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I bus per i negri

Sembra una storia piccola, di provincia, che non meriterebbe nemmeno un commento e invece è la fotografia di qualcosa che si spande, che ogni giorno diventa sempre più normale, che addirittura non scandalizza e trova perfino consenso.

L’Alabama del secolo scorso si è trasferito in Val Brembana, amena valle nella provincia bergamasca, qui una folta truppa di leghisti ha deciso di andare in spedizione, con la scanzonata andatura di un’armata Brancaleone e con musichetta comica al seguito, dal Prefetto di Bergamo Enirco Ricci. Per dare peso all’importanza e alla sostanza della richiesta hanno pensato bene di partecipare anche due parlamentari della Lega, Daniele Belotti e Alberto Ribolla, tanto per farci capire che non si tratta di un inciampo di qualche piccolo e sconosciuto amministratore locale ma qui siamo di fronte a un’ideologia di partito che viene sfoggiata pure con una certa fierezza.

La combriccola ha chiesto al Prefetto di Bergamo che i “richiedenti asilo” (chiamati proprio così nel messaggio ufficiale, virgolettati come si virgolettano i diversi) prendano i mezzi pubblici in orari diversi rispetto agli studenti del mattino e forse, ancora meglio, che venga predisposto un servizio di trasporto appositamente per loro. Il bus per i bambini bianchi e il bus per i negri.

Il bravo Matteo Pucciarelli di Repubblica, che ha raccontato la vicenda, riporta anche le parole del dirigente locale della Lega, tal Enzo Galizzi che dice testualmente che i migranti “spintonando e sgomitando” e “vista la loro stazza”, “occupano tutti i posti disponibili” non permettendo agli studenti di rientrare a casa.

Nella richiesta, se ci pensate bene, c’è tutta l’inversione della propaganda leghista: piuttosto che brigare e lavorare per chiedere un servizio pubblico più efficiente (di cui è proprio la Lega la responsabile politica, da quelle parti) si preferisce agire per sottrazione ovviamente schiacciando il piede sulla xenofobia. E così, in nome di un’oggettiva difficoltà (quello del trasporto pubblico, segnatelo, sarà uno dei grandi problemi del rientro al lavoro) si riesce ancora una volta a dare sfogo alle proprie bassezze.

Del resto il leader attuale della Lega era lo stesso ridicolo consigliere comunale a Milano che nel 2009 propose di istituire delle carrozze della metropolitana solo per i milanesi per evitare contaminazioni con gli stranieri. Ai tempi quel giovane provocatore Matteo Salvini venne preso come un innocuo agitatore di proposte improbabili. Poi è andata a finire come sta finendo.

Buon lunedì.

Giuseppe Ippolito: Vaccino anti-Covid, dobbiamo far presto ma è prioritario far bene

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse 03-02-2020 Roma Politica Le ricercatrici dell'Istituto Spallanzani che hanno isolato il Corona Virus vengono ricevute in Regione Lazio Nella foto Emanuele Nicastri, Francesca Colavita, Concetta Castilletti, Maria Rosaria Capobianchi, Giuseppe Ippolito, Nicola Zingaretti, Li Junhua Photo Fabio Cimaglia / LaPresse 03-02-2020 Rome (Italy) Politic The researchers of the Spallanzani Institute who isolated the Corona Virus received in the Lazio Region In the pic Emanuele Nicastri, Francesca Colavita, Concetta Castilletti, Maria Rosaria Capobianchi, Giuseppe Ippolito, Nicola Zingaretti, Li Junhua

«Tra sei mesi avremo i risultati della prima fase di sperimentazione del vaccino testato allo Spallanzani». Il direttore scientifico dell’Istituto nazionale di malattie infettive di Roma, Giuseppe Ippolito, fa il punto con Left sulle ricerche mediche in atto finalizzate a debellare una volta per tutte il nuovo coronavirus. E ammonisce sui rischi di bruciare le tappe, a discapito della sicurezza delle terapie.

