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Charlie Gard: bravi, alla fine siete riusciti a farlo soffrire ancora di più, se possibile

“Il mio mestiere è evitare che il paziente muoia, non ucciderlo. Avete davvero mai incontrato un infermiere o un dottore che vuole la morte di un bambino? Non volevamo perdere Charlie, ma era nostro obbligo legale e morale, il nostro lavoro, diventare suoi portavoce quando è stato ora di dire basta.

 Era ovvio per tutti quelli che lo hanno curato. Gli abbiamo dato farmaci e fluidi, abbiamo fatto tutto quello che potevamo, anche se pensavamo che avrebbero dovuto lasciarlo spirare tra le braccia dei suoi genitori, in pace, amato.

Gli abbiamo dato farmaci, abbiamo fato tutto quello che potevamo. Anche se abbiamo pensato che avrebbe dovuto scivolare via tra le braccia dei suoi genitori. Non lo abbiamo fatto per Charlie. Non l’abbiamo fatto nemmeno per sua mamma e suo papà. Negli ultimi tempi abbiamo fatto tutto questo per Donald Trump, il Papa e Boris Johnson che improvvisamente sapevano di più su malattie mitocondriali rispetto ai nostri consulenti esperti.

E l’abbiamo fatto per i leoni da tastiera che hanno pensato che si potesse scrivere tutto il male possibile del personale medico al Great Ormond Street, anche se noi eravamo ancora lì accanto a Charlie, per  prendersi cura di lui nel miglior modo possibile, come abbiamo sempre fatto.

L’abbiamo fatto mentre ogni nostra fibra ci diceva che stavamo sbagliando, che avremmo dovuto smettere.

Ma non potevamo.

Nel corso delle ultime settimane, i media e il dibattito pubblico hanno trasformato la vita di un bambino in una soap opera, in una questione giuridica discussa in tutto il mondo.

Lavorando nel reparto di terapia intensiva è come vivere in una bolla, il più delle volte, ma in questo caso siamo andati oltre. Sono sempre stato orgoglioso di poter dire che lavoro qui, ma non ora. Anche i miei amici mi hanno chiesto: “Perché stai cercando di uccidere questo bambino?”

Voi vi dimenticherete di Charlie, andrete avanti tranquilli con la vostra vita. I suoi genitori vivranno con questo dolore per sempre continuando a chiedersi se hanno davvero preso le giuste decisioni per il loro figlio, se sono stati abbastanza forti per compiere quelle scelte tra la vostra  furia di voi mentre osservavate da dietro lo schermo lo svolgersi del dramma”.

Sono le parole di un infermiere che ha curato Charlie Gard. E dicono tutto meglio di qualsiasi editoriale. La sua lettera al Guardian vale, per umanità e lucidità, molto di più di milioni di gretti discorsi da bar che abbiamo sopportato per settimane e ci dicono una cosa semplice semplice: accanirsi è disumano.

Buon lunedì.

Chiesa e pedofilia, le spine del cardinale Pell

epaselect epa06109729 Australian Cardinal George Pell, escorted by police officers and followed by his lawyers, Robert Richter and Paul Galbally, departs the Melbourne Magistrates Court in Melbourne, Victoria, Australia, 26 July 2017. Australia's most senior Catholic, Cardinal George Pell has attended his first court appearance as he fights historical sexual offence charges. EPA/JOE CASTRO AUSTRALIA AND NEW ZEALAND OUT

Il 26 luglio si è tenuta a Melbourne la prima udienza del processo penale contro il cardinale George Pell, ministro dell’Economia e delle finanze della Santa sede. Terza carica più importante del Vaticano – dopo il pontefice e il ministro degli Esteri -, Pell è accusato di aver stuprato dei minori intorno agli anni 70 ed è dovuto volare in Australia, il suo Paese d’origine, dopo essere stato messo in aspettativa da papa Francesco.

