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La ex Whirlpool trova nuova energia

Il momento più significativo è stato quando il 23 giugno l’amministratore delegato di Tea Tek ha detto, davanti alle porte dell’ala della produzione: “Rompete quei sigilli ed entriamo”. Gli operai della ex Whirlpool erano là. Ma c’erano anche quattro anni prima, quando invece quei sigilli erano stati posti: stabilimento chiuso, l’inizio di un’odissea. Felice Granisso, ceo del gruppo internazionale (con sede a Napoli) che opera nel settore delle energie alternative, si è presentato al presidio che i 312 metalmeccanici napoletani hanno costantemente mantenuto attivo all’interno del sito industriale. Nella stessa giornata, come riporta l’Ansa, aveva firmato presso il commissario di governo dell’area Zes (Zona economica speciale) il verbale di anticipata immissione in possesso dell’enorme fabbricato della ex Whirlpool. Dalle lavatrici ai pannelli fotovoltaici. Dal rischio di desertificazione industriale causato dalle mosse illogiche – perché la fabbrica napoletana faceva profitti – di una multinazionale all’impulso per una economia innovativa, green. Questo si legge nella svolta alla ex Whirlpool. “Finalmente na scop” (finalmente una scopa), sta scritto in uno striscione allo stabilimento di via Argine 310, periferia sud di Napoli, tra il porto e l’autostrada, un’area ormai abitata da capannoni abbandonati e territorio a rischio per le infiltrazioni della criminalità.

Governo fossile

Quando lo scorso ottobre il governo si è presentato al Parlamento per la fiducia, la premier Giorgia Meloni nel suo discorso programmatico ha affermato: «Non c’è ambientalista più vero di un conservatore. A differenza dell’ambientalismo ideologico, noi tuteliamo l’ambiente con l’uomo al centro». L’antropocene anche nelle politiche per la natura e il contrasto della crisi climatica. Era già tutto qui il programma ambientale di questo governo di destra-centro. E non a caso uno dei primi provvedimenti del governo in materia è stato il contestato decreto legge n.11/2023. Ossia il decreto che ha stroncato il superbonus e gli altri bonus edilizi escludendo la possibilità di sconto in fattura e cessione del credito. Uno strumento perfettibile, che si sarebbe potuto rendere più equo ed efficace legandolo in modo più stringente alle case popolari e ai miglioramenti delle performance energetiche conseguite, ma che più di tutti ha aiutato e avrebbe potuto aiutare ancora gli italiani a rendere le case più efficienti, tagliando bollette energetiche ed emissioni. Praticamente un frontale contro la più importante misura di rilancio economico e tutela dell’ambiente adottata nella precedente legislatura. Basti pensare che il Cresme (Centro di ricerche economiche, sociologiche e di mercato) calcola l’impatto del superbonus da quando è stato introdotto fino a ottobre dell’anno scorso in 130 miliardi di euro. E sempre grazie a questa misura calcola che nel 2022 siano stati attivati 587mila occupati tra il settore costruzioni e l’indotto.

Vento negazionista sull’Europa green

Nelle trincee insanguinate in Ucraina sta naufragando il progetto europeo della transizione ecologica. Vedere andare in fumo anche questo piccolo segnale in controtendenza preoccupa, e non poco. Anche perché non è proprio il momento migliore per vedere fallire anche questo tentativo. Sul mondo si stanno abbattendo oltre alle guerre una grande quantità di eventi estremi senza precedenti. Inutile elencarli, li riassume tutti una notizia che viene da quella che fu la freddissima Alaska, dove si è giunti alla temperatura record di oltre 30 gradi Celsius. Al di là della realtà che stiamo vivendo fu comunque positivo, che uno dei continenti a capitalismo avanzato, l’Europa, lanciasse un sasso nello stagno del generale “far nulla” delle altre cosiddette grandi potenze come Stati Uniti e Cina che insieme all’India mandano in atmosfera gran parte delle emissioni climalteranti.

