Home Blog Pagina 855

Stati arabi vs Qatar: guerra a colpi di fake news

epa04557189 A general view of the West Bay skyline from The Museum of Islamic Art, Doha, Qatar, 12 January 2015. The Museum of Islamic Art shows highlights of the Qatar collection ranging geographically from Spain to China and spanning nearly a thousand years reflecting the diversity of cultures and ideas within one civilisation. The Qatar 2015 men's Handball World Championship takes place in Qatar from 15 January to 01 February. Qatar 2015 via epa/NIC BOTHMA Editorial Use only/No Commercial sales

Sky News Arabia – una joint venture tra una compagnia di Abu Dhabi e Sky Gran Bretagna – ha mandato in onda un documentario che rivelerebbe i legami di Doha con i terroristi coinvolti nell’attacco alle Twin Towers a New York dell’undici settembre. Nel frattempo un giornale saudita, l’Okaz, ha pubblicato la notizia che ai magazzini Harrods – negozi di Londra di proprietà qatariota – verrebbero rubate informazioni alle carte di credito dei clienti a favore dell’embargo al Qatar. Dall’altra parte della “trincea”, i media di Doha hanno scritto invece che l’Arabia Saudita avrebbe punito chiunque avesse anche solo indossato una maglietta del FC Barcellona, squadra calcistica sponsorizzata dalla Qatar Airways.

La battaglia della propaganda nei media del Golfo, insomma, sta diventando brutale e in tutti gli stati impegnati nella guerra contro Doha – Emirati arabi, Arabia Saudita, Bahrain ed Egitto – «i cani da guerra dei media sono stati slegati», commenta il Financial Times.

I media del Golfo sono stati sempre sotto controllo governativo e il lancio di Al Jazeera nel 1996 ha letteralmente rivoluzionato il modo di fare giornalismo in Medio Oriente. Ora però, contro la tv multi-lingua e la sua narrativa, sono state sollevate altre due teste d’ariete, i due colossi Sky news Arabia e Al Arabiya, una televisione governativa saudita che ha fatto saltare ieri dalle poltrone i suoi spettatori, quando ha definito il Qatar “regime canaglia” e ha insultato l’emiro che lo guida, Sheikh Tamin bin Hamad al Thani.

L’embargo nei confronti del Qatar non riguarda solo beni materiali, ma anche gli accessi mediaci a fonti di notizie e media, bloccati da mesi negli stati arabi che accusano Doha di finanziare e fiancheggiare l’Iran e Hamas. Al Jazeera ha commentato l’embargo definendolo «un immaturo atto politico, compiuto da paesi che impongono strutture beduine a istituzioni statali moderne».

Questa crisi diplomatica – per il momento – procede dunque a colpi giornalistici: «i media sono diventati le core weapons, armi principali. Storicamente l’Arabia Saudita era conservatrice, ma questa volta abbiamo visto che si sta togliendo i guanti» ha detto Awad al Fayadh, della televisione saudita Mbc. La crisi del Golfo è a un punto morto, Doha continua a respingere le accuse di terrorismo che le vengono imputate, al Jazeera di certo non chiuderà, «ma la battaglia continua, gli stati rivali usano i media come cani da guerra per far si che continui, non solo per interessi interni, domestici, ma anche per guadagnare consenso tra gli alleati occidentali».

Per i giornalisti che sostengono le pressanti richieste delle nazioni arabe di chiusura della rete Al Jazeera, questi metodi – colpi di propaganda e fake news – sono giustificati «perché è quello che ha fatto la tv di Doha, destabilizzando la regione per anni. Oggi il governo ha capito che la battaglia deve essere combattuta usando gli stessi metodi».

“Ma lei ha intenzione di fare figli?”

Jacinda Ardern

“Come gran parte delle donne che si dedicano alla loro vita lavorativa, non sto pre-determinando nulla di tutto ciò”.

