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Traffico esseri umani: nave anti-migranti fermata a Cipro, arresti in corso

Un momento della manifestazione nel porto di Catania, alla quale hanno preso parte una trentina di rappresentanti delle associazioni che compongono la Rete Antirazzista Catanese, per dire 'no' all'arrivo in città della C-Star, la nave noleggiata da Generazione identitaria, un'organizzazione multinazionale di estrema destra, francese, italiana e tedesca nata nel 2012, Catania, 22 luglio 2017. La C-Star intende prestare supporto alla guardia costiera libica nelle operazioni finalizzate a intercettare e riportare indietro i barconi carichi di migranti. I manifestanti hanno mostrato striscioni con la scritta "Non più naufragi. Diritto d'asilo europeo per non morire" e '"Freedom, not Frontex. Diritto d'asilo e corridoio umanitario". ANSA/ MAURIZIO D'ARRO'

Nuova tegola sulla missione Defend Europe, la campagna del movimento di estrema destra Generazione identitaria, che ha noleggiato una nave per ostacolare il lavoro delle Ong nel Mediterraneo e fermare gli sbarchi. L’imbarcazione è ferma al porto di Famagosta, a Cipro Nord – parte dell’isola sotto il controllo di Ankara – e la Refugees rights association (Mülteci hakları derneği) da l’allarme: alcuni cittadini dello Sri Lanka sbarcati nel paese avrebbero fatto richiesta di protezione internazionale e «ci sono forti prove del fatto che la nave sia coinvolta nel traffico di esseri umani».

Le accuse sono molto gravi e la situazione è in continuo divenire. Di sicuro la nave è stata evacuata e il comandante Sven Tomas Egerstrom e nove membri dell’equipaggio sono stati arrestati con l’accusa di aver falsificato documenti. L’avvocato dei cittadini di origine Tamil che hanno presentato richiesta di asilo, il turco cipriota Pasha, parlando al Fatto Quotidiano precisa inoltre che «i suoi assistiti avevano raccontato di essere saliti volontariamente a bordo nel Gibuti, ma la loro storia non era convincente» e «per arrivare in Europa avrebbero dovuto pagare 10.000 euro a testa». La destinazione che avrebbero voluto raggiungere – per il sito Ankara Değil Lefkoşa sarebbe stata l’Italia. Una volta giunti a Cipro, parte della ciurma imbarcata, 20 persone, sarebbe dovuta scendere a terra per tornare nel Paese d’origine in aereo. Evidentemente non tutti hanno effettivamente preso la strada di casa. 

Dalla pagina di Defend Europe, gli xenofobi si difendono: «A bordo, secondo la compagnia, vi erano 20 apprendisti marinai. I suddetti hanno pagato per fare miglia su quella nave al fine di conseguire il loro diploma. Una banale pratica del tutto legale – per poi proseguire – da cosa ci è stato riferito dall’aeroporto, gli apprendisti stavano per tornare nel proprio paese d’origine quando delle Ong gli hanno offerto di restare in Europa e di richiedere asilo a Cipro facendo loro promesse e donandogli soldi. Quindici apprendisti hanno rifiutato, tornandosene a casa, mente altri cinque si sono fatti corrompere ed ora stanno costruendo false accuse contro il proprietario della nave».

Ma le incongruenze non sono finite. Sempre per Ankara Değil Lefkoşa, per poter attraccare dalla nave avrebbero dichiarato di essere «un’imbarcazione europea intenzionata a soccorrere i rifugiati in mare», e viene sottolineata poi la stranezza della scelta di approdare a Cipro Nord, per una nave con quell’obiettivo. La rotta scelta dai giovani del network di ultradestra, in effetti, è strana. La destinazione dichiarata in precedenza, Catania, è fuori rotta rispetto all’isola individuata per fare sosta. Andrea Palladino, che segue la vicenda fino dall’inizio, ipotizza che Famagosta potesse essere la base logistica scelta dall’organizzazione Generazione Identitaria per dare il via all’operazione. Operazione che fortunatamente potrebbe invece concludersi anzitempo.

Non è il primo stop che subisce la missione, che sembra sempre di più una Caporetto. Aggirato il congelamento del crowdfunding messo in atto da PayPal, la nave – partita da Gibuti – era stata fermata per alcuni controlli a Suez, in Egitto.

