un’idea politica di costruzione di una società diversa e dell’accoglienza che è antitetica a quella di una società che crea nuovi schiavi. Io penso che questa idea sia stata recepita da tanti e che però sia anche la causa della vicenda giudiziaria che mi riguarda.

Lei conosce la sua terra ed è sempre stato consapevole dei rischi che correva portando avanti il suo progetto.

Le norme sull’accoglienza dei richiedenti asilo impongono dei limiti. Se un progetto scade dopo sei mesi, io non posso mettere per strada delle persone e interrompere i legami affettivi che i bambini hanno con i compagni a scuola. Sarebbe stato come realizzare una integrazione disumana.

Alle europee del 26 maggio in tanti ci siamo chiesti perché tra i candidati non c’era il nome di Lucano. Da Bruxelles non avrebbe potuto battersi per portare avanti la sua idea di società?

Non ho mai detto ad altri quello che sto per dire e mi assumo tutta la responsabilità. Mi hanno proposto con insistenza la candidatura dicendomi “tutta la sinistra converge su di te”. Poi mi ha chiamato una persona calabrese legata a Zingaretti per dirmi che se mi fossi candidato con loro sarei stato in lista più avanti del medico di Lampedusa. Mi sono trovato in questa situazione ed è stato allora che ho pensato alle parole del procuratore che mi sta giudicando.

Vale a dire?

Sapevo benissimo che sarei stato eletto. Sapevo benissimo quanto prende di indennità un parlamentare europeo e che da quella posizione sarebbe stato molto più semplice affrontare il processo magari invocando l’indennità. Il procuratore sa che con il modello Riace non ho preso una lira, allora la sua tesi è che ho fatto tutto per una questione di potere. Per queste sue parole non mi sono candidato. Gli avrei dato ragione e per me sarebbe stata una lesione, perché non è vero. Quello che ho fatto è solo una questione di umanità.

 

Sana e robusta Costituzione

Articolo 10 della Costituzione:

«L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici».

Articolo 2:

«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»

Articolo 11:

«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.»

Articolo 13:

«La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.»

Articolo 21:

«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.»

Articolo 26:

«L’estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali. Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici.»

Basta leggerli così, con una conoscenza che sia magari un po’ sopra all’università della vita, gli articoli della Costituzione per rendersi conto che il Decreto Sicurezza è qualcosa che esce dai limiti stabiliti dai padri costituenti per limitare ogni forma di violenza, di disuguaglianza e di disumanità. Ci si potrebbe aspettare anche che il presidente della Repubblica faccia il Presidente della Repubblica, ma è speranza debole. Alla fine ci penserà la sana e robusta Costituzione.

Buon mercoledì,

La preziosa terra della Palestina al centro del conflitto con l’occupante israeliano

