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L’attentato di Manchester a confronto con gli altri attacchi terroristici subiti dall’Europa

epa05988713 People pay their respects for the victims of the Manchester bombing, at St Ann's Square in Manchester, Britain, 25 May 2017. A suicide bombing at Manchester Arena on 22 May killed 22 and injured dozens after a music concert, in what police treat as a terror attack. EPA/NIGEL RODDIS

L’attentato all’arena di Manchester durante il concerto di Ariana Grande ha causato 22 morti e una sessantina di feriti. A pochi giorni dall’accaduto imperversa la polemica sulla mancata prevenzione per una strage che poteva essere forse evitata (il 22enne di origine libica che ha compiuto l’attentato era stato segnalato per ben cinque volte all’antiterrorismo britannico da amici, familiari e membri della comunità musulmana), nel frattempo il livello di sicurezza in Gran Bretagna è stato innalzato al massimo e l’intelligence procede con indagini e arresti per sventare eventuali nuovi “imminenti attacchi”, come riporta il quotidiano The Indipendent.
L’attentato all’arena di Manchester, oltre a colpire per l’età media molto bassa delle vittime, colpisce anche per la sua brutalità: si tratta infatti del quarto attentato terroristico in ordine di morti causate in Europa dal 2015. Per capire e fare un punto sulla linea di “evoluzione” degli attacchi terroristici il New York Times ha realizzato una serie di grafici che riportiamo qui sotto.

I metodi utilizzati e gli obiettivi colpiti sono i più svariati, si va dall’assalto alla redazione di Charlie Hebdo ai recenti attentati compiuti sempre a Parigi proprio a ridosso delle elezioni, fino ad arrivare a Manchester. Ecco in breve i principali attentati subiti.

Parigi, 7 gennaio 2015

Terroristi armati di fucili d’assalto fanno irruzione nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo e uccidono 12 persone, 11 rimangono ferite. Durante gli eventi che seguono l’attentato muoiono altre 8 persone, portando così il numero totale dei morti a 20.

Copenhagen, 14-15 febbraio 2015

Fra il 14 e il 15 febbraio un attentatore apre il fuoco in due occasioni uccidendo due civili e ferendo cinque agenti di polizia. L’obiettivo del primo attentato era probabilmente il vignettista svedese Lars Vilks, in passato autore di una vignetta satirica dove aveva raffigurato Maometto con le fattezze di cane.

Parigi, 13 novembre 2015

In una serie di attentati nel quartiere del Marais, alla sala concerti Bataclan e nei pressi dello stadio di Saint Denis vengono uccide 130 persone. L’attacco viene pianificato da una cellula di Isis a capo della quale c’era il giovane belga Abdelhamid Abaaoud, radicalizzato dopo un viaggio in Siria. Riesce a fuggire solo Salah Abdeslam, anche lui cittadino belga, che verrà catturato il 18 marzo 2016 in un blitz all’interno di un appartamento nel quartiere di Bruxelles Molenbeek dove era nascosto insieme ad altri terroristi da più di quattro mesi.

Bruxelles, 22 marzo 2016

Due bombe vengono fatte esplodere all’aeroporto di Bruxelles, un’altra nel cuore della Capitale europea all’interno della metro. Si pensa che l’attentato sia anche una ripercussione dovuta all’arresto di Salah Abdeslam. L’intelligence belga è accusata di negligenza e di aver sottovalutato le minacce terroristiche all’interno del suo territorio.

Nizza, 14 luglio 2016

Un camion bianco irrompe nella promenade des Anglais, la passeggiata sul lungomare di Nizza, investendo la folla, uccidendo 86 persone che stavano festeggiando il consueto anniversario della presa della Bastiglia e ferendone 302. L’attentatore è un cittadino nizzardo di trentuno anni con doppia nazionalità francese e tunisina.

Berlino, 19 dicembre 2016

Un camion con targa polacca e proveniente dall’Italia irrompe in un mercatino di Natale a Berlino e travolge la folla. Sono 12 i morti e 56 i feriti. Il 22 dicembre 2016 il presunto attentatore Anis Amri viene ucciso in Italia a Sesto San Giovanni (Milano) durante un controllo di polizia davanti alla stazione ferroviaria.

Londra, 22 marzo 2017

Sul ponte di Westmister un uomo in auto investe deliberatamente 4 passanti, abbandonata l’auto prosegue in direzione del palazzo, dove, con un coltello, colpisce un poliziotto disarmato prima di essere a sua volta ucciso da altri agenti. I morti sono 6, incluso l’attentatore, i feriti invece sono 49.

Stoccolma, 7 aprile 2017

Un uomo a bordo di un camion del famoso birrificio svedese Spendrups si dirige ad alta velocità in una strada pedonale. Qui, in una delle principali vie dello shopping di Stoccolma, travolge numerosi pedoni lungo la strada per poi schiantarsi contro un grande magazzino e prendendo fuoco. Alcuni testimoni oculari affermano che l’attentatore zigzagava cercando di mirare ai bambini.

