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L’antimafia di plastica

Foto LaPresse - Guglielmo Mangiapane 23/05/17 Palermo ITA Cronaca Corteo per le strade di Palermo in ricordo dei giudici Falcone e Borsellino e delle loro scorte. Nella foto: il corteo Photo LaPresse - Guglielmo Mangiapane 23/05/17 Palermo ITA News People march in remembrance of judges Giovanni Falcone e Paolo Borsellino killed by the mafia in 1992. In the picture: People demonstrating

Per la trentesima volta questo disgraziato Paese commemora Giovanni Falcone con la postura di chi si apparecchia al ballo di fine anno, quella cerimoniosa affettazione in cui la mafia diventa un uomo sporco e cattivo (Salvatore Riina che ordina l’attentato, Giovanni Brusca che innesca il tritolo) e l’antimafia diventa un movimento senza facce, buono solo per qualche simbolo (Falcone e Borsellino in primis) facendola diventare un insieme senza personalità.

Accade in ogni anniversario che i giornali si riempiano di sfumature umane, a volte perfino pelose, e di testimonianze che ogni volta dimenticano il sistema. Sì, sistema: Giovanni Falcone non è stato ucciso dalla violenza omicida di un singolo uomo. Giovanni Falcone è stato ucciso da chi ha schiacciato quel maledetto pulsante del tritolo sotto la strada di Capaci, Giovanni Falcone è stato ucciso dall’ordine di Riina ma soprattutto Giovanni Falcone è stato ucciso dai boss di Stato, coloro che hanno convenuto per quella strage e che, a differenza di Cosa nostra, sono sempre stato impermeabili a qualsiasi occasione di pentitismo o perfino di etica collaborazione.

La memoria è un muscolo che va allenato per rimanere lunga e performante. Assistere oggi a tutte queste prime pagine in cui campeggia Giovanni Falcone è la fotografia di un tema, quello della mafia, che torna utile per le commemorazioni e poi viene rimesso nel cassetto fino all’anniversario successivo. Nel trentennale della morte di Giovanni Falcone ci siamo fatti sfuggire l’occasione di discutere dell’operazione Crimine infinito che ha svelato la ‘ndrangheta in Lombardia e che ha lasciato indenne la classe politica che brigava con quegli uomini di mafia e oggi continua a essere classe dirigente. Chissà che ne avrebbe detto Falcone di un’operazione con centinaia di condanne senza nemmeno un’ombra di un qualche colletto bianco. Nel trentennale siamo riusciti a non dibattere dell’operazione Aemilia che fotografa la criminalità organizzata in Emilia Romagna e che sembra interessare solo “gli specialisti del settore” (e pensare che essere antimafiosi dovrebbe essere un prerequisito, mica un’inclinazione). Ci stiamo facendo passare il processo che in Calabria ha numeri record, roba da maxi processo, e che invece finisce sui giornali solo per randellare un magistrato.

Ormai Falcone e Borsellino sono come le mimose: vengono esposti il giorno prima e vengono tolti dalle bancarelle nel giorno successivo. Non è un gran vedere.

Buon lunedì.

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Se anche il giudice nega la violenza sulle donne

African woman with red colored hand on her mouth during a protest. Group of female activist demonstrating to stop women abuse.

Le conclusioni (amare) di un’inchiesta a tutto tondo sui giudizi civili di separazione giudiziale con domande di affidamento di figli minori e sui giudizi minorili sulla responsabilità genitoriale sono state presentate il 13 maggio scorso al Senato. Il dossier costituisce la nuova relazione della Commissione di inchiesta parlamentare sul femminicidio e ogni altra forma di violenza di genere, e ha avuto come oggetto lo studio degli atti di circa 1.500 procedimenti giudiziari del 2017. Oggetto di approfondimento della Commissione, presieduta dalla senatrice Valeria Valente e istituita il 16 ottobre 2018, sono stati inoltre 36 casi che presentano forme particolarmente gravi di vittimizzazione secondaria delle donne e dei loro figli da parte delle autorità giudiziarie e dei servizi territoriali coinvolti.