Come abbiamo raccontato su Left in altre occasioni, era andata diversamente negli anni scorsi quando la giustizia australiana ha chiamato il monsignore a rispondere dell’accusa di aver insabbiato numerosi casi di pedofilia clericale di cui era a conoscenza in qualità di capo delle diocesi di Melbourne e di Sidney. Pell si è sempre rifiutato di intraprendere il viaggio, adducendo motivi di salute, e a marzo del 2016 gli investigatori australiani sono venuti a Roma per interrogarlo. Due mesi dopo è stato indagato per pedofilia.

Tornando al processo di Melbourne, è la prima volta nella storia della Chiesa che lo scandalo degli abusi sui minori coinvolge una personalità così importante. Mai un cardinale è stato accusato in prima persona di aver commesso atti di pedofilia. I fatti risalirebbero a quando Pell era solo un sacerdote nella sua città natale di Ballarat. L’iter processuale potrebbe essere molto lungo. Alcuni analisti sostengono che durerà addirittura fino al 2019. Questo significa che molto probabilmente papa Francesco dovrà presto nominare un successore.

La mattina del suo giorno più difficile, Pell è arrivato in tribunale scortato dalla polizia, e assediato da fotografi e giornalisti. Nel corso della prima udienza non ha rilasciato alcuna dichiarazione e il suo legale ha detto che il cardinale respinge tutte le accuse e si dichiara «innocente».

Come riporta l’Herald Sun, è significativa la scelta del cardinale per la propria difesa. Questa è ricaduta su Robert Richter, uno dei migliori penalisti di tutta l’Australia. Richter vanta un curriculum notevole. Fra i suoi clienti più importanti vale la pena ricordare Mick Gatto, ex pugile di origini italiane, che è stato il capo clan della vita criminale di Melbourne, e Julian Knight, cadetto dell’esercito australiano di 19 anni, autore di una delle più cruente stragi nella storia australiana, conosciuta come il “massacro di Hoddle street”. Sotto i colpi di arma da fuoco esplosi da Knight morirono sette persone mentre 19 rimasero ferite gravemente. Ma forse, prima ancora della scelta dell’avvocato è interessante rilevare l’intenso dibattito che si è scatenato nelle settimane immediatamente precedenti al processo relativo alla composizione della giuria. L’Australia è un Paese sostanzialmente ateo e una buona parte della cittadinanza ha chiesto che tra i giurati non vi fossero persone di religione cattolica, temendo che la loro fede ne potesse influenzare le decisioni. Il sistema giuridico australiano però, diversamente per esempio da quello Usa, non permette questo tipo di invasione della privacy. Ai candidati della giuria viene chiesto solo di dichiarare nome e l’occupazione, senza menzionare l’eventuale religione professata.

A ben vedere, nemmeno la politica australiana sembra essere immune dall’influenza della Chiesa negli affari di Stato. A ricordarlo è The Sydney Morning Herald con l’ex primo ministro Tony Abbott, il più famoso politico cattolico del Paese, che si è immediatamente schierato dalla parte del cardinale Pell, definendolo «un uomo veramente per bene». Abbott e George Pell sono amici di vecchia data e il politico si è sempre schierato al fianco del religioso. Nel 2012 Abott descrisse Pell come «una persona importante e influente nella mia vita. A volte mi chiama per condividere con me qualche suo pensiero e altre volte io lo chiamo per chiedergli di incontrarci. Un paio di volte gli ho chiesto consiglio su alcune questioni importanti su cui sapevo che avrebbe potuto darmi la sua opinione, che sarebbe sicuramente stata diversa da quella di chiunque altro».

Evidentemente Abbott si fida ciecamente dell’uomo che nel 1993, incurante delle vittime, sostenne apertamente don Gerald Ridsdale, un sacerdote della sua diocesi condannato per oltre 50 casi di abuso minorile. Pell all’epoca accompagnò Ridsdale in tribunale a riprova di un legame di amicizia che li univa sin dai tempi in cui i due condividevano un appartamento. Erano gli anni in cui Ridsdale, che era cappellano dell’istituto Sant’Alfio di Ballarat, commetteva gli stupri per cui è stato condannato.