“È davvero inaccettabile nel 2017 sostenere che le donne debbano rispondere a questa domanda sul posto di lavoro. È una decisione che spetta alla donna quando avere figli, non deve avere conseguenze sul fatto di ottenere o meno un lavoro”.

“Dovremmo essere giudicate per ciò che sappiamo fare, non per la nostra vita privata, invece tutte le donne affrontano questo pregiudizio continuamente”

In sintesi questa è la risposta che Jacinda Ardern, 37 anni e nuova leader dell’opposizione in Nuova Zelanda, ha dato ai giornalisti che le hanno chiesto se avesse intenzioni di avere figli, in previsione di una sua prossima candidatura a premier. Gliel’hanno chiesto con la stessa boria con cui tutti i giorni, in tutto il mondo, alcuni datori di lavoro chiedono a donne che cercano un’occupazione se davvero hanno intenzione di esercitare quel loro fastidioso diritto alla maternità come se fosse una discriminante socialmente accettata.

E lei, la Ardern, ha risposto con l’elegante disgusto che provano tutte le donne del mondo. Con una differenza sostanziale: lei ha potuto reagire. Poi magari ci si potrebbe occupare di costruire un mondo in cui non sia più lecito usare quel tono. No?

Buon venerdì.

Droghe, associazione Coscioni: i silenzi del governo su un mercato da 14 miliardi

Opened the 'Hemp Embassy', the first shop dedicated to the sale of cannabis cuttings in Italy, Milan, 16 June 2017. ANSA/DANIEL DAL ZENNARO

Al primo posto la cannabis, col 9,8%. Poi le cosiddette “nuove sostanze psicoattive” col 1,4%, la cocaina con l’1%, infine spice (dall’inglese “spezia”, è una droga sintetica derivata dei cannabinoidi), eroina ed oppiacei. Per un totale di circa 4 milioni di italiani che hanno fatto uso di almeno una di queste droghe durante l’ultimo anno – un italiano su dieci – ed un giro d’affari di circa 14,2 miliardi di euro.

Sono i dati presentati al interno della relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, curata dal Dipartimento delle politiche antidroga, e resa pubblica il 1 Agosto. «Nel totale disinteresse e silenzio della politica», come denunciano Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni, e Marco Perduca, coordinatore di Legalizziamo.it.

«Di fronte a questo potenziale economico – proseguono i due portavoce – è indispensabile aprire un dibattito pubblico, politico e istituzionale ma il Governo invia la relazione al Parlamento quando questo chiude per la pausa estiva e lo fa senza neanche una conferenza stampa per presentarlo né, tanto meno, annuncia risposte alla diffida che con Antigone, Forum Droghe, la Lila e la Società della Ragione abbiamo inviato il 31 luglio al Presidente Gentiloni per chiedere la convocazione della Triennale (ma assente dal 2009) Conferenza Nazionale sulle Droghe dove il contenuto della Relazione dovrebbe esser discusso istituzionalmente».

«Possibile che i Presidenti Grasso e Boldrini non abbiano nulla da dire rispetto a questa mancanza di rispetto del Parlamento e delle sue prerogative di ‘cane da guardia’ dell’operato del Governo?» concludono Gallo e Perduca.

Continuando a leggere i dati, si nota che la spesa per sostanze è divisa tra cocaina (43%), cannabis (28,2%), eroina (16,2%) e altre sostanze sintetiche (12.7%). 

L’associazione Luca Coscioni è impegnata nella tutela delle libertà civili dei cittadini su temi come libertà di ricerca scientifica, antiproibizionismo, legalizzazione Cannabis, legalizzazione dell’eutanasia, testamento biologico, eliminazione delle barriere architettoniche, diritti dei disabili, fecondazione assistita e iniziative per eliminazione divieti della legge 40.