Si definisce vittimizzazione secondaria l’esposizione a pratiche giudiziarie e istituzionali, lesive dei diritti, della personalità e dell’integrità psicofisica delle donne allorché, a seguito della vittimizzazione primaria conseguente alla condotta violenta dell’ex partner nei loro confronti e nei confronti dei figli e delle figlie, accedano alla giustizia civile o penale.

L’analisi approfondita dei fascicoli ha avuto l’obiettivo «di verificare la…

 

* L’autrice: l’avvocato Teresa Manente è responsabile Ufficio legale dell’associazione Differenza Donna e consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere

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La magistratura che non ama Montesquieu

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 21-04-2022 Roma, Italy Cronaca RAI - trasmissione Porta a Porta Nella foto: il presidente della ANM Giuseppe Santalucia ospite della trasmissione condotta da Bruno Vespa Photo Mauro Scrobogna / LaPresse April 21, 2022 Rome, Italy News RAI - Porta a Porta broadcast In the photo: the president of the ANM Giuseppe Santalucia guest of the program conducted by Bruno Vespa

Partiamo dall’abc. La separazione dei poteri (o divisione dei poteri), nela giurisprudenza, è uno dei principi fondamentali dello Stato di diritto e della democrazia liberale. Montesquieu, il filosofo a cui viene tradizionalmente attribuita la moderna teoria della separazione dei poteri, ne Lo spirito delle leggi, pubblicato nel 1748, sosteneva che «Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti …. Perché non si possa abusare del potere occorre che … il potere arresti il potere». Dunque i tre poteri (intesi come funzioni) dello Stato – legislativo, esecutivo e giudiziario – non solo devono essere separati tra di loro, non potendosi accentrare nella medesima persona o organo, più funzioni (o poteri) tra quelli descritti, ma ognuno di loro deve fungere da limite all’altro. Posto ciò, qualcuno potrebbe accettare che un membro del governo possa prendere parte (o, addirittura, contribuire materialmente) ad una sentenza emessa da un magistrato? Ovviamente no. Però, finora, si è accettato tranquillamente che circa 200 magistrati siano distaccati presso l’esecutivo (i cosiddetti “fuori ruolo”), unico Paese al mondo dove membri del potere giudiziario contribuiscono all’esercizio del potere esecutivo. Il sostenere che siano dei meri “tecnici” è semplicemente risibile e ritengo che le recenti vicende, rivelatrici della naturale vocazione politica anche in chi esercita il potere giudiziario, possano aver fugato, definitivamente, una simile argomentazione.

Ma la separazione dei poteri, con l’omologo corollario del limite all’esercizio del potere stesso, è un…

* L’autrice: Valentina Angeli è avvocato penalista del Foro di Roma

In foto, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia, ospite a “Porta a Porta” su Rai Uno

 

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Il senso dell’Europa secondo Kundera

***FILE PHOTO*** Milan Kundera, a Czech-born author living in France, has regained Czech citizenship after 40 years, daily Pravo writes on December 3, 2019, adding that Czech ambassador Petr Drulak handed the relevant document to him in his Paris apartment on November 28. ORIGINAL CAPTION: Czech-born writer Milan Kundera is seen in May 1968, in Prague, Czechoslovakia. Photo/Pavel Vacha ***EDITORIAL USE ONLY*** (CTK via AP Images)

La storia è fitta di analogie che ingannano, e giochi di specchi. Tendiamo a guardare il presente con le lenti di passati arbitrari, idee blindate, schemi rigidi e troppo spesso il male di oggi è denunciato, criticato, esecrato, esorcizzato facendo appello ai fantasmi di ieri, e non aiuta. Mentre l’invasione russa in Ucraina è giunta al terzo mese e all’orizzonte non si intravede in realtà nessuna via uscita (e nessuna volontà di voltar pagina), l’impressione è che alla Fog of war – inevitabile – si sia sovrapposta una nebbia più fitta e decisamente più ambigua nelle menti, nella coscienza e nel dibattito pubblico, qui in Occidente.

La tendenza a giudicare il presente con quelle categorie bloccate nel passato (le analogie scontate con la questione dei Sudeti, le ombre di Hitler e Stalin, lo slogan vergognoso della “denazificazione”, l’evocazione proprio da pensiero magico della stessa categoria di Resistenza) dà la falsa impressione che la Storia ci abbia insegnato qualcosa, e questo magari rassicura ma trae in inganno. Male contro Bene, carnefici e vittime, un prima e un dopo stabiliti un tanto al chilo: la norma è il pensiero binario, non ce n’è un altro.

