Cosa sta accadendo in Italia in questo periodo storico già complicato? Sono anni che il nostro Paese insieme a Francia e Germania detiene il triste primato del maggior numero di femminicidi ogni anno. Ma dopo il drammatico omicidio di Giulia Cecchettin – che non è più purtroppo l’ultimo – l’indignazione è diventata unanime. L’ opinione pubblica, la stampa, le istituzioni, il governo si dichiarano profondamente sdegnati dall’esplosione di tanta violenza esercitata da uomini contro donne. Si sta cercando, oltre che incrementare misure punitive, un sistema atto alla prevenzione. Molti sostengono che il problema del femminicidio abbia radici antiche e profonde, ma che una delle possibili cause possa derivare dal fatto che i bambini, le bambine e gli adolescenti non sono educati alle relazioni affettive, non ricevono un’educazione ai sentimenti e all’empatia. Nelle scuole italiane non ci sarebbe stato spazio o attenzione all’introduzione di questa materia che al contrario sembra essere diffusa in altri Paesi europei. La Danimarca è l’unico Paese che addirittura da molti anni l’ha resa materia obbligatoria in tutte le scuole. È voce unanime tra esperti, psicologi, neuropsichiatri infantili, giornalisti e politici di ogni orientamento, sottolineare che questo vuoto sia all’origine di tanti problemi della violenza maschile. Quindi si potrebbe sostenere che tale “non” educazione possa essere vista come una delle cause di tanti fenomeni legati alla violenza, anche omicida, degli uomini nei confronti delle donne.
Una mattina in classe a parlare di amore
Era il 21 novembre e come ogni martedì mi stavo preparando ad entrare in classe per svolgere una lezione di matematica. Quel giorno avevo preparato un’attività di geometria sulle figure equivalenti. Osservata velocemente la classe per vedere se c’era qualche assente, avevo avvisato che alle 11 ci sarebbe stato un minuto di silenzio in memoria di Giulia Cecchettin. Subito i ragazzi avevano iniziato a discutere animatamente. «Professo’ gli ha dato un sacco di coltellate», «L’ha lasciata lì in un parcheggio», «Dicono che Turetta era normale, ma per me non lo era». Mi ero ritrovato a rispondere a una marea di domande su come e perché potesse essere successo un fatto del genere e poi era arrivato il minuto di silenzio… «Il silenzio a volte fa tanto rumore», aveva esclamato una ragazza appena era suonata la campanella che indicava la fine del minuto e il dibattito tra loro era continuato.
Tornato a casa avevo ripensato a quanto successo in quelle due ore in classe e a tutte le riflessioni fatte dai ragazzi. Era giusto parlare di certe cose con loro? “Secondo gli altri non si dovrebbe parlare di questo a questa età perché è presto, ma per noi è corretto che se ne parli per conoscere il mondo per quello che è”, mi avrebbero detto poi.
Quando li rividi a scuola il giorno dopo, chiesi loro se volessero continuare a parlare ancora di tutto quello che avevamo affrontato, dicendo che in caso lo avremmo fatto il giorno dopo. Molti di loro erano entusiasti. «Non vedo l’ora che venga domani per parlare di questa cosa», mi disse una ragazza nel corridoio.
L’affettività si vive, non si addestra
Educazione può essere una parola bellissima se la si intende nell’accezione più legata alla sua origine etimologica, ovvero quando indica quell’azione o serie di azioni mirate a creare opportunità, rapporti, contesti umani e di apprendimento adatti a far sì che le potenzialità di ogni ragazzo ed ogni ragazza, di ogni bambino e di ogni bambina possano emergere e trasformarsi. Può essere, al contrario, un parola detestabile, da rifiutare, se la si intende come sinonimo di addestramento, come azione normalizzante mirata all’adeguamento di un comportamento ad un modello imposto dall’esterno basato su un sistema di pensiero o un costrutto culturale.
Il filosofo ed esponente della pedagogia progressista John Dewey, in Educazione e società scrive: «la storia della teoria dell’educazione è caratterizzata dall’opposizione fra l’idea che l’educazione sia sviluppo dal di dentro o che sia sviluppo dal di fuori». Che ci fosse un duplice significato era quindi già evidente nel 1938, quando il saggio è stato scritto e ciò che distingue le due versioni è l’idea che si ha dei bambini e dei ragazzi e di come funzioni la loro mente.
I bambini si possono infatti considerare «della stessa natura degli adulti», come diceva Freinet, cioè differenti solo nel grado di crescita dai più grandi, oppure menti da forgiare e, possibilmente, da contenere, se pensiamo che l’educazione sia sviluppo dal di fuori. La tradizione della scuola democratica e della pedagogia attiva che prende le mosse dalle teorie di Dewey e dalle proposte di Freinet proponendo un’idea di educazione come occasione di crescita di tutte le individualità, in Italia è stata principalmente rappresentata, fin dal 1951, dal Movimento di cooperazione educativa ed è tutt’ora presente in molte scuole pubbliche del nostro Paese vantando negli anni esponenti come Mario Lodi, Bruno Ciari, Nora Giacobini e Franco Lorenzoni. Nonostante ciò l’idea di educazione che prevale nell’immaginario comune è quella più direttiva, quella dello sviluppo dal di fuori, quella che i pedagogisti progressisti, seguaci di Dewey, definiscono “tradizionale”.
Pistolero e anche bugiardo?
Dunque il deputato di Fratelli d’Italia Emanuele Pozzolo oltre a presentarsi armato a una festa di capodanno dove c’era il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, oltre a essersi rifiutato di sottoporsi all’alcol test e al tampone per la polvere da sparo oltre ad avere sparato a uno dei presenti alla festa rischiando di ammazzare lui o qualsiasi altro tra i presenti, oltre ad avere chiesto l’immunità parlamentare per evitare che le forze dell’ordine potessero fare luce sull’accaduto, infine ha anche raccontato un’enorme bugia.
“In merito all’incidente accaduto la notte di Capodanno nella sede della Pro Loco di Rosazza, confermo che il colpo di pistola – da me detenuta regolarmente – che ha ferito uno dei partecipanti alla festa è partito accidentalmente, ma non sono stato io a sparare”, aveva detto il deputato la sera del primo gennaio, quando la notizia ha cominciato a circolare sui media e sulle agenzie di stampa. Un testimone, agente di polizia, presente alla serata ha invece raccontato che «Pozzolo è arrivato a fine serata, stavamo andando via: era allegro, ha tirato fuori la pistola senza che nessuno glielo avesse chiesto e all’improvviso è partito lo sparo». «Ero lì, purtroppo ho visto tutto», racconta il testimone: «è successo sotto i miei occhi, come me l’hanno visto anche altre persone presenti».