Ne parleremo anche sul numero di Left in edicola da sabato 29 luglio


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Il Paese che è Stato

Un frame dal videomessaggio di Silvio Berlusconi sul sito di Forza Italia, 5 dicembre 2014. ANSA / FERMO IMMAGINE DA WEB ++NO SALES EDITORIAL USE ONLY NO TV++

Non c’è nemmeno bisogno di scrivere commenti. Basta citare quello che c’è nell’inchiesta. Così, semplicemente. Si tratta dell’ordinanza che ieri ha portato all’arresto di Santo Filippone e Giuseppe Graviano in cui (per l’ennesima volta, anche se tutto fingono che sia una novità) emerge che le mafie si sono “federate” per mettere in crisi lo Stato.

Ecco qui:

“Che la ‘ndrangheta non sia coinvolta nelle logica delle stragi voluta da Toto Riina – ha detto Lombardo – è solo falsa politica. Numerose dichiarazioni che abbiamo riscontrato di collaboratori calabresi e siciliani, che erano disperse in decine di inchieste separate, ci hanno permesso di ricostruire un mosaico che dà dignità a questa inchiesta e spiega i motivi che hanno portato all’attacco all’Arma dei carabinieri e ad altri rappresentanti dello Stato”.

“Il disegno terroristico e mafioso servente rispetto ad una finalità più alta, che prevedeva la sostituzione di una vecchia classe politica con una nuova, diretta espressione degli interessi mafiosi”, ha detto il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. “Dopo il tramonto della Prima Repubblica e la lunga scia di sangue che ne ha segnato il trapasso – ha aggiunto il numero uno di via Giulia – ‘ndrangheta e Cosa nostra volevano mantenere il controllo assoluto sulla classe politica, proiettandosi su quella emergente nella nuova fase storica che si andava delineando. In questo quadro rientrava anche la decisione delle mafie di fare un attentato dinamitardo con un’autobomba nella terza decade del mese di gennaio del 1994 allo stadio Olimpico contro i carabinieri che avrebbe provocato, secondo chi lo aveva organizzato, almeno cento morti tra gli uomini dell’Arma, con effetti destabilizzanti per la democrazia”.

“In numerose azioni tra cui il duplice omicidio degli appuntati Fava e Garofalo e l’assassinio dell’educatore carcerario Umberto Mormile, viene usata dagli assassini la rivendicazione Falange armata la stessa che viene usata anche per gli attentati a Roma ed a Firenze. Fu proprio Riina, come ci è stato riferito da Leonardo Messina e da altri importantissimi collaboratori, per il loro ruolo in Cosa nostra, collaboratori di giustizia siciliani, che nell’estate del 1991 ad Enna, dove aveva riunito i vertici di cosa nostra siciliana, spinse ulteriormente l’organizzazione criminale a ‘rompere le corna allo Stato’ utilizzando la sigla Falange armata”.

“È di questo periodo, anche se numerosi riscontri datano tempi precedenti che si infittiscono i rapporti ed aumentano le pressioni di cosa nostra stragista sui vertici delle cosche più rappresentative della ‘ndrangheta calabrese ai quali viene chiesto, in alcune riunione svoltesi a Nicotera (Vibo Valentia), Lamezia Terme e Milano, l’esplicita adesione al programma autonomista e stragista cui il capo corleonese voleva dare corso. A questa richiesta aderirono i De Stefano, i Libri, i Tegano di Reggio Calabria, i Coco Trovato e i Papalia di Platì creando un asse operativo con quello che appare sempre di più un grumo di interessi politici ed economici attorno a cui ruotano servizi segreti deviati, massoni vicini a Gelli e organizzazioni criminali”.

La strategia stragista “si arresta o si depotenzia non appena i corleonesi, la ‘ndrangheta ed altre organizzazioni criminali come la camorra e la Sacra Corona Unita trovano nel nuovo partito di Forza Italia la struttura più conveniente con cui relazionarsi”.

Ecco. Serve altro?

Buon venerdì.