All’Istituto Spallanzani di Roma è partita la Fase 1 della sperimentazione del vaccino sviluppato da ReiThera. Cosa si scoprirà e quanto dureranno complessivamente  i test?
La prima cosa che deve accertare la Fase 1 della sperimentazione, che è iniziata il 24 agosto presso il nostro Istituto, è la sicurezza del preparato vaccinale. Il vaccino, ricordiamolo, è l’unica medicina che si somministra alle persone sane, quindi la prima certezza che dobbiamo avere è che non provochi effetti avversi significativi. I test di questa prima fase devono inoltre verificare l’immunogenicità, ovvero la capacità del preparato vaccinale di indurre una risposta immunitaria nei volontari. I novanta volontari sono stati suddivisi per gruppi per età e per concentrazione della dose somministrata, in modo da capire quale è il trade-off ottimale tra l’efficacia e la sicurezza del preparato. La durata di questa Fase 1 è di 24 settimane, ma nel frattempo stiamo già iniziando a pianificare le Fasi 2 e 3, nelle quali ci sarà un maggior numero di volontari sottoposti all’inoculazione e ci si concentrerà maggiormente sulla capacità protettiva del virus nei confronti dell’infezione e/o della malattia che essa causa.

Nel mondo si stanno testando molti altri vaccini, alcuni dei quali, stando agli annunci, sarebbero giunti alle fasi finali di sperimentazione. Quali sono i più promettenti e quando potrebbe entrare in commercio uno effettivamente valido? Dobbiamo fidarci di quel che dicono Russia e Cina?
Al momento i candidati vaccini più avanti sono quelli già arrivati in Fase 3: Oxford-AstraZeneca e…

L’intervista prosegue su Left del 4-10 settembre

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Sono lager ma li chiamano hotspot

LAMPEDUSA, ITALY - APRIL 23: Migrant men wait to board a ship bound for Sicily on April 23, 2015 in Lampedusa, Italy. It is expected that EU leaders in Brussels are to agree later that only 5,000 resettlement places across Europe are to be offered to refugees under a new emergency summit crisis package. Hundreds of migrants continue to arrive in Lampedusa from North Africa taking advantage of calm seas. Hundreds of migrants are believed to have perished over the last week as they attempted to cross the Mediterranean from Libya to Italy in order to seek refuge. (Photo by Dan Kitwood/Getty Images)

Con un’ordinanza priva di valore giuridico, con cui il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci, in nome della “salute pubblica” il 24 agosto si è arrogato il diritto di chiudere hotspot e centri di accoglienza per migranti, di impedire sbarchi e di far trasferire in altra regione i già accolti, si oltrepassa l’idea di stato di diritto. Non contano i dati: da giugno a fine agosto (dati del Viminale) dei 6.731 tamponi fatti a migranti per il Covid-19, il 3,98% è risultato positivo, col virus preso o nel viaggio o durante l’attesa forzata prima del rilevamento. In una regione ad alto tasso turistico, si fanno lo stesso 24 agosto, solo 2.634 tamponi. Fra i 24 positivi nessun migrante.

I pochi casi rilevati nelle settimane precedenti e la fuga di chi non vuole restare nei centri, sono stati il volano per una pesante campagna di odio. L’arrivo delle navi quarantena è stato osteggiato non solo dalla giunta di centro-destra ma anche da amministratori comunali di M5s e del Pd. Il presidente della Regione, nel rendere pubblica l’ordinanza si è appellato al fatto che «i siciliani non sono razzisti, ma che se il peso dell’immigrazione grava sempre sull’isola i problemi sono inevitabili». Ed ha anche parlato di «persone da accogliere in condizioni migliori». Una situazione pesante si respira a Lampedusa in cui la capienza dell’hotspot è ridotta e c’è un sovraffollamento tale che impedisce qualsiasi forma di precauzione per il Covid.
Dopo le prese di posizione del Viminale è intervenuto il 27 agosto il Tar Sicilia dichiarando, con una articolata motivazione, illegittima l’ordinanza.