Strage di Viareggio, la sentenza: «Quei 32 morti si potevano evitare»

L'incendio divampato nella notte tra il 29 e il 30 giugno 2009 nella stazione di Viareggio ANSA/ RICCARDO DALLE LUCHE

La strage di Viareggio, 32 persone morte tra le fiamme, «non è stato un fatto imprevedibile», lo scrivono i giudici del tribunale di Lucca nelle motivazioni della sentenza del processo di primo grado che si è concluso lo scorso gennaio. Durante il terribile incidente di Viareggio, accaduto il 29 giugno 2009, alle 23:50 un treno merci che stava trasportando gpl, deraglia e si squarcia. La rottura delle cisterne cariche di gpl provoca una “nube esplosiva”. A causa del gas fuoriuscito si verifica un’esplosione gigantesca che si propaga nelle strade e nelle abitazioni vicino alla ferrovia. La maggior parte delle vittime muoiono bruciate nei loro letti.
Secondo i giudici l’incidente di Viareggio «costituisce un evento derivato da una concatenazione di accadimenti strettamente consequenziali tra loro che sarebbe stato possibile evitare attraverso il rispetto di consolidate regole tecniche create proprio al fine di garantire la sicurezza del trasporto ferroviario, e soprattutto, prestando massima attenzione ai diversi segnali di allarme che si erano manifestati già prima del fatto e che preludevano al disastro». Se infatti la rottura dell’assile del carro è stato «il fattore originario» da cui poi si è scatenato il disastro, causando il deragliamento del treno e la successiva fuoriuscita di gas, la «causa originaria ed il verificarsi dei fattori successivi debbono essere considerati concause tutte riferibili al medesimo contesto di gestione del rischio che è quello connesso al trasporto ferroviario». Secondo i giudici di Lucca le società coinvolte nel processo hanno «ottenuto vantaggi consistenti nel risparmio economico derivato dalla omissione di interventi di carattere tecnico».
Nel processo, concluso lo scorso 31 gennaio, c’erano 33 imputati. Fra i condannati: Mauro Moretti, l’ex amministratore delegato di Fs e Rfi, condannato a 7 anni  e Michele Mario Elia, ex amministratore delegato di Rfi condannato a 7 anni e mezzo. L’accusa per tutti gli imputati era di disastro ferroviario, incendio colposo, omicidio colposo plurimo e lesioni personali. In totale ci sono stati dieci assolti, mentre pene pesanti sono andate anche al responsabile sistema manutenzioni di Gatx Rail, la società tedesca che aveva affittato i carri cisterna, condannato a 9 anni e mezzo.

Mare Nostrum, specchio del clima

Isola di Ponza, Mare Mediterraneo. Ponza, 18 aprile 2017. ANSA/STEFANO SECONDINO

Il mar Mediterraneo è una delle regioni più soggette all’aumento delle temperature e alla riduzione delle precipitazioni, dove gli effetti del global warming si manifestano più rapidamente che negli oceani, anche perché i tempi di ricambio delle acque sono relativamente brevi rispetto a quelli di un oceano”. A parlare è Katrin Schroeder, ricercatrice dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Venezia (Ismar-Cnr), che sul tema ha coordinato due studi internazionali pubblicati sulla rivista Scientific Reports in collaborazione con il National Oceanography Centre di Southampton (Uk) e l’Institut National des Sciences et Technologies de la Mer di Salamboo (Tunisia).