Xenofobia Capitale: «Calci in culo agli immigrati» e bomba carta contro il centro d’accoglienza

Martedì sera una bomba carta esplode davanti a un centro di accoglienza, giovedì mattina una manifestazione di Fratelli d’Italia – con annessa raccolta firme – per farlo chiudere. Succede a Rocca di Papa, piccolo comune dei Castelli romani, in cui è presente il centro “Mondo migliore”. L’ordigno è stato lanciato alle 21 circa contro il muro che circonda la struttura, non distante dall’ingresso. Uno degli operatori che lavorano nel centro ha dato subito l’allarme. Sul posto sono intervenuti i militari della stazione dei carabinieri di Frascati, che hanno acquisito i nastri delle telecamere presenti in zona, e stanno indagando sul caso.

La struttura d’accoglienza è gestita da un ente religioso, e ospita alcune centinaia di persone rifugiate o richiedenti asilo, tra cui 200 di origine africana. Lunedì pomeriggio, hanno organizzato un sit-in in mezzo alla strada che costeggia la struttura, la via dei Laghi, bloccando il traffico tra Castel Gandolfo e Rocca di Papa, nella zona limitrofa al lago di Albano. Secondo i primi riscontri, la protesta sarebbe nata da una lite tra un eritreo e un siriano. Più in generale, i ragazzi africani lamenterebbero un trattamento diverso e peggiore rispetto ai siriani, stando a quanto riporta il quotidiano locale iImamilio.it.

In rete circola anche un video del sit-in, durante il quale alcuni automobilisti – scesi dalla macchina – insultano i manifestanti. «Scendiamo tutti dalle macchine e ammazziamoli», «animali». Ma per il capogruppo alla regione Lazio di Fratelli d’Italia, Giancarlo Righini, la soluzione è facile: «Premesso che avrei preso a calci nel culo anche mio figlio per un gesto del genere… pensate si possa sopportare da individui di cui non conosciamo nulla: nomi, nazionalità, età… che campiamo al doppio del costo di un pensionato sociale? Io credo che sia ora di smetterla con queste politiche ridicole che generano roba del genere. Vergogna! Al Paese loro a calci nel culo per farsi riconoscere i diritti che noi cattivi gli neghiamo!!!» commenta su FacebookE domani la raccolta firme «per chiedere il rimpatrio degli indesiderati ospiti». Non una parola di sdegno sulla bomba carta, naturalmente.

Non è il primo blocco stradale di questo tipo: un altro sit-in era stato tentato domenica sera, un altro ancora il 12 novembre scorso, per protestare contro docce fredde, ritardi burocratici e qualità scadente del cibo. Nulla che giustifichi nemmeno lontanamente la xenofobia e la violenza verbale dei «calci in culo» espressa dal consigliere regionale Righini, men che meno la vigliaccheria di una bomba carta lanciata da mano ignota.

Polonia, dopo la rivolta dei giovani rimane il rischio per la democrazia

Un momento della manifestazione all'esterno del palazzo del presidente per dire no alle leggi che annullano le autonomie delle magistrature, 20 Luglio 2017. ANSA

Konstytucja. Costituzione. C’è scritto sui cartelli che agitano i ragazzi polacchi in quest’estate poco calma e poco calda per le strade di Varsavia, per salvare la separazione dei poteri del loro Stato, urlando: «Libertà, uguaglianza, democrazia! Tribunali liberi!». La “marcia delle candele” si è svolta in cento città: opposizioni europeiste, insieme alla società civile, hanno chiesto che non venissero violate tre costituzioni: quella polacca, quella della democrazia, quella d’Europa. Il capo dello Stato Andrej Duda, avvocato lui stesso, ha posto doppio veto su due delle tre proposte di legge della riforma che limita il potere giudiziario, soggiogandolo alle regole di quello politico. Si sarebbe violata l’indipendenza di corti e tribunali, costringendo 83 giudici alla pensione. Il governo avrebbe poi nominato i funzionari che avrebbero scelto altri giudici. Ora l’ultima, la terza proposta di legge, è ancora lì, a minacciare il sistema giudiziario, l’ultimo gradino prima che finisca nelle mani di quello politico, che avrebbe controllo sull’intera Corte Suprema. In questo caso, lo avrebbe il PiS, il partito di Libertà e Giustizia al potere.