Ma Musumeci ha totalmente torto? Alcuni problemi che il presidente solleva, anche per evitare che ci si soffermi su altre e ben più gravi criticità dell’isola, vanno affrontati. A luglio si è registrato un picco di arrivi, circa 7mila, provenienti soprattutto in maniera autonoma dalla Tunisia, meno ne sono giunti ad agosto. Sono 4.086 le persone – dati del Viminale – che sono state trasferite fuori dalla Sicilia, altri sono nelle navi quarantena. Tutti gli arrivati hanno fatto il tampone, cosa che non è accaduta per i turisti. Nell’isola, come nel resto del Paese, non c’è una “invasione” e anzi fra trasferimenti, rimpatri, ripresi dal 10 agosto, e allontanamenti volontari, sono pochi i…

L’articolo prosegue su Left del 4-10 settembre

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L’antinfluenzale protegge bambini, nonni e scuole

L’influenza è una malattia virale, stagionale e nel nostro emisfero si presenta in autunno-inverno. Come ogni virus la sua trasmissione è facilitata da condizioni di affollamento. Quest’anno è noto a tutti che dovremo affrontare non solo l’influenza ma anche il Covid-19. Due patologie che danno una sintomatologia respiratoria del tutto simile (febbre, tosse, rinorrea, faringodinia, disturbi gastroenterici). È quindi impossibile distinguerle clinicamente. Poiché il vaccino per il Covid-19 è in fase di studio e non sarà disponibile nell’immediato, è necessario vaccinare per l’influenza gran parte della popolazione a partire dai più piccoli (0-5 anni), che rappresentano un elevato serbatoio di diffusione della malattia. Un bambino si ammala dieci volte di più di un anziano, e cinque volte di più rispetto ad un adulto.

Le coperture vaccinali dovranno raggiungere la soglia del 75-95% per ridurre la circolazione del virus. Si avrebbe così un doppio vantaggio, proteggere gran parte della popolazione, in particolare gli anziani, a maggior rischio di complicanze e di letalità, e a fronte di una sintomatologia respiratoria orientarsi più facilmente su una eventuale diagnosi di Covid. 

Il vaccino anti-influenzale si ottiene con un procedimento di inattivazione del virus naturale, è quindi un vaccino sicuro. Gli antigeni di superficie del virus influenzale vanno incontro a cambiamenti continui. Alcuni sono minimi, infatti la popolazione continua a mantenere una parziale immunità conferita dai virus degli anni precedenti. Altre volte, invece, le mutazioni sono tali che trovano la popolazione immunologicamente impreparata; possono anche emergere ceppi di virus più virulenti. Questo è il motivo per cui ogni anno l’Oms stabilisce le nuove caratteristiche del vaccino che dovrà essere utilizzato a livello mondiale.

La copertura vaccinale estesa a tutta l’infanzia, dai sei mesi di vita e non solo alle categorie a rischio, garantirebbe la…

*-*

L’autrice: Silva Stella, pediatra e psicologo clinico, è responsabile medicina preventiva età evolutiva Asl Roma 6

L’articolo prosegue su Left del 4-10 settembre

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Nessuno resti indietro, tranne i no vax