Parigi, 20 aprile 2017

Un uomo armato di pistola spara e uccide un poliziotto sugli Champs-Élysées prima di essere a sua volta ucciso. L’attentato avviene a ridosso delle elezioni presidenziali francesi, nelle quali è candidata anche Marine Le Pen del partito xenofobo Front National che immediatamente cerca di trarre vantaggio politico dall’attacco terroristico spingendo sui temi della sicurezza.

Manchester, 22 maggio 2017

La strage viene compiuta al termine del concerto di Ariana Grande, idolo dei teenagers, alla Manchester Arena.

Giornata storta per i “taxi del mare” e così muoiono in 34 (almeno)

Da una parte c’è il comunicato stampa della Guardia Costiera italiana:

«Per uno sbandamento verosimilmente causato dalle condizioni meteomarine e dallo spostamento repentino dei migranti su un fianco dell’imbarcazione – si legge nella nota -, circa 200 migranti sono caduti in mare da un barcone con circa 500 migranti a bordo. L’immediato intervento delle navi ‘Fiorillo’ della Guardia Costiera e ‘Phoenix’ del Moas ha consentito di trarre in salvo la maggior parte dei migranti caduti in acqua. Trentaquattro, invece, i corpi senza vita recuperati in mare dai soccorritori».

Dall’altra c’è la testimonianza di Medici Senza Frontiere:

«Due guardacoste libici, in uniforme e armati, sono saliti su uno dei gommoni. Hanno preso i telefoni, i soldi e altri oggetti che le persone portavano con sé”, racconta Annemarie Loof di Msf. “Le persone a bordo si sono sentite minacciate e sono entrate nel panico. Molti passeggeri, che fortunatamente avevano già ricevuto i giubbotti di salvataggio prima che iniziassero gli spari si sono buttati in acqua spinti dalla paura».

Piccolo promemoria: da settimane qualcuno dice che le ONG (quelli come Medici Senza Frontiere, appunto) avrebbero sporchi interessi sulla pelle dei migranti. Da qualche settimana quegli stessi rimestatori nel torbido, in mancanza di riscontri, citano la guardia costiera libica come fonte dei loro sospetti.

Ecco. Tirate voi le somme.

Mentre ne sono morti altri 34.

Buon giovedì.

L’ennesimo naufragio a largo della Libia

epa05790627 A handout photo made available by the World Press Photo (WPP) organization on 13 February 2017 shows a picture by British photographer Mathieu Willcocks that won the Spot News - Third Prize, Stories award of the 60th annual World Press Photo Contest, it was announced by the WPP Foundation in Amsterdam, The Netherlands on 13 February 2017. Spot News - Third Prize, Stories © Mathieu Willcocks Title: Mediterranean Migration Photo caption: The body of a migrant is found floating at sea. Red Cross medical staff onboard the Responder estimated he had been at sea for at least four days. Story: The central Mediterranean migration route, between the coasts of Libya and Italy, remains busy. According to reports by the UNHCR, 5,000 people died while attempting to cross the Mediterranean in 2016. NGOs and charities such as Migrant Offshore Aid Station (MOAS) continue their efforts to patrol the patch of sea north of the Libyan coast, in the hope of rescuing refugees before the potential of drowning. The rescue team on board the MOAS' Responder are there to mitigate loss of life at sea. Operating like a sea-born ambulance, they rush to assist and rescue refugee vessels in distress, provide medical assistance, and bring the refugees safely to Italy. EPA/Mathieu Willcocks/WORLD PRESS PHOTO HANDOUT ATTENTION EDITORS : EDITORIAL USE ONLY / NO SALES / NO ARCHIVE / NO CROPPING / NO MANIPULATING / USE ONLY FOR SINGLE PUBLICATION IN CONNECTION WITH THE WORLD PRESS PHOTO AND ITS ACTIVITIES HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES/NO ARCHIVES HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES/NO ARCHIVES

La conta, mentre scriviamo, è a 31 morti, annegati nelle acque del Mediterraneo centrale, al largo del porto libico di Zuara. I soccorsi, in corso, si possono seguire grazie ai tweet di Chris Catrambone, fondatore dell’ong Moas.

«Non è la scena di un film horror, ma una tragedia della vita reale che si svolge oggi alle porte dell’Europa», ha scritto Catrambone, che ringrazia la Guardia Costiera italiana, che sta effettuando i soccorsi.

Sul barcone viaggiavano circa 500 persone, 200 delle quali sono cadute in acqua, con una dinamica ancora da chiarire (un’onda? l’eccessivo carico che ha sbilanciato l’imbarcazione?).

La tragedia, però, si innesca su settimane di polemica, sulle accuse alle Ong, compresa la Moas. La polemica è ripresa anche dai volontari del Baobab, che rilanciano un’accusa alla guardia costiera libica.

Un’accusa che investe anche l’Italia, però, nelle parole di Amnesty International. A tredici giorni dall’episodio denunciato dall’Ong tedesca Sea Watch, secondo cui la Guardia Costiera Libica ha interrotto un’operazione di salvataggio in acque internazionali, riportando circa 500 persone in Libia, anche Amnesty, infatti, esprime preoccupazioni: l’Italia starebbe aggirando i suoi obblighi internazionali, aiutando la Libia ad intercettare i migranti nel Mediterraneo.