“Nel Mediterraneo l’evaporazione è predominante rispetto alle precipitazioni e agli apporti fluviali e, nel bacino orientale, siccità e temperature hanno recentemente raggiunto livelli record rispetto agli ultimi 500 anni”.
L’Ismar-Cnr analizza da oltre vent’anni le caratteristiche dell’acqua in transito nel Canale di Sicilia, punto di contatto tra i bacini orientale e occidentale del Mediterraneo. “I dati dello studio evidenziano che dalla fine del 1993 ad oggi le proprietà termoaline (temperatura e salinità) dell’acqua proveniente dal Mediterraneo orientale, tra i 300 e 600 metri di profondità, hanno subito rilevanti variazioni. In particolare, la rapidità con cui stanno aumentando è di due volte e mezzo maggiore rispetto a quella osservata nel Mediterraneo orientale nella seconda metà del XX secolo ed è di un ordine di grandezza superiore a quella che si osserva negli oceani (nel caso della temperatura, 0,05 gradi all’anno nel Mediterraneo orientale, 0,005 gradi all’anno nell’oceano globale)”, prosegue la ricercatrice Ismar-Cnr. “Il Mediterraneo può essere assimilato a una macchina che importa acqua superficiale poco salata e di bassa densità dall’Atlantico, e la trasforma al suo interno mediante processi complessi che coinvolgono la produzione di acque più calde e salate, poi esportate verso l’Atlantico, dalle profondità dello Stretto di Gibilterra”.
Nel Canale di Sicilia il flusso d’acqua proveniente dai due bacini si dispone su due livelli: l’acqua di origine atlantica, meno salata e più leggera, occupa lo strato superficiale e si muove verso est, mentre quella intermedia generata dall’intensa evaporazione nella regione orientale, più pesante, si muove verso il bacino occidentale nello strato inferiore. “Le proprietà fisiche dell’acqua intermedia determinano quantità, temperatura e salinità dell’acqua profonda generata nel Mediterraneo nord-occidentale. Queste due ultime caratteristiche del livello profondo sono molto stabili e sono sempre state considerate un importante punto di riferimento per quantificare ogni minimo effetto dei cambiamenti climatici”, conclude Schroeder. “Consideriamo che per circa mezzo secolo il loro contenuto salino e di calore è aumentato gradualmente, mentre dal 2005 questi parametri stanno crescendo a velocità doppia rispetto al periodo 1960-2005. Da allora si parla di transizione del Mediterraneo occidentale, un periodo di eventi di formazione di grossi volumi di acqua profonda particolarmente calda e salata, che ha segnato l’inizio di un drastico mutamento nella struttura degli strati intermedi e profondi del bacino occidentale. Questi dati suggeriscono quindi una veloce transizione verso un nuovo equilibrio che si riverbera sull’ecosistema marino profondo”.

Mediterraneo: non confondere il grano con il sale

Una immagine dei profughi salvati nel Mediterraneo dalla nave Aquarius, diffusa il 3 febbraio 2017. Sono circa 700 i profughi tratti in salvo da sei imbarcazioni in difficoltà tra ieri sera e questa mattina dalla nave Aquarius di Sos Mediterranee, organizzazione umanitaria italo-franco-tedesca che opera in partnership con Msf (Medici senza Frontiere). ANSA / Federica Mameli/ US SOS MEDITERRANEE +++ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING+++

«Il codice inoltre non fa alcun riferimento ai principi umanitari e alla necessità di mantenere la più assoluta distinzione tra le attività di polizia e repressione delle organizzazioni criminali e l’azione umanitaria, che non può essere che autonoma e indipendente. Il rigoroso rispetto dei principi umanitari riconosciuti a livello internazionale è per noi un presupposto irrinunciabile. Essi rappresentano la sola garanzia di poter accedere alle popolazioni in stato di maggiore necessità ovunque nel mondo, assicurando allo stesso tempo ai nostri operatori un sufficiente livello di sicurezza. Ogni compromesso su questi principi è potenzialmente in grado di ridurre la percezione di MSF come organizzazione medico‐umanitaria effettivamente indipendente e imparziale.»

È una delle motivazioni con cui Medici Senza Frontiere spiega il suo no alla firma dell’accordo con il ministro Minniti e il governo italiano.

Ma ce n’è una più profonda che nessuna ONG può prendersi la libertà di dire: Minniti, in cambio di un pugno di consenso, è colpevole di un favoreggiamento esterno al fango buttato sulle ONG da Zuccaro (a proposito: a che punto è la sua indagine conoscitiva?) e altri. Il governo italiano ha la colpa di avere voluto seguire un’onda di maldicenza e malfidenza che contribuisce alla “normalizzazione” delle vite in mare.