Non molti, forse, alle nostre latitudini ricordano che il 24 ottobre di ogni anno si celebra il World polio day, un evento che presso la comunità medico-scientifica internazionale è anche l’occasione per fare il punto sullo stato di eradicazione dalle aree del Pianeta in cui è ancora presente questa malattia virale infettiva che colpisce il sistema nervoso centrale e provoca paralisi e deformazioni. Dal lancio dell’iniziativa nel 1988, il numero di casi è sceso di oltre il 99 per cento ed è stato stimato che oltre 5 milioni di persone sono scampate alla forma paralitica della patologia. Il 24 ottobre prossimo ci sarà un motivo in più per celebrare il Wpd. Il 25 agosto il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato l’Africa libera dalla poliomielite. Questo storico traguardo fa sì che circa il 90% della popolazione mondiale sia ora polio-free (resta endemica in due soli Paesi, il Pakistan e l’Afghanistan) e conferma che l’impegno della comunità internazionale e la collaborazione tra nazioni diverse può sconfiggere la trasmissione di alcuni virus. Secondo l’Africa regional certification commission (organismo indipendente a cui l’Oms nel 1998 ha affidato il compito di supervisionare e verificare le attività di eradicazione della malattia), la “vittoria” sulla polio nel grande continente è dovuta alle campagne di vaccinazione che hanno permesso di ottenere una copertura vaccinale nella popolazione superiore al 95%.

Va detto però che fino a quando anche un solo bambino verrà infettato dal virus tutti i bambini del mondo saranno a rischio. I poliovirus, infatti, sono facilmente esportabili da un Paese a un altro e si diffondono rapidamente in popolazioni non immunizzate. Basti pensare all’epidemia che tra il 2003 e il 2007 dalla Nigeria si è propagata in una ventina di Paesi africani. Per la poliomielite non esiste una cura, l’unico strumento di contrasto è la vaccinazione. I due vaccini in uso sono il Salk e il Sabin, quest’ultimo è meno costoso e dunque più diffuso nei Paesi poveri. Nel 2007 l’Oms ha rilevato che gran parte dei Paesi più ricchi erano passati definitivamente al Salk perché, in occasioni molto rare (circa un caso ogni 750mila), il virus attenuato in Opv (Sabin) muta e torna in una forma che può portare a paralisi. In Italia l’antipolio è obbligatoria dal 1966 e l’ultimo caso endemico di polio si è verificato nel 1982. Nel 1994 l’Oms ha dichiarato scomparso in natura il virus della poliomielite in Occidente. Come leggerete nello sfoglio di copertina – grazie ai contributi e gli interventi, tra gli altri, di Giuseppe Ippolito, David Quammen, Marc Botenga e Quinto Tozzi – siamo nel pieno della corsa contro il tempo per produrre un vaccino efficace contro il Covid-19. Il tempo, abbiamo visto nel caso della poliomielite, in presenza di un’epidemia può far la differenza tra una vita in salute e una terribile malattia. Quello che da noi è scomparso nel 1982, altrove è stato eradicato una settimana fa. Chiaramente, oltre al tempo, ha inciso anche un altro fattore che è legato allo sviluppo socio-economico-culturale dei diversi Paesi e all’esistenza di un sistema sanitario efficace in grado di garantire la copertura vaccinale necessaria per ottenere l’immunità di gregge. In poche parole, anche la ricchezza fa la differenza. Il punto è che non deve più fare la differenza. L’auspicio è che nel caso del Covid non esca fuori un vaccino “a due velocità” e che non vi sia discriminazione di sorta al momento della sua commercializzazione. Vorrebbe dire che la “lezione” della Sars-cov2 ma anche della polio è stata in qualche modo recepita: una pandemia colpisce tutti, da una pandemia si esce tutti insieme. Nessuno resti indietro.