La libertà di vivere una storia d’amore

C’è una storia bella, seppur con un percorso travagliato, nella mini serie televisiva Normal people attualmente in programmazione su Rai play. È ispirata al romanzo Persone normali (Einaudi) di Sally Rooney. Guardandola sembra finalmente di respirare un’aria pulita, di serietà, impegno, gioia, tristezza, amore e realizzazione. Non è una favola e riesce ad uscire da tutti i cliché sull’adolescenza malata, traviata, perduta e disperata, e lo fa senza quadretti stucchevoli. Due splendidi ragazzi sono i protagonisti di questa storia d’amore vissuta liberamente. C’è una sequenza che descrive un loro incontro inaspettato e pieno di desiderio che può realizzarsi in un incontro anche intimo, dopo l’affermazione di lei che a fronte delle titubanze del ragazzo afferma: “Io prendo la pillola”. Dietro questa affermazione emerge una mentalità libera e recettiva che permea tutta la loro storia. Non la libertà di ricattare l’altro, non di farsi male, non di distruggere le proprie aspettative, non di deludere, non di aggredire; la libertà di vivere una storia d’amore.

Irene Calesini e Massimo Ponti: Chi ha paura dell’identità delle donne

IIlustrazione di Chiara Melchionna

I femminicidi non accennano a diminuire in Italia: 8 donne uccise in ambito familiare ogni mese nel 2023 secondo il Viminale. E questo mentre gli omicidi e altri crimini sono in costante diminuzione. Una strage di donne avviene silenziosamente nonostante leggi severe, nonostante la crescente attenzione alla formazione del personale di polizia e dei magistrati.
Colpisce anche che a uccidere le proprie compagne siano, non di rado, giovanissimi uomini fra il 18 e i 35 anni. Come leggere questi “dati”? Lo chiediamo agli psichiatri e psicoterapeuti Irene Calesini e Massimo Ponti che, con Viviana Censi, hanno scritto Violenza contro le donne (l’Asino d’oro).
«La situazione è tornata di nuovo allarmante, c’era stata una leggera flessione di femminicidi nel post pandemia, ma adesso siamo tornati di nuovo a cifre purtroppo sconfortanti», osservano i due psicoterapeuti.

Afghanistan. Storie di resistenza nella valle senza pace

L'ospedale di Emergency in Afghanistan

La prima cosa che hanno fatto i talebani dopo aver riconquistato pienamente il potere è stato impedire alle ragazze l’accesso all’istruzione. Grandi e grossi come sono, e armati fino ai denti, hanno paura delle donne istruite. Temono quelle che lavorano. Le donne per i fondamentalisti religiosi di ogni risma sono al più macchine per fare figli (che loro vorrebbero tutti maschi). Per questo in Afghanistan hanno imposto il più feroce codice della sharia. Ma non sono riusciti neanche così a stroncare la speranza delle donne, che si organizzano, dove possono, in scuole e reti clandestine. Certo, parliamo di gruppi di avanguardia come le attiviste di Rawa di cui abbiamo raccolto le testimonianze nel libro di Left Donne, vita, libertà: parliamo di ex parlamentari come Malalai Joya (alla quale in altri tempi avevamo dedicato una copertina di Left e che oggi è costretta a vivere nascosta) ma parliamo anche della resistenza di tante donne ancora del tutto “invisibili”. Per sapere di più di loro abbiamo chiesto agli operatori di Emergency. E in particolare alla giovane ostetrica Laura Castigliani che dal 2017 ha lavorato per lunghi periodi nell’ospedale di Emergency del Panjshir, una delle zone più povere del Paese, che già di per sé, nel suo complesso, versa in una crisi economica e sociale senza precedenti. 

Le donne della rivoluzione

illustrazione di Antonio Pio Roseti

Ne abbiamo sentito parlare tanto nei primi mesi, da settembre a novembre. Purtroppo, ultimamente l’attenzione sulle vicende della rivoluzione del movimento Donna, Vita, Libertà è calata.
Ma le donne iraniane non si fermano. Sono forti, non si abbattono. Neanche davanti alle intimidazioni del regime di Teheran: soltanto nel 2023 sono state giustiziate più di 270 persone, per una media di circa 10 esecuzioni ogni settimana. Dal 6 al 12 giugno ne sono state eseguite dieci. Dieci in 7 giorni.
Le lacrime non bastano per esprimere il dolore lancinante che si prova. Le condanne a morte sono all’ordine del giorno. I capi di accusa più frequenti sono “offese contro Dio”, “corruzione sulla terra”, “blasfemia”.
Mi tornano in mente le parole dell’avvocata ed attivista dei diritti umani Nasrin Sotoudeh, tratte dal film Taxi Teheran (2018) di Jafar Panahi a proposito del regime iraniano: «…La prima cosa che fanno è trasformarti in un nemico: sei un agente del Mossad, dei servizi segreti inglesi; poi aggiungono a questo una bella accusa di comportamento immorale; trasformano la tua vita in un inferno. Ed uscire di prigione non basta, perché il mondo esterno è solo una prigione più grande…».
Dunque, sorge spontanea una domanda: a chi pesa di più vivere in questa prigione? Certamente, sono le donne le più colpite. E allora occorre chiedersi: chi sono le donne della rivoluzione del 2022?