Qualsiasi accenno a dialettiche più intricate, qualsiasi perplessità (concreta, razionale: nessuno ha dubbi, credo, su chi sia l’aggressore e l’aggredito, questo è un fatto), qualsiasi “narrazione” alternativa sono sospetti. Strano modo di…

 

* L’autore: Vittorio Giacopini è scrittore, disegnatore, conduttore di Rai Radio3 e giornalista

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Grossman, i lager e l’Ucraina

Vasilij Grossman (1905-1964) durante una corrispondenza dal fronte - WikiCommons

Vita e destino di Vasilij Grossman è uno dei più grandi romanzi del Novecento. In lingua russa, ma in assoluto. Secondo volume della dilogia sulla battaglia di Stalingrado, di cui Grossman fu protagonista anche come corrispondente di guerra, Vita e destino è una riflessione sul 900 in genere, sul secolo dei campi (di detenzione e sterminio) e del totalitarismo. Su nazismo e comunismo.

Nato in Ucraina, studi a Kiev, lavoro da ingegnere nelle miniere del Donbass, Grossman era di origini ebraiche. Tanti fili legano la sua vicenda alla guerra in corso oggi nell’Europa dell’Est. In Vita e destino pubblica una struggente lettera della madre scritta nel “ghetto ebraico” della città ucraina di residenza, immediatamente prima di essere razziata dagli invasori e avviata a scomparire in un lager.

Meritano di essere citati alcuni passi perché illuminano le nostre coscienze ma anche il nostro presente, quella guerra in Ucraina che…

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Stati generali. A tutto jazz

Foto Michele Nucci/LaPresse 1 Ottobbre 2021 - Bologna, Italia - cronaca nella foto: Chiusura campagna elettorale candidato sindaco del centrosinistra Matteo Lepore in piazza Maggiore - performance Paolo Fresu Photo Michele Nucci/LaPresse October 1, 2021 - Bologna, Italy - news in the pic: Closing of the election campaign for the center-left candidate for mayor Matteo Lepore in Piazza Maggiore

Jazzocene, il titolo degli Stati generali della Federazione Il jazz italiano, fino al 22 maggio a Bologna, rappresenta molte cose. Soprattutto un confronto collettivo. «È il momento – ha spiegato Paolo Fresu presidente della Federazione presentando la manifestazione – di fare il punto e fotografare il presente, perché il jazz non è più una musica di nicchia» aggiungendo poi che «c’è ancora tanto da fare».

«Jazzocene vuole essere un’occasione per riflettere su come il jazz, per la sua natura di apertura, socialità e capacità di aggregazione, possa fare da catalizzatore di un processo di sviluppo culturale per promuovere i valori di dialogo, pace e unione tra i popoli», dice Ada Montellanico, cantante e musicista e da poco vicepresidente del Consiglio superiore dello Spettacolo, dopo essere stata presidente sia del Midj (associazione nazionale dei musicisti jazz) che de Il Jazz va a scuola. Gli Stati generali del jazz di Bologna, un mix tra incontri – su formazione innovazione, ricerca e lavoro – e concerti, sono stati promossi dalla Federazione nazionale Il jazz italiano, il cui presidente, Paolo Fresu, in questi anni si è molto prodigato per unire il variegato mondo del jazz e per promuovere manifestazioni che hanno segnato la storia della musica dal vivo e dell’impegno civile, come Il jazz per l’Aquila e le terre del sisma. A partire dall’idea degli Stati generali della musica, che per la prima volta riunisce tutte le sue componenti per confrontarsi sulle urgenze e le idee innovative che emergono dal sistema jazz, la manifestazione di Bologna si propone di riflettere sullo straordinario potenziale che le pratiche musicali legate al jazz hanno nei confronti di un mondo culturale costretto a ripensarsi dopo la grande sfida pandemica.