Chi non accetta lezioni di nessun genere, se ne frega e tira dritto sono i no vax e i no mask, insomma i negazionisti del Covid. Oggi, sulla scia di quanto accaduto a Berlino, Londra e qualche altra città europea, ce li ritroviamo in piazza senza maschera e senza rispettare il distanziamento sociale per dimostrare, dicono loro, che la pandemia è «una truffa, «un’invenzione del regime» e un complotto per limitare una non meglio precisata «libertà». Come se i morti della bergamasca o nelle Rsa non siano un dato di fatto e come se infettarsi e rischiare di contagiare e di far morire delle persone fosse una libertà. A Berlino allegramente ammucchiati c’erano neonazisti, terrapiattisti e omeopati. Qui da noi si riuniscono a Roma il 5 settembre alla Bocca della verità (la “verità” secondo il metodo Goebbels?) movimenti come Forza nuova oltre ad associazioni e onlus no vax tra cui l’agguerritissimo Popolo delle mamme (a loro dire) informate. Ma non solo. Dovrebbe essere anche il debutto in piazza per il neonato Movimento3v, dove le tre V stanno per “Vaccini vogliamo verità”. Tra le priorità del M3v (che si presenta alle regionali del 20-21 settembre) c’è quella di «garantire la libertà di cura, abolendo ogni obbligo di trattamento sanitario a partire da quello vaccinale». Quindi a piazza del Popolo gli adepti M3v saranno in buona (si fa per dire) compagnia, considerando che ha dato la sua adesione all’iniziativa anche Vittorio Sgarbi che di recente si è fatto notare nella sua veste di sindaco di Sutri per aver annunciato multe a chi indossa le mascherina protettiva «se non è necessario». Pare che non mancheranno il filosofo Diego Fusaro e Alessandro Meluzzi, mentre il cantante Povia ha smentito categoricamente le voci che lo indicano in piazza. Infine c’è chi segnala la presenza di monsignor Carlo Maria Viganò. L’arcivescovo è un trumpiano doc quindi la cosa ci può stare. Ovviamente ci auguriamo, in ottica di salute pubblica, che alla fine prevalga il buon senso e che nessuno degli “scettici” si prenda… la prostatite come è accaduto a Briatore, ma sorge lo stesso spontanea la domanda: se qualcuno nel 1966 si fosse azzardato a dire che la polio non esiste e l’antipolio è una truffa, che fine avrebbe fatto?

L’editoriale è tratto da Left del 4-10 settembre

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Là, tra gli alberi, la città è salva

Rome historical center cityscape and pine trees, Italy

«Giocano i bimbi nella pineta di villa Borghese: ballano a girotondo … s’inebriano di strilli come rondini a sera, e sciamano via. Improvvisamente la scena si tramuta … alba nebbiosa sulla via Appia. La campagna tragica è vigilata da pini solitari…». Così scrisse Ottorino Respighi per illustrare con parole il primo e il quarto quadro nei quali ancora oggi la sua musica de I pini di Roma ci fa immergere emozionalmente in una realtà già scomparsa.
Con un altro linguaggio lo stesso racconto si ritrova negli olii e nei pastelli che Giacomo Balla, prima di diventare Futurballa, dipinse dal balcone del suo appartamento all’estremità del parco romano.
Sono sempre i pini i testimoni silenziosi presenti nei versi di Pasolini in “Picasso”, «…e il fresco buio che le solca dai prorompenti pini di villa Borghese…».
Ancora, altra generazione, Antonello Venditti canta di quattro ragazzi la notte prima degli esami: «Come pini di Roma, la vita non li spezza…».

Stiamo parlando del pinus pulcherrima di Virgilio, già messo a dimora dagli Etruschi e raffigurato negli affreschi della villa di Livia a Prima Porta. L’immenso auditorium di una sterminata orchestra sinfonica composta da una miriade di uccelli di diverse specie.
Questi pini “sono” Roma. Ora incombe il rischio che tra poco dovremo dire “erano”.
Devastante, infatti, è l’attività con la quale la cocciniglia tartaruga (Tourneyella parvicornis) sta “democraticamente” uccidendo i pini romani dovunque si trovino, da quelle stesse via Appia Antica e villa Borghese a San Basilio o a Mostacciano. Dimostrando, con la velocità esponenziale dell’apparato boccale pungente/succhiante, di essere “tartaruga” solo di nome.
Ma lei – anche se odiosa e criminale – si limita semplicemente ad agire come madre natura l’ha programmata con una missione biologica assassina da assolvere.
Il vero nemico, o meglio, i veri nemici dei pini, sono i direttori dei dipartimenti preposti regionali e comunali, gli assessori all’Ambiente regionali, comunali e municipali, la sindaca Raggi, il presidente Zingaretti, tanto per limitarci a qualche esempio. Salendo di livello e pensando in grande, il ministero dell’Ambiente ma non solo.
A fronte del …

