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È che ci fanno spavento, i fragili

epa07242234 A man sleeps on a pavement in London, Britain, 20 December 2018. London now accounts for a quarter of Britain's homeless. Some 25.000 people across the UK are facing Christmas on the street. EPA/NEIL HALL

Cos’è tutta questa mal sopportazione per i disperati, di qualsiasi colore siano, di qualsiasi nazione, che siano profughi o rom, che siano pure italiani se esibizionisti troppo straccioni? La paura. La paura della fragilità con cui un bel pezzo del Paese non riesce a fare i conti, non vorrebbe vederli, vorrebbe che sparissero con uno schiocco di dita per avere conferma anche visiva, quasi tattile direi, che davvero tutto va bene, che davvero la ripresa è arrivata o comunque presto arriverà e che quelle fragilità che sono esplose in disperazione e povertà non sono mica colpa nostra. Che non c’entriamo niente, noi.

Che non c’entriamo niente con l’essere stati predoni dell’Africa per secoli e ora, come il debitore che non risponde al citofono vorremmo che di corsa qualcuno ci dia qualche altra spiegazione plausibile. Che non c’entriamo niente con la disperazione di chi è disperato non solo perché povero ma perché da povero, qui da noi, diventi uno scarto che è meglio che non si faccia troppo vedere in giro, un percolato che sarebbe da raccogliere in un’immensa discarica dei poveri, costruita fuori città, invisibile anche dall’autostrada, che metterebbe tutti con l’animo in pace.

Cos’è questo coprire gli occhi ai nostri figli di fronte a qualche mendicante troppo cencioso incrociato per le vie del centro prima che venga rimosso da qualche solerte vigile urbano? Paura. Solo paura di quello che continuiamo a fare noi risolvendoci con la soddisfazione che un calciatore qualsiasi paghi la mensa a quella bambina in lacrime all’angolo della mensa o che qualche altra Ong si sporchi le mani con gli italiani (sì, italiani, chiedete a Emergency) che non hanno nemmeno i soldi per meritarsi le cure di base.

Diciamo la verità. Ci fanno spavento i poveri. Ci fanno spavento i disperati. Ci fanno spavento i nullatenenti perché in fondo, anche se troppo in fondo, sepolto dalla ferocia e dal attivismo, abbiamo ancora perfettamente funzionante il meccanismo del senso di colpa, della coscienza e dell’etica che stiamo masticando da anni ma per fortuna non riusciamo a mandare giù. Per fortuna.

Europee: La falsa narrazione della lotta all’ultimo voto tra populisti e neoliberisti danneggia la sinistra

A stare ai sondaggi non c’è nessuna sfida all’ultimo voto tra l’attuale maggioranza e i populisti. Il Parlamento europeo ha predisposto un servizio di diffusione dei sondaggi disponibili per le europee con relativo calcolo dei seggi assegnati ai vari gruppi. L’ultima rilevazione è stata resa pubblica il 29 marzo. Se ne trae il dato per cui c’è un calo significativo per popolari e, di più, socialisti che non avrebbero la maggioranza a due. Ma con i liberali che hanno fatto sempre parte della governance sia intergovernativa che del PE le forze continuiste salgono a 404 seggi su 705. Quelle di stampo di destra e populiste stanno intorno ai 140 seggi. Ma sono peraltro articolate tra loro in tre gruppi. Dei quali due anche incerti nella composizione. Si tratta dei conservatori riformisti creati dai Tories inglesi ed ora gestiti dai polacchi del Pis. E del gruppo fatto da Ukip e Cinquestelle. Entrambi sono molto legati a ciò che accadrà con la Brexit e cioè se rimarranno Tories e Ukip. Poi ci sono più di 100 parlamentari tra Verdi e Gue. E ci sono 48 eletti che il Parlamento non sa assegnare perché di partiti nuovi senza affiliazioni. Dunque la crescita delle destre ci sarà a causa delle politiche liberiste che hanno loro creato uno spazio. Ma la continuità resta il dato prevalente. Ed anche un grave problema. Descrivere le elezioni come una lotta all’ultimo voto tra questi due fronti dunque non è solo inesatto ma è un danno. Un danno perché non fa cogliere che la lotta è necessariamente sui due fronti che si alimentano a vicenda mentre l’alternativa è a sinistra. Nelle rilevazioni fin qui fatte la casella Sinistra in Italia è ad ora vuota. Bisogna proprio riempirla.