La scelta di accompagnare Ridsdale in tribunale si rivelò un grande errore, come Pell stesso ha successivamente dichiarato. C’è una foto di quel giorno che è entrata nella storia australiana, destando sdegno, e che ancora oggi viene ricordata come simbolo della volontà della Chiesa cattolica di coprire gli abusi compiuti dai preti. Nella foto don Ridsdale con un paio di occhiali da sole, si avvia verso il tribunale per l’inizio del suo processo, “scortato” da Pell che indossa l’abito talare.

A chiudere il cerchio, definendo ancor di più l’immagine di questo controverso cardinale, ci ha pensato il più importante sito di all-news australiano (news.com.au), che ha elencato una serie di frasi da cui emerge come, forte della sua posizione, Pell non si sia mai preoccupato più di tanto se le sue prese di posizione potessero ledere la sensibilità e la dignità di qualcuno. Ne citiamo alcune per rendere l’idea. In sintonia con il Catechismo, nel 1990 lanciò un anatema contro l’omosessualità di questo tenore: «Crediamo che quest’attività sia sbagliata e crediamo che per il bene della società non andrebbe incoraggiata». Nel 2009 invece se la prese con la contraccezione: «I preservativi sono promiscui perché incoraggiano l’irresponsabilità. L’idea che si possa risolve una grande crisi spirituale e di salute come quella dell’Aids con alcuni aggeggi meccanici come i preservativi è ridicolo». Spesso Pell è intervenuto anche sul tema della pedofilia suscitando l’indignazione dell’opinione pubblica. «L’aborto è uno scandalo morale ben peggiore dei preti che abusano i bambini», ha dichiarato nel 2002. Nel 2012 ha invece ribadito che l’ammissione di un abuso raccolta nell’ambito del confessionale «è coperta dal segreto» pertanto il sacerdote «dovrebbe rifiutare di sentire la confessione» del confratello. Il segreto è una regola inviolabile della Chiesa, che bisogno c’era di ricordarlo? Pensando alla storia e al processo di Pell c’è chi sui media australiani ha completato la frase ipotizzando che quello del cardinale fosse un consiglio «per evitare di doverlo eventualmente denunciare».

Infine un’ultima perla che risale al 2014 e che va inquadrata nell’ambito dello smarcamento, dalle accuse di aver insabbiato casi di pedofilia, tentato da Pell: «Se un camionista molesta una donna sul camion, io non penso che sia appropriato che il capo della compagnia sia da ritenere responsabile dell’accaduto» disse paragonando la Chiesa a una compagnia di trasporti e alludendo in maniera perversa a una (presunta e impossibile) istigazione a “cadere in tentazione” da parte delle piccole vittime nei confronti di quei “santi uomini” che sarebbero i preti.

L’articolo di Elena Basso è tratto da Left n. 31 del 5 agosto 2017


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Il Pd si è perso l’antifascismo per strada

Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi si affaccia da una finestra di Palazzo Chigi, salutando in maglietta bianca dopo essersi recato a piedi alla parata militare del 2 giugno, Roma, 2 giugno 2014. ANSA/ MASSIMO PERCOSSI

«Visite di cortesia e foto di gruppo: piddini a CasaPound, fasci nei circoli Pd, fasci che invitano a votare Pd, piddini che chiedono i voti a CasaPound, piddini che si accusano a vicenda di avere pacchetti di voti fascisti».

È solo il titolo del primo capitolo di una lunga storia, raccolta dal collettivo di scrittori bolognesi Wu Ming e dal gruppo di inchiesta Nicoletta Bourbaki (composto da studiosi, ricercatori, scrittori e attivisti appassionati di storia) attraverso uno “storify”, uno strumento digitale che consente di mettere in fila i vari contributi – foto, tweet, post – che rimarrebbero altrimenti frammentati nel web. Scopo dell’opera: fotografare i punti di tangenza che legano «il più grande partito riformista d’Europa» ai golden boys della galassia dell’ultradestra nostrana, i militanti di CasaPound.