*-*

L’autore: Paolo Salonia, architetto, è dirigente di ricerca associato all’Istituto di Scienze del patrimonio culturale del Cnr

L’articolo prosegue su Left del 4-10 settembre

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Il vaccino è di tutti, non di chi arriva primo

Il vaccino è un bene comune. Deve essere un bene pubblico e globale. Come è giusto che sia. Senza se e senza ma. Sappiamo anche che per avere un vaccino per il Covid dobbiamo aspettare ancora, forse, ben oltre la primavera del 2021. Perché devono essere rispettate tutte le fasi della ricerca, della sperimentazione e i controlli che riguardano la messa in commercio. Checché ne dica Trump che vorrebbe bruciare le tappe in nome del profitto di pochi e della propaganda elettorale, infischiandosene della salute pubblica. Come del resto ha già fatto anche propalando pericolose fake news come l’efficacia di iniezioni di idrossiclorochina. Insieme a quella altrettanto negazionista di Bolsonaro, quella di Trump è stata fin qui la peggiore gestione della pandemia. Negli Usa è stata già stata superata la soglia dei 200mila morti. In assenza di un sistema sanitario pubblico il Covid ha colpito soprattutto le fasce più fragili, in particolare gli afroamericani che, dopo l’uccisione di George Floyd e di altri neri per mano di poliziotti, continuano a riversarsi nelle strade al grido Black lives matter in un crescendo di protesta antirazzista e sociale come scrive nel suo reportage Alessia Gasparini.

Anche Putin ha proclamato di avere già a disposizione un vaccino. Lo ha detto sul far di ferragosto poco prima che giungesse la notizia del “malore” del suo oppositore Navalny, un caso che ci ha riportato alla memoria quello di Aleksandr Litvinenko morto dopo che gli era stato servito un tè al polonio. In questo quadro la Cina, dopo essere stata additata come Paese untore, affila le armi del proprio soft power cercando di trasformare la Via della seta, in una via per l’egemonia sanitaria.
Certo, il Paese che la spunterà per primo sul piano dei vaccini avrà immensi poteri sullo scenario globale. La sfida è aperta. E tanto più, in questo quadro internazionale come cittadini dobbiamo riuscire a far sentire la nostra voce; dobbiamo usare tutti gli strumenti democratici per esigere trasparenza ed esercitare un controllo pubblico. Tutti devono poter accedere alla conoscenza che fa piazza pulita delle velenose fandonie messe in giro da negazionisti e no vax (che, dopo Berlino e Londra il 5 settembre marciano su Roma).Nessuno deve restare indietro rispetto alla possibilità di accesso alla diagnostica, alle terapie e ai vaccini, come si legge nell’appello Right2cure rivolto alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e promosso dal parlamentare europeo Marc Botenga, qui intervistato.

La commissaria Ue alla Salute, Stella Kyriakides, ha annunciato che l’Europa ha già prenotato milioni di dosi di vaccino. Se questa certamente è una buona notizia, di per sé, però, non basta. La pandemia è un fenomeno globale. Non ci devono essere Paesi di serie A che, forti di un potere economico, cercano di accaparrarsi dosi e brevetti (come aveva tentato di fare Trump ottenendo un effetto boomerang) e Paesi di serie B che restano ai margini. Purtroppo è già accaduto e continua ad accadere. Se la polio è stata debellata nel 1994 in Europa, solo oggi è stata sconfitta in Africa (su questo, l’approfondimento di Tulli). Le scoperte scientifiche sono sempre frutto di gruppi di ricerca internazionali e i risultati per quanto ci sia chi tenta di tenerli segreti o di privatizzarli, prima o poi diventano patrimonio dell’umanità. L’obiettivo oggi è fare sì che non ci sia un prima e un poi.
Dal canto suo il professor Giuseppe Ippolito ci racconta che in questa corsa al vaccino l’Italia ha in questo momento una posizione d’avanguardia, ma questo non significa che giochiamo in solitaria. «Il vaccino deve essere messo a disposizione di tutti», ribadisce il direttore scientifico dell’ospedale Spallanzani, intervistato da Filippi. «Avere un vaccino creato, sperimentato e prodotto nel nostro Paese, mette l’Italia maggiormente al riparo dai rischi di un “sovranismo vaccinale”, che si sta affermando in molte nazioni, e di una nuova guerra fredda nella quale le sfere di influenza sembrano definirsi anche con la concessione o la negazione di supporti sanitari, medicinali e vaccini».

