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Hong Kong e Shanghai affascinanti rivali

Traditional chinese junkboat with typical red sails sailing across victoria harbour under dramatic late afternoon light and cloudscape. Hong Kong Skyline in the background, Hong Kong, Asia.

Solo 150 anni fa l’isola di Hong Kong era un villaggio di pescatori attraversato dal tropico del cancro. Venendo da occidente, è la prima isola che si incontra navigando lungo la costa orientale della Cina. Infatti furono proprio gli europei a fare la fortuna di questo isola, grande appena due volte l’isola di Ischia. Qui sbarcarono per la prima volta i portoghesi al principio del Cinquecento e, nella sua grande insenatura a meridione, la prima che si incontra venendo da sud, la Baia di Aberdeen, si stanziarono le navi inglesi che iniziarono a commerciare porcellana e tè in cambio di argento e oppio. Era il principio dell’Ottocento, i cinesi non avevano mai visto un mercante europeo, da quando i gesuiti erano stati cacciati dall’Imperatore alla fine del Seicento per la rissosità con i missionari domenicani. Gli inglesi nei primi decenni dell’Ottocento erano autorizzati a raggiungere la città di Canton situata all’estuario del Fiume delle Perle, poco lontana da Hong Kong, solo per brevi periodi dell’anno quando si svolgevano le transazioni commerciali. Non avevano interpreti: nessun inglese conosceva il cinese e nessun cinese conosceva quella lingua così strana. Tutto si svolgeva grazie ad intermediari che sapevano comunicare storpiando alcune parole degli uni o degli altri, sarebbe così nato il Pidgin English, per indicare appunto una lingua franca, il primo modello di quell’inglese internazionale, che si parla oggi un po’ ovunque nel mondo. Il desiderio delle navi inglesi di intensificare i commerci con la Cina e soprattutto la necessità di vendere l’oppio che gli inglesi producevano in India e la cui importazione era vietata in Gran Bretagna, produssero un irrigidimento della corte cinese che, nel 1839, requisì e fece distruggere oltre una tonnellata di oppio. La reazione inglese non si fece attendere e dopo un breve conflitto, la Gran Bretagna ottenne la firma del Trattato di Nanchino il 29 agosto 1842, con il quale acquisiva la sovranità sull’Isola di Hong Kong, oltre all’apertura al commercio internazionale di cinque porti: Canton, Fuzhou, Xiamen, Ningbo e Shanghai, tutti sulla costa meridionale cinese. Il trattato di Nanchino segnava l’inizio della forzata apertura della Cina all’Occidente, ai suoi usi e costumi, al suo commercio, ma anche alle sue idee. Solo cento anni dopo la Cina avrebbe riconquistato, nel 1949, la sua piena sovranità territoriale.

L’isola di Hong Kong iniziò così a prosperare come colonia inglese, con palazzi in stile Vittoriano e ricchi abitanti occidentali, circondati da servitù cinese. L’isola divenne il modello dello sviluppo capitalistico in Asia Orientale, un pezzo di Europa nel Mar Cinese. Tutti i contatti del mondo occidentale con la Cina passavano per Hong Kong, ma al tempo stesso cresceva anche il porto di Shanghai, l’altro piccolo villaggio di pescatori situato all’estuario del Fiume Azzurro, che prima della guerra dell’Oppio era solo abitato da pescatori cinesi e che successivamente, grazie alla sua posizione strategica, come punto di accesso alla principale via fluviale della Cina, divenne una seconda città europea in territorio cinese, con un lungo fiume, il Bund, sul quale si affacciavano meravigliosi palazzi in stile europeo, dove ogni notte fino all’alba si svolgevano feste e concerti, con ostriche e champagne. Ma in queste due città, di giorno un numero crescente di europei imparava a conoscere la Cina e la sua lingua e lentamente anche qualche cinese pensava fosse utile imparare il modo in cui parlavano quei popoli barbari, privi di cultura, manchevoli di rispetto verso gli antenati, intenti solo a commerciale e a combattere con lame affilate come quelle che in Cina solo i cuochi sanno maneggiare. Due successive guerre, nel 1860 e nel 1898, permisero alla Corona Britannica di prendere altri territori sulla terraferma davanti all’isola di Hong Kong, ma questa volta solo per cento anni e infatti fu proprio questa limite a determinare nel 1997 la necessità di rinegoziare il possedimento, oppure procedere alla cessione, come poi effettivamente avvenne con il passaggio alla Cina non solo delle zone continentali di Hong Kong in scadenza, ma anche dell’Isola, che in realtà nel 1842 era stata concessa in uso perpetuo. Hong Kong e Shanghai divennero quindi la porta della Cina con l’occidente, i luoghi dove si formarono generazioni di intellettuali e politici che avrebbero poi contribuito alla nascita della Cina moderna.