Una tangenza indicibile, una «corrispondenza d’amorosi sensi» sulla quale gli scrittori emiliani hanno deciso di puntare l’obiettivo all’indomani della celebre esternazione dell’allora ministra Maria Elena Boschi in occasione del referendum costituzionale del 4 dicembre, per la quale «chi vota no fa come CasaPound». Veramente la collusione coi “neri” era da imputare a quel lato della barricata? O l’evidente «fallacia logica» della ministra non nascondeva forse una simpatia, una cordialità, incistata all’interno del suo stesso partito?

Il collage 2.0 sembrerebbe confermare la seconda ipotesi. Ma il ragionamento degli autori non si limita a registrare i rapporti (in)formali tra il partito di Renzi e gli inventori della cinghiamattanza (rivisitazione del pogo punk nata durante i concerti dei militanti neri, dove gli spintoni sono sostituiti da sonore cinghiate). La panoramica intercetta anche movimenti “laterali”. La retorica patriottarda e nazionalista che si insinua tra i ministri Pd, il ruolo di Giorgio Napolitano, definito «vero leader del Partito della Nazione», nel riabilitare un’icona di estrema destra (vedi le pagine successive), le esternazioni razziste di dirigenti dem.

Noi vi proponiamo una antologia essenziale, con alcune perle tra le tante che compongono lo storify. Per leggere nella sua interezza questo inquietante mosaico digitale, potete usare questo link: bit.ly/Pd-Casapound

«Nel corpo sempre più virtuale del partito – che non ha più una teoria né una minimamente coerente visione del mondo oltre la mera difesa della propria funzione e dello stato delle cose – regnano la più assoluta spregiudicatezza, il peggior eclettismo e la schizofrenia» chiosano i Wu Ming. «Se aggiungiamo che la scalata di Renzi ha attirato avventurieri da ogni dove, il risultato è che da dentro il Pd giungono addirittura esternazioni chiaramente fasciste».

Buona visione.

L’articolo di Leonardo Filippi è tratto da Left n. 31 del 5 agosto 2017


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Quer pasticciaccio brutto dell’arena der Colosseo

Il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini durante la presentazione della riproduzione del montacarichi che portava in superficie le belve al Colosseo, Roma, 05 giugno 2015. ANSA/ ANGELO CARCONI

La sentenza con cui il Consiglio di Stato ha dato il via libera al Parco archeologico del Colosseo ci costringe a riprendere il tema della tutela del patrimonio, oggi sempre più a rischio in Italia; ci spinge a tornare sulla riforma Franceschini e sulla sua idea di valorizzazione a cui abbiamo già dedicato un’intera storia di copertina, mettendone in luce la pericolosità, le falle, le contraddizioni e l’effetto paralizzante che ha prodotto in musei e soprintendenze.
Il ribaltamento della pronuncia del Tar Lazio del 7 giugno ha fatto gridare vittoria al ministro, che ha subito colto l’occasione per rilanciare la sua dispendiosa idea di rifare l’arena del Colosseo per poterla sfruttare come palcoscenico. A questa annosa vicenda Vittorio Emiliani, fondatore del Comitato per la bellezza, ha dedicato molte pagine di giornali e libri, anche nel suo nuovo Lo sfascio del Belpaese, perciò gli chiediamo:
Quali conseguenze comporta questa sentenza?
Le sentenze vanno rispettate, però ad una prima lettura quelle del Tar mi sembravano molto ben costruite, argomentate. Mentre queste del Consiglio di Stato paiono francamente piuttosto sbrigative. Condivido in pieno il comunicato di Emergenza cultura (vedi box) nel quale si sottolinea che non tutto è perduto «in quanto esiste pur sempre il rimedio del ricorso in Cassazione per motivi di giurisdizione».
Il ministro Franceschini promette un progetto per «l’area archeologica più importante del mondo» e annuncia un concorso internazionale per la direzione. Il precedente concorso, per venti musei, si è rivelato un passo falso, anche perché  si è svolto in modo irregolare, con esami orali a porte chiuse e senza tener conto della norma che non consentiva l’accesso a stranieri. Errare humanum est, persevare?
Non si è trattato di veri concorsi europei bensì di selezioni pubbliche che pubbliche poi non sono state…