PER APPROFONDIRE, leggi le proiezioni dei sondaggi

Alla faccia di qualcuno, l’Arma e Cucchi

I genitori di Stefano e Ilaria Cucchi dietro di loro Riccardo Casamassima, durante il processo all'interno del tribunale di Roma a piazzale Clodio 8 aprile 2019 ANSA/MASSIMO PERCOSSI

«Abbiamo la vostra stessa impazienza che su ogni aspetto della morte di Suo fratello si faccia piena luce e che ci siano infine le condizioni per adottare i conseguenti provvedimenti verso chi ha mancato ai propri doveri e al giuramento di fedeltà». L’ha scritto, in una lettera recapitata a Ilaria Cucchi, il generale dei carabinieri Giovanni Nistri preannunciando la costituzione di parte civile dell’Arma nel processo e, di fatto, annunciando la messa da parte degli eventuali colpevoli che risulterebbero così indegni di indossare la divisa e ovviamente in dovere di risarcire economicamente l’infangamento dell’Arma dei carabinieri.

Quella lettera, oltre ad essere ovviamente un’ottima notizia e balsamo solidale per Ilaria Cucchi smentisce di fatto due malsane dicerie che giravano da un pezzo e che meritano di essere smontate.

Primo: l’Arma non è una corporazione in cui sono tutti bravi, belli e puliti oppure sono tutti criminali, sporchi e cattivi. Come tutte le comunità hanno mele marce (come per i commercialisti, gli scrittori, i geometri e qualsiasi altra categoria professionale) e il giochetto di difenderli a spada tratta non sta in piedi, no. Quindi per tutti quelli che insistono nel dire “io sto con i carabinieri” la costituzione dell’Arma come parte civile dimostra che invece bisognerebbe stare con le vittime. I carabinieri non hanno bisogno di sindacalisti senza senso della realtà né tra i politici né tra i commentatori Facebook.

Secondo: che piaccia o no Stefano Cucchi non doveva morire. Se poi per qualcuno se l’è meritato è qualcosa che vi gestite con la vostra coscienza (se ne avete). Non deve morire nessuno nel momento in cui è affidato alle mani dello Stato e questo spirito vendicativo non ha niente a che vedere con il diritto e la giustizia.

Volendo ce n’è anche un terzo: la costituzione civile dell’Arma dei carabinieri dimostra che sì, Ilaria Cucchi ha cercato a tutti i costi visibilità. Visibilità che è servita a disseppellire una storia che più di qualcuno voleva mettere a tacere.

Buon martedì.

Udienza Cucchi, il carabiniere Tedesco: «Ho parlato dopo nove anni perché ero terrorizzato»

Il superteste-imputato Francesco Tedesco depone davanti alla Corte d'Assise durante il processo nel tribunale di Roma, 8 aprile 2019 ANSA/MASSIMO PERCOSSI

«Ho avuto paura, mi sono trovato in una morsa dalla quale non sarei potuto uscire. Per questo ho parlato dopo nove anni». Superteste e imputato, Francesco Tedesco, quasi coetaneo di Stefano Cucchi ha appena spiegato, oggi 8 aprile, al pm Giovanni Musarò perché non avesse raccontato prima del pestaggio di quel ragazzo arrestato. Il processo Cucchi-bis, proprio grazie alle sue dichiarazioni è entrato da cinque mesi in una fase che sembrsa determinante. L’udienza in corso nell’aula della Corte d’Assise, è iniziata con le sue scuse «alla famiglia Cucchi e agli agenti della polizia penitenziaria, imputati al primo processo. Per me questi anni sono stati un muro insormontabile».
«Avevo letto che Casamassima aveva cominciato a parlare – ha raccontato – e capii che quel muro stava cadendo». La lettura del gravissimo capo d’imputazione con il quale veniva contestato l’omicidio preterintenzionale «ha poi inciso molto, così come il pensare che ci potesse essere un nesso di causalità tra il pestaggio e la morte. Mi colpì che c’era scritto quello che avevo vissuto io, quello che avevo visto io. Non sono più riuscito a tenermi dentro questo peso».
Per un’ora e quaranta, Tedesco ha risposto alle domande della pubblica accusa e per altre quattro al controesame degli altri legali e tornerà in aula il 16 aprile.