Ieri abbiamo anche saputo che secondo il deputato meloniano il 31enne ferito si sarebbe sparato da solo, recuperando la pistola che era caduta sul pavimento. Nel giro di poche ore è arrivata la smentita del diretto interessato: “Io non ho mai toccato quella pistola”, dice a Repubblica.
Pistolero, amante dell’impunità e bugiardo: se non è un fatto politico questo cosa lo è?
Buon giovedì.
foto dal profilo twitter del deputato Pozzolo
La forza dei movimenti contro il “capitalismo cannibale”
I movimenti di massa di questi ultimi mesi coinvolgono la sfera della «produzione» e quella della «riproduzione»: lavoratori che scioperano contro i bassi salari e contro i tagli alla sanità pubblica; donne, lavoratrici e non, che non vogliono più essere «angeli del focolare» in base a un’ancestrale divisione dei ruoli. E le piazze si riempiono anche dei giovani di Fridays for Future, contro le guerre, e altro ancora. Si tratta di una novità importante che misura la distanza tra «popolo» e «populismo».
Il problema politico, a questo punto, è il rischio che ogni segmento sociale proceda in ordine sparso, inseguendo il proprio «particulare» invece di convergere su obiettivi condivisi. Entrare nel merito ci aiuta a capire la radice comune dei mali e dei problemi che alimentano tanto disagio e (in)sofferenza.
Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo non si ferma in fabbrica, secondo una lettura riduttiva ed economicista del pensiero di Marx. Lo scambio ineguale tra lavoratori e proprietari dei mezzi di produzione si estende alla società, alla natura, ai Paesi ex coloniali, assume la forma della sottomissione femminile, della devastazione ambientale, dell’oppressione di interi popoli, depredati delle loro ricchezze (terre, miniere, fonti energetiche, ecc.). Nell’opera di Marx si trovano numerosi riferimenti al fatto che il capitalismo non sia una mera «economia», bensì un «ordine sociale storicamente determinato», proprio come a suo tempo fu il feudalesimo. Si deve al lavoro di Nancy Fraser (Capitalismo cannibale, Ed. Laterza, 2023, traduzione F. Lopiparo), la dimostrazione che il capitalismo, come aveva intuito già Marx, ha un continuo bisogno di condizioni «esterne» da sfruttare a basso costo per far fronte a squilibri e a crisi sempre più frequenti. (v. intervista su Left a Nancy Fraser ndr).
Nella società capitalistica, scrive Fraser, «le attività di cura, pur essendo considerate in sé “improduttive”, rendono possibile il lavoro che il sistema chiama “produttivo” […] È solo grazie al lavoro casalingo, all’accudimento e all’istruzione dei figli, alla cura affettiva e a tutta una serie di attività correlate che il capitale può ottenere una forza-lavoro adeguata per qualità e per quantità alle proprie esigenze. In una società capitalista la riproduzione sociale è una precondizione indispensabile della produzione economica». (cit., p.63). Eppure, a dispetto della realtà, gli apologeti dell’ordine costituito fanno di tutto per tenere separati i due piani (della produzione e della riproduzione), nascondono che il lavoro non retribuito o sottopagato delle donne, oltre ad essere determinante per tenere in piedi il sistema nel suo insieme, costituisca la causa prima della posizione subordinata della donna rispetto all’uomo salariato.
La storia del capitalismo, da due secoli a questa parte, è caratterizzata da lotte e movimenti per migliori condizioni salariali e di vita, per la riduzione dell’orario di lavoro, e ancora per il diritto alla salute, all’istruzione, alla casa, per una legislazione a favore di donne e bambini. In particolare, nei «trenta gloriosi» (seguiti alla seconda guerra mondiale) il cosiddetto «compromesso socialdemocratico» è riuscito nell’intento di coniugare le dinamiche di mercato con la protezione sociale, la catena di montaggio (fordista) con il consumismo familiare delle classi lavoratrici. Lo Stato, in questa visione (keynesiana), diventava il garante di un benessere che dall’alto della scala sociale si trasmetteva alle fasce medio-basse.
A un certo punto, però, a partire dai primi anni Ottanta, il meccanismo si inceppa, dai trenta gloriosi siamo transitati ai quaranta ingloriosi. Il pensiero liberista diventa egemone, modellando i rapporti sociali e la vita politica, praticamente in tutto il mondo. Ad una accumulazione di ricchezza privata senza precedenti corrisponde un indebitamento elevato degli Stati. Il vento reaganiano e thatcheriano ha avuto pesanti contraccolpi nel nostro Paese sul salario nominale e sul «salario sociale» (servizi pubblici, diritti del lavoro). Negli anni 80-90, con l’abolizione della scala mobile e l’avvio della politica dei redditi, comincia la stagione dell’austerità e della pax salariale.
Nel corso di pochi decenni siamo passati da un capitalismo aperto alla concorrenza ad un capitalismo chiuso, sempre più protezionista, in cui pochi monopoli e oligopoli dominano il mercato, grazie anche agli aiuti di Stato, alla legislazione pro-impresa, alle agevolazioni fiscali. I ricavi di alcune big company superano i bilanci di molti paesi dell’Ue. Nuovi gruppi industriali si formano e accrescono la loro dimensione attraverso spericolate operazioni di fusioni e acquisizioni (mergers and acquisitions). I problemi di oggi – la questione salariale, la crisi del welfare, l’acuirsi delle diseguaglianze sociali e di genere – sono anche il riflesso dello strapotere dei monopoli e dell’assenza di fatto di un mercato libero e concorrenziale. Non ci poteva essere smentita più clamorosa dei principi fondamentali del credo liberista.