Perché tanto odio contro le donne?

La polizia di regime in Iran spara a distanza di pochi metri mirando agli occhi delle ragazze. Per mesi, dopo l’uccisione nel settembre 2022 della giovane curda iraniana Jina Masha Amini, sono scese in piazza, insieme ai loro compagni, contro il regime guidato dall’ayatollah Khamenei (con il servente presidente conservatore Raisi). Sono state giornate e giornate di straordinaria lotta non violenta al grido “Donna, vita, libertà”. Che il regime ora più che mai vuole reprimere con ogni mezzo.
Nel silenzio della stampa internazionale, la teocrazia iraniana ha continuato a impiccare giovani che non hanno nessuna colpa, “rei” di aver chiesto democrazia, libertà e diritti; ha continuato a stuprare e uccidere ragazze, anche sfregiando i loro volti. (Come documenta anche la missione di inchiesta Onu)
L’impatto di pallini di plastica sparati in faccia dalle “forze dell’ordine” non è meno devastante, anche per il senso che assume. L’intento è accecare e allo stesso tempo marchiare per sempre un’intera generazione.
«Mi ha guardato negli occhi e poi ha premuto il grilletto», racconta Ghazal, attivista iraniana di 21 anni che ha perso un occhio. Dice che il “sorriso” del suo aggressore è stata l’ultima cosa che ha visto, prima del buio. Il suo volto, bellissimo, è diventato virale sui social come immagine di resistenza. Nonostante l’irrimediabile ferita all’occhio Ghazal non si arrende, ci parla di un mondo interiore vivo e vitale che resiste allo sfregio, che non si lascia accecare dall’odio e al contempo non perdona. Come lei Elahe, con un dottorato e una professione avviata, due figli piccoli, colpita agli occhi perché protestava in piazza contro il regime. Al posto dell’occhio accecato ha fatto sbocciare un vitale fiore rosso. Non morire di odio per lo sfregio che si è subito, ma fare una ricerca per capire perché tanta inumana ferocia. Questo è l’obiettivo, senza smettere di lottare per la giustizia e la democrazia. Tramite amici iraniani e una giornalista de Le Iene, almeno lei è riuscita ad arrivare in Italia per farsi curare. Ma sono tante, purtroppo, le richieste che non trovano risposta; nella maggioranza dei casi i ragazzi colpiti agli occhi non riescono a ricevere cure adeguate. Anche perché gli ospedali iraniani sono controllati dal regime e c’è paura a presentarsi. Le ferite agli occhi dei manifestanti presentano lesioni alla retina, gravi danni ai nervi ottici e iridi perforate, sarebbero segnali chiari di protesta negli ospedali presidiati dalle forze repressive. Peggio ancora sarebbe finire nelle carceri iraniane. Uno scenario da incubo di cui scrive la tesoriera del Partito radicale Irene Testa nell’importante libro Azadi. Libertà in Iran in cui raccoglie brucianti testimonianze di attiviste per i diritti umani, giornaliste, manifestanti. Ne abbiamo pubblicato un assaggio su left.it, e vi consigliamo caldamente di leggere il libro perché come pochi racconta la resistenza e la lotta non violenta delle donne iraniane, che non comincia oggi ma – come ci ricorda l’avvocata Sherin Haravi ad apertura di copertina – affonda le radici addirittura nella cultura dell’antica Persia, prima dell’islamizzazione. La religione insieme al patriarcato greco romano sono i convitati di pietra di questa storia di copertina di Left, ambiziosissima, in cui cerchiamo di indagare le molte- e forse solo apparentemente diverse – radici della misoginia che alimenta la repressione delle donne in Iran, in Afghanistan e anche in Italia, democrazia realizzata… dove si registra l’inaccettabile strage di continui femminicidi. Perché tanto accanimento contro le donne? Non abbiamo l’ardire di dare una risposta apodittica, ma di certo con questa storia di copertina – anche con l’aiuto di psichiatri e psicoterapeuti – alziamo interrogativi importanti.