L’articolo di Simona Maggiorelli prosegue su Left in edicola


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I nuovi zombie sono i razzisti

Il maestro degli horror movie George A. Romero con La notte dei morti viventi nel 1968 denuncia il capitalismo ormai imperante, trasformando un’intera società, quella americana, in un esercito di zombie. Allo stesso modo la regista Luna Gualano e lo sceneggiatore Emiliano Rubbi vogliono rompere i tabù con Go Home – A casa loro denunciando il razzismo dilagante nel nostro Paese. Per farlo, hanno ideato un horror allegorico che si propone di usare gli zombie come metafora di una società sempre più chiusa e aggressiva nei confronti dei migranti e di tutto ciò che è “diverso”. Nel film, le cui riprese cominceranno il 6 agosto, gli zombie assediano Roma. L’unico posto sicuro in tutta la città è un centro d’accoglienza per migranti, al cui interno gli ospiti lotteranno strenuamente per rimanere in vita. Ma fra gli ospiti c’è un intruso: Enrico, un militante di estrema destra che stava picchettando l’ingresso del centro per impedirne l’apertura e che mentirà sulla propria identità pur di salvarsi la vita.

«L’idea è nata un giorno in cui con Emiliano commentavamo con amarezza l’ennesimo episodio di xenofobia avvenuto nel nostro Paese – spiega Luna – e a lui è venuta subito l’idea di girare un film horror ambientato in un centro d’accoglienza, con gli zombie metafora di quest’odio freddo che rende ciechi e omologati i razzisti, come fossero una massa indistinta e devitalizzata: proprio come dei morti viventi».
E così l’apocalisse zombie diventa un pretesto per costringere lo spettatore a entrare nei “loro” panni, a vivere dentro un centro d’accoglienza che nel film è l’unico luogo sicuro in un mondo che è ostile: un mondo che, letteralmente, li vuole mangiare vivi. Un’ottima occasione per osservare il mondo con gli occhi dell’“altro”: «Spesso i centri d’accoglienza vengono pensati come luoghi terribili, chi non li conosce può pensare che siano posti da cui stare alla larga – continua Luna -, così nel film facciamo diventare il centro l’unico posto sicuro al mondo e lo smitizziamo».
Go Home è stato pensato come un’opera multilingue: ci saranno scene in italiano, inglese, francese, arabo e in vari idiomi africani per dare una percezione reale di quello che succede dentro ad un centro d’accoglienza, in cui si incontrano di continuo…

L’articolo di Elena Basso prosegue su Left in edicola


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Lo stile neocoloniale di Pechino. Così la Cina sta annettendo l’Africa

La nuova città di Kilamba a circa 30 chilometri da Luanda (Credits: AP Photo / Schalk van Zuydam)

Un sorridente Xi Jinping stringe le mano di un operaio. Sullo sfondo della fotografia campeggia uno dei tanti striscioni rossi a caratteri bianchi che riportano slogan motivazionali e di osanna ai progressi compiuti dalla Cina in questo o quel campo. In una seconda immagine, il leader comunista passa in rassegna una fila di lavoratori, tutti con il caschetto in testa. Le foto non sono però state scattate in qualche cantiere della Repubblica popolare. Lo striscione lascia pochi dubbi: tre caratteri compongono il nome Ange la, ossia Angola. È l’estate del 2010 e il futuro capo di Stato cinese, allora ancora vicepresidente, ma già quasi successore in pectore di Hu Jintao alla guida del Partito comunista e della Cina, visitava i cantieri di Kilamba Kiaxi, cittadina satellite della capitale Luanda che nelle previsioni dovrà ospitare fino a 200mila angolani, confermando gli investimenti per 3,5 miliardi di dollari.
«Organizzata e tranquilla, la vita è totalmente diversa dalla congestione della capitale. Libera da rumore e inquinamento, sicura e pulita», recita la presentazione del progetto sul sito ufficiale Kilamba.info. Il progetto è considerato uno dei modelli della cooperazione sino-angolana: alla costruzione hanno contribuito 50 grandi aziende di Stato cinese e 400 piccole e medie imprese. Almeno ufficialmente sul piano occupazionale….