Chiariamoci: se qualcuno sbaglia, paga. Ed è un bene per tutti.

Ma dell’indagine di cui oggi scrivono un po’ tutti, condita da urlacci, bisognerebbe scriverne bene. Perché il procuratore ha parlato di “incontri e contatti in mare” documentati fra membri della ONG tedesca e i trafficanti di uomini, precisando però che dai riscontri “non è emerso uno stabile collegamento tra l’equipaggio della Ong e i trafficanti libici”. Nessun volontario imbarcato sulla Iuventa è indagato per associazione a delinquere, poiché “le finalità dei trafficanti erano ben diversi rispetto a quelle dell’equipaggio Iuventa”. I membri della ONG operavano per “finalità umanitarie”, secondo il procuratore e l’ipotesi di un collegamento stabile con i trafficanti è “pura fantascienza”.

Ma qui da giorni discutiamo di sensazioni. Sensazioni coltivate sulle supposizioni. Sensazioni che riescono addirittura a raccontare la Libia come un Paese normale.

Poveri noi. Poveri loro. Poveri tutti.

Buon giovedì.

Quando il teatro fa rivivere i piccoli borghi abbandonati

Foto di Giuseppe Totaro (10)

Ci sono borghi, bellissimi, che durante l’inverno sembrano quasi addormentati. Se vi capita di visitarli nei mesi più freddi dell’anno fateci caso, il  rumore dei vostri passi sembrerà rimbombare in quella calma avvolgente e fin troppo statica. Gli sguardi degli anziani, che sbirciano dalle loro finestre, vi seguiranno fin dove potranno arrivare. E non sorprendetevi se ad ogni stradina percorsa quelle pochissime persone incontrate vi avranno sorriso come a voler dire: “salve, come mai da queste parti?”. Per questo è ancora più sorprendente rivedere quegli stessi luoghi animati da così tante persone, radunate per assistere ad uno spettacolo teatrale, o anche ad un reading o ad un concerto. Succede, sì. D’estate soprattutto, quando è più facile improvvisare palchi in mezzo ad una piazza, recitare tra i sassi, e perfino allestire performance in una serra o in un vigneto.

Piccoli grandi miracoli che il nostro tanto amato e maltrattato teatro riesce qualche volta a far accadere. Ed è allora che la festa è davvero una  gran bella festa e ti sembra che il teatro torni ad essere un rito collettivo e a riappropriarsi dell’aggettivo “politico” nel senso più ampio del termine. Il teatro come esperienza da condividere, da assaporare, da vivere a volte anche in prima persona, perché i cittadini, oggi, vogliono essere sempre più partecipanti attivi. Basta guardare, per esempio, ciò che accade ogni mese di luglio a Kilowatt, il festival della nuova scena di Sansepolcro (Arezzo), dove da quindici anni i “visionari” (comuni cittadini) si riuniscono durante tutto l’anno per valutare i video degli spettacoli e scegliere insieme quelli che faranno parte della programmazione. O addirittura a Monticchiello, nella splendida Val d’Orcia, dove da 51 anni è un intero paese ad andare in scena. Anzi, se volete, siete ancora in tempo per un gita, perché il 51° autodramma del Teatro Povero di Monticchiello, malComune, prevede repliche fino al 14 agosto. Lo spettacolo è ideato, discusso e recitato dagli abitanti-attori (sotto la guida e per la regia di Andrea Cresti) e ogni estate, una sera dopo l’altra, dal palco racconta storie al pubblico di tutta Italia, che poi resta stregato dal borgo medievale affacciato sulle dolci colline toscane. 