In parallelo a questi processi di «concentrazione economica» assistiamo all’«esternalizzazione» di molte attività non direttamente legate al core business aziendale (servizi di pulizia, vigilanza, call center, help desk, ristorazione, logistica, ecc.). Il risultato è una doppia polarizzazione: nel mondo delle imprese e nel mondo del lavoro. Vi sono aziende che, mediante le innovazioni tecnologiche, i processi di accentramento e i tagli di personale, riescono a realizzare forti economie di scala ed elevati ricavi e altre aziende, viceversa, che realizzano profitti solo attraverso salari di fame e condizioni di lavoro spesso inumane. È nato un terziario – esteso, spezzettato e poco qualificato – che si regge su contratti pirata e precariato. Se a questo dato aggiungiamo quello di un’economia sommersa, in cui lavorano circa tre milioni di persone, senza contratti e senza tutele, il quadro sociale diventa ancora più desolante. Stanno anche in questi meccanismi perversi, che tolgono dignità al lavoro e generano frustrazioni e insicurezza, alcune delle ragioni dell’imbarbarimento delle relazioni umane.
Il cambiamento tecnologico in Italia si è tradotto, insomma, in una spinta del mercato del lavoro verso l’alto (lavori specialistici ben pagati) e verso il basso (lavori di routine mal pagati). A farne le spese sono il ceto medio e le fasce deboli, soprattutto le donne. Nonostante tante battaglie, le donne rimangono per lo più custodi dello spazio domestico, protagoniste della riproduzione sociale e, in virtù del suo ruolo nella scelta dei consumi familiari (cibo, pulizia, oggetti di uso quotidiano, abbigliamento, giochi per bambini, e così via), punto di riferimento del business economico. Appare chiaro insomma che nella fase attuale del capitalismo è il potere di mercato che determina l’ordine sociale, la sua gerarchia interna, chi vince e chi perde. A meno che non vogliamo credere alla favola del capitalismo «verde» o «dal volto umano», la costruzione di un movimento unitario dipende innanzitutto dalla capacità di superare la divaricazione tra lo straordinario avanzamento tecnologico e lo spaventoso arretramento culturale e civile in cui viviamo. I concetti gramsciani di «egemonia» e di «blocco storico» possono tornare ancora utili ed essere il filo conduttore della battaglia anticapitalista e per un «ordine nuovo ».
Nella foto: Manifestazione dei Fridays for future, Parma, 27 settembre 2019 (wikipedia)
Anno nuovo, patriarcato vecchio
Qualche agenzia del 2 gennaio, inizio di quest’anno.
«Si indaga a Sant’Oreste, piccolo Comune alle porte di Roma, sul possibile omicidio di una donna di 71 anni. La presunta vittima di quella che sembra essere il primo caso di femminicidio del 2024, è arrivata, ieri sera già cadavere in ospedale a Civita Castellana, in provincia di Viterbo, trasportata dal marito. L’uomo ha sostenuto che le profonde ferite che la donna aveva al cranio fossero state causate da una caduta accidentale ma la dinamica descritta non era compatibile con lo stato del cadavere. Per questo sono stati chiamati prima i carabinieri di Civita Castellana, poi quelli di Rignano Flaminio e i colleghi della compagnia di Bracciano che, dopo aver informato la procura di Tivoli, hanno posto in stato di fermo l’uomo. Nella casa della coppia, in una zona rurale di Sant’Oreste, sono stati trovati oggetti sporchi di sangue. Al momento ogni ipotesi e’ al vaglio, ma quella dell’omicidio sembra essere la pista più credibile».
Poi: «A dare l’allarme, l’attuale compagno della donna, che è riuscito a correre in caserma e allertare i carabinieri. A Giugliano, nel Napoletano, quello che poteva essere il primo caso di femminicidio del nuovo anno viene sventato e finisce con un arresto. Sono circa le 13 del primo gennaio e un uomo si presenta nella caserma di Varcaturo; è agitato, urla e chiede aiuto. Al carabiniere il compito di calmarlo e di ascoltare cosa fosse accaduto. La compagna lo ha appena chiamato, il suo ex l’ha aggredita e le ha promesso di ritornare per ucciderla. I carabinieri corrono verso la non lontana abitazione della donna e dalla strada sentono gridare. Raggiungono la porta di ingresso ma è chiusa, dietro l’uscio pianti di bambini e altre parole gridate. I militari dell’Arma sfondano la porta, e trovano sul pavimento in lacrime due bambini di 5 e 9 anni, e tracce di sangue. In piedi due adulti, l’uno di fronte all’altra a distanza ravvicinata. L’uomo brandisce un coltello da cucina e sta aggredendo la donna che sanguina da una mano, e ha fra le braccia il bimbo di 7 mesi».
E infine: «Ha colpito l’ex fidanzata con un pugno e l’ha trascinata per alcuni metri con l’auto mentre tentava di scendere dal veicolo in movimento. È accaduto nella notte tra il 30 e il 31 dicembre scorso, in via Silvio D’amico a Roma, dove un passante ha notato la lite tra un uomo e una donna, prima in auto e poi in strada, e ha allertato il 112. Sul posto è intervenuta una pattuglia di carabinieri della Stazione Roma Eur che ha rintracciato la coppia. I carabinieri hanno bloccato l’uomo, un 28enne africano mentre la donna, un’algerina, ha raccontato che poco prima, a seguito di una lite avuta con l’uomo, l’ex fidanzato, l’ha colpita al volto con un pugno per poi trascinarla per alcuni metri con l’auto. I militari hanno allertato il 118 che ha accompagnato la donna all’ospedale San Camillo. L’uomo è stato arrestato e portato via dai carabinieri».
Anno nuovo, patriarcato vecchio.
Buon mercoledì.
Un marchio bio e una start-up: la sfida di un collettivo di ingegnere in Tunisia
Sei giovani donne, tutte laureate in ingegneria, che hanno fatto squadra per creare prodotti cosmetici biologici al 100%. Tutte altamente qualificate, come molti tunisini della loro generazione, hanno deciso di non guardare verso il Canada o l’Europa per cercare una strada legale di emigrazione, che per le loro qualifiche sarebbe relativamente facile trovare, ma di restare in Tunisia e lavorare al progetto in cui credono.
Sono loro le protagoniste dietro al marchio Byokob, acronimo di Be Your Kind Of Beauty, con sede a Gabes e laboratorio a Matmata, e l’ambizione di scalare il mercato nazionale. Una start-up che nasce nell’ambito del Progetto Restart, acronimo che sta per Riqualificazione ecologica e sociale dei territori attraverso il rilancio dell’imprenditoria dei giovani in Tunisia: cofinanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), il progetto ha visto in tre anni la mobilitazione di un ampio consorzio di partner locali da parte di Cospe, ong con sede a Firenze e attività fra Africa, Medio Oriente, Europa e America Latina.