 

Il coraggio delle ragazze iraniane

Elahe Tavakolian (a sinistra nella foto) e Niloofar Aghaei (a destra), sono state aggredite dalle forze dell’ordine  iraniane che gli hanno sparato agli occhi durante manifestazioni di protesta per l’uccisione di Jina Masha Amini da parte della polizia morale. Sono almeno 800 i casi documentati di giovani donne e uomini colpiti con proiettili di gomma, di plastica e pallini da caccia, che possono essere letali. Dopo ciò che hanno subito, Elahe e Niloofar hanno deciso di incontrarsi e hanno pubblicato questa  foto su Instagram. 

Dal web abbiamo saputo che in Iran nonostante le ferite subite,  i giovani colpiti si incontrano segretamente  e poi pubblicano foto per portare avanti anche in questo modo la loro rivoluzione culturale e non violenta contro il regime teocratico. Niloofar Aghaei, in particolare, ha pubblicato questo scatto e in calce ha scritto: «Nessuno e niente conquisterà una donna che si sente bene leggendo libri e poesie, ascoltando musica e bevendo caffè… Oggi ho avuto una cara ospite a pranzo, mia cara dea mi sono divertita molto con te».

De Luca, la maschera che non serviva alla politica

Chissà come dorme male Vincenzo De Luca, ras della Campania che in queste ore fa di tutto per farsi notare come i disturbatori televisivi che aspettano l’inizio della diretta per urlare una parolaccia dietro al conduttore e poi girano tronfi il video agli amici.

De Luca, ossessionato in ogni suo show a dare del cialtrone a qualcuno (per non sentirsi solo) ora è partito all’assalto della segretaria Schlein. Lo spessore dei ragionamenti è il solito: insolenze appoggiate come riflessioni politiche, senza nemmeno il pudore di essere diventato la macchietta di sé stesso. «Cacicca ante litteram», «Pasolini non aveva consapevolezza dell’armocromia»: De Luca gigioneggia come un attore (scarso) della commedia napoletana dimostrando di essere non solo un corpo estraneo del Partito democratico ma di incarnare il peggio della politica di questo tempo.

Rosy Bindi è «impresentabile lei, in tutti i sensi», «da uccidere» quando da presidente della Commissione antimafia segnalò il governatore campano nella lista degli imputati per abuso d’ufficio (nel processo in seguito è stato assolto ndr). Di Battista, Di Maio e Fico sono «tre mezze pippe, miracolati» ma specifica che «anche nel Pd ho trovato pippe e fior di farabutti». Attacca Di Maio perché «doveva fare il carpentiere, poi s’è perso per strada e ce lo ritroviamo vicepresidente della Camera» salvo accarezzarlo quando gli torna utile.

In mezzo alla sceneggiata di politica ce n’è poca, pochissima. De Luca è uno dei tanti nel Pd che misura i segretari in base alla tranquillità con cui gli lasciano gestire il suo feudo. In questo giro non gli sta andando benissimo e così si impenna. E in questo suo goffo agitarsi non si rende conto di essere la summa dei difetti dei suoi nemici: circense, esagitato, senza contenuti, simpatico ma impolitico. In una parola: populista. Quando scoprirà di essere la perfetta incarnazione dei suoi nemici straccerà il copione, chiuderà il sipario e si chiuderà triste in camerino.

Buon mercoledì.

Nella foto: Vincenzo De Luca

Sfruttare il Pantheon danneggia Roma e i cittadini

Pantheon, Roma

È entrato in vigore il biglietto a cinque euro per l’entrata al Pantheon. Cittadini che tengono alla cultura per anni erano riusciti a bloccare la bigliettizzazione della più importante architettura romana.