Con Paolo Fresu e con Ada Montellanico, entrambi protagonisti a Bologna insieme ad altri musicisti, di un grande concerto il 22 maggio, facciamo il…

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Nicola Lagioia: È tempo di cuori selvaggi

Foto Marco Alpozzi - LaPresse 15 Settembre 2021 Torino ( Italia ) Cultura Seconda conferenza stampa del XXXIII Salone Internazionale del Libro di Torino Nella foto: Nicola Lagioia Direttore del Salone del Libro Marco Alpozzi / lapresse September 15, 2021 Turin ( Italy ) News Press conference of XXXIII Turin Book Fair In the pic: Nicola Lagioia

Cuori selvaggi. Capaci di guardare oltre il presente, cercando di immaginare e costruire un futuro diverso, di pace, di giustizia sociale, di rispetto per l’ambiente. Ce ne è ancor più bisogno dopo due anni di pandemia è tre mesi di insensata e disumana aggressione di Putin all’Ucraina. Per questo motivo, “Cuori selvaggi” (omaggio a Lispector) è stato scelto come titolo della nuova edizione del Salone internazionale del libro di Torino.

«Quando abbiamo cominciato a pensare al Salone 2022 non c’era ancora questa guerra. Non era nemmeno immaginabile che scoppiasse. Ma già venivamo da un periodo lungo di crisi e assai difficile», racconta lo scrittore Nicola Lagioia, direttore della 34esima edizione del Salone internazionale del Libro di Torino (al Lingotto, dal 19 al 23 maggio).

«Negli ultimi anni abbiamo incontrato tre “cigni neri”: la crisi economica del 2008, poi la pandemia (anche quella prevedibile ma non prevista) e ora la guerra, mentre la pandemia forse sta finendo. Tre cigni neri più uno di cui non ci rendiamo conto». Ovvero? «È il cigno nero più contro intuitivo di tutti ed anche quello potrebbe creare problemi e cambiamenti perfino maggiori: è il climate change ed è collegato a molti altri temi, perché il cambiamento climatico riguarda la scienza, la geopolitica, l’economia…».

Non a caso l’edizione 2022 del Salone si è aperta il 19 maggio con una lectio di Amitav Ghosh, scrittore di grande sensibilità verso i temi ambientali e autore di libri come La grande cecità: il cambiamento climatico e l’impensabile (Neri Pozza) e del nuovo Jungle nama con cui si rivolge ai più giovani.
Il passaggio che stiamo attraversando è epocale. Dobbiamo realizzare un radicale cambiamento di mentalità, di cuore, di prospettiva. “Possono i non umani parlare” è il titolo che Ghosh ha scelto per la sua conferenza proprio per dire che noi Sapiens non possiamo essere al centro del pianeta, come se il globo fosse al nostro servizio. Ne siamo il frutto, in continua interazione rispetto a tutto ciò che ci circonda.

“La pace è rinnovabile e la guerra è fossile”, dicono i giovani dei Fridays for future. Guerra e distruzione dell’ambiente sono temi intrecciati?

Mi sembra una sintesi perfetta (peraltro la nostra collaborazione con i Fridays continua. Anche quest’anno intervisteranno ospiti al Salone). La questione bellica assorbe tutte le nostre attenzioni e lascia sullo sfondo l’emergenza principe che l’umanità doveva risolvere. Dobbiamo urgentemente mettere in discussione un certo modo di produzione, di sviluppo. È bizzarro: da un lato viviamo nell’antropocene, la prima età geologica i cui i cambiamenti più importanti derivano dalla specie umana, dall’altro siamo in un’epoca in cui sembra sempre che stiamo perdendo il controllo della situazione e la guerra ci aiuta a perderlo ancora di più. Durante la Seconda guerra mondiale i nazisti non avevano l’atomica. Concentrare così tanto potere nelle mani di un uomo è una cosa che il pianeta non si può permettere. Chiunque è toccato da questa guerra, non solo noi europei. Anche perché rallenta le sfide del XXI secolo. E sono sfide che possono essere risolte solo a livello globale.

Il pensiero libero, la cultura, l’arte sono l’opposto della granitica ideologia e del dogma religioso. Possono essere un’arma anche per decostruire l’ideologia nazionalista e imperialista di Putin?