A Hong Kong i primi moderni intellettuali cinesi avrebbero conosciuto l’esistenza stessa dell’Europa e dell’Occidente, e a Shanghai nel 1921 Mao fondava il Partito Comunista. Da sempre quindi le due città hanno nutrito una sorta di rivalità, una “veramente” inglese, Hong Kong, ma piccola ed isolata, l’altra cinese, ma colonizzata dagli occidentali. Le vicende di queste due città sembrarono separarsi per sempre nel 1949, quando a Pechino iniziò a sventolare la bandiera della Repubblica Popolare Cinese e Shanghai fu additata come il peggior esempio della depravazione occidentale e capitalista e in effetti la città era diventata negli anni Trenta e Quaranta uno dei luoghi più lascivi e corrotti del mondo intero.Shanghai divenne solo la seconda città della Cina, città industriale e sempre un po’ guardata a vista dal regime, a causa di questo suo passato così controverso. Hong Kong, invece, dopo il 1949 conobbe il periodo del suo massimo splendore. Lì si trasferirono tutti gli occidentali che volevano continuare a osservare la Cina dall’interno, essendo l’unico punto di tutta la Cina geografica, in cui era consentito agli europei risiedere. Qui arrivavano tutte le navi occidentali che commerciavano con la Cina e qui s’installarono tutti i diplomatici e i giornalisti che volevano osservare la Cina, continuando a crogiolarsi in un’atmosfera coloniale, anche se i tempi erano mutati e la seconda guerra mondiale era finita.

Arrivare a Hong Kong, territorio inglese, era una esperienza quasi metafisica; dopo aver attraversato in treno distese di risaie a perdita d’occhio, popolate solo di cappelli conici di paglia, sotto i quali si presumeva si celassero esili contadini con i piedi immersi nel fango, che spingevano con una lentezza antica aratri trainati a spalla o trascinati da sparuti buoi d’acqua. Con gli occhi pieni di riso e colori, si arrivava davanti ad un ponte di legno, al di là del quale si intravvedevano costruzioni moderne. Passata la dogana dei funzionari cinesi, vestiti con divise verdi militare sempre troppo grandi e strette alla cinta, si percorreva quel ponte scricchiolante alla fine del quale si ergeva un bobby inglese che, dopo tanta Cina, sembrava ancora più alto e impettito con i suoi lunghi baffi, che ti dava il benvenuto nella colonia di Sua Maestà. Sembrava un salto nel passato, in un mondo – per fortuna – ormai andato, dove si trascorrevano le serate nella meravigliosa villa di Tiziano Terzani, il principe dei China Watch, sorseggiando liquori, rigorosamente scozzesi e godendo della frescura delle prime rumorosissime macchine per l’aria fredda. A Hong Kong si leggeva quello che in Cina non si poteva sapere, si conoscevano persone che avevano viaggiato in quel continente e si assaporava il vero colore dell’antica cultura cinese, fatta di rapporti personali, cibo e lettura. A Hong Kong, già quarant’anni fa, si poteva godere di uno dei più strabilianti skyline al mondo, quando con un vecchio battello di linea ancora in uso, per pochi spiccioli, si passava dalla terra ferma, dove erano i palazzi più moderni, alla rocciosa isola, tutte curve e insenature dove si poteva alloggiare in ottocenteschi dormitori per marinai di passaggio, consumando al mattino un perfetta colazione inglese, con uova e bacon, in una bettola tutta cinese.

A Shanghai invece, in quegli anni, dopo il 1949 non c’erano più stranieri, ma erano restati solo i loro sontuosi palazzi lungo il fiume. Solo in un fascinoso albergo da cui si godeva una vista sull’immenso estuario del fiume azzurro, la sera di poteva ascoltare una jazz band composta tutta di anziani suonatori cinesi, che con le loro nostalgiche note facevano rivivere il sapore della vecchia Shanghai europea. La storia sembrava segnata e invece proprio negli anni Ottanta con l’apertura della Cina all’Occidente, la città di Shanghai ha iniziato nuovamente a crescere come finestra della Cina sul mondo. Quelli che un tempo erano solo terreni incolti sull’altra sponda del fiume, hanno iniziato a ospitare i più alti grattaceli al mondo e la città è cresciuta al punto da diventare la prima metropoli dell’Asia. Hong Kong invece ha perso il suo ruolo di unica porta di accesso al mondo per la Cina, ma ha conservato tratti particolarissimi. Dopo la cessione alla Gran Bretagna a firma di due personaggi con Deng Xiaoping e Margareth Thatcher. Hong Kong sulla carta ha mantenuto la possibilità dello sviluppo di un sistema vagamente democratico, quel sistema che gli inglesi in 150 anni non si erano mia sognati di volerle dare, ed è anche diventata la fucina di tanti movimenti intellettuali e politici, che aspirano a innescare meccanismi di trasformazione politica e sociale nella Cina continentale.