Ma non possiamo accontentarci di questo. La fase delicata che stiamo attraversando richiede una assunzione collettiva di responsabilità, avverte l’autore di Spillover David Quammen intervistato da Damilano. Assunzione di responsabilità significa anche sottoporsi ai vaccini antinfluenzali. «Ottenere un buon tasso di vaccinazione anti-influenzale permetterebbe di avere una popolazione scolastica più protetta e le strutture territoriali potrebbero concentrarsi più attivamente sul Covid» scrive la pediatra Silva Stella. Per una maggiore protezione, individuale e collettiva.

L’editoriale è tratto da Left del 4-10 settembre

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Caro Fassina, che errore il Sì al referendum

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 16-04-2020 Roma Politica Camera dei Deputati - Informativa urgente del ministro del Lavoro Nunzia Catalfo su misure contro l'emergenza Covid-19 Nella foto Stefano Fassina Photo Roberto Monaldo / LaPresse 16-04-2020 Rome (Italy) Chamber of Deputies - Government's report on measures against the Covid-19 epidemiological emergency In the pic Stefano Fassina

Lo scrivo con grande rincrescimento. Non capisco la presa di posizione di Stefano Fassina a favore del Sì al prossimo referendum sul taglio dei parlamentari. Quella modifica alla Costituzione votata in quarta lettura anche da Pd e Leu, senza alcuna garanzia effettiva sulla legge elettorale e sulle modifiche ai regolamenti parlamentari, è apparsa subito come un cedimento al ricatto del Movimento 5 stelle, che, nel momento di massima difficoltà, aveva bisogno di sbandierare di fronte al suo elettorato in crisi l’insulsa fotografia del Di Maio con le forbici, che taglia le “ poltrone” disegnate su un grande striscione steso davanti al Parlamento. Un’ultima tirata di canna per illudere gli elettori delusi dai tanti voltafaccia e dal degrado opportunistico dei loro eletti, che era ancora possibile respirare la nuvola di hashish dei vaffa di un tempo.

In verità in questo referendum l’unico motore attivo è ancora l’istinto antiparlamentare e antidemocratico, la lotta alla “casta”, nella peggiore accezione dell’antipolitica, alimentata da quelle caste vere che dai media e dai centri economici hanno teso per anni a svuotare i poteri politici democratici e nazionali. Queste cose le denuncia anche Fassina nel suo articolo (sull’Huffington Post del 26 agosto, ndr), quando parla di crisi di efficacia della democrazia svuotata dalle politiche neoliberiste, ma proprio per questo non si vedono le ragioni per dare un altro colpo al prestigio del Parlamento, sperando…

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L’autore: Già presidente della Regione Emilia Romagna e parlamentare eletto in cinque legislature, nel 2017 Lanfranco Turci è entrato a far parte del comitato promotore di Sinistra italiana 

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Perché No

ROME, ITALY - JULY 01: An Italian Deputy wearing a protective mask attends the weekly question time session at the Camera dei Deputati (Chamber of Deputies) on July 1, 2020 in Rome, Italy. The Prime Minister Giuseppe Conte answers the traditional question time at the Chamber of Deputies on issues of internal politics, ESM (European Stability Mechanism) and post Covid-19 (Coronavirus) measures. (Photo by Antonio Masiello/Getty Images)