Tutti (o per meglio dire… quasi tutti!) siamo rimasti impressionati dalla violenza con cui Putin ha invaso l’Ucraina. Sui giornali giustamente sono stati sviluppati molti ragionamenti sulla geopolitica, ma forse non si è parlato abbastanza del confronto fra culture. Evidentemente ci sono culture come quella di Putin basate sulla violenza. Ma nel mondo ce ne possono anche essere altre che non la contemplano. Questa guerra è guidata dal nazionalismo imperialista. Ma c’è anche una questione religiosa. Sotto c’è la spaccatura fra la Chiesa di Mosca e le altre Chiese cristiane e addirittura fra Chiese ortodosse. C’è poi una questione storica. E c’è anche una questione molto strana, affascinante se non fosse tragica.

Quale?

In questo momento a tenere viva la Russia in una prospettiva futura è l’alleata Cina.

Molti parlano di alleanza di convenienza, strategica, momentanea e che già pesa al colosso asiatico. Anche culturalmente la distanza è grande?

La Russia ha un Pil inferiore dell’Italia ed è uno dei Paesi più grandi del mondo, dunque è molto fragile, da molteplici punti di vista. Ma non solo per questo dico che l’alleanza con la Cina appare molto strana. La Russia condivide la propria cultura molto più con il resto d’Europa che non con la Cina. Basti pensare alla religione. Non c’è questa radice comune con il Paese di Xi. Anche nella loro parabola storica ci sono molte differenze. L’obiettivo della Cina è la stabilità. La Russia è un Paese che a differenza della Cina ha avuto crolli continui, ha una instabilità pericolosa. La Russia ha una storia punteggiata di rotture: ha avuto gli zar, poi c’è stata la Rivoluzione di ottobre, un momento di grande violenza che però avrebbe dovuto essere rigenerativa. Poi però è arrivato Stalin e l’agghiacciante stalinismo ed arrivò la fase che avrebbe portato a Chernobyl e al crollo dell’Urss. Hanno avuto terribili anni 90 e subito dopo il sorgere di questo nuovo Stato autoritario molto diverso dall’Unione sovietica.

Putin si rifà alle idee di Dugin (guru dell’ultra conservatore congresso della famiglia voluto da Salvini nel 2019) e di Ivan Ilyin, che aveva simpatie per Mussolini. Non sembra tuttavia voler ricostruire l’Urss, come dicono alcuni, sembra piuttosto guardare alla grande Russia degli zar. Ci sarà modo di approfondire anche tutto questo al Salone?

Io non capisco come i nostri commentatori possano sovrapporre quei due momenti storici. L’Urss certo non era un posto ospitale ma non aveva nel suo Dna questa logica che Putin vuole imporre oggi: era internazionalista perché si rifaceva a una certa forma di marxismo, mentre qui siamo davanti a un nazionalismo molto spinto, che sposta la Russia di oggi all’estrema destra se vogliamo tracciare un quadro chiaro e dare al regime di Putin una collocazione politica. Al Salone c’è il tempo per sviscerare tutte queste questioni, c’è la possibilità di non fermarsi ai discorsi immediati di cronaca. Cerchiamo di stare un po’ meno sull’immediato e avere uno sguardo più ampio. Un dibattito un po’ più lento rispetto a quello istantaneo dei talk show magari serve.

Le guerre scoppiano non perché leggiamo troppo Dostoevskij, ma perché lo leggiamo troppo poco, ha scritto lo storico dell’arte Fulvio Cervini su Left. È così?

D’accordo, ma la letteratura non è una garanzia di niente. Prendiamo per esempio Stalin: si dice che fosse un amante della letteratura, però poi puniva gli scrittori che vezzeggiava. Ci fu una famosa telefonata di Stalin a Bulgakov. Gli disse di aver molto apprezzato le sue opere, ma poi il povero Bulgakov non poté più scrivere nulla. Il maestro e Margherita uscì postumo. In realtà quello di Stalin era un amore superficiale. Quanto ai personaggi di Dostoevskij sono molto russi. Sono molto viscerali. È stato un grande precursore degli studi sull’irrazionale e di tutto quello che è successo nel Novecento nello studio delle psicologie. Ma se dal punto di vista letterario questo è molto affascinante, dal punto di vista sociale, quel che racconta è, spesso, inquietante.