Tuttavia, in fondo, Hong Kong è rimasta una colonia inglese, un territorio, dove si parlano tre lingue, cantonese, mandarino e inglese. Il cantonese è la lingua locale, considerata in Cina un dialetto: una lingua antichissima, che conserva tracce del cinese parlato mille anni fa; una lingua fortemente tonale e difficile all’orecchio occidentale, ma parlata da una amplissima diaspora di cantonesi nel mondo. L’unico dialetto cinese che vanta una ricca letteratura e che continua a mostrare una straordinaria vitalità. A Hong Kong, dopo il 1997, tutti hanno iniziato anche a studiare la lingua dei nuovi governanti, la lingua mandarina o putonghua, la lingua parlata a Pechino (che dista da Hong Kong quasi duemila chilometri) e dai mezzi d’informazione della Repubblica Popolare, ma che viene appunto percepita come una nuova lingua coloniale, anche se cinese. E poi c’è l’inglese, la lingua un tempo parlata dai colonizzatori, oggi percepita e difesa come strumento di modernità e indipendenza, straordinario veicolo per il commercio materiale e delle idee. Infatti proprio ad Hong Kong si trovano alcune delle migliori università dell’Asia, dove si possono seguire corsi in inglese e in cinese, ascoltando nelle strade la meravigliosa cantilena dei toni della lingua cantonese. Anche la cultura cinese si è tramandata nell’isola assai meglio che altrove: usi, costumi, abitudini millenarie – come il capodanno cinese, caduto per un lungo periodo quasi in disuso in Cina e solo da poco ripristinato con un tono a volte posticcio-, a Hong Kong sono vissute con grande convinzione. Hong Kong a distanza di centinaia di anni, dopo fasi di splendore e relativa decadenza, continua a esercitare sul visitatore un fascino fuori dal comune, grazie ai suoi odori e ai suoi meravigliosi colori, che le fanno sempre meritare il nome di Porto dei Profumi, o Hong Kong, appunto, secondo il suo suono cantonese.

L’articolo del sinologo Federico Masini è tratto dal numero di Left in edicola


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Il fascismo non è più nemmeno un ricordo, Latina è “Città per l’attuazione della Costituzione”

Il candidato 'civico' sindaco di Latina Damiano Coletta. +++ ATTENZIONE L'IMMAGINE NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA +++

Passata l’ondata delle polemiche sulle amministrative, non si ferma la rete di giuristi, amministratori, operatori economici e culturali che dal basso continua a discutere su come amministrare le città e abbattere le diseguaglianze. Sul solco della Carta costituzionale. Potrebbe sembrare un’utopia, e invece piano piano, il Comitato promotore sorto in collaborazione con il giurista Paolo Maddalena e Lidia Menapace, partigiana, figura storica della sinistra, si sta allargando, dimostrando che nei territori esistono esperienze che vanno in questa direzione e che si tratta solo di collegare, approfondire e sviluppare nuove competenze. Dopo Napoli, oggi Latina sarà “Città per l’attuazione della Costituzione” e dalle 15 fino alle 21 si terrà un’assemblea affollata di relatori nell’aula magna del liceo scientifico G.B.Grassi.
I temi sul tavolo sono fondamentali, come si legge nella locandina: “Il Governo del territorio, il Coraggio, i Beni Comuni (partecipazione, sussidiarietà, solidarietà, utilità sociale, proprietà collettiva e funzione sociale della proprietà privata)”.

Il sindaco Damiano Coletta che proprio un anno fa ha vinto le elezioni con la lista Latina Bene comune, “liberando” la città dal dominio del centrodestra, è un fautore del concetto di bene comune. Da condividere con altri. Sono stati invitati anche dei sindaci del territorio – Pontinia, Lenola, Roccagorga, Formia, Nettuno, Terre Roveresche, Maenza, Aprilia e anche la giovane sindaca di Sabaudia che ha battuto una destra al potere da sempre. Primi cittadini eletti sia in liste civiche, Pd e M5s. «In base alla loro esperienza racconteranno come è possibile applicare concretamente la Costituzione» dice Damiano Coletta. Il fatto concreto di una delibera in un comune può servire ad un altro, così la rete della buona amministrazione si estende. Per esempio, quella del Comune di Napoli sull’ex asilo Filangieri, un bene pubblico affidato a operatori sociali e culturali, può essere un precedente per altre amministrazioni.

La tappa di Latina vede anche la presenza di Alberto Lucarelli, docente di Diritto costituzionale all’università di Napoli che insieme a Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte Costituzionale e autore del libro Il territorio bene comune degli Italiani (Donzelli), farà il punto sull’Osservatorio dei beni comuni. Saranno presenti anche giuristi esperti di acqua pubblica, che è un tema che interessa da vicino Latina e altri comuni dell’area pontina. E naturalmente i cittadini di Latina che hanno trovato nel lavoro per la campagna elettorale dell’anno scorso nuova linfa vitale. Che va sempre rafforzata e sostenuta, come è accaduto nei giorni scorsi in consiglio comunale a proposito della targa in onore di Falcone e Borsellino da installare nel parco comunale intitolato a suo tempo a Arnaldo Mussolini, fratello del duce. Ebbene, in quell’occasione, di fronte all’opposizione recalcitrante, il sindaco Coletta con forza ha rimarcato il valore delle regole e della legalità da ristabilire a Latina, anche attraverso una targa ai due magistrati uccisi dalla mafia. Una battaglia culturale, come si vede, che va dal ricostruire una memoria democratica all’attivazione di una rete di amministratori sui beni comuni.