L’inchiesta di Andrea Pira prosegue su Left in edicola


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Reati minorili, sintomi da curare non da punire

young homeless boy sleeping on the bridge, poverty, city, street

Il tribunale minorile italiano è stato preso come esempio dal Parlamento europeo per la compilazione della direttiva europea del “Giusto processo penale minorile” sollecitando tutti gli Stati membri a seguirne le linee guida mettendo in atto «misure appropriate per garantire che i giudici e i magistrati inquirenti che si occupano di procedimenti penali riguardanti minori abbiano una competenza specifica in tale settore». Il disegno di legge di riforma della giustizia che nasce per rendere più efficiente il processo civile prevede l’inserimento dei tribunali minorili nei tribunali ordinari, nei quali verrà istituita una sezione speciale dedicata ai minori. La preoccupazione degli operatori del settore minorile è vedersi togliere le già scarse risorse a vantaggio della giustizia ordinaria. Sappiamo dalle statistiche che il 70 per cento dei detenuti, messi in libertà alla fine della detenzione ritorna negli istituti di pena per aver commesso ulteriori crimini. Il carcere così come è previsto non solo rende impossibile alcun processo di recupero, ma toglie dignità e identità umana alla persona potenziando le valenze delinquenziali e favorendo un processo di destrutturazione dell’identità. Concepire un percorso di ricostruzione della personalità di chi ha commesso un crimine dovrebbe prevedere un investimento di risorse da parte dello Stato che possono essere pensate solo a partire da un cambiamento di mentalità o addirittura come in vero e proprio un salto di paradigma culturale. Si pensa erroneamente che scontare la pena sia “l’espiazione” di una colpa attraverso la quale si dovrebbe favorire una catarsi e un rinnovamento: quest’ultimo non può avvenire senza uno specifico processo di cura psicoterapica. La pena non può essere vista come un risarcimento, se non addirittura una vendetta richiesta dalle vittime che ricorderebbe molto il biblico “occhio per occhio”. Non voglio banalizzare il problema ed affermare: aprite le carceri, come una volta è stato detto aprite i manicomi in quanto la malattia mentale non esisterebbe ma sarebbe solo un modo di esistere. Penso che la maggior parte dei detenuti abbiano problemi dovuti a disagi sociali o a problemi mentali che potrebbero trarre beneficio da percorsi di cura e di inserimento in comunità, con vantaggi sia economici che di benessere sociale. Ma come dicevo prima è necessario un salto culturale. Allo stato attuale, una società non può definirsi civile se non mette in atto programmi di cura e integrazione sociale per gli adulti che commettono crimini. Diventa essa stessa colpevole….

L’articolo della neonatologa e psicoterapeuta Maria Gabriella Gatti prosegue su Left in edicola


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Figli di uno Stato minore

«Il superiore interesse del bambino» è il principio che guida tutta la giustizia minorile in Italia, pur tra mille difficoltà. Su questo principio, i Tribunali per i minorenni, oltre alle sentenze di condanna per chi commette un reato, prendono decisioni difficili e delicate, come dichiarare che il minore può essere adottato perché i genitori lo sottopongono ad abusi o maltrattamenti, oppure consentire adozioni anche a partner di coppie omosessuali. Oppure ancora, tentare l’affido familiare e sperimentare relazioni affettive più aperte in cui il legame con i genitori biologici non è completamente spezzato. E, infine, seguire il principio dell’interesse del minore significa tutelare i diritti delle migliaia di bambini e adolescenti stranieri non accompagnati che sbarcano nel nostro Paese e che rischiano di finire nelle reti criminali. Un popolo di minori di cui adesso i “senza famiglia” sono 28.449 – metà nelle comunità e metà nelle famiglie affidatarie – e 462 coloro che si trovano negli istituti di pena, mentre i minori stranieri non accompagnati al 30 giugno erano 17.864.
Tutta la giustizia minorile dipende dalla legge 488 del 1988, una rivoluzione culturale per l’Italia, che ha anticipato di un anno la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo. Da allora i minori non vengono più considerati persone di serie b, non ancora adulte, i cui diritti derivano per concessione dei genitori ma, al contrario, sono individui titolari di diritti come qualsiasi altro cittadino. Se Teresa Mattei, battagliera costituente, non era riuscita a far inserire nell’articolo 3 della Costituzione la frase «pari dignità di tutti, bimbi compresi» a cui teneva tanto, la riforma del 1988 ha stabilito dei paletti ben precisi per salvaguardare il benessere dei bambini e degli adolescenti.