La sua deposizione ha fornito lo spaccato dell’aria che tirava in quei giorni nella sua caserma e nell’Arma di Roma. Alla stazione c’era un maresciallo vicecomandante che voleva esibire quanti più arresti possibile (Mandolini, imputato, di calunnia e falso anche lui in questo processo, ndr), al comando generale si respirava l’imbarazzo per lo scandalo di altri carabinieri che avevano provato a ricattare l’allora governatore del Lazio, Marrazzo.
«In quel periodo tutto passava da Mandolini per la vicenda Cucchi. Lo fermai un giorno chiedendogli cosa avremmo dovuto fare nel caso ci avessero chiesto qualcosa, ma lui mi rispose “Tu non ti preoccupare, devi dire che stava bene. Tu devi seguire la linea dell’Arma se vuoi continuare a fare il carabiniere. Percepii quelle parole di Mandolini – ha aggiunto Tedesco – come una minaccia abbastanza seria. La prima delle due volte che sono stato sentito dal pm, poi, venni accompagnato da Mandolini il quale non mi minacciò esplicitamente, ma mi disse sempre di stare tranquillo e di dire che Cucchi stava bene. Io, però, non mi sentivo affatto tranquillo».
«Cercavo di trovare un contatto con qualcuno in tutti i modi. Per questo in udienza guardavo Ilaria che può aver visto il gesto come una provocazione. Ma in realtà mi sentivo solo contro il mondo», ha detto ancora il carabiniere imputato di omicidio preterintenzionale con altri due colleghi, Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo. «Dire che ebbi paura è poco. Ero letteralmente terrorizzato. Ero solo contro una sorta di muro. Sono andato nel panico quando mi sono reso conto che era stata fatta sparire la mia annotazione di servizio, un fatto che avevo denunciato. Ero solo, come se non ci fosse nulla da fare. In quei giorni io assistetti a una serie di chiamate di alcuni superiori, non so chi fossero, che parlavano con Mandolini. C’era un po’ di agitazione. Poi mi trattavano come se non esistessi. Questa cosa l’ho vissuta come una violenza».
Dopo il pestaggio Tedesco e Cucchi trovarono il verbale pronto, redatto da Mandolini in persona che gli chiese di firmarlo. Stefano non volle firmare. «Mentre stavamo in auto per rientrare alla caserma Appia, Cucchi era silenzioso, si era messo il cappuccio e non diceva una parola, chiedeva il rivotril». Era sotto choc. «Mentre uscivano dalla sala, Di Bernardo si voltò e colpì Cucchi con uno schiaffo violento in pieno volto. Poi lo spinse e D’Alessandro diede a Cucchi un forte calcio con la punta del piede all’altezza dell’ano. Nel frattempo io mi ero alzato e avevo detto: “Basta, finitela, che cazzo fate, non vi permettete!”. Ma Di Bernardo proseguì nell’azione spingendo con violenza Cucchi e provocandone una caduta in terra sul bacino, poi sbatté anche la testa. Io sentii il rumore della testa che batteva. Quindi D’Alessandro gli diede un calcio in faccia, a quel punto mi alzai e li allontanai da Cucchi». «Lo sentivo descrivere come è stato ucciso mio fratello – ha commentato Ilaria Cucchi – e il mio sguardo cercava quello dei miei genitori che ascoltavano raccontare come è stato ucciso il loro figlio. È stato devastante, ma a questo punto quanto accaduto a Stefano non si potrà mai più negare»

Non era facile denunciare i colleghi. «Il primo a cui ho raccontato quanto è successo è stato il mio avvocato. In dieci anni della mia vita non lo avevo ancora raccontato a nessuno», ha ripreso Tedesco. «Per me è la vittoria umana di una persona che per anni ha cercato di poter raccontare i fatti ma le pressioni subite glielo hanno impedito – dirà proprio quel legale, Eugenio Pini dopo l’esame del suo assistito – ora ci si deve ricordare e tenere ben presente che quando si parla del famoso muro di gomma, non solo questo bisogna riferirlo alle persone che dall’esterno hanno cercato di conoscere la verità ma anche a chi da dentro ha cercato di raccontarla. Tedesco è una persona che, avendo difeso Cucchi durante il mancato fotosegnalamento e il pestaggio, ha dimostrato di volere salvaguardare e preservare la vita umana».
«Dopo dieci anni di menzogne e depistaggi in quest’aula è entrata la verità raccontata dalla viva voce di chi era presente quel giorno – dice ancora Ilaria Cucchi – le dichiarazioni e le intenzioni espresse dal comandante generale dell’Arma (il generale Nistri ha annunciato che si costituirà parte civile in caso di condanna, ndr) ci fanno sentire finalmente meno soli, si è schierato ufficialmente dalla parte della verità. A differenza di quello che qualcuno dei difensori ogni udienza dà ad intendere, chi rappresenta l’Arma non sono i difensori degli imputati ma è il loro comandante generale, che ora si è schierato ufficialmente dalla parte della verità».