L’idea di Byokob era nata nel 2019, quando Jihène Ben Mohammed e Rebeh Dabbaghui si laureavano in ingegneria chimica. Il loro incontro con Restart ha permesso loro di arrivarci molto prima del previsto, trovando aiuto con la realtà spigolosa della burocrazia e le difficoltà dell’accesso al credito per le start-up. Così nel 2021 erano pronte tutte le pratiche, e nel 2022 avveniva il lancio ufficiale. E nel frattempo si erano aggiunte le altre quattro socie, per un’impresa tutta al femminile e all’insegna dell’alta qualificazione di ciascuna di loro.
Quello di Gabes è uno dei territori più pesantemente colpiti dall’inquinamento ambientale per la presenza di numerose industrie chimiche, ed è questa la loro prima sfida: un’impresa pulita, che si sostiene soltanto con l’impiego esclusivo delle specie erboristiche locali per la produzione di cosmetici e olii essenziali.
Dopo un corso di formazione in creazione d’impresa offerta dallo Stato ai giovani laureati, Jihène e Rebeh avevano creato nel 2020 il laboratorio e definito il business plan. Ma qui appunto cominciava il percorso a ostacoli, in particolare per ottenere il credito dalle banche: erano più i dinieghi e le porte chiuse che i documenti raccolti per ottenere un finanziamento. «Il sistema bancario tunisino difficilmente accorda crediti ai giovani imprenditori, anche quando presentano garanzie – raccontano -: è questo lo scoglio maggiore, anche più grande della burocrazia». Ma ad aprire loro la strada sono stati, con il progetto guidato dall’Ong italiana, il mondo dell’economia sociale e solidale (Ess), i programmi di formazione e accompagnamento, la copertura parziale dei costi per avviare il progetto. Inoltre, Jihène e Rebeh sono riuscite ad accedere a un finanziamento parziale di Sbt (istituto bancario che proprio con Restart ha sviluppato linee di credito per i giovani imprenditori di Ess). Byokob oggi conta su una linea di 22 prodotti cosmetici e su ricavi sufficienti a garantire stipendi adeguati per tutta l’équipe.
In un nuovo sito le storie di tanti protagonisti e i contesti dell’economia sociale e solidale in Tunisia
Quella di Byokob non è soltanto una storia promettente, ma indica un esempio per il futuro di un Paese, la Tunisia, dove le speranze della rivoluzione del 2011 sembrano ormai molto lontane. I media italiani ne parlano come di un serbatoio di migranti pronti a sbarcare a Lampedusa, che Tunisi dovrebbe fermare con controlli ferrei sulle coste in cambio di aiuti finanziari. Il Paese vive da tempo una profonda crisi finanziaria, e due anni di trattative per un prestito da quasi due miliardi di dollari da parte del Fondo monetario internazionale non sono ancora approdate da nessuna parte. Tutto questo mentre l’inflazione percepita è in aumento, spesso accade che vari prodotti di consumo manchino o scarseggino nei negozi e la disoccupazione tocca livelli preoccupanti, con troppe famiglie ma anche imprese che faticano a far quadrare in conti.
Pagine di analisi dettagliate di questa situazione, anche con dati macro-economici e un ampio capitolo della questione ambientale, si trovano nel sito appena messo in rete per la conclusione dei tre anni di Restart Tunisie. Ma la Tunisia che nel nuovo sito si trova – nel racconto di una quindicina di storie significative come quella di Byokob – è soprattutto un Paese giovane, dove le donne e le nuove generazioni vogliono essere protagoniste e sono pronte a restare se trovano non solo un semplice impiego, ma anche il modo per mettere e frutto le loro competenze in progetti imprenditoriali. I prestiti internazionali e i fondi per la cooperazione allo sviluppo non bastano se non sono accompagnati da un’azione di sostegno più capillare, quella che si realizza con l’Economia sociale e solidale. Una “via maestra”, come viene definita, per lo sviluppo sostenibile e la difesa dei territori, che mette in rete le istituzioni e gli attori locali per avviare processi di crescita endogeni, nel rispetto dei diritti dei lavoratori e di quelli delle donne e delle comunità. Nei luoghi dove la crisi economica è più forte, il progetto – scrivono i promotori – ha infatti «voluto rafforzare gli spazi di incubazione e innovazione di impresa e le reti di imprese sociali», puntando anche a fornire soluzioni per il «diffuso senso di alienazione nelle nuove generazioni nei confronti delle loro comunità e del territorio», «disegnando alternative di sviluppo sostenibile che nascono dal basso».
La Tunisia non è dunque solo emigrazione, come le cronache drammatiche degli sbarchi che continuano e le narrative della nostra politica ci possono aver portato a pensare. Ha invece grandi risorse umane, in particolare tra i giovani e le donne, che aspettano di essere riconosciute e valorizzate con strumenti adeguati, e soprattutto concretamente vicini alle comunità e ai territori.
Nella foto: le giovani imprenditrici che hanno creato il marchio Byokob (dal sito tunisia.cospe.org)
L’empietà di capodanno
L’anno inizia con la nave Ocean Viking i Sos Mediterranée sotto sequestro amministrativo a Bari per una presunta “violazione del decreto Piantedosi”. Dopo essere approdata nel porto pugliese il 30 dicembre con 244 persone salvate in zona Sar (Search and rescue) libica per la seconda volta in due mesi l’imbarcazione ha ricevuto l’avviso di fermo.
Sos Mediterranée, in un post su X, sottolinea che la nave “è ferma per aver effettuato una minima deviazione dalla sua rotta verso Bari. Una deviazione che non ha causato alcun ritardo su un viaggio di quasi 3 giorni. I tre soccorsi di 244 persone erano stati effettuati sotto il coordinamento delle autorità marittime”. Si tratta, secondo l’Ong, di una “legge ingiusta, che punisce i soccorritori umanitari per aver svolto quel lavoro che gli Stati non riescono a fare nel Mediterraneo”. Le autorità italiane, spiega l’Ong, “accusano la Ocean Viking di non aver rispettato le istruzioni di procedere senza indugio, alla massima velocità sostenibile e con rotta diretta, verso il luogo di sicurezza assegnato. Possiamo solo supporre che la nostra presunta ‘inosservanza’ consista in un piccolo cambiamento di rotta avvenuto dopo aver ricevuto la segnalazione di un caso di pericolo con almeno 70 naufraghi a bordo, a sole 15 miglia nautiche di distanza. Una posizione aggiornata dell’imbarcazione in difficoltà ha poco dopo mostrato che l’imbarcazione in pericolo si trovava 60 miglia nautiche più a nord. A quel punto la Ocean Viking, non essendo più in grado di prestare assistenza, ha immediatamente ripreso la rotta verso il porto di Bari, che è stato raggiunto senza alcun ritardo”.