Forse l’origine di tutti i mali è stata quando un ministro italiano usò la metafora del giacimento petrolifero ancora da sfruttare riguardo i nostri beni culturali. Anche Barack Obama usò l’espressione che gli idrocarburi devono rimanere dove stanno, nel sottosuolo. Bucare la terra per estrarre l’oro nero dissangua il pianeta, e ci sta portando alla morte. Quindi mai metafora (beni culturali = giacimento petrolifero) fu più errata. Il problema è che è una metafora facile, appare ragionevole. Abbiamo questo patrimonio, sfruttiamolo! 
Per capire come costruire un ragionamento che faccia cambiare idea, andiamo avanti con calma e per punti. Citerò anche alcuni nomi – alcuni sono di rilevanti architetti internazionali e nazionali oppure artisti, studenti cittadine e cittadini. Hanno detto parole dense e sono nel mio Facebook cui rimando anche per leggere i pareri contrari.

Politica: Arte della città.  Innanzitutto riflettiamo sul mondo di oggi. Siamo nel mondo della rete, nel mondo della globalizzazione, nel mondo della perequazione e si pensa che per guadagnare il denaro per il mantenimento del Pantheon bisogna vendere il biglietto “proprio lì”? Tutti sanno che si guadagna in un posto e si investe in un altro: si chiama politica. Se si pensa appena un poco di più ci si ricorda che politica vorrebbe dire arte della Polis, arte della città. Ora gli esempi del passato e del presente a proposito non mancano. «Nella Grecia classica la bellezza era un dono costante della Politica. Diffusa, bene collettivo, familiarità percettiva, abitudine sociale e priva di controvalore monetario. Da lì partiamo e da lì ci allontaniamo per finire nel girone degli ingordi» ha scritto Raffaele Cutillo, mentre Anna Riciputo narra dei suoi mesi passati in Brasile: «Le città e le loro risorse, sia architettoniche che artistiche, non sono in funzione dei turisti ma dei loro cittadini. Ci si è stupiti dei diciottenni che rivendono il buono cultura, in Italia la cultura è davvero Disneyland nel termine peggiore e rendere tutto a pagamento allontanerà ancora di più gli abitanti dalla cultura… i turisti entreranno comunque, loro stanno qua a posta! In Brasile tutti i musei statali sono gratuiti e quelli privati sono obbligati ad avere un giorno alla settimana gratuito e indovinate? Sono pieni! Musei pieni di brasiliani che passano lì il loro tempo con i bambini, con le famiglie, in coppia! Io che nei musei dovrei prenderci la cittadinanza per motivi di studio, me ne privo».

I musei di Washington D.C. o di Londra hanno libero accesso. Perché? Perché attraverso la libera circolazione nei musei si crea cittadinanza, si sente la città e le sue risorse come proprie. In epoca post risorgimentale la zona archeologica di Roma era libera meta di pellegrinaggi dei romani e da tutta Italia: passeggiare per il circo Massimo, passare sotto l’arco di Costantino (oggi negato) entrare nel Colosseo creava una idea comune di nazione. Ma tornando all’oggi, mai azione sulla città fu più bella di quando la prima amministrazione Petroselli apri i Fori alla città. Dietro quei cancelli spalancati finalmente ci riappropriavamo della titanica impresa dei primi Romani. Prosciugare una palude per fare un grande spazio pubblico, per tutti i cittadini.

Ora occupiamoci direttamente del Pantheon. Ebbene il Pantheon non è un monumento come un altro. È sicuramente la più importante architettura della civiltà romana e per molti – tra cui il sottoscritto – la più importante architettura mai realizzata, ma la sua specificità è che questa architettura intesse relazioni tutte particolari con lo spazio urbano. Isolarlo dietro una cancellata con un biglietto vuol dire recidere l’arteria che lo alimenta. È una argomentazione facile da comprendere per gli architetti, ma cerchiamo di comunicare meglio.

Il Pantheon anima dello spazio pubblico. Lo spazio interno del Pantheon è parte integrante della sequenza degli spazi urbani di Roma. Si tratta semplicemente della eventualità di girovagare senza meta e decidere di voler vivere quando vogliamo una sequenza di spazi incredibili. Perché le città si devono vivere anche girovagando: arrivare alla piazza del Pantheon, toccare l’acqua della fontana, avvicinarsi al monumento, entrare sotto l’enorme portico semi buio, poi penetrare nell’androne e da li intravedere attraverso l’oculo di nuovo il cielo! Perché il Pantheon è metafora della volta celeste.