Sull’udienza di oggi, 8 aprile, leggi anche qui

“La sinistra” si presenta: una lista unitaria e alternativa per le europee

Il messaggio è chiaro e inequivocabile: «Una sola lista a sinistra del Pd e alternativa in Europa». Lo hanno spiegato con accenti diversi i partecipanti alla conferenza stampa dove è stato reso noto il simbolo con cui un fronte di forze antiliberiste, femministe, antirazziste ed ecologiste, si presenta alle prossime elezioni europee del 26 maggio.

Il progetto illustrato a Roma, presso l’Hotel Nazionale, in piazza Montecitorio, è semplice: mai come questa volta saremo costretti a parlare di Europa e il Parlamento di Strasburgo di fatto impone di riconoscersi in quelle che sono le fondamentali “famiglie europee”. Quella socialista, incarnata in Italia dal Pd, quella liberale dell’Alde, in cui confluiranno gli eventuali eletti di Più Europa, attenti ai diritti civili ma distanti anni luce dalla sinistra rispetto ai diritti sociali e alle tematiche ambientaliste spesso incompatibili con i grandi interessi. E poi i Verdi con cui in Europa spesso si sono condivise battaglie fondamentali per il futuro e per il presente del pianeta ma che spesso non arrivano a criticare alle radici il modello di sviluppo.

Tralasciando ovviamente le famiglie del centro destra (che nel continente hanno governato da decenni con le forze socialiste) restano il gruppo Gue/Ngl e il Partito della sinistra europea, European left per come è scritto sul simbolo, di cui la lista presentata oggi, “La Sinistra”, fa parte. I sondaggi danno questa sinistra in Europa in crescita, da noi si è riusciti oggi a definire un percorso che potrà portare nuova linfa ad un progetto e ad un gruppo peraltro nato proprio a Roma nel lontanissimo 2004. Una sinistra che prova a riunirsi, non per la sopravvivenza di ceti politici, come un pensiero populista dominante tende a raccontare, ma per un patrimonio di contenuti comuni, di battaglie sociali e politiche, per un simile approccio al mondo, al presente e al futuro, che le altre forze in campo non hanno.

Lo ha segnalato molto bene nel suo intervento Eleonora Forenza, europarlamentare uscente, disegnando le ragioni di questo “terzo spazio” incompatibile tanto con il liberismo sfrenato che ha accomunato con le politiche di austerity liberali, popolari e socialisti, quanto con il nazionalismo xenofobo e oscurantista delle destre sovraniste che governano anche in Italia. «I movimenti delle donne, quelli ambientalisti e antirazzisti che hanno riempito le piazze di primavera – ha sottolineato Forenza che si ricandiderà alle elezioni – sono la dimostrazione che c’è una parte di Paese che vuole avere un futuro diverso da quello che gli viene imposto oggi. Noi siamo e rivendichiamo di essere quelle e quelli dei porti aperti. Il governo italiano è quello che utilizza la parola “solidarietà” come richiesta da fare all’Europa per fermare i migranti; noi siamo invece solidali con i 49 richiedenti asilo della Mare Jonio, criminalizzati da Salvini e dal M5s».

Maurizio Acerbo, segretario del Prc-Se ha sottolineato come, a differenza di quanto affermato dalle sedicenti opposizioni in Italia, da noi il problema non sia risolvibile dando qualcosa ai poveri ma affrontando alla radice il tema delle diseguaglianze sociali. Una parola che ha accomunato tutti gli interventi è stata quella di una “patrimoniale” con cui ristabilire anche la logica per cui bisogna prendere da chi ha di più e non continuare a strozzare chi non ha più niente. L’Europa delle politiche neoliberiste volute da tutti, dei trattati votati da tutti, a cominciare da Maastricht, tranne che dalle forze che si riconoscono oggi in questa lista, ha prodotto in questi anni 110 milioni di poveri, una cifra enorme. «Venendo qui – ha concluso Acerbo – ho visto i manifesti di Fratelli d’Italia in cui si diceva di volere cambiare totalmente l’Europa. Quasi a voler far credere che siano stati gli ufo a votare le norme che ci hanno ridotto così. Se Salvini oggi rischia di raggiungere risultati enormi è colpa di un centro sinistra che non ha voluto ascoltare le nostre richieste e gli allarmi che lanciavamo».

Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana Si, partendo anche dalla fine di una esperienza come Liberi e uguali, delinea i tanti punti che rendono il progetto de “La Sinistra” diverso e non assimilabile ad altri. «Le nostre posizioni sui trattati, sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, sulla guerra, sul diritto d’asilo, sui diritti sociali – ha ribadito – non sono neanche “rivoluzionarie”, di patrimoniale parla anche il Partito democratico americano, lavorare meno è ormai pratica anche in alcuni Paesi europei e fa parte del dibattito politico normalmente. Da noi sembra impossibile». Entro la settimana verranno resi noti i nomi delle candidate e dei candidati, che si vogliono non solo come espressione dei partiti ma soprattutto della ricchezza del mondo associativo e dei movimenti con cui si è in relazione. Una lista quindi chiara e netta nei contenuti ma aperta al mondo ampio di chi si oppone ad un modello di vita considerato inaccettabile. Domenica 14 aprile si svolgerà una assemblea di lancio della lista a Roma, al teatro Quirino, in via delle Vergini 7 a partire dalle 10.

Verso le europee, le mosse di Macron per cambiare tutto senza cambiare niente

French President Emmanuel Macron speacks as he visits Station F startup campus in Paris, on October 9, 2018. (Photo by LUDOVIC MARIN / various sources / AFP) (Photo credit should read LUDOVIC MARIN/AFP/Getty Images)

Si va dispiegando l’offensiva di Macron per fare in Europa quello che ha fatto in Francia. E anche per tirarsi fuori dai suoi guai francesi. La prima mossa è stata la lettera ai cittadini europei di qualche giorno fa in cui ha definito i contorni della sua proposta politica e programmatica. Andare oltre il crinale tra destra e sinistra, o tra socialismo e liberalismo, mettendo al centro quello europeisti nazionalisti. Sbarramento all’estrema destra. Ma intanto si assumono come temi quello della sicurezza, delle frontiere, di nuove regole commerciali. Poi si mette il salario minimo europeo, un poco più di budget europeo e l’ambiente. Intanto si è fatto l’accordo di Aquisgrana con la Germania che ha prodotto un mini parlamento franco tedesco.

D’altronde Macron guarda molto all’intergovernativismo e a ereditare la vecchia governance fondata su popolari e socialisti. Infatti ha bocciato le liste trasnazionali preferendo muoversi dalla Francia. I pilastri liberisti dei trattati europei non si toccano e così le norme della austerità e la Bce. Poi si muove per costruire la sua presenza al Parlamento Europeo. Il gruppo liberale non gli basta e allora Macron avanza una proposta di alleanza ai socialisti. Parte da quelli spagnoli a cui propone una alleanza con Ciudadanos che con tutta evidenza pensa valida anche per il governo spagnolo. Infatti dice a Ciudadanos che non va l’alleanza con la destra di Vox. Ma chiaramente non vuole neanche quella tra Sanchez e Unidos Podemos.

In Italia c’è già pronto il PD di Zingaretti e Calenda con mezzo simbolo che dialoga con Macron. Dopo il socialismo liberale di Blair si torna in quella direzione ma stavolta con i liberali che puntano a spiantare i socialisti già in crisi. Obbiettivo che rimane è contrastare una vera risposta di sinistra e puntellare il sistema. Per questo le forze del Gue e di Sinistra europea sono fondamentali di fronte a questo nuovo giro di valzer. Ma anche Corbyn dovrebbe battere un colpo.