Al centro del conflitto con l’occupante, fin dall’epoca della prima invasione sionista della Palestina, ci sono la terra e la conseguente sofferenza del popolo palestinese, che ha subito continue e continue catastrofi fino ad oggi. Sin dalla sua costituzione, infatti, lo Stato di Israele si è presentato come uno Stato usurpatore.
Nella prima di queste di catastrofe, la Nakba (catastrofe) del 1948, più di 531 villaggi e città palestinesi furono distrutti e rasi al suolo, la maggior parte degli abitanti trovò rifugio nei campi profughi in Giordania, Siria e Libano, in cui mancavano le condizioni minime di sopravvivenza …
Queste catastrofi contro il popolo Palestinese non si sono mai fermate, provocando sempre più sfollamenti e sfratti forzati, causando l’espulsione di 800mila palestinesi dai loro territori occupati.
La guerra dei Sei Giorni del 1967 provocò ulteriori espulsioni e sfollamenti dalla terra palestinese, per questo viene considerata come la seconda grande Nakba, di cui il nostro popolo ha molto sofferto e di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze, ancora più devastante della prima. Non a caso è stata descritta, dalla volpe della politica israeliana S. Peres, come la seconda vittoria dello stato di occupazione Israeliano dopo la Nakba del 1948.
Anche l’accordo di Oslo del 1993 è stato una Nakba nazionale e sociale che ha frammentato, la nostra terra occupata in Cisgiordania, in ghetti chiusi e isolati, non collegati geograficamente tra loro. Ha diffuso tra la nostra gente una grande illusione di poter avere finalmente uno Stato e un’autorità nazionale palestinese, per poi scoprire dopo 26 anni di negoziati che non abbiamo né uno Stato palestinese né una vera autorità nazionale.
Ci siamo trovati nelle mani di un’autorità che non ha alcuna forma di sovranità, una semplice autorità amministrativa, per giunta con condivisione del potere (tra Israele e Autorità nazionale palestinese), come dice il presidente dell’Anp, Abu Mazen, “Autorità senza potere”.
La situazione non è migliore nella Striscia di Gaza, dove, se esiste un’autorità palestinese, questa come la sua terra, il suo mare e la sua gente sono sotto un assedio ingiusto e disumano che Israele impone da oltre dodici anni in violazione delle norme internazionali.
L’occupazione doveva permettere, in base all’accordo di Oslo, di realizzare nella terra storica della Palestina uno Stato bi-nazionale o uno Stato a maggioranza palestinese vicino allo Stato israeliano.
Invece, la presenza palestinese è stata considerata come una “ghiandola cancerogena” che doveva e deve essere sradicata, magari anche giustificandola legittimamente.
Il progetto di giudaizzare la Galilea iniziò nel 1976, anno in cui l’occupante ha confiscato oltre 21mila dunum della terra di Galilea. Contro la confisca di tutta quella terra, il nostro popolo è sceso in strada per protestare e manifestare lanciando pietre e da ciò è nata la cosiddetta Giornata della Terra, il 30 marzo, che ancora oggi, ogni anno celebriamo come data importante in ricordo della difesa della terra palestinese.
La fiera reazione del popolo palestinese non ha però cancellato i piani e i programmi dello stato di occupazione, che non si sono fermati nemmeno per un momento. Gli occupanti, infatti, hanno continuato a controllare ed occupare la Palestina e la sua terra ed hanno proseguito nell’operazione di giudaizzazione. Massicce demolizioni di abitazioni palestinesi hanno avuto luogo a Qalanswa ed in tante altre città palestinesi mentre le costruzione di nuove case furono severamente limitate nei villaggi e nelle città palestinesi.
Il cosiddetto progetto “Praver” fu messo in atto per giudaizzare il Negev, la più grande area di terra in possesso del popolo palestinese. Del milione di dunum di proprietà di comunità arabe beduine, solo 100mila rimangono ora in possesso del nostro popolo arabo beduino e l’occupante cerca anche di controllarli. Perciò, sono numerose le comunità spogliate delle loro proprietà e terre.
Ma la cupidigia dell’occupante è insaziabile, infatti, Israele ha annunciato che ci sono più di 40 villaggi palestinesi, che però esistevano prima della costituzione dello stato di occupazione, che sono considerati villaggi non riconosciuti per cui non saranno forniti i servizi di base di acqua e di energia elettrica. Fra questi, il villaggio di Al-Araqib demolito per ben 145 volte.
Negli ultimi tempi il progetto “Praver” ho ripreso vigore sotto il “rimorchiatore” e la “ferocia” delle forze dell’estrema destra sionista, che controlla oramai tutte le articolazioni dello Stato di occupazione e la società sionista affogata nel razzismo e nell’estremismo.
Con l’arrivo di Trump alla guida degli Stati Uniti, l’obiettivo di cancellare la causa del popolo palestinese, le questioni di Gerusalemme e dei rifugiati sono apparsi evidenti nel cosiddetto Deal of the Century of America, il progetto del secolo nordamericano (i cui principali strumenti sono stati rivelati dal Bahrain Economic Workshop tenuto dall’Amministrazione degli Stati Uniti a Manama il 25 e 26 giugno). Trump e il suo team hanno preparato questo progetto trasferendo l’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme e riconoscendo Gerusalemme come capitale dello stato occupante, nonché cercando di cancellare e risolvere la questione dei rifugiati prosciugando le fonti finanziarie dell’UNRWA e riconoscendo lo status di rifugiato solo alla prima generazione, quella dei nonni, non ai figli e ai nipoti.

Israele ha sfruttato la posizione americana e il progetto del secolo per accelerare la giudaizzazione della città attraverso il sequestro di beni immobili e proprietà nella città di Gerusalemme e lo spostamento di interni quartieri, dove abbiamo assistito a una nuova catastrofe nella demolizione di oltre una decina edifici residenti nell’area di Wad Al-Homms e nelle aree classificate “A” e “B” sotto il controllo civile e di sicurezza dell’Autorità Palestinese, secondo l’Accordo di Oslo.
La politica di occupazione israeliana dimostra che Israele è uno Stato che si pone al di sopra del diritto internazionale, che non si preoccupa di osservare nessuna legge o convenzione. La comunità internazionale, in considerazione della presenza e strapotere americano e dei paesi coloniali occidentali nella maggior parte delle istituzioni e degli organismi internazionali, viene messa a tacere così come il diritto internazionale. Ecco perché Israele protetto, da parte del bullismo imperialista nordamericano e occidentale, ha potuto demolire sedici edifici nella valle dell’Homms, sotto i pretesti di sicurezza e vicinanza al muro di separazione
Gli abitanti questi edifici, oggi sono ospitati da amici e parenti, come gli abitanti delle oltre 1.500 abitazioni palestinesi demolite da Israele dal 2006 a oggi.
Per il ministro israeliano Erdan e per l’opinione pubblica israeliana il luogo colpito dalle demolizioni non ha molta importanza cioè se prima o dopo il Muro, se nella Area A o B o C, nonostante la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja fin dal 2004 ha dichiarato illegale il Muro costruito da Israele per confinare i Territori palestinesi e rubare ulteriore terra palestinese.