Chi era Salman Abedi, l’attentatore di Manchester «che probabilmente non ha agito da solo»

epa05984682 People attend a vigil for the people who lost their lives during the Manchester terror attack outside the Town Hall in central Manchester, Britain, 23 May 2017. Britain is on high alert following the Manchester terror attack on the Manchester Arena late 22 May, that saw 22 people lose their lives with scores of other people injured. EPA/ANDY RAIN

L’attacco di Manchester ha avuto un suo primo effetto: il governo britannico ha alzato il livello di allarme e durante gli ultimi giorni di campagna elettorale i britannici vedranno in strada 3800 militari armati. Se la cosa li rassicurerà o meno è da vedere. A Londra temono che l’attacco alla Manchester Arena possa essere replicato altrove nelle prossime settimane. Il cambio della guardai davanti a Buckingham palace è stato cancellato e la Camera dei Comuni, che è anche visitabile, viene chiusa al pubblico. Stamane la polizia ha fermato tre persone nella zona della città dove viveva Abedi e dove vive la maggioranza della comunità libica.

La verità è che i luoghi sensibili sono protetti da tempo e che in questi ultimi mesi i terroristi hanno scelto obbiettivi popolari ma non “politici”: un locale notturno, una arena per concerti, la festa del 14 luglio a Nizza, il mercatino di Natale a Berlino. La mappa dei possibili si è allargata a dismisura e non c’è modo di proteggere ogni luogo dove le persone si radunano. Questo i terroristi dell’Isis lo sanno e siccome, come scrivono anche nel comunicato che rivendica la strage di Manchester, il loro scopo è proprio seminare terrore, scelgono obbiettivi che contribuiscano a spaventare la popolazione.

Salman Abedi in una foto tratta dal profilo Twitter di Breaking911.

Ieri sera abbiamo saputo che l’attentatore, era Salman Abedi  un giovane nato a Manchester da genitori fuggiti dalla Libia di Gheddafi. Gli investigatori ritengono che Abedi possa non aver agito da solo, «è probabile che sia così» ha detto l’Home secretary, l’equivalente del Ministro degli Interni, Amber Rudd.

Abedi era religioso e proveniva da una famiglia religiosa, ed ha alcune caratteristiche diverse rispetto ad altri lupi solitari e o membri di commando terroristico. Non ha un passato da giovane deviante o piccolo criminale redento e nemmeno una lunga frequentazione di luoghi e moschee dove si predica l’islamismo radicale. Anzi, dicono persone intervistate nella comunità libica di Manchester, suo padre è molto religioso ma altrettanto moderato e “nemico” dell’Isis. Lo stesso si dica per l’imam della moschea che frequentava che, raccontano testimoni, sia stato guardato in cagnesco dallo stesso Abedi, dopo aver fatto un sermone che condannava la violenza religiosa e la teologia dell’Isis. Abedi era noto alla polizia, ma era considerato una figura minore, con qualche conoscenza in ambienti radicali e nulla più. Segno che la radicalizzazione dei singoli individui può essere qualcosa di molto privato e che i legami con ambienti radicali noti non sono una spia sufficiente – in Gran Bretagna c’è una tradizione, ma forse sta cambiando la geografia. Abedi era stato in Libia di recente e, forse, è anche passato per la Siria. Ma di questa seconda notizia non c’è certezza.

Il nome dell’attentatore è stato reso noto da diversi media americani, che lo hanno ottenuto da funzionari dell’intelligence Usa. La fuga di notizie ha fatto infuriare i britannici: la polizia stava avviandosi a perquisire la casa di Abedi e a cercare altri collegamenti prima che la notizia venisse a galla ed è stata presa alla sprovvista.  La fuga di notizie, l’ennesima proveniente da una agenzia di intelligence a Stelle&Strisce è un segnale del caos che regna alle alte sfere della comunità di spie e analisti americani in questa fase. Dentro all’apparato di sicurezza americano è chiaramente in corso uno scontro furioso. Amber Rudd ha definito l’accaduto «irritante» augurandosi che un fatto simile non si ripeta.

Dieci delle 22 vittime hanno un nome, la più giovane ha otto anni, altri due sono minorenni, diversi giovani e quattro persone che erano probabilmente genitori che accompagnavano o erano andati a prendere i loro figli. Ieri una folla enorme si è radunata nella piazza del comune di Manchester. La vedete qui sotto

EPA/ANDY RAIN

 

 

Il direttore del centro d’accoglienza di Lampedusa aveva il requisito giusto: suocero di Alfano jr

Il ministro degli esteri Angelino Alfano oggi all'Hotel Caracciolo per la presentazione del progetto politico Alternativa Popolare, Napoli, 22 Maggio 2017. ANSA/CESARE ABBATE

Ma cosa altro deve succedere perché il ministro (eh, sì) Angelino Alfano, quello che ha il tempo di querelare una trasmissione televisiva come Gazebo, venga ritenuto non più potabile e rimandato a casa? Ma perché da Berlusconi, a Renzi fino a Gentiloni dobbiamo continuare a sopportare come ministro l’incarnazione politica del malcostume tutto italiano di non chiedere a qualcuno “cosa sai fare” ma piuttosto “chi ti manda”?