Lo è se pensiamo a romanzi come Delitto e castigo e a Raskòlnikov, che uccide per nulla. Ma anche a I demoni e al nihilismo che Dostoevskij ha saputo ben rappresentare. Poi lui stesso, da ultimo, è scivolato nel populismo zarista…

In questo senso il suo grande avversario è Tolstoj. L’autore di Guerra e pace era per il disarmo. Era un uomo molto tormentato. Si sentiva in colpa per il fatto di essere un grande proprietario terriero. Se c’è un autore che oggi la Russia non riesce a guardare negli occhi, direi che quello è Tolstoj, proprio perché era un pacifista.

Anche rileggere La Russia di Putin di Anna Politkovskaja, ma anche Stalingrado di Vasilij Grossman che ora Adelphi pubblica fa capire molto della Russia di ieri e di oggi?

Sicuramente. Grossman è un autore davvero da riscoprire. È un grande scrittore del Novecento ma viene poco canonizzato. Invece Vita e destino e Stalingrado sono grandi romanzi. Però ci sono anche scrittori del presente, una è certamente Anna Politkovskaja. Ma faccio anche un altro esempio: due o tre anni fa abbiamo avuto ospite al Salone Masha Gessen, autrice de Il futuro è storia (Sellerio). Ha scritto molti libri sulla transizione russa, sul passaggio dall’Urss alla Russia di Putin. Dai suoi libri era già chiaro che la Russia era (ed è) un Paese con il quale fare meno affari possibile, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista politico. Come europei stiamo raccogliendo la tempesta che abbiamo seminato. Noi italiani in particolare. Mezza classe politica era amica di Putin e ora non gli rispondono più al telefono. Londra è stata venduta agli oligarchi. Non è solo la questione del Chelsea, la squadra che fu acquistata da Abramovich. La borsa di Londra ha fatto felici i russi e gli ‘ndranghestisti. Ora, improvvisamente, il premier britannico Johnson diventa il più grande avversario di Putin, dopo avergli aperto tutti i cancelli. Che la Russia fosse un Paese molto pericoloso lo dovevamo sapere da tempo, è curioso che ci sia voluta l’invasione dell’Ucraina per scoprirlo.

Dalla Russia, chi poteva, è fuggito dopo l’inizio  del conflitto. 

Ho un caro amico che abitava in Russia, ci conoscevamo fin da piccoli, si è innamorato della letteratura russa, è andato là a studiarla, lavorava nell’arte contemporanea ma è scappato 15 giorni dopo l’invasione. Mi ha detto “guarda noi abbiamo visto in 20 giorni la trasformazione di uno Stato autoritario in uno Stato di polizia. Quando abbiamo visto i nostri amici interrogati dalla polizia per un post su Facebook abbiamo pensato che dovevamo scappare”. Parliamo di uno Stato di polizia in cui i giornalisti vengono ammazzati per omaggiare il capo il giorno del suo compleanno, è il caso di Anna Politkovskaja.

Una parte dei nostri intellettuali e dell’opinione pubblica, invece,  fatica a sganciarsi dalla Russia?

Se tu hai avuto un rapporto così stretto negli ultimi 20 anni diventa difficile… Ma che quello fosse un governo a dir poco problematico dovevamo capirlo. D’accordo c’era interazione economica, ma ciò non implica che ci sia la pace, le sanzioni non stanno funzionando, altrimenti si sarebbe già fermato tutto.

Al Salone ci sarà anche Luciano Canfora che esprime un punto di vista diverso…

Canfora parlerà di storia antica. Ma probabilmente parlerà anche di altro. Ovviamente visto quello che sto dicendo non sono affatto d’accordo con lui sulla Russia. Il fatto di minimizzare così tanto non mi corrisponde. Questo non significa che Canfora non possa venire al Salone a dire la sua, la democrazia è questa. Ma anche io posso dire che, per me, ha preso una cantonata.

Dopo il caso della Bicocca, anche il Premio Strega  ha ostracizzato giurati russi per poi fare un passo indietro. Cui prodest? Attraverso la demonizzazione di un intero popolo non si arriva alla pace. Prima o poi dovremo riuscire a costruire un dialogo con i russi o no?