Ciò che a questo punto i Palestinesi chiedono è un intervento internazionale volto a fermare le demolizioni di queste case in Wad Al-Homs (Sur Baher) dal momento che la Corte Suprema Israeliana, che era stata interpellata dai proprietari delle abitazioni palestinesi, ha respinto il loro ricorso ed ha votato a favore delle demolizioni in quanto le costruzioni erano avvenute, secondo il giudizio della Corte, senza le autorizzazioni del comandante militare locale. In più, secondo la Corte, le abitazioni costruite al confine del Muro rappresentano una possibile base di copertura per gli aggressori e quindi un pericolo per lo stato d’Israele.
Jamie McGoldrick, Gwyn Lewis e James Heenan, a nome di tre agenzie dell’Onu in un documento dichiarano: «Demolizioni e sgomberi forzati sono alcune delle molteplici pressioni che generano il rischio di trasferimento forzato per molti palestinesi in Cisgiordania».
Inoltre, la demolizione delle case, «stabilisce un precedente che consentirà alle forze israeliane di distruggere un numero molto elevato di edifici palestinesi che sono situati nelle immediate vicinanze del Muro. Data la vastità delle distruzioni e i tanti civili coinvolti, le demolizioni sono una nuova ‘catastrofe’ per il popolo palestinese».
Oggi rispetto il passato, il numero di demolizioni a Gerusalemme est tocca numeri molto elevati e in futuro la situazione sicuramente peggiorerà.
Di questo è colpevole anche il silenzio della comunità internazionale. Israele maschera il suo piano di demolizione dei Territori palestinesi e di ulteriore separazione di Gerusalemme dalla Cisgiordania dietro il pretesto della sicurezza e la comunità internazionale lo lascia fare.
Netanyahu ha intensificato la politica di demolizioni ed ulteriore occupazione di terra palestinese non solo perché spalleggiato dall’amministrazione Trump ma ha anche approfittato dei cambiamenti in atto all’interno del sistema politico israeliano, con il passaggio della società israeliana sempre più verso l’estrema destra. Inoltre, questo è stato possibile per i mutati orientamenti della Corte Suprema, che in passato è stata accusata di essere una delle roccaforti più importanti della sinistra sionista,in seguito, però, alla nomina di giudici con orientamenti più sionisti all’interno della Corte Suprema, le sue decisioni sono cambiate.
Quali motivazioni e circostanze hanno spinto Netanyahu a provare a completare la giudaizzazione di Gerusalemme nella zona diWad Al-Homs, trasformandola nella città biblica di David, modificando così i suoi dati demografici e la sua natura culturale? Oltre allo scenario internazionale che applaude al progetto del secolo americano, ha giocato un ruolo anche l’attuale instabilità politica interna testimoniata dall’incapacità di Netanyahu di formare un governo dopo le ultime elezioni del9 aprile scorso e con nuove elezioni il prossimo 17 settembre. Netanyahu o l’eventuale suo successore, insomma la lobby di Likud, sta cercando di vendersi ai coloni come vero leader degli insediamenti grazie anche all’incapacità degli altri partiti religiosi di destra di coalizzarsi in una sola lista.
Pertanto, dopo il successo del trasferimento dell’Ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme e il riconoscimento di Donald Trump di quest’ultima come capitale dello stato occupante, Netanyahu continua ad applicare questa politica sul territorio separando la città di Gerusalemme dai suoi dintorni palestinesi.
Infatti, rientra nel Progetto del secolo di Trump, non ostacolato seriamente dai Paesi arabi, che hanno preso parte alla Conferenza del Bahrain, l’esclusione della città di Gerusalemme e degli insediamenti dal tavolo dei negoziati.
Così la politica israeliana di demolizione delle case dei palestinesi in Cisgiordania, in particolare a Gerusalemme, è oramai quotidianità. I bulldozer non si fermano mai, quasi quotidianamente sono in azione per demolire le case delle famiglie Palestinesi. Quest’azione è sempre stata fondamentale per la strategia politica dell’occupazione israeliana. Questa volta però si è trattato di decine di demolizioni a Gerusalemme, sia avanti che dietro il Muro dell’apartheid, in particolare nell’area A, sotto controllo Palestinese. In base all’accordo di Oslo del 1993 tra Israele e Olp, il territorio sarebbe dovuto essere sotto controllo palestinese.
Un disastro che mette completamente in discussione l’ipotesi di avere due stati e lo statuto di città santa di Gerusalemme.
Gerusalemme oramai risulta quasi separata dalla Cisgiordania, tramite espropri demolizioni ed insediamenti di nuove colonie nell’intera aera C la quale rappresenta 67% della Cisgiordania.