PER APPROFONDIRE

Udienza Cucchi: la parola al carabiniere Tedesco, teste chiave sul pestaggio in caserma

L'avvocato della famiglia Cucchi, Corrado Oliviero, mostra delle foto durante il dibattimento del processo d'appello per la morte di Stefano Cucchi, a Roma 31 ottobre 2014. ANSA/ANGELO CARCONI

Imputato ma anche teste chiave: il carabiniere Francesco Tedesco sarà sentito in Corte d’Assise oggi, 8 aprile nell’udienza del processo per l’omicidio preterintenzionale di Stefano Cucchi. Per la prima volta il racconto del pestaggio del detenuto verrà ascoltato in aula dalla voce di uno dei protagonisti di quella notte. È il momento più atroce dell’intera vicenda e forse il più importante visto che da quel momento è scattata, secondo l’inchiesta della procura di Roma, una potente macchina di depistaggio che ha «truccato la partita», parole della pubblica accusa. Dall’aggiustamento di alcuni verbali allo sbianchettamento del passaggio di Cucchi nella caserma in cui subì il pestaggio, fino all’indicazione delle cause della morte nella magrezza tossica dell’arrestato prima ancora che fossero nominati i periti che, poco dopo, obbediranno all’indicazione di «non attribuire il processo a traumi».
Con le sue dichiarazioni, Tedesco – nato a Brindisi meno di tre mesi prima di Stefano Cucchi, nel 1981 – ha dato una svolta alle indagini e probabilmente ribadirà quanto ha denunciato nel luglio scorso davanti al pm Musarò puntando l’indice sugli altri due colleghi accusati come lui di omicidio preterintenzionale, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro.
«Fu un’azione combinata. Cucchi prima iniziò a perdere l’equilibrio per il calcio di D’Alessandro poi ci fu la violenta spinta di Di Bernardo che gli fece perdere l’equilibrio provocandone una violenta caduta sul bacino. Anche la successiva botta alla testa fu violenta, ricordo di avere sentito il rumore. Spinsi Di Bernardo ma D’Alessandro colpì con un calcio in faccia Cucchi mentre questi era sdraiato a terra. Gli dissi “basta, che cazzo fate, non vi permettete”. (…)». «Colpiva Cucchi con uno schiaffo violento in volto» e l’altro «gli dava un forte calcio con la punta del piede», si legge negli stralci del verbale di interrogatorio del carabiniere. «Il muro è stato abbattuto. Ora sappiamo e saranno in tanti a dover chiedere scusa a Stefano e alla famiglia Cucchi», commentò in un post Ilaria Cucchi. La testimonianza di Tedesco conferma l’ipotesi della procura quando scrive che «fu scientificamente orchestrata una strategia finalizzata a ostacolare l’esatta ricostruzione dei fatti e l’identificazione dei responsabili per allontanare i sospetti dei carabinieri appartenenti al comando stazione Appia». Nella ricostruzione decisa dai carabinieri «non si diede atto della presenza dei carabinieri Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo nella fase dell’arresto di Cucchi. Il nominato dei due militari infatti non compariva nel verbale di arresto, pur essendo gli stessi pacificamente intervenuti già al momento dell’arresto e pur avendo partecipato a tutti gli atti successivi». Infine l’inchiesta interna fu quanto mai blanda, più funzionale alla strategia di cui sopra piuttosto che all’accertamento dei fatti.
Per questo, al processo bis per l’omicidio, si è affiancata un’inchiesta sui depistaggi e falsi documenti legati alla vicenda del giovane fin dal suo arresto. «L’atteggiamento reticente e non particolarmente collaborativo di alcuni testi è visibile», ha rilevato il pm Giovanni Musarò nell’udienza scorsa riferito alla facoltà di non rispondere di cui si sono avvalsi gli ufficiali indagati nel secondo procedimento. «Ma la prova davanti a questa Corte è stata condizionata da quei depistaggi», ha osservato la pubblica accusa.
Musarò ha depositato nel fascicolo del dibattimento una serie di note riguardanti documenti su Cucchi, sottoscritte da ufficiali dell’Arma che nel corso del processo si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. L’ultimo dei quali è il tenente colonnello Francesco Cavallo, nel 2009 capo ufficio comando del Gruppo carabinieri di Roma, indagato per falso nell’ambito dell’inchiesta sui depistaggi. Ha potuto non rendere l’esame in quanto l’ufficiale dell’Arma è uno degli indagati per la vicenda dei depistaggi che avrebbe caratterizzato la vicenda; nei confronti di 8 militari a metà mese la procura ha depositato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. In aula sono però emersi altri dubbi su quanto successe il 4 novembre del 2015, quando il capitano Tiziano Testarmata (poi indagato nell’inchiesta sui depistaggi) si presentò presso la Compagnia Casilina per acquisire una serie di atti. Il tenente Carmelo Beringheli, comandante del nucleo operativo della compagnia di Roma Casilina ha ribadito di avere invitato allora Testarmata a prelevare il registro del fotosegnalamento in originale. Ma il suggerimento non sarebbe stato accolto e di quel registro, dove il nome di Cucchi risultava sbianchettato, fu fatta solo una fotocopia.
«Nel novembre 2015 venne alla Compagnia Casilina il capitano Tiziana Testarmata; mi disse che aveva bisogno del registro dello Spis con riferimento al 2009, e dei cartellini fotosegnaletici e dattiloscopici», ha spiegato il tenente. E si è tornato a parlare di quella riga sbianchettata sotto la quale compariva il nome di Stefano Cucchi. «Non potevo avere la certezza che sotto la parte sbianchettata ci fosse il nominativo di Cucchi, però il sospetto era fortissimo. Dissi che quel registro secondo me andava sequestrato. A me sembrò assurdo che non avessero sequestrato quel registro in originale; rappresentai le mie perplessità al capitano Testarmata, che non mi rispose», aggiunse. Invece inizialmente fu acquisito “in copia” fino a quando «dopo un po’ di tempo tornò il capitano Testarmata e questa volta ci chiesero di consegnare l’originale. Sinceramente me l’aspettavo». «Trovai strano e assurdo che il registro delle persone sottoposte a fotosegnalamento non venisse portato via in originale -ha detto in udienza Beringheli – era evidente che il registro delle persone sottoposte a fotosegnalamento della Compagnia di Roma Casilina era stato sbianchettato. E al capitano Tiziano Testarmata (già comandante del nucleo investigativo, ndr) feci presente che il registro in originale, e non solo la fotocopia, andasse acquisito e consegnato alla magistratura per essere sottoposto ad accertamenti», ha aggiunto Beringheli ribadendo di avere invitato Testarmata, quando il 4 novembre del 2015 si presentò presso la Compagnia Casilina per acquisire una serie di atti, a prelevare il registro in originale: «Secondo me, quello che la magistratura cercava stava proprio in quelle carte che davano conto del passaggio di Cucchi dalla Compagnia alla sala Spis nella giornata del 16 ottobre del 2009 (quando fu arrestato, ndr)».
Resta cruciale anche il nodo sulle cause della morte del detenuto. La Corte d’Assise ha deciso di acquisire agli atti la perizia che era stata effettuata nell’ambito dell’altro procedimento, dove sono imputati i medici.