L’ultima notizia è tutta nelle carte dell’operazione Jonny che ha svelato gli sporchi interessi di Leonardo Sacco che con la sua “Misericordia” ha lucrato sul centro d’accoglienza di Isola Capo Rizzuto. È una telefonata del 10 settembre 2014  in cui Ugo Bellini, vicepresidente della Misericordia con delega a Sviluppo e Coordinamento delle Federazioni Regionali, informa Leonardo Sacco che come direttore del Centro di Lampedusa è stato scelto Lorenzo Montana, suocero del fratello di Angelino Alfano:

“Noi abbiamo anche trovato un direttore. Cioè veramente: forse non è pieno di requisiti, perché ci vogliono 3 anni di esperienza o deve essere laureato in psicologia: questo è in scienze politiche. Ti ha detto chi è?”. “Non mi ha detto chi è”. “È il suocero… il suocero del cugino di Alfano”. “Ah, ho capito. Bene, bene: no, ma al di là di questo… diciamo… la figura si può costruire. Vediamo il da farsi… insomma… perché io ho l’impressione… mo’ venerdì vado a Roma… e vedo un po’… al ministero la situazione…”.

La notizia esce qualche giorno dopo (su Il Fatto Quotidiano) e il Prefetto Morcone telefona preoccupatissimo a Leonardo Sacco:

“Senti una cosa… ma… come ti è venuto in testa… di pigliare… a questo come direttore del Centro di Lampedusa? Tu lo capisci bene che quello è il Centro più visibile d’Italia”.

Sacco abbozza (male) una patetica difesa:

“Capisco benissimo… il problema è stato questo eccellenza… che.. diciamo… come confederazione… non ci aspettavamo l’assegnazione… subito… va bene la gara e stavamo cercando appunto figure di direttore… ma non era assolutamente preventivato che dovevamo prendere quello lì”

Il prefetto Morcone insiste:

“Mo’ devi trovare una soluzione… anche perché, capisci che l’effetto di tutto questo è che ogni settimana ti devo fare un’ispezione praticamente… perché sennò ci fanno un culo come una campana”.

Poi qualche, ora dopo, è proprio il Prefetto Morcone a suggerire una difesa:

“Abbi pazienza… bisogna comunque fare un’agen… perché qua sta succedendo un bordello in rete, su internet. Dovreste fare più che una smentita insomma. Un chiarimento su questa cosa, facendo un’agenzia nella quale dite quello che hai detto a me. Cioè che in un primo momento, tenuto conto della fretta, dell’avvicendamento di Lampedusa Accoglienza, avete individuato sull’isola una persona e diciamo che per esperienza amministrativa poteva essere un punto di riferimento, un coordinatore. Perché il direttore deve essere ancora nominato. Me la puoi mandare prima a me: io me la guardo”.

Eccola, la classe dirigente.

Buon mercoledì.

L’Ora di Punta, lo scintillante noir di Nora Venturini

Esce il primo romanzo di Nora Venturini. Regista teatrale e sceneggiatrice, il suo esordio letterario è stato un vero e proprio boom fra le case editrici. Ironico, frizzante nel ritmo e nel pensiero, L’Ora di Punta edito Mondadori (che l’ha letteralmente strappato alle concorrenti), è un giallo che ha come protagonista una giovane tassista, Debora Camilli, con l’irresistibile propensione all’indagine. Un giorno, una cliente le chiede di aspettarla per qualche minuti ed entra in un portone. Non ne uscirà più. E così, con il suo taxi Siena 23 – ereditato suo malgrado dalla morte improvvisa del padre -, Debora ci accompagna per le strade e soprattuto per gli aspetti di Roma. Una Roma che, come un quadro di Picasso, si presenta contemporaneamente in tutti i suoi aspetti: dalla Roma popolare di quartieri come San Lorenzo, alla Roma più “fighetta” e borghese, molto molto diversa da quello che appare. Ricostruita con la capacità tessitrice della regista, la narrazione – stesa fra gli intrecci delle relazioni e delle vicende – gode dell’equilibrio, del dinamismo e in generale di tutte le proprietà di sceneggiatrice dell’autrice, che in questo lavoro sembrerebbe aver messo tutta sé stessa. E anche un quid in più. È già stato definito un page turner book, un libro così eccitante da farti girere le pagine una dopo l’altra.

Nora, come mai un giallo?