I fascistelli a Milano non hanno capito come entrare in consiglio comunale

Siccome quegli sparuti di Casapound sono una pozzanghera che non hanno i numeri nemmeno per diventare amministratori di condominio ieri a Milano hanno pensato bene di inscenare un patetica protesta durante il consiglio comunale di Milano al grido «questa è la casa di tutti i milanesi» dimenticandosi, per scarsa dimestichezza con la matematica, che tra «tutti i milanesi» loro rimangono (per fortuna) una minoranza fin troppo tollerata nonostante la legge ne vieti l’esistenza.

Al di là della protesta contro il sindaco Sala non sono riusciti a trattenersi (gli capita spesso) dall’inscenare il loro torvo saluto romano oltre che qualche coretto da campetto di periferia. «Sono intervenuto andando verso di loro e gli ho ricordato, non proprio sottovoce, che i fascisti qua dentro non possono entrare e non hanno alcun diritto di parola. Non starò mai zitto su questo», ha scritto il consigliere comunale Paolo Limonta.

Non è finita qui. Dopo lo sconcio spettacolino i fascistelli in libertà hanno pensato bene di prendersela con i pacifici manifestanti dell’associazione Nessuna Persona è Illegale (una delegazione di NPI, invitata in comune dal Capo di Gabinetto del Sindaco per illustrare i contenuti del presidio di richiesta della residenza organizzato per oggi) mandando al Pronto soccorso una persona di sessant’anni.

Sorge però una domanda: ma perché la Questura di Milano (così prodiga e attenta per il decoro della Stazione Centrale) non riesce ad arginare quattro teppistelli? Perché, ancora una volta, si sente quel brutto odore dei “forti con i deboli” che non riescono ad essere ugualmente “forti” con i prepotenti?

A voi la risposta.

Buon venerdì.

Pedofilia: papa Francesco e i suoi (improbabili) uomini di fiducia

Papa Francesco e il card. George Pell

E così, mentre tutta la stampa e i politici esaltano un capo di Stato straniero per aver puntato l’indice contro le “pensioni d’oro” che lo Stato italiano elargisce sulla base di leggi italiane – facendo finta di non sapere che lo stesso Stato italiano paga profumate pensioni, per dirne una, ai cappellani militari che rispondono agli ordini di quel capo di Stato straniero -, accade che il numero tre dello Stato straniero, guidato dal capo in questione e chiamato da costui a dirigere il superministero più importante: quello della Trasparenza economica e finanziaria, confermi di non essere la persona più adatta a ricoprire un ruolo tanto delicato finendo in grossi guai per questioni di pedofilia. Su Left lo avevamo anticipato oltre un anno fa (vedi il numero 10 del 5 marzo 2016) ma facciamo qualche nome, ché magari qualcuno un po’ distratto non ha capito di chi stiamo parlando.

Lo Stato straniero è il Vaticano, il capo è papa Francesco, il presunto pedofilo superministro dell’Economia della Santa sede è il cardinale australiano George Pell.

La notizia è arrivata in Italia questa notte: Pell è stato incriminato in patria per tre casi di violenza su minori. La notifica di reato – riferisce la radio nazionale Abc – è stata recapitata a Melbourne ai suoi rappresentanti legali dalla polizia dello Stato di Victoria mercoledì 28 mattina. L’alto prelato che fa parte dei cosiddetti C9, i Consiglio dei nove cardinali di fiducia di papa Bergoglio, è stato subito messo in aspettativa dal pontefice per potersi recare in Australia e difendersi personalmente dalle gravi accuse che si sommano a quelle di aver protetto dei preti pedofili e insabbiato decine di casi quando era arcivescovo di Melbourne.

A questo punto è doveroso tornare a marzo del 2016. Precisamente a quando l’esaltatissima – sempre dai politici e dalla stampa nostrana – Pontificia commissione per la protezione dei minori insediata da papa Francesco nel 2014, ha espulso uno dei due componenti laici, l’avvocato inglese Peter Saunders. Come raccontammo su Left, la defenestrazione di Saunders andava messa in relazione alle sue accuse contro il card. George Pell di avere ignorato e coperto per decenni abusi compiuti da oltre 280 sacerdoti. Affermazioni che il superministro dell’Economia di Bergoglio, già arcivescovo di Melbourne e di Sydney, ha sempre respinto senza però riuscire a evitare di deporre dal 28 febbraio 2016 di fronte alla commissione governativa australiana sui crimini pedofili. Tre mesi dopo il cardinalissimo è finito sotto inchiesta per violenze da lui stesso compiute. E ora la notifica di reato.