Contro i tecnocrati e i populisti, al via la campagna elettorale di Syriza e Tsipras

In un palasport olimpico strapieno di migliaia di persone Syriza e Alexis Tsipras hanno lanciato la loro campagna elettorale. In Grecia si voterà contemporaneamente per le elezioni europee, quelle regionali e per i comuni. Syriza e Tsipras ci arrivano dopo anni molto duri e con la fine del memorandum e la firma dello storico accordo per la Macedonia del Nord. Nei sondaggi sono in rimonta su Nuova Democrazia mentre tutte le altre forze sono sotto il 10%. In autunno si dovrebbe andare anche alle politiche.

Tsipras ha chiesto un vasto fronte contro il liberismo e il populismo. Ha detto che al grandissimo raduno partecipavano tutte le generazioni delle lotte greche da quelle contro il regime a quelle contro l’austerity. Che la grandissima responsabilità di chi ha governato l’Europa è stata quella di rompere con il compromesso sociale avanzato realizzato nel dopoguerra, consegnando il potere ai tecnocrati e aprendo la strada alle destre. Liberismo ed austerità sono stati devastanti. E i Paesi del Sud hanno pagato prezzi pesantissimi. Ha rivendicato l’impegno per il cambiamento e lanciato la sfida per la sua continuità. Ha attaccato Nuova Democrazia per l’appoggio che darà al candidato del Ppe alla presidenza della Commissione Europea e cioè il tedesco Weber, della Csu, uno dei falchi nel rapporto con la Grecia. E ha chiesto di lottare per cambiare l’Europa.

 

https://youtu.be/Kxa1CswtnWk

Il porto sicuro

Vehicles and militants, reportedly from the Misrata militia, gather to join Tripoli forces, in Tripoli, Libya, 06 April 2019. According to reports, commander of the Libyan National Army (LNA) Khalifa Haftar ordered Libyan forces loyal to him to take the capital Tripoli, held by a UN-backed unity government, sparking fears of further escalation in the country. ANSA/STRINGER

Signore e signori ecco “il porto sicuro”. Ecco la Libia con cui prima Minniti e poi ancora più forte Salvini hanno stretto rapporti dicendoci che sarebbero stati fondamentali nella gestione dei flussi. Un buongiorno anche a quelli che per mesi ci hanno risposto: «Ma come? ma la Libia è un posto sicuro!» e ce lo ripetevano così convinti che veniva voglia di mandarli in vacanza in Libia.