Andrzej wetuj! Do 3 razy stuka!, «Andrej poni il veto! Per tre volte!» che hanno urlato i ragazzi polacchi, è servito. Fino a qui. La lotta costituzionale ha uno slogan: 3Xnie, «tre volte no», proprio come era 3Xtak, «tre volte si» nel 1980, quando Solidarnosc iniziò quelle manifestazioni che misero fine all’occupazione sovietica con proteste di massa. La Commissione europea medita di salvare le corti polacche con sanzioni e modifiche all’Articolo 7, che impedirebbe alla Polonia di votare. Per far approvare la scelta, servirebbe la decisione unanime dei 27 Stati, ma non voterebbe contro i cugini polacchi l’Ungheria, la cui riforma giudiziaria del 2012 – quando il governo Orban tentava una mossa simile – è stata fermata allora per lo stesso motivo per cui accade oggi.

La premier Beata Szidlo è apparsa in tv e ha criticato la decisione presidenziale: «Vogliamo tutti vivere in una Polonia giusta, ecco perché il veto rallenta la nostra riforma verso questo obiettivo». Il leader Jaroslaw Kaczynski, è stato sorpreso dal veto di Duda e per la prima volta dal 2015, da quando il suo partito è al potere, le incertezze fanno traballare il PiS nei sondaggi.
Adesso l’ultima vera speranza di Varsavia è a Bruxelles.

«Ci parliamo con gli occhi»

«All’epoca io avevo solo 7 anni. Sono cresciuta con la mamma, tra Milano e Roma. Ora papà è stato ricoverato in un centro privato qui a Roma e io posso vederlo di più. Fosse venuto prima, tante cose non sarebbero successe e penso anche alla vicenda dei maltrattamenti da parte del badante. Piano piano sta migliorando, ma chiaramente non sono miglioramenti eclatanti: sono piccole cose che solo una persona dentro questa situazione può capire e apprezzare. Prima papà con la sinistra riusciva a scrivere e a disegnare. Ora non più. Ma ci siamo sempre parlati con gli occhi».

A parlare è Ginevra Nuti, figlia del regista Francesco che da undici anni vive non autonomo e privo di parola. Francesco Nuti è uno che finisce tra le notizie del giorno per la sua storia, il suo talento e la sfortuna dei suoi ultimi anni ma di figli che parlano con gli occhi ai propri genitori e se ne fanno carico per il resto della vita qui, in Italia, ce ne sono migliaia anche se non li racconta nessuno.

Perché in fondo questo è un Paese (anzi, è diventato) in cui invecchiare o essere cronicamente malati è un peso che ricade sui figli. Vicende famigliari dolorose e irrisolvibili che rientrano nelle statistiche ma non influenzano il dibattito pubblico o politico. Tra i rovesciamenti di questo tempo ci sono i dolori centellinati di chi non riesce nemmeno a soffrire rumorosamente ma si usura un poco al giorno: le facce dell’assistenza le trovi nelle sale d’aspetto degli ambulatori sovraffollati e sono figli che si ritrovano a fare da badanti e da tutori ai genitori che per l’economia sociale sono diventati un fastidioso peso.

Non è quindi solo la storia di Ginevra. No. È la storia di molti che solo per un caso ieri ha trovato un po’ di spazio. Uno spazio piccolo che meriterebbe un’attenzione enorme.

Buon mercoledì.

Biotestamento, stop alla legge: il Senato rimanda il voto e se ne va in vacanza

Un momento nell'aula del Senato durante l'esame del provvedimento di conversione in legge del decreto-legge sulla prevenzione vaccinale, Roma, 13 luglio 2017. ANSA/GIUSEPPE LAMI

Rimandata a settembre. La legge sul testamento biologico doveva essere discussa oggi al Senato e invece, come in molti avevano previsto – a partire dall’associazione Luca Coscioni – la calendarizzazione è slittata alla riapertura dei lavori parlamentari. La presidente della commissione Sanità, Emilia Grazia De Biasi, ha dato la colpa del rinvio ai 3mila emendamenti presentati al testo: «Siamo in presenza di un atteggiamento di ostruzionismo, vista la grande quantità di interventi previsti in commissione e la presentazione di 3mila emendamenti. Ciò rende il percorso molto accidentato».