«Non sono qui per difendere l’indifendibile» aveva detto mons. Pell a Roma ammettendo che la Chiesa ha commesso «errori enormi» consentendo l’abuso di migliaia e migliaia di bambini: troppe denunce arrivate da fonti credibili sono state spesso respinte «in scandalose circostanze» ha osservato il cardinale tentando di smarcarsi. Una linea coerente con la posizione della Pontificia commissione schierata contro i vescovi (Conferenza episcopale italiana compresa) che nelle loro linee guida anti pedofilia non prevedono l’obbligo di denuncia laddove non è imposta dalle leggi “laiche”. «Abbiamo tutti la responsabilità morale ed etica di denunciare gli abusi presunti alle autorità civili» ha ricordato il cardinale O’Malley, capo della commissione. Una responsabilità che però di fatto non sfiora la Santa Sede e chi la guida (sempre quello che critica le pensioni d’oro).

Papa Francesco «non ha fatto nulla per mettere fine agli abusi di matrice clericale sui bambini» disse Peter Saunders alla Bbc poco dopo essere stato espulso dalla Commissione, definendo «oltraggiosa» la nomina dell’amico personale di Bergoglio, mons. Juan de la Cruz Barros Madrid a vescovo di Osorno in Cile sebbene fosse sospettato di aver protetto padre Karadima, un potentissimo sacerdote condannato per pedofilia nel 2011.

Ma non c’è solo questo a mettere in contraddizione la realtà dei fatti con le parole, i proclami, gli avvertimenti e gli annunci di “tolleranza zero” contro la pedofilia che papa Francesco lancia in continuazione appena si trova un microfono davanti.

Va ricordato infatti che tra il 2004 e il 2013 la Chiesa ha espulso 848 sacerdoti responsabili di abusi. Lo dissero con orgoglio nel 2014 i nunzi di papa Francesco a due commissioni Onu (quella per la tutela dell’infanzia e quella contro la tortura). Bene, anzi, male. Per alcuni di questi pedofili la dimissione dallo stato clericale è arrivata SOLO dopo una condanna penale “laica” (come per esempio è accaduto di recente a don Inzoli, alto esponente di Comunione e Liberazione e fondatore del Banco alimentare). Per altri invece si è espresso solo il tribunale ecclesiastico. Era il 2014, dove sono oggi questi pedofili ignoti alla giustizia “terrena”? Non si sa. Come si chiamano? Quanti sono? Non si sa. Gli emissari del papa si rifiutarono di fornire queste notizie agli investigatori dell’Onu che anche per questo hanno accusato la Santa Sede di aver «regolarmente messo al di sopra dell’interesse dei bambini la tutela della reputazione della Chiesa e la protezione dei responsabili». Il monito delle Nazioni Unite ha spinto per caso papa Bergoglio a imporre un cambio di rotta mediante la segnalazione obbligatoria alle autorità civili? La risposta è sempre no. A proposito di pedofilia, come nel caso di George Pell, il superministro della trasparenza, i fatti e la… trasparenza in Vaticano stanno sempre a zero. Mentre la tolleranza viaggia a vele spiegate, o meglio in business class verso Melbourne.

Pedofilia, lo storico John Dickie: papa Francesco è tollerante al 75 per cento

Al Dig Festival di Riccione è stato presentato in anteprima assoluta Dietro l’altare di Jesus Garces Lambert, il documentario in cui lo storico britannico John Dickie indaga sulla pedofilia all’interno della Chiesa. Left ha colto l’occasione per intervistarlo.

«Con questo documentario – racconta Dickie – ho cercato di capire se le parole di papa Francesco contro la pedofilia nella Chiesa corrispondano a una reale volontà di cambiare, a una reale volontà di rispondere al dramma pedofilia». E quali conclusioni ha tratto? «Sono pessimista – dice lo storico -. Il papa ha istituito una Commissione pontificia affinché si occupi dei casi di abuso, che però per ora non ha fatto nulla. È un organo di consulenza che non ha alcun potere effettivo: si è riunito pochissime volte ed è così inefficace che gli unici due rappresentanti delle vittime di sacerdoti pedofili si sono dimessi. Questa – prosegue – è ovviamente una drammatica dimostrazione di disinteresse e della assenza di reale voglia di cambiamento». Secondo Dickie non è l’unica. «Il numero di protettori di pedofili che il papa stesso ha promosso. Ci sono tanti nomi non solo quelli che abbiamo menzionato nel nostro documentario. I nomi sono molti, cito il caso più eclatante: il cardinale George Pell che essenzialmente è il numero tre all’interno della Santa sede, responsabile delle finanze del Vaticano e che non soltanto è stato colpevole di aver protetto pedofili quando era vescovo in Australia, ma addirittura è accusato lui stesso di aver commesso atti di pedofilia, rifiutandosi di tornare in Australia per rispondere di queste accuse».