Leggo di tutto, leggo tantissimo. Ma se mi si dovesse chiedere qual è il genere che adoro di più, è senz’altro il giallo. Anche perché tra le sue pieghe si annidano grandissimi scrittori. Non parliamo del giallo all’americana, un po’ splatter e tutto dedito al thriller: il giallo europeo è un giallo che, al di là dei meccanismi logico-matematici, che senz’altro ci sono, è in realtà quasi un pretesto per indagare ambienti, psicologie, dinamiche umane. Meccanismi e suggestione nei quali il detective si va a intrufolare. Il caso, per così dire, gli entra dentro. L’intuizione non è alla Sherlock Holmes, ma nasce dal capire quel prillo, quella scintilla umana; la psicologia di quel criminale che poi è una persona normale, arrivata per una serie di motivi a compiere il delitto.

Debora è giovane, ha 25 anni, ed è un donna ancora inconsapevole della propria forza, eppure carica di intensità e grinta. A chi ti sei ispirata?

Quando Veltroni aprì le licenze dei taxi, si era allargata la fascia delle persone che potevano accedere alla professione, quindi anche tante donne che prima non si vedevano. Una sera, ero uscita dal Valle (un teatro romano vicino Torre Argentina, ndr) e mi caricò una ragazzetta. Mi doveva accompagnare a casa, ma non sapeva arrivare da Largo Argentina a Piazza Mazzini (meno di 3 km, ndr). Abitava ai Castelli, Roma la conosceva a malapena, ma si era ritrovata catapultata per necessità in quella situazione. Mi raccontò che si era dovuta fare un’assicurazione: un tassista che gira per Roma, è facile che possa imbattersi in delitti. (Alla protagonista dell’Ora di Punta i colleghi anziani proibiscono, con suo enorme disappunto, di prendere i turni notturni per proteggerla, ndr). Parlammo a lungo, era un personaggio che mi rimase dentro e che pensai che avrebbe meritato di essere raccontato. In generale, poi, quando si costruisce un personaggio sicuramente ci metti delle caratteristiche che un po’ sono tue, e un po’ sono pezzetti che prendi in giro e ci butti dentro. Un po’ da persone incontrate, appunto, e un po’ dalla cronaca dei giornali, che a volte è decisamente oltre l’immaginario.
Debora è tosta, e per quanto sia carica dell’impulsività caratteriale e di quella propria dei 20 anni, è una donna responsabile che mantiene la famiglia. Prende e parte in quarta, è impulsiva e coraggiosa. …E infatti fa ca**ate (ride)! Ma anche per questo è simpatica. Quello che la spinge sempre è la vocazione e il talento di fare la poliziotta. È un po’ un diamante grezzo. Che non abbandona la presa – o cocciuta, dipende dai punti di vista -. Sono contenta di aver fatto una protagonista donna, giovane. Non è solo un fatto ideologico, ma anche di originalità: perché anche in questo mondo, quello letterario, sono tutti uomini!

A proposito: ad accompagnare Debora, c’è un commissario, ben lontano dall’affascinante Montalbano di Nicola Zingaretti…

(Ride) Beh, ha una sua intensità e risvolti intriganti… ma non sveliamo oltre. Quando prendi un detective che non è un poliziotto, come miss Marple, o come accade con i personaggi di Marco Malvaldi, per forza questo deve avere un coprotagonista a cui appoggiarsi. E che aiuta a essere un po’ più realistici. Ti costringe a dialogare con la realtà.

A proposito di personaggi, le vicende familiari, benché siano tutti personaggi secondari, sono tutt’altro che marginali e sfocate, anzi. Sono veri e propri coaguli di comicità…

Guarda, quando scrivo ho sempre, fortissimo, l’impulso di perdermi nelle strade traverse, per così dire, nei personaggi secondari. Magari capita che seguendo una delle sue piste, Debora incontra una persona, ed ecco che mi viene voglia di seguirla, di raccontarla, seguirla per il suo rivolo. È una curiosità che si espande per tutto quello che hai intorno. Proprio per paura di eccedere in questo, mi ero trattenuta. Per mantenere l’equilibrio del giallo,che è sempre un po’ in bilico perché d’accordo la comicità  umana, ma c’è sempre la drammaticità che comunque è propria di un crimine. Invece, l’unica cosa che mi ha chiesto la casa editrice è stata invece proprio quella di aumentare l’aspetto familiare. È una famiglia popolare, la mamma fa l’infermiera all’ospedale di Ostia, il fratellino studia medicina. È qui che nascono i momenti più esilaranti, come nei dialoghi con la migliore amica, Jessica. Poverina, voleva fare la stilista e invece fa la commessa da Intimissimi… che poi è la storia dell’80 per cento dei ragazzi più giovani che nascono in famiglie non garantite, che non hanno né i mezzi né i contatti “giusti”.

 

Nel libro, la Roma è quella che si vede attraverso gli occhi – e il vetro – di un tassista. Tu come l’hai conosciuta così bene?

In 58 anni l’ho vissuta un po’ tutta. Certo, vivendo a Prati certe zone e un certo ambiente lo conosco meglio – oggi. Però poi quando dovevo descrivere delle zone, prendevo il motorino e facevo i giri per i quartieri. Ripercorrevo le strade, scattavo fotografie, e video. Una volta presi la macchina insieme a mio figlio, che certe zone di Roma le conosce a menadito, letteralmente porta per porta, e mio sono fatta guidare da lui. E poi ho amici poliziotti – essenziali per nozioni e dati reali – molto disponibili devo dire, che tartasso di domande. Alla base di tutto, c’è la curiosità di scoprire e svelare, proprio nel senso di togliere un velo da tutto ciò che non sappiamo.