L’Onu ha preso posizione, ma in generale le reazioni della comunità internazionale sono state modeste. L’Unione europea non è andata oltre la diffusione di un comunicato in cui critica le demolizioni e il rispetto delle leggi internazionali e di difesa dei diritti politici ed umani. Netanyahu prosegue ed accelera la politica di occupazione sfruttando anche le crisi palestinesi, quella della Striscia di Gaza oramai esanime dopo 12 anni di assedio con una situazione umanitaria al collasso, mentre l’Autorità palestinese in Cisgiordania soffre una grave crisi finanziaria aggravata dal problema della successione al presidente Abu Mazen. Inoltre, nonostante la posizione unitaria dei palestinesi di respingere il Progetto del secolo, i palestinesi non sono ancora in grado di porre fine alle loro divisioni, che Netanyahu sfrutta strategicamente.
Così, la demolizione delle case e la pulizia etnica a Gerusalemme non si ferma. Ogni giorno ci sono avvisi di demolizione, ogni giorno demoliscono una due case e così si effettua lo sfratto forzato e la pulizia etnica in tutti i quartieri ed i villaggi vicini . Wadi Yassul, Rababah, Batin Hawi, Bustan a Silwan, Kubanieh, Umm Harun e Karam Ja’uni, SceKh Jarrah, sono zone in cui ci sono state più di cinquemila case palestinesi demolite dal 1967 e più di ventimila altre case hanno avuto avviso di demolizione. Queste zone sono etnicamente rase al suolo, nel silenzio e nella complicità internazionale, in un’epoca in cui l’America di Trump e le sue bestemmie “odiose” contro le leggi e le convenzioni internazionali, continua ad avere due pesi e due misure non riconoscendo lo spoglio della terra ai palestinesi e dei loro diritti e tollerando che l’occupante israeliano si ponga al di sopra del diritto internazionale e continua a rubare terra palestinese.
L’espulsione e lo sfollamento non si fermarono ai confini dei territori palestinesi occupati, ma si estendono anche in Libano e in Siria (Yarmouk) , nei campi profughi palestinesi, in cui non solo nel passato ci sono stati tentativi di espulsione di abitanti (basta ricordare cosa è successo a Sabra e Chatila)), ma anche tuttora. Basta ricordare l’ingiusta decisione del ministro del lavoro libanese che non ha riconosciuto ai palestinesi il diritto di accedere ai permessi di lavoro. Questa decisione rispecchia ciò che è accaduto nel seminario economico del Bahrain per sistemare i rifugiati della nostra gente nei loro paesi o farli emigrare .
Il ministro del lavoro libanese è pienamente consapevole del fatto che il nostro popolo palestinese è ospite del Libano e che non sta cercando di insediarsi. Inoltre i libanesi sanno che il popolo palestinese partecipa alla costruzione, alla ricostruzione e allo sviluppo del Libano.
Il popolo palestinese in Libano ha il suo stato giuridico e politico di rifugiati, vive in condizioni estremamente difficili e gli viene negato il lavoro per quanto riguarda 73 professioni. La decisione del ministro libanese è condizionata dalle situazioni e dalle forze internazionali, le quali vogliono far esplodere l’arena libanese accedendo dalla porta del conflitto palestinese-libanese, oltre ad attuare il piano di reinsediamento e sfollamento dei rifugiati in Libano.
Ciò che sta accadendo a Gerusalemme nella Wad Al-Homs, nel Negev e a Beirut, è lo stesso e ciò rappresenta le basi fondamentali del progetto americano, che mira a liquidare la causa palestinese.
Quindi noi dobbiamo accelerare e liberarci concretamente da tutti gli impegni di Oslo ( a cominciare dal porre fine al coordinamento della sicurezza), e, dobbiamo porre fine alla divisione e ripristinare l’unità nazionale sulla base di un programma di resistenza costante , continua e determinata che diffonde il suo eco nell’intera regione e nel mondo intero, solo così riusciremo a stimolare un no corale al piano americano di Trump che mira a liquidare la causa palestinese.