Con la sua inchiesta ripresa nel film di Jesus Garces Lambert, John Dickie non si ferma solo allo Stato vaticano e alle responsabilità dei gerarchi della Santa Sede. Indaga infatti su molti dei più recenti scandali in diverse parti del mondo: dagli Stati Uniti alla Francia, dall’Italia all’Argentina.

Negli Stati Uniti, Dickie intervista Mark Rozzi, candidato democratico della Pennsylvania, che da bambino è stato violentato da un sacerdote della parrocchia che frequentava. Mark Rozzi porta avanti da anni una strenua lotta contro la pedofilia nella Chiesa cattolica, ma sin dall’inizio si è reso conto di quanto questa battaglia sia difficile, persino negli Stati Uniti, il Paese in cui nel 2002 grazie ai giornalisti del team Spotlight del Boston globe emerse il primo grande scandalo di questo millennio.

Dickie indaga poi sul caso dell’istituto Provolo, seguendo la storia dei crimini che partendo dall’Italia arrivano fino in Argentina. Come Left ha raccontato sin dal 2010, il caso Provolo è stato uno dei più abominevoli casi di pedofilia della storia: all’interno dell’istituto per sordomuti A. Provolo di Verona sono stati stuprati decine di bambini. Dickie racconta la storia inquietante di don Corradi, che dopo essere stato accusato di aver abusato di bambini sordomuti all’interno del Provolo di Verona, è stato spedito in Argentina a dirigere la filiale di Mendoza. E qui è stato arrestato a novembre 2016 con l’accusa di pedofilia. A differenza di quanto successo in Italia, in Argentina il caso di don Corradi e del Provolo ha ottenuto grande visibilità sui media. Da parte della Santa Sede e dei suoi media, invece, silenzio totale e nessuna considerazione.

A quattro anni dall’insediamento di papa Francesco la sua riforma contro la pedofilia è in stallo totale, ricorda Dickie: «Due preti pedofili su tre sono ancora nel clero e nessuno dei vescovi che ha coperto gli abusi è stato punito». Alcuni come nel caso di Pell, sono stati chiamati dallo stesso pontefice ai vertici della Santa Sede. John Dickie inoltre ci ricorda i terribili dati raccolti dal rapporto della Santa Sede per la Commissione Onu in cui vengono riportati gli sconcertanti numeri dei casi di pedofilia dal 2004 al 2013: 3.420 preti sono stati denunciati per abuso di minori, 848 sono stati laicizzati e 2572 hanno ricevuto condanne inferiori. «Stando a questi numeri, un prete su quattro nel mondo è stato coinvolto in casi di pedofilia” afferma Dickie e conclude: “Papa Francesco dice di avere tolleranza zero verso i preti pedofili, ma a me questa sembra tolleranza al 75 per cento».

L’arte islamica conquista New York

È il primo museo dedicato completamente all’arte islamica ed araba in una delle città più visitate del mondo, New York ed ha appena aperto i battenti nell’America di Trump.

Il proprietario viene da quel Qatar ora sotto attacco delle sanzioni, si chiama Mohammed Rashid al Thani e ha deciso di finanziare gli artisti arabi per farli arrivare in USA. Geometrie, architetture, simmetrie servono al dialogo tra culture quanto la politica, per l’unità, per la familiarità, per l’apertura di una società verso l’altra. L’Istituto per l’arte islamica sfida questo: l’islamofobia.

“Ci sono pregiudizi e stereotipi riguardo i musulmani e gli arabi, possiamo prendercela con i media quanto vogliamo, ma è nostra responsabilità combatterli” ha detto all’inaugurazione del centro promettendo quattro esposizioni all’anno.

La prima parla la lingua visuale di quattro artiste, tutte arabe, tutte donne. Si può visitare a Little Italy, dove al Thani ha deciso di basare la sua piattaforma per artisti del Levante.
per saperne di più, leggi  l’articolo di Art Newspaper.

Ma che dicono Comunione e Liberazione, Formigoni e gli altri su don “Mercedes” Inzoli?

Aveva partecipato al convegno organizzato da Regione Lombardia per difendere “la famiglia tradizionale”: era il 17 gennaio 2015 e don Mauro Inzoli applaudiva gaudente alle spalle di Roberto Formigoni e Roberto Maroni. Quando qualcuno si era permesso di fare notare che un prete pedofilo a un convegno in difesa della famiglia fosse più o meno come incrociare un dittatore a un convegno sulla libertà di stampa in molti dentro a Comunione e Liberazione avevano messo giù il muso. Anche don Mauro si era difeso: “è un mio diritto andare dove voglio”, aveva detto ai giornali. Giusto. Ed è un nostro diritto raccontarlo per quello che è stato.