“Se seguire il diritto marittimo internazionale è un crimine, noi siamo colpevoli”, ha affermato Anita, coordinatrice della ricerca e del soccorso a bordo della Ocean Viking. “Mentre cambiavamo rotta per renderci disponibili a prestare assistenza ad almeno 70 persone in pericolo vicino alla nostra nave, abbiamo chiaramente dichiarato che avremmo ripreso la nostra rotta originale verso Bari non appena fossimo stati sollevati dall’obbligo di prestare assistenza da un’autorità competente”, ha spiegato. “Senza alcuna indicazione che qualcun altro stesse venendo in soccorso di queste persone in difficoltà, semplicemente non avevamo altra scelta legale e morale se non quella di rispondere a questo allarme – ha proseguito -. Qualsiasi altra cosa sarebbe stata una violazione del diritto internazionale. Eppure stiamo pagando questa piccola deviazione, che non ha portato a un ritardo nel viaggio di quasi 3 giorni verso il porto assegnato a Bari, con il secondo fermo in due mesi”.
Buon 2024.
Da “Van Gogh poets and lovers” a “Picasso, lo straniero”. Un 2024 pieno di arte
La grande mostra Van Gogh poets and lovers a Londra per il Bicentenario della National Gallery, le tante iniziative per i 150 anni dell’impressionismo a Parigi e in Italia, con omaggi anche ai pittori più originali che ispirarono o presero l’abbrivio dal movimento per seguire strade originali (da Cézanne a Lautrec). Ma soprattutto le due mostre a Milano che approfondiscono i rapporti di Picasso con l’arte negra e con il tema della migrazione e dello straniero promettono un anno ricco di belle occasioni di approfondimento. Ecco una breve guida per un 2024 nel segno dell’arte:
Picasso, lo straniero, e l’arte negra a Milano
L’arte del Novecento è protagonista assoluta nella programmazione delle grandi mostre in Italia del 2024. Con artisti amatissimi come Picasso al quale il Mudec di Milano dedica la mostra Picasso, La metamorfosi della figura dal 22 febbraio, prodotta da 24Ore Cultura, concentrandosi sull’importanza che nel suo immaginario ebbe l’«Arte negra» con prestiti dalla collezione Pigozzi (Ginevra), la più importante collezione privata di arte africana contemporanea in Europa. Il percorso espositivo mette al centro il dialogo tra Picasso e le fonti culturali che lo influenzano sin dagli inizi della sua carriera con ampio spazio dedicato agli studi per Les Demoiselles d’Avignon. La mostra termina con una sezione dedicata all’eredità di Picasso attraverso un focus sugli artisti africani che oggi si ispirano alle opere del grande pittore del Novecento. Poi, dal 22 settembre apre l’importante retrospettiva dedicata a Picasso in Palazzo Reale a Milano e realizzata in collaborazione con il Museo Picasso di Parigi e con il museo nazionale di storia dell’immigrazione. Con oltre ottanta opere tra dipinti, sculture, ceramiche, disegni, collage, stampe, fotografie, video e documenti, Picasso, lo straniero “vuole indagare ed approfondire tematiche sociali molto care al pittore come l’accoglienza, l’immigrazione e le relazioni personali, vissute in prima persona”. Come ci ricorda il catalogo edito da Marsilio lo stesso Picasso, nato a Malaga nel 1881 ma cresciuto artisticamente a Parigi, città nella quale di stabilì a partire dal 1904, non ottenne mai la cittadinanza francese, ma solo quella onoraria nel 1948. “Anche a causa della propria difficoltà linguistica, verrà considerato per tutta la vita come uno straniero e sospettato di essere anarchico, venne rifiutato dall’accademia di Belle Arti per la sua arte troppo avanguardistica e trasgressiva”. Come è noto, nonostante la precarietà iniziale , Picasso seppe costruirsi una rete di relazioni importanti con collezionisti, collaboratori e acquirenti di tutta l’Europa che lo aiutarono a costruirsi una fama internazionale. A fronte di questo successo, tuttavia, Picasso non perse mai il rapporto con la condizione di straniero che fu sempre fonte di ispirazione per la sua arte.

Mirò a Catania
L’anno nuovo dell’arte si apre all’insegna del colore di Mirò a Catania con una mostra antologica. Curata dal critico d’arte Achille Bonito Oliva, Miró La gioia del colore, che si apre il 20 gennaio a Catania, propone un percorso antologico nel mondo creativo di uno dei protagonisti dell’arte del Novecento. La selezione di opere mette in risalto l’aspetto ludico, giocoso dell’artista catalano che si esprime in forme colorate, in continua trasformazione. Fra le novità della retrospettiva nel Palazzo della Cultura della città siciliana la sezione dedicata alla collaborazione con la famosa rivista Derrière le Miroir, edita dalla galleria Maeght, per la quale Joan Mirò (Barcellona, 1893 – Palma di Maiorca, 1983) realizzò opere originalissime di grafica. Proprio attorno a questa sezione si irradia la mostra con circa 80 opere tra dipinti, tempere, acquerelli, disegni, sculture e ceramiche, libri e fotografie a documentare tutto il suo percorso creativo.