Nell’ultimo anno e mezzo si è verificata una pressione inaudita contro quello che all’estero viene considerato un fiore all’occhiello della giustizia italiana: i Tribunali per i minorenni (Tm), appunto. Nella Commissione Giustizia del Senato è in discussione il ddl 2284 sulla mastodontica riforma del processo civile. Nella riorganizzazione generale voluta dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, era previsto anche il cosiddetto Tribunale della famiglia, di cui si parla da molti anni, con l’accorpamento di tutte le competenze: del Tribunale per i minorenni, del Tribunale ordinario sulle separazioni con prole e dei giudici tutelari. Ma a gennaio 2016 un emendamento della deputata Donatella Ferranti (Pd) ha introdotto la soppressione dei Tribunali e delle procure per i minorenni istituendo delle sezioni specializzate presso i Tribunali ordinari. Questo ha provocato una rivolta generale…

L’articolo di Donatella Coccoli prosegue su Left in edicola


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Le parole della musica

Credo non ci siano molte parole da dire e da scrivere oggi.
Ci sono giorni in cui è difficile pensare ed è ancora più difficile scrivere. Non che i pensieri non ci siano. Quello no. Ma sono forse più sensazioni che parole. Come una tristezza che non lo è ancora. Ma che non riesce ad esserlo fino in fondo.
Poi accade che ascolti una musica o leggi una frase o vedi un disegno… e le lacrime improvvise non ti fanno più vedere. Ma poi il dolore del cuore ti fa tornare il pensiero nella mente.
Ci sono momenti come questo di grande difficoltà. Non vogliamo lasciare il sentire che ci rende umani perché altrimenti sembra che tutto sia finito.
La reazione fredda è in agguato dietro l’angolo.
Un po’ di Mozart forse aiuta. Quel suo modo del tutto particolare di accostare movimenti sonori di infinita tristezza a melodie di pura gioia. Momenti di pianto a risate meravigliose.
Un assurdo sentire che ti sballotta tra il pianto e il riso, senza un apparente perché.
Ricordo da bambino quello che mi piaceva era il sentire che in quella musica c’era come un filo continuo. Un filo che non si interrompeva mai e che ti costringeva a seguire quel pensiero senza parole. È solo suono.
Ed è bella l’idea che al tempo di Mozart fosse una forma d’arte che poteva essere fruita solo con un esecuzione dal vivo. Non esistevano registratori.
Una performance di qualcosa di completamente irrazionale e di cui non rimaneva alcuna traccia dopo che era stata eseguita.
Come fai a raccontare a parole il piano concerto n. 21 (k467) dopo che lo hai ascoltato?
Solo la memoria di un filo e di una sensazione.
Un’attività fatta di movimenti del corpo di musicisti che creano un suono… che dice e racconta qualcosa di completamente irrazionale e non raccontabile… con le parole.
Mi scusi il lettore che ha letto finora se sto rubando il suo tempo con questi discorsi un po’ strampalati.
È che forse ora ho scoperto il motivo di questa tristezza.
Dipende forse da un libro, nuovo, che ho visto che ha una copertina disegnata e un titolo che sembra un gioco di parole.
Parole che apparentemente non si comprendono. Come fossero una musica fatta solo di parole scritte e silenziose…
Questa idea affascinante della musica nelle parole scritte è una cosa di cui ha scritto moltissimo Massimo Fagioli nella sua rubrica qui su Left.
E la parola suono compare tra le 21 parole del 2 luglio di un anno fa.
E forse ora comprendo meglio la tristezza e il perché la musica la allevia. È stato un anno… e non ho il coraggio di completare la frase. Perché è stato un anno grande e bellissimo… ma è stato un anno tragico.
Quello che non pensavo ora lo riesco a pensare. Ciò che non si può descrivere a parole come in un concerto è la voce di un bambino appena nato. Il suo vagito che dice “io sono”.
Quello che Fagioli è riuscito a raccontare e comprendere con il suo bellissimo scrivere è proprio quel suono senza parole che viene solo sentito e rappresentato dalla musica e quel pensiero senza voce che compare la notte a cui non è mai stata dignità di pensiero umano.
Conoscenza dell’istinto di morte. È questo il titolo del libro che ho visto.
Sembra un gioco di parole con il titolo del suo primo libro. Ma forse dice qualcosa di questa enorme eredità di pensiero che ha lasciato a noi Massimo Fagioli.
È una responsabilità e una necessità. La necessità e l’obbligo di essere esseri umani.