Quello per un referendum costituzionale non è un voto come tutti gli altri. Non lo è in particolare quando si vanno a toccare l’impianto istituzionale e democratico del Paese, le regole che definiscono la rappresentanza e l’effettiva partecipazione delle cittadine e dei cittadini alla vita politica e a decisioni che riguardano il loro futuro.
Anche per questo, trasformarlo in un banco di prova per il governo o un passaggio per ridefinire equilibri di potere interni a un partito o a una maggioranza, come si è già fatto in passato, non giova in generale all’esigenza che abbiamo di informare le persone sulla reale portata di questa decisione. Per sgombrare il campo da equivoci, penso ad ambiguità trasversali a sostenitori del Sì e del No, entrambe funzionali ad intaccare la qualità e l’utilità del confronto. Il tema dovrebbe essere semmai la tenuta della nostra democrazia, come restituire centralità a un Parlamento che ha visto il proprio ruolo indebolirsi progressivamente, come evitare una delegittimazione diretta conseguenza di una sfiducia crescente e comprensibile da parte dei cittadini, che però andrebbe ricomposta e non esasperata.

La prima ragione per cui sono contrario al taglio dei parlamentari è l’insopportabile narrazione che si lega alle ragioni del Sì: la propaganda anti-casta sul taglio delle poltrone, della democrazia che si trasforma in costo e dove i principi costituzionali vengono sacrificati sull’altare della demagogia. Dal voto contrario al Senato, nei due passaggi previsti dalla proposta di riforma, ad oggi, a guidarmi è sempre stata l’idea che a fronte di un risparmio irrisorio e di un paventato ed irrealistico efficientamento delle istituzioni, a fare le spese di una proposta di questo tipo sarebbe proprio il diritto dei cittadini ad essere rappresentati. Ne deriverebbe cioè un vulnus di rappresentanza. Quella territoriale, perché intere comunità ne verrebbero private. Ma anche quella politica, con…

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L’autore: Francesco Laforgia è senatore eletto nel 2018 nelle liste di Liberi e Uguali. Nel 2019 non rinnova l’adesione ad Articolo Uno e fonda, assieme al deputato Luca Pastorino e agli “autoconvocati di LeU”, il movimento politico èViva!.

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David Quammen: «Abbiamo urlato ma non abbastanza»

Mr. Quammen quanto peso dobbiamo dare alle notizie sull’avvio delle prime sperimentazioni sull’uomo di vaccini contro il Covid-19? Possiamo essere ottimisti?
Se da una parte possiamo essere ottimisti sul fatto che in breve tempo sarà sviluppato un vaccino, dall’altra non altrettanto a breve questo sarà disponibile all’intera comunità. Dobbiamo tenere a mente che non sarà una cura miracolosa, il nuovo coronavirus non scomparirà da un giorno all’altro e verosimilmente assisteremo a varie resistenze, sia dal punto di vista politico che religioso. Ma anche sotto un profilo scientifico. Nello scenario più cupo, anche se sarà sviluppato un antidoto, il virus potrebbe evolvere in maniera da eludere la contromisura. Dunque, a prescindere da tutto dobbiamo lavorare ancora più duramente su tutte le modalità finora collaudate per contenere la circolazione del Covid-19.

Nel suo libro Spillover del 2012 (uscito in Italia per Adelphi nel 2014) aveva “previsto” anche il luogo in cui si sarebbe sviluppata una nuova pandemia più temibile della Sars. Perché quell’avvertimento è stato ignorato?
Gli scienziati a cui ho avuto la possibilità di fare domande durante la stesura del libro avevano annunciato tutto con una sconvolgente precisione: Ci troveremo ad affrontare una pandemia nel futuro prossimo? Sì, e sarà causata da un virus. Che tipo di virus? Un’influenza o un coronavirus proveniente da un animale selvatico. Quale tra questi ha più probabilità di trasmetterlo all’uomo? Il…

L’intervista prosegue su Left del 4-10 settembre

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