Van Gogh a Londra e a Trieste
Al Museo Revoltella a Triste dal 22 febbraio approda una selezione di straordinarie opere di Vincent Van Gogh, che fanno parte del Kröller Müller Museum di Otterlo nei Paesi Bassi. Già presentata a Roma ( ecco la recensione), l’esposizione presenta opere poco viste del genio olandese, che conobbe e frequentò per un periodo il movimento degli impressionisti a Parigi (di cui quest’anno si celebrano i 150 anni) ma seguendo un proprio percorso originalissimo e profondo che poco aveva a che vedere con la loro visione nitidamente razionalista. Detto questo, la mostra dell’anno su Van Gogh si tiene a Londra: Il 2024 è anche l’anno del bicentenario della National Gallery, e il grande museo pubblico londinese festeggia i 100 anni da quando furono acquistati i quadri di Van Gogh La sedia di Vincent e Girasoli, con una grande esposizione di opere di Van Gogh (la più ampia dal 2010), dal titolo evocativo Van Gogh, poets and lovers che aprirà il 14 settembre. La mostra, che comprenderà anche quadri del periodo nel sud della Francia promette alcuni inediti. Parola del direttore della National Gallery Gabriele Finaldi.
I 150 anni della nascita dell’impressionismo a Parigi e a Milano
Come accennavamo nel 2024 si festeggiano i 150 anni della nascita dell’impressionismo, prendendo come data di riferimento il 15 aprile 1874, quando fu inaugurata la prima mostra del gruppo. E sono moltissime le mostre in Italia e in Francia che propongono riletture di quella rivoluzione visiva e della luce. In Palazzo Reale a Milano fra marzo e maggio si terrà una mostra incentrata sul “dialogo” fra le opere di un artista originale e solitario come Paul Cézanne e quelle dell’impressionista Pierre-Auguste Renoir.
Il 26 marzo al Musée d’Orsay di Parigi si apre Paris 1874. Inventer l’impressionnisme, con 130 opere di Monet, Renoir, Degas, Morisot, Pissarro, Sisley ed anche di Cézanne definite ‘impressioni’ da un critico del tempo, cercando di rileggere quella mostra leggendaria del 1874, illuminando la varietà espressiva e la modernità di quei giovani artisti che dettero vita a un movimento artistico reagendo alla crisi e alla guerra. In quella koiné culturale parigina operava anche un artista sensibile e dalla vita non facile come Henri Toulouse-Lautrec, a Palazzo Roverella dal 23 febbraio Rovigo gli rende omaggio con un percorso che accoglie una sessantina di sue opere insieme ad altre duecento che testimoniano la vivacità della scena artistica parigina, superando il riduttivo concetto di Belle Époque.

Brancusi a Parigi
Il Centre Pompidou dedica dal 27 marzo una retrospettiva alle affascianti creazioni scultoree, classiche e insieme modernissime, di Constantin Brâncuși, considerato il padre della scultura moderna, a tanti anni dall’ultima importante retrospettiva del 1995. La mostra anticipa il trasferimento dello Studio Brancusi nel rinnovato Centro Pompidou che aprirà nel 2025 e presenta quasi 200 sculture, fotografie, disegni e filmati dell’artista. In primo piano, il dialogo inedito tra i calchi dello studio dell’artista e le opere originali in pietra o bronzo, provenienti da musei e collezioni internazionali.
Kandinsky e il blue rider a Londra
La Tate Gallery di Londra dal 25 aprile racconta la storia degli artisti del gruppo Blue Rider attivi dal 1911 al 1914 a Monaco di Baviera. Fu il primo nucleo dell’espressionismo tedesco, e si radunò intono a Wassily Kandinsky e Gabriele Münter, creando un linguaggio audace e vibrante, attraverso la sperimentazione del colore, del suono e della luce. La mostra presenta oltre 130 opere, tra sculture, fotografie, performance e suoni. Da Franz Marc con il suo speciale interesse per il colore ad Alexander Sacharoff, dando fintamente risalto alle artiste, come Gabriele Münter con le sue fotografie sperimentali e Marianne Werefkin con i suoi dipinti.

Il centenario di Carla Accardi e Enrico Baj. E tutto Munari
Il Palaexpo di Roma, per il centenario della nascita di Carla Accardi (1924-2014), dal 6 marzo una importante retrospettiva rende un doveroso e importante omaggio a questa grande artista che è stata protagonista della stagione dell’avanguardia in Italia e dal 1947 ha contribuito all’affermazione dell’astrattismo in Italia. Il percorso espositivo si snoderà nelle grandi sale del piano nobile di Palazzo Esposizioni Roma con circa cento opere – provenienti da collezione pubbliche e private, italiane e straniere – che permettono di ricostruire dell’intera biografia artistica dell’autrice. Ma il 2024 è anche il centenario della nascita di Enrico Baj (1924-2003) e Electa lo ricorda con una retrospettiva in Palazzo Reale a Milano. Un invito a riscoprire l’artista delle Dame e dei Generali, dei Meccano e degli Ultracorpi, talento irriverente, anarchico scanzonato, artista patafisico, raccontato qui anche attraverso le parole dei grandi scrittori del Novecento che intrecciarono la loro parole con le sue immagini liriche e caustiche insieme. Da Raymond Queneau, a Italo Calvino e Edoardo Sanguineti.
Con la mostra Bruno Munari, tutto fra design, arte e innovazione, Munari è festeggiato alla Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo dal 16 marzo con la mostra Bruno Munari. Tutto.

Arte povera a Parigi
Dal 9 ottobre la Bourse de Commerce di Parigi rende omaggio all’Arte Povera, ricostruendo la storia del movimento italiano animato da Merz Paolini Kounellis, Penone e tanti altri. Ne ripercorre gli inizi italiani e ne ricostruisce l’influenza che ebbe in ambito internazionale. Curata da Carolyn Christov-Bakargiev, presenta un corpo di opere di Arte Povera – termine coniato nel 1967 dal critico d’arte Germano Celant – della collezione Pinault e del Castello di Rivoli. In mostra opere di Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario et Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini et Gilberto Zorio.

La biennale d’arte di Venezia fa 60
Il 20 aprile debutta la Biennale Arte 2024, presieduta da Roberto Cicutto e curata da Adriano Pedrosa. Titolo di questa sessantesima edizione Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere. “L’espressione Stranieri Ovunque ha (almeno) un duplice significato. Nel corso della Biennale artisti che sono essi stessi stranieri, immigrati, espatriati, diasporico. Speriamo di accoglierli tutti a Venezia nel 2024”, anticipa lo stesso Pedrosa.