E invece. Invece la battaglia di Tripoli è arrivata ormai nel centro della città e anche se la comunità internazionale (ah, la convincente e autorevole comunità internazionale) chiede al generale Haftar di lasciar perdere, quello intanto si dice pronto a «liberare Tripoli dai terroristi» che nella sua testa non sarebbero altro che il premier Fayez al Serraj. Tutta gente che non poco tempo fa il premier Conte aveva incontrato tranquillizzandoci. Intanto, sulla costa, continuano ad andare indietro marchiate come “Guardia costiera libica” le motovedette che gli abbiamo regalato e che confondono poliziotti e carcerieri di uno Stato che è sempre stato allo sbando, è sempre stato in guerra, e molti facevano finta di non saperlo, e di non sentirlo nemmeno.

Ma poi cosa volete che gli interessi a questi, di quei quattro straccioni di migranti. Ciò che interessa davvero sono gli impianti petroliferi della Noc, National oil corporation (di cui l’italianissima Eni è felice partner) e i giacimenti che rientreranno in mano all’una o all’altra parte. L’Eni ci rassicura che la situazione è tranquilla: per questo ha fatto rientrare tutti gli italiani, evidentemente.

Eccolo “il porto sicuro”, il “partner affidabile”, che invece è solo una mangiatoia europea che chiamiamo “casa loro” e che aiutiamo al massimo dandogli il potere di aprire o chiudere i rubinetti dei poveri disperati che da lì sono costretti a passare per scappare.

Vergognatevi. Tutti.

Buon lunedì.

Non c’è pace tra gli ulivi di Gaza

epa03430351 An elderly Palestinian faces two Jewish settler youths, across a razor wire, at olive groves belonging to Palestinians near the Jewish settlement enclave of Tel Rumeida in the West Bank city of Hebron, 12 October 2012. Jewish settlers and Palestinian picking the olives clashed and Israeli soldiers interfered to cool things down, arresting several Palestinians. EPA/ABED HASHLAMOUN

A Hebron, nella Cisgiordania occupata, non c’è palestinese che non conosca Baruch Marzel. Vive in Shuhada street, in una casa che sovrasta l’abitazione della famiglia palestinese Al-Azze: la sua colonia e un checkpoint militare israeliano hanno chiuso l’accesso alla strada che conduceva al quartiere di Tel Rumeid. Marzel è un colono nato negli Stati Uniti, braccio destro del rabbino Meir Kahane e portavoce del movimento da lui fondato, il Kach, organizzazione americana di estrema destra, razzista e anti-araba, dichiarata fuorilegge in Israele ed etichettata come terroristica negli Usa. È anche leader della Jewish Defence League, i cui segni visibili a Hebron si trovano su porte e muri: «Gas the arabs», tetra memoria di sterminio. Lo conoscono tutti perché è solito, dalla sua casa-colonia, lanciare personalmente aggressioni contro i residenti palestinesi. La famiglia Al-Azze lo sa bene: per anni i Marzel hanno impedito ad Hashem, medico, e Shirin, pittrice, di raccogliere le olive nel loro piccolo campo. Alla fine una sentenza della corte israeliana ha riconosciuto la proprietà palestinese degli alberi ma è servito a poco: quando finalmente Hashem e Shirin hanno ottenuto il via libera, di olive non ce n’erano già più, Marzel protetto dai soldati ne aveva fatto scempio. Hashem è morto nell’ottobre 2015: malato di cuore, ha inalato troppi lacrimogeni sparati dall’esercito e l’ambulanza non lo ha soccorso. Per arrivare a casa sua si dovrebbe passare per uno dei principali checkpoint su Shuhada street, sbarrato anche ai medici. Non assisterà all’ennesima vergogna: vedere Baruch Marzel diventare parlamentare alla Knesset israeliana, candidato con il partito Otzma Yehudit, Potere ebraico.
Probabilmente è quanto accadrà martedì 9 aprile. Israele va ad elezioni anticipate dopo che…

L’articolo di Chiara Cruciati prosegue su Left in edicola dal 5 aprile 2019


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