Don Mauro Inzoli, ex parroco a Crema, era uomo di punta di Comunione e Liberazione (e responsabile della Gioventù studentesca, che riuniva il lato più giovane di CL), ex responsabile della Compagnia delle Opere di Cremona e Crema e tra i fondatori del Banco Alimentare. Soprannominato “don Mercedes” per il suo amore verso il lusso è stato condannato a quattro anni e nove mesi di reclusione per perdofilia: dice la sentenza che toccava i ragazzini anche durante le confessioni, e per convincerli della bontà delle molestie sessuali citava brani del Vecchio Testamento, la relazione filiale fra Abramo e Isacco. Lo faceva “approfittando con spregiudicatezza della propria posizione di forza e di prestigio, tradendo la fiducia in lui riposta dai giovani nei momenti di confidenza delle proprie problematiche personali ed anche nel corso del sacramento della Confessione, ammantando talora le proprie condotte di significato religioso così confondendo ulteriormente i giovani”, così scrive il gup Letizia Platè.

Come spesso succede all’inizio l’hanno difeso tutti. Anzi, hanno anche fatto gli schizzinosi per la scostumatezza delle accuse, poverini. E invece era tutto vero.

Ora si è saputo che papa Francesco il 20 maggio scorso con sentenza definitiva ha deciso di dimettere don Mauro Inzoli dallo stato clericale. E ora, al solito, invocano un dignitoso silenzio. E invece no. Invece ora sarebbe interessante sapere chi l’ha coperto per anni (dei vizietti di don Inzoli ne parlano anche i ragazzi in parrocchia, per dire) e ci piacerebbe sapere cosa ne pensa Comunione e Liberazione, sempre così prodiga di consigli ai politici e sempre così titubante sulle colpe e sui peccati dei suoi sodali.

Dove sono tutti?

Buon giovedì.

Diritti dei minori stranieri non accompagnati, la Carta di San Gimignano al Parlamento europeo

Nella serata di ieri presso il porto di Porto Empedocle, provenienti da Lampedusa, sono giunti, a bordo della nave di linea che assicura i collegamenti con le Isole Pelagie, 140 immigrati sbarcati nei giorni scorsi sulla citata isola. Tra di essi anche 18 minori non accompagnati, tra cui il piccolo Ahmed, tredicenne egiziano che ha lasciato il paese di origine in cerca di un medico che potesse curare il fratellino Farid, di 7 anni, affetto da una grave malattia non curabile in Egitto. Sbarcato a Lampedusa, il giovane ha raccontato la sua storia ed è stato imbarcato sulla nave diretta a Porto Empedocle ove è stato preso in consegna dai poliziotti dell´Ufficio Minori della Divisione Polizia Anticrimine della Questura di Agrigento. Ahmed accompagnato dai poliziotti, sarà trasferito in serata a Firenze. Nel capoluogo toscano, infatti, il piccolo Ahmed attenderà, presso un´idonea comunità di accoglienza per minori, l´arrivo del fratellino e dei genitori previsto per i prossimi giorni, Porto Empedocle (Agrigento), 18 agosto 2016. ANSA/UFFICIO STAMPA POLIZIA DI STATO

Durante il 2016 sono sbarcati in Italia 28.200 minori di cui il 91%, cioè 25.800, risultavano non accompagnati o comunque separati dai genitori. I dati Unicef fotografano una realtà che diventa allarmante anno dopo anno. Nel corso del 2015 infatti erano meno della metà, 12.360. Bambini e adolescenti in fuga da povertà e violenza, in larga parte provenienti da quattro Paesi: Eritrea, Gambia, Egitto e Nigeria. Ma sempre nel 2016 sono letteralmente scomparsi dall’Europa 10mila minori non accompagnati, di cui 5mila in Italia. Inghiottiti nel silenzio delle istituzioni che dovrebbero pensare ad accoglierli. Vista la rete criminale che prolifera attorno alla prostituzione o allo spaccio di stupefacenti e che si serve in gran parte dei minori stranieri, è chiaro che occorre mettere in campo una forte azione di contrasto. Che non è solo quella affidata alle forze dell’ordine o alla magistratura ma che deve essere anche di carattere culturale in modo da far pressione sui singoli Stati dell’Unione europea.
Questo è l’obiettivo che si propone una iniziativa nata dal basso, da operatori del terzo settore venuti a contatto negli anni passati con tanti ragazzi provenienti da Paesi stranieri e che ha trovato nell’amministrazione di San Gimignano (Siena) un valido sostenitore.
Ecco dunque la Carta europea dei diritti dei minori stranieri non accompagnati, promossa dall’associazione Carretera Central dopo l’esperienza felice del Festival dei circhi sociali Circomondo in collaborazione, appunto con il comune senese. Alla Carta hanno aderito diverse associazioni come l’Arci e l’Asgi,la Cnca e tra i media, anche Left.