Il provvedimento resta, quindi, bloccato (insieme alla testo sul diritto di cittadinanza), eventualità di cui l’associazione Coscioni in prima linea da anni per questa battaglia di civiltà aveva già anticipato in una nota diramata lunedì come sarebbe andata a finire.

Si parla spesso di biotestamento, anche se sarebbe più corretto parlare di lotta per il riconoscimento del valore legale della sottoscrizione di “direttive anticipate” di fine vita, parlare di diritti umani, di dignità, perché la proposta di legge è sulle “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento sanitario”, cosa assai diversa dall’eutanasia, come abbiamo scritto anche di recente su Left .

L’approvazione di questa legge consentirebbe di registrare le proprie “Dat”-  dichiarazioni anticipate sui trattamenti sanitari – anche in Italia. Tra le terapie che si può decidere di accettare o rifiutare è compresa anche l’idratazione e l’alimentazione forzosa tramite sondino nasogastrico. Il testamento biologico o il diritto di poter rifiutare trattamenti di fine vita è l’espressione della volontà di tutte le persone maggiorenni e nel pieno delle facoltà mentali, sulle terapie che intende o non intende accettare nel caso in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte. Mentre in Italia il dibattito va avanti da anni senza successo, in quasi tutti gli altri Paesi europei c’è già una legge sul fine vita: in Inghilterra e in Galles una persona può fare una dichiarazione anticipata di trattamento o nominare un curatore in base al Mental Capacity Act del 2005; negli Usa la maggior parte degli stati  riconoscono le volontà anticipate o la designazione di un curatore sanitario e il Bundestag tedesco ha approvato il 18 giugno 2009 una legge sul testamento biologico.

L’iter legislativo in Italia è iniziato nel 2009 con la famigerata norma elucubrata del centro destra durante le ultime settimane di “vita” di Eluana Englaro. Negli anni il testo è cambiato, così come i relatori ma non il risultato: una legge decente sul “fine vita” ancora non c’è. Questo sebbene il diritto di far valere le proprie volontà davanti a un giudice sia stato riaffermato anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2015.

Cosa salverà le elezioni tedesche

German 'Bundestag' parliament. ©EPA/FELIPE TRUEBA

Mancano solo nove settimane: il 24 settembre prossimo la Germania eleggerà il suo nuovo Parlamento. «La Russia tenterà di hackerare le elezioni tedesche?» è la domanda titolo del pezzo firmato Anna Sauerbrey in prima pagina sul New York Times. «Per il momento i nostri occhi sono su Angela Merkel, l’incombente, e Martin Schulz, lo sfidante di sinistra. Ma c’è anche un altro giocatore nella campagna, un giocatore sospettosamente silenzioso fino ad ora: la Russia».

Fino ad ora è stato dato per scontato che gli hacker russi avrebbero attaccato Berlino, proprio come hanno attaccato i suoi due più vicini alleati, gli Stati Uniti e la Francia. Inoltre, non sarebbe la prima volta: già nel 2015 gli hacker hanno rubato dati a 16 membri del Bundestag, Cancelliera inclusa, e l’attacco proveniva da quel Fancy Bear che ha penetrato i server delle mail del comitato del partito democratico americano di Hillary Clinton e quelli della Republique en Marche del poi eletto Emmanuel Macron, in Francia.

Si materializzerà un attacco contro il nuovo Parlamento? Probabilmente, but it won’t matter, ma non importerà, scrive il quotidiano: «Il Cremlino ha ben poco da guadagnare nell’interferenza del voto tedesco. In Francia la candidata della destra, con posizione anti europea è arrivata fino all’ultimo round. E negli Stati Uniti, beh, conoscete la storia. In Germania, invece, con il sistema di rappresentanza proporzionale, i governi di coalizione sono la regola. Se gli hacker dovessero rilasciare informazioni che potrebbero influenzare il voto, si tratterebbe solo di alcuni punti di percentuale, che non cambierebbero poi molto. Il sistema di voto tedesco, designato dopo la seconda guerra mondiale, per immunizzare il paese contro il totalitarismo, agisce adesso anche come un firewall», ovvero come un muro di protezione, un taglia fuoco, nella guerra cybernetica.