 

Editore: Mondadori
Collana: Omnibus
Data di Pubblicazione: maggio 2017

Spring Attitude, viaggio al centro della musica elettronica

A ravvivare la primavera romana ritorna anche quest’anno Spring Attitude, il festival internazionale di musica elettronica e cultura contemporanea diretto da Andrea Esu, giunto ormai alla sua VIII edizione. Dal 25 al 27 maggio infatti lo spazio dell’ex caserma Guido Reni e il MAXXI progettato da Zaha Hadid ospitano le icone italiane e internazionali dell’elettronica e molti giovani artisti contemporanei in un mix unico di musica e performance. Un occhio di riguardo viene dedicato alle nuove forme di arte digitale grazie a SPRING +ON, dove il pubblico sarà coinvolto con installazioni interattive, esperienze percettive di suoni, visioni, spazio.
Una tre giorni dunque dedicata all’esplorazione culturale e creativa, tra nuove realtà e voci affermate. Dall’Inghilterra arriva infatti Jon Hopkins, uomo di fiducia di Brian Eno e ingegnere del suono per i Coldplay, e Nathan Fake che a Roma presenta Providence il suo ultimo e accaldatissimo album.
Da non perdersi anche Clap! Clap!, volto italianissimo dell’elettronica conosciuto ed apprezzato in tutta Europa, che ritorna a Roma forte dell’uscita del suo ultimo disco A thousand skyes, già diventato un cult fra gli appassionati del genere.

La cover dell’album “A thousand skyes” di Clap! Clap!

Tra i grandi ritorni anche quello di di Christophe Chassol che avevamo intervistato l’anno scorso in occasione suo straordinario tour in Italia e che si esibirà di nuovo nel Belpaese con i suoi “ultrascores” durante lo Spring Attitude. Ma il programma è ricchissimo e ci porta a viaggiare in tutto il mondo.

Forest Swords

Dai sobborghi londinesi arriva il jazz-funk meticcio del duo Yussef Kamaal e l’acclamato Forest Swords che con il suo ultimo disco Compassion ha fatto innamorare le principali testate giornalistiche del settore, ascoltare per credere. Dalla California invece arriva il synth-pop anni 80 di Nite Jewel, dal Sud Africa GQOM OH feat. Nan Kolè & Mafia Boyz, da Tel Aviv, ma ormai praticamente berlinese, Moscoman, capace di unire in un sound originale techno, house e new wave con i ritmi del Medio Oriente.

il duo Yusef Kamaal

La performance live di Robert Henke al MAXXI Museum durante lo Spring Attitude Music Festival

Se lo scorso anno tra le voci italiane ad animare Spring Attitude c’era Cosmo, in questa edizione il cantante piemontese reduce dai sold out e dai consensi ottenuti come solista, si presenta accompagnato dalla sua band i Drink to me, promettendo come sempre di farci ballare fino allo sfinimento.
Una line up insomma con cui il festival, forte delle 12mila presenze della scorsa edizione, si conferma anche nel 2017 come uno dei più importanti eventi internazionali (e fra i pochi in Italia) dedicati alla musica elettronica e al pop d’avanguardia.
Qui  trovate il programma completo, qui sotto invece una playlist realizzata dal team del festival per entrare a pieno ritmo nello spirito dell’evento.

Quando scompaiono le lingue scompare anche la biodiversità

Al mondo esistono circa 7000 diverse lingue parlate, un patrimonio culturale che sta scomparendo. Ma c’è di più, secondo un recente studio condotto da Anne Kandler (Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology) e da James Steele (University College London) e pubblicato sul sito dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti d’America il declino di questa ricchezza linguistica e culturale sarebbe correlato alla perdita di biodiversità. La maggior parte delle lingue a rischio è parlata da piccoli gruppi che abitano in luoghi remoti, quelli che custodiscono grande biodiversità e che sono in pericolo – come l’Amazzonia o la Papua Nuova Guinea. Secondo Kandler e Steele infatti il 70% delle lingue parlate nel mondo è localizzato nei luoghi chiave per la biodiversità del pianeta e i dati raccolti mostrano chiaramente che quando queste aree sono sottoposte a un degrado dal punto di vista ambientale, si realizza anche una perdita in termini di ricchezza e varietà linguistica e culturale.