foto-di-giuseppe-pirro

Ma a proposito di borghi che d’inverno sono quasi disabitati e d’estate si ripopolano all’improvviso, vi segnaliamo una delle rare rassegne che si svolgono al Sud dedicate al teatro di ricerca e che proprio in questi giorni (fino al 6 agosto) per la dodicesima volta sta mettendo in pratica il suo miracolo annuale: il Festival Troia Teatro, che trasforma strade, piazze e cortili di questo paesino dell’entroterra pugliese in teatri a cielo aperto. Il tema scelto per l’edizione 2017 (organizzata da Unione Giovanile Troiana, ACT! Monti Dauni e Teatri 35 e diretta da Francesco Ottavio De Santis) è il rito: riti di passaggio, di guerra, di iniziazione, riti individuali e collettivi, pubblici o privati. Tra gli artisti ospiti ci sono Alessandra Asuni, la compagnia Fibre Parallele, il cantante Francesco Di Bella e una carovana itinerante di artisti, saltimbanchi, guitti e marionette, danzatori, clown e trampolieri.

Ancora più a Sud esiste un festival che si svolge in un luogo impensabile.. lungo le pendici dell’Etna. Si chiama Sciaranuova Festival (fino al 5 agosto) ed è un progetto ideato per il terzo anno da Planeta nel proprio Teatro in Vigna diretto da Paola Pace, che ha aperto la rassegna di Passopisciaro, sul versante nord dell’Etna, con lo spettacolo Tre-Pi – Le fiabe atroci di Palermo, dalle fiabe di Giuseppe Pitrè. Lì, all’ombra del vulcano, tra le terrazze verdeggianti dei vigneti costellate di sassi neri di pietra lavica, teatro e natura si fondono per regalare ai più temerari un’oasi di pace, in compagnia dei messinesi Scimone/Sframeli (presenti con uno dei loro spettacoli di punta, Nunzio, regia di Carlo Cecchi) o di Tino Caspanello (Mari).

tenuta sciaranuova

All’estremo Nord, invece, c’è un Festival che invita il suo pubblico ad entrare nel cuore economico della città di Alberga: le aziende agricole. Le serre, dunque, diventano luogo di spettacolo (quest’anno dal 5 al 7 agosto), grazie alla capacità di Kronoteatro di coltivare cultura attraverso un festival – Terreni creativi – in cui il teatro, la danza e musica convivono in spazi non tradizionali ospitando spettacoli spesso spiazzanti (tra gli artisti di quest’anno Davide Iodice, Maniaci d’amore, Mario Perrotta).     

Ma al di là degli eventi in programma, la straordinarietà di queste rassegne sta proprio nella  capacità di pensare a progetti e idee forti che hanno senso solo e soprattutto in certi luoghi. Ci vengono in mente altri due festival, dove si intrecciano poesia e musica, teatro e arte. Pensiamo allo Sponz Fest diretto da Vinicio Capossela  (Calitri e Alta Irpinia, 21-27 agosto) e a La luna e i Calanchi di Franco Arminio (Aliano, 22-25 agosto). Entrambi attraversano dei territori dimenticati da tutti, eppure vivi con i loro fiumi di persone che si spostano di alba in alba inseguendo la bellezza.

Putin alle grandi manovre, al via l’operazione Occidente

epa04802356 Russian President Vladimir Putin (L) and Defence Minister Sergei Shoigu (R) arrive for the opening of the Army-2015 international military forum in Kubinka, outside Moscow, Russia, 16 June 2015. Hundreds of Russian defense companies and weapon manufacturers will take part in the event, displaying about 5,000 pieces of weaponry and military equipment, ranging from helicopters and fighter jets to tanks and small arms. EPA/MAXIM SHEMETOV/POOL

Circa centomila soldati russi. Destinazione: mar Baltico, su suolo bielorusso, confine est Nato. Tempo di dispiegamento: fine dell’estate 2017. Nome in codice dell’esercitazione militare: Zapad, ovvero, Occidente. Armi: 800 carri armati, 300 pezzi d’artiglieria, decine di lanciatori di missili Iskander. A molti, queste esercitazioni volute dal presidente russo Vladimir Putin, ricordano i giorni della vecchia Guerra fredda. Altri si preparano già a quella nuova.