Anselm Kiefer a Firenze
Tra i più celebrati artisti della scena internazionale, Anselm Kiefer a Palazzo Strozzi dal 22 marzo con una retrospettiva. In mostra a Firenze lavori monumentali e di grande impatto: pittura, sculture e installazioni. L’artista tedesco esplora i temi della memoria, della narrazione mitologica, della guerra e dell’esistenza. Con il titolo Angeli Caduti e curata dal direttore della Fondazione Strozzi Arturo Galansino, raccoglie opere storiche e nuove produzioni, che intrecciano arte figurativa e astrazione, natura e artificialità, creazione e distruzione.

Dall’Appia antica al Rinascimento
In un progetto Electa l’Appia antica viene letta anche nella sua chiave moderna. La mostra sarà inaugurata a maggio, ripercorre l’antichità romana ma anche la storia dell’Appia antica nel Novecento fino all’attualità, anche attraverso i fumetti di Zerocalcare. A Roma, dal 10 settembre, Electa mostre propone anche di rileggere il mito di Penelope in chiave inedita nel Parco archeologico del Colosseo, alla luce delle rielaborazioni di scrittrici e poetesse come Ann Carson, Margaret Atwood e il premio Nobel Louise Gluck. Focus su un artista protagonista del medioevo e poco noto al grande pubblico dal 9 marzo alla Galleria nazionale dell’Umbria, con una retrospettiva sul cosiddetto maestro di Francesco d’Assisi con 60 opere provenienti da musei non solo italiani. E poi un interessante sguardo al Rinascimento attraverso le opere grafiche: dal 2 marzo al museo civico di Bassano del Grappa Rinascimento in bianco e nero. L’arte della stampa a Venezia (1494–1615) con opere grafiche di artisti e intellettuali che rivoluzionario il modo stesso di guardare alla realtà: Andrea Mantegna, Jacopo de’ Barbari, Aldo Manuzio e Francesco Colonna, Albrecht Dürer, Marcantonio Raimondi, Hans Burgkmair il Vecchio, lo Schiavone, Lorenzo Lotto e il Pordenone. Da appuntarsi, intanto, la notizia che nel 2025 la National Gallery di Londra presenterà una importante mostra dedicata all’arte a Siena nel Trecento, con al centro opere di Duccio di Buoninsegna, Pietro Lorenzetti e Simone Martini.

L’ultimo Michelangelo a Londra
Sempre a Londra dal 2 maggio il British Museum accoglie la mostra incentrata sull‘ultimo Michelangelo, ripercorrendo in modo inedito gli ultimi trent’anni della sua vita. È il 1534 quando il grande artista lascia la sua città natale Firenze, che non rivedrà mai più, per trasferirsi a Roma. Inizia per lui un nuovo capitolo drammatico che influenzerà in modo radicale la sua vita e la sua pratica artistica. Nel progetto espositivo, saranno esposti i disegni preparatori per il monumentale affresco del Giudizio Universale e il cartone dell’Epifania insieme agli studi per i grandi progetti architettonici di Michelangelo. Lettere personali, poesie e disegni raccontano le relazioni e le sue esperienze della vecchiaia.
Storia antifascista. Il centenario dell’uccisione di Matteotti
10 giugno 1924, Giacomo Matteotti, giovane deputato socialista veniva brutalmente assassinato da 5 squadristi fascisti. Ad essere colpito a morte fu il più coraggioso oppositore del regime fascista, l’uomo che aveva avuto il coraggio e la dirittura morale di condannare i brogli elettorali messi in atto dalla dittatura e la corruzione presente nel Governo presieduto da Benito Mussolini.
Nel centenario di quell’omicidio politico il Polesine, terra natale di Matteotti, ne ricorda la figura rinnovando la Casa Museo di Matteotti a Fratta Polesine e con una mostra, dal 6 aprile, in Palazzo Roncale, a Rovigo curata da Stefano Caretti, docente di Storia contemporanea all’Università di Siena. Rivolta soprattutto ai giovani l’esposizione racconta il profilo umano di Giacomo Matteotti, gli studi, la militanza politica, la guerra e il difficile dopoguerra, le battaglie parlamentari, lo scontro frontale con il fascismo. In contemporanea si svolge una grande mostra al Museo di Roma. Attraverso preziosi documenti e materiali d’archivio il percorso espositivo ne ripercorre la formazione, l’affermazione e il cammino politico. La mostra è curata di Mauro Canali, storico fra i maggiori conoscitori della figura del politico scomparso.
In apertura: Picasso, Donne di Algeri Fair use, https://en.wikipedia.org/w/index.php?curid=46677620
Le altre foto dell’articolo sono pubblicate per gentile concessione degli uffici stampa delle rispettive mostre
La magia visiva dell’artista rom Małgorzata Mirga-Tas
Per queste feste chi avesse la fortuna di passare per Siviglia non si dovrebbe perdere la mostra dedicata all’artista polacca di origini Rom Malgorzata Mirga-Tas Remembranza y resignificación, (aperta fino al 31 marzo) nel suggestivo Centro Andaluz de Arte Contemporaneo, un complesso espositivo creato nell’ex monastero Cartuja de Santa Maria de las cuevas (dove tra il 1509 e il 1536 riposavano le spoglie di Cristoforo Colombo).
La giovane artista e attivista Rom, promotrice del progetto “Romani Art” e di altre numerose iniziative contro la discriminazione raziale e per l’inclusione sociale attraverso l’arte, aveva già esposto gli arazzi, che costituiscono il cuore di questa mostra, nel padiglione polacco della Biennale di Venezia del 2022, prima volta in cui il padiglione della Polonia è stato interamente dedicato a una artista Rom.
Il grande ciclo di arazzi esposto nel padiglione della biennale, intitolato Re-enchanting the world, era ispirato all’omonimo saggio della filosofa femminista italiana (nata a Parma ma naturalizzata statunitense) Silvia Federici, autrice di importanti studi in cui analizza il capitalismo, la politica salariale e il “lavoro riproduttivo” da una prospettiva di genere (tra l’altro nel 1972 fu tra le fondatrici del Collettivo femminista internazionale, un’organizzazione che lanciò la campagna internazionale “Wages ForHousework” per ottenere un salario per il lavoro domestico). In questa raccolta di saggi la filosofa propone di ri-costruire una comunità sulla base di un rapporto con “l’altro” radicalmente diverso da quello proposto dal capitalismo, essendo questo basato, secondo lei, sulla sopraffazione violenta e sullo sfruttamento intensivo delle risorse umane e naturali.