Oggi l’intero progetto viene presentato al Parlamento europeo con, tra gli altri, il sindaco di San Gimignano Giacomo Bassi, Adriano Scarpelli, presidente di Carretera Central e le parlamentari europee Elly Schlein e Cécile Kyenge.

La Carta che per il momento è una bozza, sarà definita ulteriormente in un seminario internazionale che si terrà in autunno a San Gimignano.
L’appuntamento di oggi, secondo gli organizzatori, è una tappa importante, perché portare un progetto ideato da tanti operatori del terzo settore, giuristi, esperti italiani, al Parlamento europeo su un tema così importante, è la dimostrazione del fatto che il nostro Paese, al di là delle ondate xenofobe della Lega o anche, del M5s, è comunque orientato ad una politica dell’accoglienza che nel caso dei minori, punti esclusivamente al loro interesse superiore.

Tra le proposte da inserire nella Carta, si prevedono, nuove vie legali di ingresso e di soggiorno nel territorio dell’Ue anche con il rilascio di visti per motivi umanitari. Per i minori non accompagnati si potrebbe poi prevedere, si legge nella bozza, anche un “visto automatico” che permetta loro anche una maggiore libertà di movimento e di circolazione, sempre nel rispetto del loro superiore interesse. E naturalmente strumenti per garantire la loro identificazione, il ricongiungimento familiare, l’ospitalità in strutture ideone, formazione. Per tutto questo, si prevede la creazione di un fondo europeo che contribuisca alla loro accoglienza e alla loro tutela.

Ps Nella foto del 18 agosto 2016 il piccolo Ahmed tredicenne egiziano arrivato da solo in Italia per cercare un medico che potesse curare il fratellino malato. La sua storia ha colpito tutti lo scorso anno. Sbarcato a Lampedusa, il giovane ha raccontato la sua storia ed è stato imbarcato sulla nave diretta a Porto Empedocle ove è stato preso in consegna dai poliziotti dell´Ufficio Minori della Divisione Polizia Anticrimine della Questura di Agrigento. Poi è arrivato a Firenze, in una comunità di accoglienza in attesa dell´arrivo del fratellino e dei genitori.

Riad insiste: Al Jazeera deve chiudere, «noi non promuoviamo l’idea della libertà di stampa»

Al-Jazeera headquarters Doha, Qatar.

Nuove sanzioni in arrivo per il Qatar, lo ha deciso l’Arabia Saudita. L’ambasciatore di Riad a Mosca, Omar Ghobash ha riferito che potrebbe chiedere agli altri Paesi del blocco anti-Doha «di fare una scelta commerciale: tra loro e noi». Il braccio di ferro che ha imposto l’embargo al Qatar dal cinque giugno scorso va avanti e procede severo, con una lista di tredici punti da rispettare se Doha vuole davvero mettere fine alle sanzioni.

Per decidere il Qatar ha solo dieci giorni. Tra le richieste degli Emirati Arabia, Bahrein, Arabia Saudita c’è la rinuncia all’unità militare turca che è arrivata sul territorio per volere e su pressione di Erdogan pochi giorni fa e la chiusura del colosso mediatico multilingua, Al Jazeera.

Al Jazeera ha chiesto al diplomatico Ghobash se il diktat contro la all-news fosse una richiesta equa e lui ha risposto: «Noi non promuoviamo l’idea della libertà di stampa». Libertà, parole e paura. Se la voce verrà zittita, si fermerà l’escalation militare: «Il Golfo vive in un contesto particolare e quel contesto può trasformarsi da pacifico a violento solo e semplicemente per le parole che vengono pronunciate».

Pirandello, un libro con foto inedite

In occasione dell’anniversario della nascita di Luigi Pirandello ( il 26 giugno del 1867 ad Agrigento) sono tantissime le iniziative dedicate al drammaturgo. Con molte nuove uscite. Fra le più interessanti c’è  il libro fotografico I Pirandello. La famiglia e l’epoca per immagini  edito dalla casa editrice La Nave di Teseo, una raccolta storica per immagini di 232 pagine a cura di Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla.

Il libro, composto da 630 fotografie personali dell’autore e della famiglia, è stato presentato  in anteprima al salone del libro di Torino. Le foto narrano cronologicamente non solo la vita personale ed artistica del grande autore siciliano, ma anche gli eventi storici principali di quel periodo. Il libro iconografico contiene foto esclusive e ritratti personali della famiglia Pirandello, che fu protagonista della cultura internazionale fra Otto e Novecento.

Tra i momenti più importanti immortalati nel libro ci sono le foto dei genitori Stefano Pirandello e Caterina Ricci Gramitto, quelle della moglie Maria Antonietta e i figli Stefano, Lietta e Fausto. Non mancano foto delle amicizie più care, quelle con Alvaro, Bontempelli, Masino, d’Amico, Ojetti, Salvini, gli incontri celebri con Albert Einstein, George Gershwin, Pablo Neruda e Walt Disney e nelle foto c’è anche lei, Marta Abba, musa ispiratrice del teatro di Pirandello.