L’editoriale di Matteo Fago è tratto dal numero di Left in edicola


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Il dramma dei bambini invisibili: quasi 12mila scomparsi nel 2016 in Italia

GRAVINA DI PUGLIA: IL CASOLARE DOVE SONO STATI RITROVATI I CORPI DI DUE RAGAZZI. NELLA FOTO INQUIRENTI SUL POSTO.

Ben 47.946 in tutto, dal 1974 al giugno del 2017: 11.044 in più rispetto a giugno 2016. Sono le persone scomparse, tra minori e adulti, cioè coloro di cui si sono perse le tracce nel territorio italiano. Le loro cifre sono state da poco aggiornate e trascritte nella XVII relazione del Commissario straordinario per le persone scomparse. E sono cifre che raccontano una vera e propria emergenza. Quella dei bambini scomparsi.

Al giugno del 2017 i minori stranieri non più rintracciabili sono 31.635, 9.754 in più rispetto alla rilevazione del 2016 (21.881), in aumento del 44,5%.  Secondo il report, «si registra un aumento sostanziale degli allontanamenti dei minori, in particolar modo di quelli stranieri, dai centri di accoglienza». La relazione definisce questo fenomeno come «il più preoccupante»: il totale complessivo dei minori da ricercare che si allontanano da tali centri è di 8.811, tra cui 8.372 stranieri e 439 italiani.

XVII relazione dell’Ufficio del Commissario straordinario del governo per le persone scomparse

Il cosiddetto “allontanamento volontario” resta – almeno sulla carta – la motivazione principale per la scomparsa, anche tra i minori: sono 18.796 quelli che hanno spontaneamente deciso di allontanarsi dai propri tutori (17.967 stranieri e 829 italiani). La casistica dei «possibili disturbi psicologici» comprende invece 14 minorenni.

In aumento anche gli under 18 irrintracciabili con cittadinanza italiana, che passano complessivamente da 1.945 a 2.167, un aumento dell’11,4%. Le regioni con il più alto numero di ricercati sono la Sicilia (12.188), il Lazio (7.721), la Lombardia (5.360), la Campania (4.115) e la Puglia (3.737).

Nel Registro dei cadaveri non identificati sono segnalati inoltre 2.539 corpi, tra i quali 1.805 recuperati in mare, in gran parte nel mar Mediterraneo, a causa dei flussi migratori. I morti accertati in quel braccio di mare solo nel 2017 sono 2.397, secondo l’Oim.

XVII relazione dell’Ufficio del Commissario straordinario del governo per le persone scomparse

Il tema dei diritti negati ai minori sarà approfondito nella storia di copertina del numero 31 di Left, in edicola da sabato 5 agosto.

La copertina del numero 31 di Left in edicola da sabato 5 agosto, oppure in digitale da venerdì 4 agosto


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