«I biologi – si legge nello studio – stimano che il numero di specie che si estinguono ogni anno sia di mille volte superiore a quello delle precedenti epoche e i linguisti prevedono che entro la fine del secolo scompariranno tra il 50 e il 90 per cento delle lingue». A partire da queste informazioni e suffragati dai dati i due ricercatori dunque hanno scoperto l’esistenza di una stretta connessione fra ambiente e patrimonio linguistico culturale. In passato altri studiosi avevano intuito la relazione fra cultura e ambiente, Larry Gorenflo della Penn State University per esempio aveva parlato di una connessione geografica fra i due fattori, ma non era riuscito a raggiungere un livello di approfondimento sufficiente a supportare la tesi.
La raccolta dei dati in effetti è piuttosto complessa, anche a causa della natura estremamente fluida del linguaggio, per la quale è difficile identificare con chiarezza e precisione i confini geografici di un ceppo linguistico piuttosto che di un altro. Eppure gli studiosi di dicono piuttosto certi di poter trarre una correlazione: «In moltissimi casi abbiamo dati che provano il fatto che la biodiversità è parte integrante della diversità culturale di una determinata area e viceversa». Delle più di 6900 lingue parlate nel mondo, almeno 4800 sono state riscontrate in regioni dove esiste un alto tasso di biodiversità. Territori che quindi dovrebbero essere non solo biologicamente ma anche culturalmente tutelati per non rischiare di perdere questa ricchezza. Per Gorenflo inoltre questa scoperta rappresenta anche un’ottima possibilità per gli studiosi di collaborare in modo diverso, «potremmo finalmente realizzare un approccio integrato in cui chi si occupa della conservazione biologica delle specie collabora con chi si occupa di preservare il linguaggio e la cultura di quelle stesse aree» ha dichiarato il professore in un’intervista rilasciata alla Bbc sul tema. «In genere – ha concluso – i biologi non prestano molta attenzione alle persone che vivono nell’ecosistema che stanno studiando»

Orrore a Manchester, cosa sappiamo

epa05982626 Armed officers patrol near the Manchester Arena following reports of an explosion, in Manchester, Britain, 23 May 2017. According to a statement released by the Greater Manchester Police on 23 May 2017, police responded to reports of an explosion at Manchester Arena on 22 May 2017 evening. At least 19 people have been confirmed dead and around 50 others were injured, authorities said. The happening is currently treated as a terrorist incident until police know otherwise. According to reports quoting witnesses, a mass evacuation was prompted after explosions were heard at the end of US singer Ariana Grande's concert in the arena. EPA/NIGEL RODDIS

(Aggiorneremo, in fondo, questo articolo se ci saranno notizie rilevanti)

 

La ferocia degli attentati terroristici perpetrati un Europa – come nel resto del mondo, specie quello islamico – non conosce limiti. L’ultimo attacco, quello della Manchester Arena dove si teneva il concerto di Ariana Grande è un nuovo salto di qualità nella fantasia di coloro che scelgono gli obbiettivi. Non una stazione, non un locale notturno parigino dove suona una band di tatuati, ma lo spazio di divertimento di teenager e ragazzine con i loro genitori al seguito per ascoltare una poco più grande di loro, un fenomeno pop di quelli che piacciono molto di sicuro anche lontano dall’Occidente.

Gli istanti dell’esplosione nel video girato da una ragazza

Ieri sera nel foyer della Manchester Arena, verso la fine del concerto mentre scendevano palloncini dal palco, una persona si è fatta esplodere uccidendo 22 persone – bilancio purtroppo provvisorio – e ferendone una sessantina. L’attentatore non è stato identificato ma la polizia sostiene che non ci dovrebbero volere molte ore. L’arena è stata pervasa dal panico, la gente è uscita di corsa, e i testimoni descrivono scene terribili, corpi mutilati e feriti. Le persone si sono aiutate tra loro e sono state aiutate dai soccorsi arrivati in fretta, dalle compagnie di taxi e autobus che hanno spedito auto e mezzi, da residenti della zona e alberghi che hanno aperto le loro porte per far trovare rifugio alle persone in fuga.

Diversi genitori sono ancora in cerca dei loro figli lasciati davanti alla Arena prima del concerto. «Mia figlia ha 12 anni, questo era il suo regalo di compleanno, ci è andata con la mia compagna e sorrideva da giorni. Ora difficilmente dimenticherà questa giornata», racconta in lacrime Imran a BbcRadio4. In televisione vediamo tassisti, ristoratori, persone che portano aiuto con l’accento di persone originarie dell’India e dal Pakistan. Nomi e facce stranieri per delle reazioni identiche a quelle dei britannici dalla pelle rosa e dai capelli biondi, per segnalare come l’idea che in questa colossale mostruosità che è il terrorismo di matrice islamica in questa fase della storia umana ci sia un noi e un loro – come invece, naturalmente, cerca di farci pensare l’estrema destra. A partire da Matteo Salvini, che stamane commenta Tolleranza zero, retate a tappeto, uso della forza. Qualcuno potrebbe spiegargli che  le retate, la sospensione delle regole, l’uso della forza (o la guerra in Yemen, Siria, ecc.) non hanno cancellato il terrorismo. Non negli Usa di Bush, non nella Francia del Bataclan, non a Londra, che non se la prendeva con gli irlandesi quando l’Ira metteva bombe nella metropolitana.