«La differenza tra i due maggiori partiti, il centro social democratico e la destra centrista dei cristiani democratici, è marginale. Vero è che alcuni socialdemocratici propendono di più verso la Russia e sono critici nei confronti della spesa NATO, ma il partito rimane comunque europeista e a favore dell’Alleanza nordatlantica. La Merkel ha una percentuale dominante del 15%. Il partito di destra, Alternativa per la Germania, è troppo piccolo per contare qualcosa e nessun grosso partito accetterebbe una coalizione con loro. In più, in Germania la popolazione legge ancora giornali di qualità, guarda la tv pubblica. A gennaio 2016 alcuni media russi in Germania hanno diffuso informazioni false su una minore russo-tedesca violentata da tre uomini di origine araba. Il caso è spesso citato come esempio di guerra dell’informazione, ma, in ogni caso, dal punto di vista russo, è visto come un fallimento. L’umore del pubblico non poteva essere dei migliori, perché la campagna è stata condotta proprio quando andavano assorbite le notizie degli assalti sessuali compiuti a Colonia da uomini di origine nordafricana a Capodanno. Ma poiché i maggiori media del paese sono ancora rispettati, la fake news non è arrivata lontano».

Ecco un altro punto a vantaggio tedesco: una classe politica immune agli scandali almeno dal 1999, quando si scoprì che alcuni socialdemocratici avevano accettato milioni di fondi illegali, tenendoli in conti nascosti. «Per molti tedeschi i politici sono noiose frecce dritte ed è esattamente così che li vogliono» scrive il NYT.

«Questo non vuol dire che la Russia non proverà niente, provarci è nel DNA degli hacker, specialmente se si tratta di leader che si oppongono a Putin. Dopo tutto, la gran parte della politica estera di Putin si basa sull’esposizione dell’ipocrisia e del ridicolo dell’inconsistenza dell’Occidente». La Germania ha appena approvato una legge contro le fake news, ma le contromisure migliori, non sono quelle legali o tecniche, ma sono la preservazione della cultura politica: «se si riesce a fare questo, Fancy bear o no, la Germania si scrollerà tutto di dosso con un’alzata di spalle».

Aiutiamo i ladroni a casa loro

Umberto Bossi nell'aula della Camera durante la votazione sulla fiducia che il governo ha posto sul decreto legge sulle banche venete, Roma, 12 luglio 2017. ANSA/ CLAUDIO PERI

Due anni e sei mesi di reclusione a Umberto Bossi, l’ex leader della Lega Nord,  e quattro anni e dieci mesi a Francesco Belsito, l’ex tesoriere, con l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni: è questa la condanna che è stata inflitta dal Tribunale di Genova per truffa ai danni dello Stato agli ex maggiorenti della Lega Nord.

La Lega Nord, dice la sentenza, avrebbe usato 48 milioni di euro di finanziamento pubblico ai partiti per uso personali. 48 milioni di euro, finanziamento pubblico ai partiti: questi che erano nati sull’onda delle monetine contro Craxi e che avrebbero dovuto moralizzare l’Italia sono andati a Roma (padrona, come dicono loro) e hanno cominciato a mangiare come porci.

Attenti: questo processo non c’entra nulla con quello della famiglia Bossi. Qui ci sono dentro anche i tre ex revisori contabili del partito Diego Sanavio, Antonio Turci e Stefano Aldovisi (condannati a due anni e otto mesi l’uno,  e due anni e otto mesi e un anno e nove mesi l’altro) e i due imprenditori Paolo Scala e Stefano Bonet (cinque anni ciascuno). Tutti sono accusati di truffa.

I soldi, dice la sentenza, sarebbero stati portati anche a Cipro e in Tanzania. Riciclati. Ovviamente. E Salvini? Sulla sua bacheca di Facebook (sembra uno scherzo, ma è così) se la prende con un immigrato da rispedire in Guinea (per presunti atti di autoerotismo, una di quelle notizie che poi si rivelano false nove volte su dieci), si immola per salvare Giletti dalla cacciata dalla Rai, dice al rapper Tommy Kuti che «la cittadinanza non si regala, si conquista» in merito allo ius soli, e promette di RIPULIRE l’Italia.