Tanto è vero che il 21 maggio sarà al Salone un autore russo che è anche candidato al Premio Strega Europeo, Mikhail Shishkin, per il libro Punto di fuga edito da 21 lettere. Al Salone la cultura russa è ben accetta, ma non ci sono delegazioni ufficiali russe. Dopodiché, se posso dire, casi come quello della Bicocca sono stati eclatanti ma isolati. Dall’altra parte della nuova cortina di ferro è il contrario: ci possono essere tre o quattro casi che sfuggono alla censura che ne colpisce diecimila. Lo so, non si può dire, ma noi abbiamo un sistema democratico per cui al 90 per cento dei casi le idee hanno libera circolazione, è un sistema più evoluto, più civile rispetto a un sistema in cui questo non è possibile. In Italia non c’è la censura, ci può essere un caso isolato, ma il nostro è un Paese libero e la Russia non lo è. È preferibile? Non direi, tanto che in molti vogliono venire qua e nessuno vuole andare in Russia, ci sarà pure un motivo.

Tanti scienziati, documentaristi e artisti russi si sono espressi coraggiosamente contro la guerra di Putin, rischiando. Abbiamo raccolto molte testimonianze nel libro L’arte di costruire la pace. Dobbiamo il più possibile dar loro voce? 

È giusto fare da megafono ai dissidenti russi. Shishkin parla al Salone da dissidente, gli diamo volentieri spazio. Come accadeva durante la Guerra fredda, in molti scappavano e trovavano asilo in Europa e trovavano qua la libertà per continuare a fare le loro battaglie. In Italia i dissidenti non esistono, perché non c’è una dittatura, chi ha idee contrarie le va a dire in tv, al Senato ecc. E questo certifica anche la maturità della nostra democrazia.


Mi sembra una…

L’intervista prosegue su Left del 20 maggio 2022 

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Francesca Albanese (Onu): L’omicidio di Shireen Abu Akleh è un potenziale crimine di guerra

A mural of slain of Al Jazeera journalist Shireen Abu Akleh adorns a wall, in Gaza City, Sunday, May 15, 2022. Abu Akleh was shot and killed while covering an Israeli raid in the occupied West Bank town of Jenin on May 11, 2022. (AP Photo/Adel Hana)

Esperta in diritto internazionale e accademica, già legale per alcuni anni per l’Unrwa (l’agenzia Onu per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente), Francesca Albanese dall’1 maggio è relatrice speciale per le Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nel Territori palestinesi occupati da Israele dal 1967.

Francesca Albanese, innanzitutto cosa pensa dell’uccisione della giornalista Shireen Abu Akleh avvenuta l’11 maggio a Jenin?
La tragica morte di Shireen Abu Akleh è l’ennesimo grave attacco al giornalismo, alla libertà di espressione e al diritto alla vita e alla sicurezza nel territorio palestinese occupato. Getta una luce sul clima di violenza e insicurezza generalizzato, dove attacchi e uso della forza letale contro giornalisti e organizzazioni dei media sono in corso da molto tempo. Decine di persone sono state uccise, centinaia ferite o mutilate.

La propaganda israeliana come in altre occasioni cerca di seminare dubbi su chi ha ucciso la giornalista?
La sua uccisione costituisce una grave violazione del diritto internazionale umanitario e potenzialmente un crimine di guerra ai sensi dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale. L’omicidio di Shireen Abu Akhleh deve essere indagato a fondo in modo trasparente, rigoroso e indipendente. Le autorità israeliane dovranno collaborare alle indagini se la loro volontà di garantire giustizia è genuina. E chiunque abbia sparato il proiettile che l’ha uccisa, deve essere assicurato alla giustizia e ritenuto responsabile. E dato che adesso c’è attenzione sulla Palestina, come raramente accade, è il momento giusto per chiedere che l’occupazione illegale della Palestina sia smantellata: questo è il passo necessario per porre fine alla violenza nella Palestina occupata.