Mirga-Tas, con questa opera monumentale, si ispira a queste riflessioni. I grandi arazzi che la compongono sono suddivisi in tre fasce: nella prima da sotto sono rappresentate scene della vita quotidiana della comunità Rom di Czarna Gora (il Paese dei Carpazi polacchi ai confini con la Slovacchia dove vive l’artista), matrimoni, funerali, donne intente a eseguire lavori di cucito (un momento di aggregazione per le donne della comunità Rom); il secondo strato è una libera re-interpretazione del ciclo di affreschi allegorici sui Dodici mesi che si trovano nel Salone dei mesi del museo civico d’arte antica di Palazzo Schifanoia a Ferrara, mentre nella fascia superiore si trovano scene tratte da Bohémiens, una serie di incisioni del francese Jacques Callot (Nancy 1592 o 1594 – ivi 1635) che merita un breve discorso a parte. Secondo un suo biografo, Callot a dodici anni avrebbe abbandonato la sua città natale per un viaggio in Italia allo scopo di seguire la sua vocazione artistica e coltivare i suoi precoci talenti. Durante questo viaggio si sarebbe aggregato ad una carovana di zingari a cui avrebbe in seguito dedicato la celebre serie di incisioni in questione (sembra che vi si sia ispirato anche Charles Baudelaire per la sua lirica Bohémiens en voyage).

Si comprende così il nesso con il saggio di Silvia Federici. Le tre fasce sono collegate da
un’unica visione del tempo e della storia. Al di sopra di quella in cui sono rappresentate
scene di vita quotidiana della comunità Rom vi è la fascia mediana con la rappresentazione
allegorica del tempo legata al ciclo naturale delle stagioni. Al di sopra di queste vi sono le
scene tratte dalle incisioni di Callot, nelle quali è descritta una carovana di Rom in viaggio e
durante una sosta, che introduce il visitatore nella dimensione del viaggio. Il nomadismo è
l’elemento identitario che da sempre contraddistingue e caratterizza i Rom e li rende
radicalmente diversi da tutti gli altri gruppi sociali. La dimensione del viaggio, ma soprattutto il loro rifiuto di una fissa dimora, li proietta in un piano temporale radicalmente diverso dal nostro e che comprende in un unico insieme, nel suo perpetuo movimento, sia la vita quotidiana sia i cicli della natura e del cosmo (vi alludono i segni zodiacali rappresentati nella fascia ispirata agli affreschi di Ferrara). All’esatto opposto degli stereotipi sul mondo dei Rom, negli arazzi di questa mostra esso appare sotto la luce di una utopistica unità tra uomo e natura. Inevitabilmente tornano in mente le immagini dei meravigliosi quadri dipinti da Paul Gauguin a Tahiti, nel corso della sua “fuga” nel paradiso “esotico” polinesiano. Malgrado le distanze e le differenze, anche il cromatismo di questi arazzi ricorda quello del grande artista francese, i contrasti tra colori puri e il loro amalgamarsi in una visione armoniosa della vita. Re-enchanting the world, il titolo del saggio della Federici a cui si ispira il ciclo degli arazzi, allude proprio a questo utopistico superamento della scissione tra corpo e mente, tra razionalità e non cosciente.
L’allestimento della mostra aggiunge un elemento di suggestione: in quella che fu la Capilla
de Santa Ana (luogo esatto della prima sepoltura del navigatore genovese) sono esposti dei
paraventi con ritratti della famiglia dell’artista, mentre i grandi arazzi occupano le pareti di
quella che era stata la chiesa del complesso monastico, creando un interessante dialogo
con gli elementi architettonici del complesso monastico. Nella sagrestia, nelle nicchie che
una volta incorniciavano le tele del maestro del barocco spagnolo Francisco de Zurbaran
(1598-1664) oggi conservati nel Museo delle belle arti di Siviglia, sono esposti ritratti
realizzati con stoffe e tessuti screziati di celebri gitane, come la cantante di flamenco
Herminia Borja, originaria del Polígono Sur, il malfamato quartiere di Siviglia abitato da una
numerosa comunità gitana, oppure Juana Vargas de las Heras, meglio nota come ‘Juana la
Macarrona’ (1870-1947), una delle più celebri ballerine flamenco che si esibì anche a Parigi
e che contribuì in modo significativo alla popolarità di questa particolare forma di espressione artistica. Questa preziosa cornice offerta dal convento aggiunge alla mostra un
elemento di “dissacrante sacralità”. Per questo il visitatore è in grado di percepire il senso di
questa mostra anche senza ricorrere al paratesto. Infatti il contrasto tra le opere esposte e le architetture dell’edificio, la stimolante con-fusione tra arte sacra, arte popolare e arte
contemporanea, genera una tensione percepibile anche a un visitatore distratto.
Nel corso dei secoli successivi all’arrivo dei Rom in Europa (le prime testimonianze
storiografiche della loro presenza nel vecchio continente risalgono all’XI secolo), in relazione alla loro identità sono sorti una grande quantità di stereotipi, quasi sempre connotati negativamente. Spesso venivano accusati di stregoneria, spionaggio e furono vittime di persecuzioni e vessazioni di ogni tipo (naturalmente si tratta di un discorso che meriterebbe un’ampia e specifica trattazione). Per ricordarcelo, in una sala della mostra è presentata un’installazione realizzata con i frammenti di un monumento realizzato dall’artista nel 2011 a Borzęcin Dolny, dove nel 1942 era avvenuto uno dei tanti episodi del porrajmos (l’Olocausto Rom): l’esecuzione di 29 Rom. Nel 2016, cinque anni dopo l’inaugurazione, il monumento era stato vandalizzato da ignoti.
Anche se negli ultimi secoli non sono mancate sporadiche rappresentazioni di segno
positivo, molto raramente sono stati i Rom a raccontare la loro storia. E proprio in ciò
consiste il senso di questa mostra curata da Juan Antonio Álvarez Reyes, a cui ha
collaborato attivamente anche la rete della comunità gitana del Polígono Sur.
Malgorzata Mirga-Tas in Italia

Dopo la mostra che le ha dedicato Ferrara alcune opere di Malgorzata Mirga-Tas sono in mostra anche a Milano, alla Fondazione Prada nell’ambito della mostra “Paraventi: Folding Screens from the 17th to 21st Centuries” a cura di Nicholas Cullinan, aperta fino al 22 febbraio 2024