Sul suo partito ladro, nulla. Nulla. Nemmeno sui 48 milioni che la Lega (eh, sì, udite bene, la Lega) deve restituire alla Camera e al Senato. Perché gli avvoltoi sono così: fanno i forti con i deboli ma poi balbettano se si tratta degli affari di famiglia. Già.

Buon martedì.

Free-vax, intimidazioni via mail a parlamentari medici pro “decreto Lorenzin”

Il tabellone del Senato mostra il risultato del voto sul decreto vaccini, Roma, 20 luglio 2017. Con 171 Sì il decreto legge sui vaccini incassa il via libera del Senato. I no sono stati 63 e 19 gli astenuti. Il provvedimento, in scadenza il 6 agosto, ora passa alla Camera. ANSA/CLAUDIO PERI

«I vaccini hanno salvato tante vite? E chi lo dice? Mia figlia aveva l’otite e il medico le ha prescritto gli antibiotici, io non glieli ho dati ed è guarita lo stesso». È questa la linea seguita manifestanti scesi in piazza nel week end a Milano per protestare contro la vaccinazione obbligatoria prevista dal “decreto Lorenzin” in discussione al Senato. Un atteggiamento irragionevole e pericoloso per la salute pubblica oltre che per quella dei singoli bambini figli di genitori seguaci di guru, ciarlatani, santoni e medici che hanno abdicato alla deontologia professionale, che spopolano sul web diffondendo teorie strampalate e antiscientifiche, ma un atteggiamento se non altro rivendicato in maniera tutto sommato pacifica. Di ben altro tenore è quello che hanno scelto di fare altri free-vax che, protetti dall’anonimato, da qualche giorno stanno bombardando di mail intimidatorie e offensive i parlamentari medici che nell’ambito della discussione politica hanno “osato” spiegare perché è necessario fare prevenzione tramite le vaccinazioni.

A denunciare l’accaduto è stata la deputata Pd Maria Amato, medico, che sul proprio profilo Facebook ha scritto: «A quelli che stanno intasando la mia casella di posta elettronica, con mail che cominciano con “conosciamo il tuo nome …”, e via una serie di neppure tanto velate promesse/minacce per dissuadermi dal votare senza modifiche il testo del decreto vaccini così come uscito dal Senato, volevo dire che questa è la mia foto aggiornata così oltre il nome conoscete anche il viso, professione medico e, SI! voterò a favore del decreto, perché credo nella azione preventiva dei vaccini, perché le morti evitabili pesano più del “non ti voto”, perché il paragone con le sperimentazioni naziste è di chi non solo non conosce la medicina ma neppure la storia. L’obiettivo è arrivare a 0 morti per quelle malattie e per me, per la mia formazione, per gli studi che ho fatto è un obiettivo condivisibile».

Ecco qui di seguito la mail ricevuta dalla parlamentare:

Solo un paio di giorni prima, come abbiamo raccontato su Left, la scienziata e senatrice a vita, Elena Cattaneo, era intervenuta in questo modo a Palazzo Madama:

«L’idea del sovraccarico vaccinale è priva di fondamento scientifico, i vaccini trivalenti, quadrivalenti, esavalenti sono sicuri e ben tollerati, anche dalle persone già immuni».

La battaglia in Aula si gioca in gran parte sul tema delle “dosi monocomponenti”, ossia dei vaccini che possano garantire la copertura medica senza che sia necessario inoculare contemporaneamente anche prodotti contro malattie per le quali già si è immunizzati in precedenza. In prima fila a sostenere tesi medievali e antiscientifiche c’è la Lega Nord, che strizzando l’occhio ai complottisti free-vax sostiene che l’ostilità del governo nei confronti dei vaccini in versione multipla sia in realtà una mossa per avvantaggiare le case farmaceutiche, senza un reale beneficio per la salute della cittadinanza.

In risposta, la senatrice a vita ha elencato – da scienziata – alcuni casi di specie. Tra i militari ad esempio, notoriamente “iper-vaccinati”, non sono stati rilevati scostamenti statistici per quanto riguarda malattie autoimmuni, allergie e altre malattie in genere. Per produrre i vaccini inoltre – ha sottolineato Elena Cattaneo – serve un grosso investimento, e l’industria dei vaccini rappresenta solamente l’1% della spesa sanitaria nazionale, pertanto «le case farmaceutiche non diventano ricche con i vaccini».