Un tassista accorso sul posto, dal profilo Twitter di Jason Michael

I dati nella figura qui sotto riportano il numero di vittime tra 2009 e 2015, la sottile linea in rosso riguarda gli Stati Uniti e l’Europa. Nel 2016 le vittime sono aumentate in misura proporzionale ovunque.

Primo obbiettivo della polizia è cercare di capire se l’attentatore suicida abbia agito da solo. L’antiterrorismo britannico ha spesso detto di aspettarsi nuovi attentati, ma non è di questo che si parlava. La polizia e i servizi erano convinti di dover monitorare persone radicalizzate che agiscono in maniera semi spontanea, come la persona che si è lanciata con l’auto contro Westminster o altri che hanno aggredito i passanti con un coltello. Una minaccia pericolosa e difficilmente gestibile, ma non un attentato organizzato. La dinamica della Manchester Arena, giubbotto esplosivo contenente oggetti di metallo pensato per uccidere il più alto numero di persone possibile, fa invece ritenere che si tratti di una qualche cellula terroristica organizzata e non un lupo solitario. Sul web si trovano guide su come costruire bombe e giubbotti esplosivi, ma, a oggi, non c’è notizia di qualcuno che li abbia usati. Trovare l’esplosivo o prepararlo partendo da agenti chimici è infatti un’operazione che richiede expertise: ci sono esplosivi producibili con sostanze chimiche ma si tratta di sostanze molto instabili che possono esplodere prima del dovuto o non esplodere affatto. Una bomba inesplosa messa assieme con sostanze chimiche fu usata tra le altre negli attentati del 7 luglio 2005 a Londra. Per questo, una volta individuato l’attentatore, la polizia cercherà di capire se e come questi avesse una rete.

Gli account social collegati o sostenitori dell’Isis oggi gioiscono e celebrano l’attentato. Non sappiamo però se davvero dietro ci sia la mano di qualcuno tornato dall’Iraq o dalla Siria o semplicemente reclutato online o, infine, uno o più individui radicalizzatosi per conto proprio.

Le reazioni sono quelle a cui siamo abituati: tutti i leader del mondo hanno twittato, registrato messaggi di solidarietà, da Paolo Gentiloni a Justin Truedaeu, dal leader indiano Narendra Modi a Angela Merkel. I leader di tutti i partiti britannici, impegnati nella campagna elettorale per il voto politico dell’8 giugno hanno sospeso la campagna. Theresa May e Jeremy Corbyn si sono sentiti al telefono e hanno preso la decisione assieme. Una riunione del comitato di sicurezza nazionale, denominato Cobra, è in corso. C’è un elemento di cui si parla molto sui media britannici: il governo ha tagliato i fondi e gli effettivi in servizio della polizia mentre per monitorare ogni singolo sospetto o combattente di ritorno dalla Siria servono, dicono gli esperti, una decina di persone.

La dichiarazione di Donald Trump, oggi nei Territori occupati, ha commentato: «L’ideologia di chi ha condotto questo attacco va annientata – aggiungendo – li chiamerò “perdenti malvagi” non mostri, perché gli piacerebbe».

 


ore 11.06 Nel bollettino Isis del mattino non c’è traccia di Manchester solo operazioni in Iraq e Siria. Poi se la intesteranno, ma forse non sono loro in maniera diretta

Ore 12.52
A Manchester il centro commerciale di Arndale, in centro, è stato evacuato e poi riaperto. Nella sua dichiarazione alla stampa, Theresa May ha reso noto che la polizia ha individuato l’attentatore, ma non ne rivelerà, per ora, l’identità.

Ore 12.59
La polizia di Manchester ha arrestato una persona di 23 anni nella zona sud della città in relazione all’attentato della Manchester Arena. Un’altra persona è stata arrestata nel centro commerciale di Arndale. Il secondo arresto non è connesso all’attentato, riferisce la polizia.

 

14.00 L’Isis rivendica
Alcuni commentatori però segnalano: ci sono incongruenze tra la dinamica dell’attentato e il comunicato e non si nomina l’attentatore per nome di battaglia. Si tratta di segnali che fanno pensare a una rivendicazione ex post, in altri casi la descrizione della dinamica e alcuni particolari contenuti nel comunicato erano un modo per segnalare che si, la mano del Califfato c’era davvero. Il luogo scelto e la modalità sono però assolutamente in linea con il tipo di azioni cercate dall’Isis.

Quella “testa di minchia” di Giovanni Falcone

Borsellino l’ha sempre saputo. Da che parte stare. E dove sarebbe finito. Ma non ha mai rinunciato alla sublime arte dell’autoironia. Consapevole che un sorriso non risolve tutto, ma aiuta a vivere la vita. A volte, a sopportarla.  Un giorno Paolo disse a Falcone, il suo grande amico di sempre.

“Giovanni, ho preparato il discorso da tenere in chiesa dopo la tua morte: “Ci sono tante teste di minchia: teste di minchia che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello… quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero… ma oggi signori e signore davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c’è il più testa di minchia di tutti… Uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge”.

Quanto mancate a questo nostro tempo. Sono 25 anni ma un milione di volte.