Dall’1 maggio lei è relatrice speciale per le Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati. Quando e come è maturato il suo interesse per la Palestina e quali ostacoli ha incontrato?
La mia conoscenza della questione palestinese ha…

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Andrea Filippi (Fp Cgil medici): Pronto soccorso in crisi, l’emergenza di un’emergenza

Circa 600 medici dell’emergenza e urgenza da gennaio a oggi hanno deciso di dimettersi dai pronto soccorso in cui prestavano servizio. La Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza (Simeu) ha calcolato che di questo passo ci saranno 5mila unità in meno entro la fine del 2022. Uno scenario davvero preoccupante considerando che già ora in Italia mancano 4.200 tra medici e personale infermieristico da impiegare nei pronto soccorso. Come riportano le agenzie, la situazione più grave si è verificata negli ultimi giorni al Cardarelli di Napoli e al San Camillo di Roma, con pazienti abbandonati sulle barelle nei corridoi in attesa di essere visitati. Ma, sempre restando nella Capitale, anche il Sant’Andrea, l’Umberto I, il Gemelli, il Pertini e il San Giovanni lamentano difficoltà e non dissimile è la situazione nel resto d’Italia. Strutture inadeguate, aumento di accessi di cittadini con traumatologia minore o con problemi di carattere sociale, infortuni sul lavoro o stradali non gravi sono tra i fattori che determinano il sovraffollamento. Una situazione che è esplosa con l’attenuarsi della morsa pandemica ma che affonda le sue radici lontano nel tempo, ben prima che il Covid-19 entrasse di prepotenza nelle nostre vite. Quali le cause e quali le possibili soluzioni? Ne parliamo con Andrea Filippi, medico psichiatra e segretario nazionale Fp Cgil medici e dirigenti Ssn.

Da cosa dipende questa situazione allarmante nei pronto soccorso?
C’è stato sicuramente un errore di programmazione dei contratti di formazione specialistica. Ostinatamente, fino al 2018, sono stati tenuti fermi a 6.800 nuove unità annue e una pandemia, non il ministro, ha fatto capire che di posti strutturali/anno ne servivano almeno 13mila. Cioè quasi il doppio. Solo che per formare i medici ci vogliono 5 anni, quindi adesso siamo drammaticamente in ritardo e i medici non ci sono.

E quelli che ci sono, a quanto pare, se ne vogliono andare…
Un’organizzazione dei servizi incentrata tutta sull’ospedale crea un…

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Gli atenei portano Putin alla sbarra

09 May 2022, Bavaria, Munich: Demonstrators carrying a doll with the image of Russian President Putin and the inscription "Putin to the Hague - Putin to Court" protest at Odeonsplatz against a pro-Russian demonstration to commemorate the "Victory Day" at the end of World War II. The International Court of Justice, which punishes war crimes, is based in The Hague in the Netherlands. Photo by: Peter Kneffel/picture-alliance/dpa/AP Images

Una task force internazionale per studiare il diritto ucraino e internazionale con lo scopo di garantire la protezione dei civili e la persecuzione dei crimini di guerra in Ucraina. È il progetto che ha coinvolto il mondo giuridico e accademico – docenti e ricercatori, giudici e giuristi dall’Italia all’Ucraina, dall’Europa agli Stati Uniti – su iniziativa dell’Universities network for children in armed conflict (Unetchac) a partire da metà aprile. Oggi è in piena attività. Tra i suoi ispiratori c’è anche Laura Guercio: avvocata alla Corte penale internazionale, docente all’Università di Perugia, componente del Consiglio della European law institute.

«Dall’inizio del conflitto ci siamo resi conto di come il mondo accademico non possa restare estraneo – dice a Left l’avvocata -. Svolgiamo un lavoro di ricerca per contribuire a far chiarezza sugli aspetti tecnici e giuridici finora emersi. Il rischio è che si possano confondere i diversi elementi interessati, che siano essi giuridici e politici. Questo non aiuta nella definizione del quadro entro cui muoversi, in una guerra che non è come le altre per molte ragioni: insiste sul sistema delle relazioni internazionali e, dopo tre anni di pandemia, ha messo in luce la vulnerabilità europea abituata egoisticamente a conflitti che riguardano altri angoli del pianeta».

In questo contesto le Università provano a misurarsi sul terreno dell’analisi dei meccanismi nazionali e internazionali che portino ad…

L’articolo prosegue su Left del 20 maggio 2022 

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