Vaccinazioni obbligatorie e raccomandate e contenuti del decreto approvato dal Senato illustrate nell’Infografica Centimetri, Roma, 20 Luglio 2017. ANSA/ CENTIMETRI

La più antica foresta d’Europa sta scomparendo

epa06065679 People take part in a demonstration organized by 'I love Bialowieza Forest' organization under the slogan 'UNESCO! Stop the cut of the Bialowieza Forest!' in front of the ICE Krakow Congress Centre, in Krakow, Poland, 04 July 2017, where the 41st session of the UNESCO World Heritage Committee takes place. The protesters want to draw attention on the increased timber harvesting in the forest. The Bialowieza Forest is the only natural heritage site in Poland listed on the UNESCO World Heritage List. At the next meeting of the UNESCO Committee in 2018, the Bialowieza Forest may be added on the list of World Heritage in Danger. EPA/Stanislaw Rozpedzik POLAND OUT

Già sito Unesco, si trova tra la Polonia e la Bielorussia, senza confini precisi, ed ha tra gli alberi più antichi e grandi del nostro continente. È la foresta Bialowieza e sta per scomparire, insieme alla sua fauna: specie di animali rare, già in via di estinzione, compresa la più grande mandria di bisonti d’Europa.

«Abbiamo già provato tutto, a parlare con i ministri, ad allertare le istituzioni internazionali», dice Katarzyna Jagiello, Greenpeace Polonia. Ma niente è stato abbastanza e tempi per misure disperate sono arrivati.

Si sono incontrati a Postolowo all’alba, in trenta, nel minuscolo villaggio del nord a ridosso della Bialowieza e si sono incatenati al nemico: le mietitrici, che tagliano almeno duecento alberi al giorno. Questo atto dimostrativo non è che un episodio della battaglia per salvare la foresta, in una lunga guerra tra il partito conservatore polacco contro ambientalisti, attivisti, avvocati.

«È come un laboratorio dove si può osservare come funzionavano i processi biologici diecimila anni fa» ha detto Tomasz Wesolowski al New York Times. Il biologo forestale ritiene che «rimuovere qualsiasi cosa dalla foresta sia un atto barbarico». Wesolowski ne ha studiato la biodiversità negli ultimi 43 anni. «Se potessimo ripristinare una foresta primordiale artificialmente, lo avremmo già fatto, a Berlino o Londra. La Bialowieza è unica e ora degli idioti stanno tentando di distruggerla».

«Non c’è posto come questo sul continente, senza segno di attività umana» ha detto Jerzy Szwagrzyk, università dell’Agricoltura a Cracovia. Ma c’è anche Jan Szyszko, ministro dell’Ambiente polacco, anche ex cacciatore ed ex guardia forestale. Per lui l’Unesco ha inserito “illegalmente” la foresta Bialowieza nel patrimonio mondiale da conservare nel 2014 ed è diventata il “progetto pilota di organizzazioni libertine e di sinistra, dell’Europa occidentale”.

Di 180mila alberi, sacrificati dal 2012, ormai rimangono solo radici e tronco mozzato. Il 40% degli organismi viventi in essa, inclusi insetti, funghi e uccelli, dipendono dagli abeti che vanno sparendo. Un altro dato a seguire è che sette miliardi di sloty, quasi 2 miliardi di dollari, nel 2015 sono entrati nelle casse della forestale per la vendita di legname.

In Polonia esistono molte riserve naturali e parchi nazionali e far diventare la foresta una di essi potrebbe essere la soluzione, ma il governo regionale si oppone. Una parte della Bialowieza è già sparita nel 2012 per un’infestazione di coleotteri. Il governo ha adesso deciso di triplicare il limite di alberi da tagliare nel 2016 e 80mila metri quadri sono già stati tagliati. Pochi giorni fa la Commissione Europea si è mossa e ne ha chiesto la protezione. Dariusz Gatkowski, WWF Polonia, ha chiesto all’Unione Europea che faccia valere il suo ruolo «per portare la Polonia in tribunale e che diventi il guardiano della riserva naturale d’Europa».