Le manovre Zapad, già replicate nel 1999, 2009, 2013, si svolgeranno nelle vecchie basi sovietiche dove sono stanziali perennemente mille militari russi, interessati a comunicazione e logistica. Le autorità russe dicono che i soldati dispiegati saranno solo 13mila in queste operazioni congiunte tra Mosca e Minsk nel mar Baltico, fino a Kaliningrad, enclave russa in territorio europeo.

Le truppe della guardia della prima armata corazzata russa, abolita nel 1999 e ripristinata nel 2015, uno dei poteri offensivi di epoca sovietica, attiva proprio in Europa orientale prima contro i tedeschi nazisti e poi a Praga Drante la primavera del 1968, arriveranno di nuovo nell’Europa dai confini riscritti dai conflitti del Novecento.

Per Jens Stoltenberg, segretario generale Nato, molti più militari di quelli dichiarati prenderanno pare alle operazioni militari, «in numero sostanzialmente maggiore di quelli ufficiali». Tony Thomas, generale in comando delle forze speciali, ha detto che «il timore che poi non se ne andranno non è paranoia». Peter Zwack, generale in pensione che ha servito la bandiera stelle e strisce a Mosca nel 2012, ha detto che il messaggio è «vi stiamo guardando, non scherzate con la Russia, siamo forti«. Ad est si chiedono questo: è un atto di intimidazione e pressione o preparazione d’intervento? Per Philip Breedlove, generale dell’aviazione «è un chiaro messaggio ai Baltici e alla Polonia».

Prima la guerra ucraina, poi l’intervento in quella siriana. Infine, e soprattutto, l’interferenza nelle elezioni presidenziali americane nel 2016. La guerra era stata già dichiarata negli ultimi giorni del governo Obama: 35 diplomatici russi sono stati obbligati ad abbandonare le sedi di New York e Washington. La Russia ha alzato la posta e ha recentemente risposto con l’espulsione di quasi 800 diplomatici americani, esattamente 755, dal suolo della sua Federazione, una risposta al pacchetto di contromisure economiche votate al Congresso americano la settimana scorsa con 419 voti a favore del sanction bill. “L’intervento in elezione” è stata la causa del rafforzamento delle sanzioni, il pacchetto di misure anti-russe più ampio mai varato finora.

Questo ultima proposta di legge approvata è “un’insolenza”, ha detto Putin. «Non possiamo tollerare questa insolenza senza fine verso il nostro paese, è inaccettabile, distrugge le relazioni internazionali». «La speranza è l’ultima a morire», ha detto Konstantin Kosachev, presidente delle relazioni estere del Cremlino, «ma muore».

Bologna è una piaga. Imbolsita e infettata

Un momento delle celebrazioni per il trentaseiesimo anniversario della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, Bologna, 2 agosto 2016.ANSA/GIORGIO BENVENUTI

«L’Italia non ha mai fatto i conti con il proprio passato. È una costante: è stato così per il fascismo, lo è oggi per la strategia della tensione. Ci sono ancora dei grumi, delle situazioni e degli apparati che non si possono assolutamente svelare. Se così fosse ci sarebbe un effetto a catena che a molti farebbe paura». Sono le parole di Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione delle vittime della strage di Bologna che apre così la retorica d’agosto che oggi ricorderà quel giorno del 1980 in cui morirono 85 perone e 200 rimasero ferite.

La strage di Bologna non è una ferita. No. Quelle di solito si fanno cicatrici con il passare del tempo e si richiudono insieme alla storia. La strage di Bologna è piaga, di quelle sempre aperte, che si infetta ogni anno di più. Ormai ci volano le mosche e dentro se ne nutrono i vermi.

Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, i due condannati come esecutori della strage, hanno già finito di scontare la pena. Hanno preso, in pratica, dimessi di condanna per ogni morto. Una cosa così. Ma sui mandanti, al solito, nulla. Non ha nemmeno fatto scalpore la telefonata intercettata di Gennaro Mokbel, uomo della Banda della Magliana e riciclatore di soldi sporchi, in cui disse che liberare “quei due” gli costò un milione e duecentomila euro. Nulla, nulla. Dovrebbe bastarci così.

E anche per questo la piaga di Bologna oltre a tutto il resto è anche una piaga imbolsita: ogni anno si racconta la storia con una lena sempre più blanda, sconfortata, con quella vergogna che proviamo quando ci ritroviamo a raccontare una storia di cui non sappiamo il finale e per pudore ci copriamo la bocca con la mano nelle battute finali.

Ed è un peccato. Ed è un adulterio nei confronti della verità.

Buon mercoledì.

Baobab e Ferrovie, prove di dialogo per l’utilizzo di piazzale Maslax

Forze dell'ordine al termine delle operazioni di identificazione del presidio dei migranti del Baobab Experience nei pressi della stazione Tiburtina a Roma, 19 maggio 2017. ANSA/ANGELO CARCONI

La direzione delle Ferrovie dello Stato ha risposto alla lettera con cui una settimana fa Baobab experience, dopo che la petizione da loro lanciata ha superato le 17.500 firme, ha chiesto di poter avviare un tavolo di discussione per l’utilizzo di piazzale Maslax. Il Baobab, il centro d’accoglienza autogestito e retto totalmente da volontari, che negli ultimi anni ha accolto più di 70.000 persone in transito nella Capitale, sta infatti ospitando da mesi più di 200 migranti in sistemazioni di fortuna in piazzale Maslax. Le Ferrovie dello Stato si sono dichiarate disposte a partecipare ad un tavolo di discussione, citando come esempio virtuoso l’HUB Migranti di Milano Centrale. La posizione delle Ferrovie dello Stato è chiara: sono disposti a collaborare se le istituzioni risponderanno positivamente assumendosi le proprie responsabilità.

Finalmente un segnale positivo per i volontari del Baobab, che ora rilanciano, chiedendo alla Sindaca di Roma Virginia Raggi, al presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e al prefetto di Roma Paola Basilone, di avviare un tavolo di discussione per la gestione di piazzale Maslax. Come si legge nel comunicato del Baobab: «vogliamo ora ricordare alle Istituzioni che anche la stessa direzione FS chiama in causa, che è venuto il momento in cui chi ha assunto ruoli e incarichi istituzionali si assuma, finalmente, la responsabilità di decidere quale debba essere il livello minimo di accoglienza che la Capitale del principale Paese d’arrivo della rotta migratoria africana, vuole garantire». Per lunedì 7 agosto il Baobab sta organizzando una manifestazione presso la scalinata del Campidoglio per chiedere che al centro venga finalmente concesso uno spazio.

Da mesi ormai i volontari del Baobab sono costretti, fra uno sgombero e l’altro (lo scorso 19 giugno c’è stato il ventesimo), ad accogliere i migranti nel piazzale abbandonato dietro alla stazione Tiburtina, ribattezzato piazzale Maslax, senza che le istituzioni abbiano mai proposto una sede alternativa. Nonostante questo però i volontari del centro continuano a dare speranza a chi crede in un’accoglienza diversa. Il 15 luglio scorso i volontari del Baobab hanno risposto alla “ronda” dei militanti di CasaPound sulla spiaggia di Ostia: 80 migranti che hanno trovato accoglienza al centro, sono stati portati sulle spiagge di Ostia per godersi una giornata spensierata, per incontrare dopo mesi «un mare che non è naufragio, non è morte, non è barriera». Una risposta simbolica a chi cerca di rendere razziste persino le nostre spiagge.