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Vola solo chi osa farlo

ROME, ITALY - FEBRUARY 24: People take part in a national anti-Fascism demonstration organized by the partisans' association ANPI on February 24, 2018 in Rome, Italy. (Photo by Stefano Montesi - Corbis/Corbis via Getty Images)

«Se devo individuare una parola chiave per festeggiare la Liberazione, sceglierei la parola “Rinascere”. Allora l’Italia rinacque grazie ai partigiani, alle staffette, a tanta parte del popolo che li sosteneva e li nascondeva, ai tanti militari che preferirono l’internamento al tradimento. Sono le parole che la presidente nazionale dell’Anpi Carla Nespolo pronuncia in occasione di questa data. È un giorno di memoria di questa umanità che ci ha donato libertà e democrazia. Mai dimenticare coloro che, per il futuro del Paese, ci hanno rimesso la pelle. Ecco, rinascere è una parola fortissima, una metafora che abbiamo selezionato anche per uno dei nostri manifesti per questo 25 aprile, che richiama ad un impegno necessario in questo momento drammatico che vive il Paese. Un nostro grande amico che da poco ci ha lasciato, travolto dal virus, Luis Sepúlveda, faceva dire al gatto Zorba: “Vola solo chi osa farlo”. Noi dobbiamo osare rinascendo, e dobbiamo farlo a partire dalla Costituzione antifascista nata con la Resistenza». A condividere con noi delle lenti per osservare il valore profondo dell’anniversario della Liberazione, anche e soprattutto in tempo di pandemia, è Gianfranco Pagliarulo, vicepresidente dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi) e direttore della rivista ad essa collegata Patria indipendente.

In queste settimane peraltro, di fronte all’esplosione del contagio, l’Anpi non è rimasta a guardare: varie sezioni locali si sono attivate per la raccolta e la consegna di generi alimentari e di prima necessità alle persone più vulnerabili e per sostenere finanziariamente le realtà in prima fila nella lotta al Covid. «C’è stata una gara all’interno della nostra organizzazione per promuovere forme di solidarietà. Mentre la beneficenza si muove dall’alto verso il basso, la solidarietà è orizzontale, ed è un diritto-dovere previsto dall’articolo 2 della Costituzione», ricorda Pagliarulo. Ed è proprio lì, nella nostra Carta fondamentale, che è possibile rintracciare i binari della ripresa del nostro Paese, per una Fase due democratica e solidale.

«Per spiegarmi – prosegue il vicepresidente – coniugherei la nostra parola chiave, “Rinascere”, con alcuni termini che troviamo nella…

 

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SOMMARIO

Le fregnacce dei liberisti

Claudio Cerasa, direttore del Foglio, sabato 18 aprile ha pubblicato un articolo che s’intitola “Le fregnacce dell’anticapitalismo”. Il sottotitolo recita: «Perché la società del benessere ha agevolato, e non ostacolato, la protezione dei cittadini durante la pandemia». Nello scritto si vuole mettere in guardia il lettore dall’idea “truffaldina” che in queste settimane si è insinuata nelle menti di moltissime persone, cioè l’idea che il capitalismo sfrenato sia incompatibile con la salute dei cittadini. Contro questa apparenza mistificatrice della realtà, Cerasa rivendica invece il ruolo di primo ordine che i privati e gli imprenditori – in prima linea nel combattere l’epidemia – hanno avuto in questa emergenza, ribadendo a chiare lettere il vecchio mantra liberista: la povertà si sconfigge con la ricchezza e non con il rancore.

La cosa che più colpisce di questo articolo è la totale incapacità di prendere sul serio certe sollecitazioni sociali, quando ciò a cui stiamo assistendo a livello globale è di per sé evidente: i sentimenti di sfiducia e di perplessità nei confronti del capitalismo sono sempre più diffusi, e non appartengono necessariamente alla sinistra. Sanders in America ha dimostrato quanta forza possano avere certi ideali, e se tutti i suoi avversari democratici – meno la Warren – non si fossero schierati apertamente contro di lui facendo l’endorsment a Biden, forse oggi staremmo leggendo un’altra storia. Quel che è certo è che questo fenomeno non è più marginale; comprendere pertanto le ragioni del malcontento popolare e le istanze di rinnovamento che lo accompagnano è segno di una lettura quantomeno intelligente dei tempi che corrono.

I liberisti invece non ce la fanno proprio. Sanders in America è stato definito un comunista, un marxista, uno stalinista: parole apotropaiche utilizzate come uno spauracchio per tenere alla larga l’elettorato moderato. Sul fronte inglese invece, quando Corbyn ha perso le elezioni nel Regno Unito del 12 dicembre, Renzi ha avuto il coraggio di dire che «la sinistra radicale, quella estremista, quella dura e pura è la migliore alleata della destra». Certo, perché la sinistra che non fa niente di sinistra e che ha sposato la causa del mercato invece che della working class non ha alcuna responsabilità. Cerasa, per quanto riguarda l’emergenza sanitaria, si limita a parodiare alcune formule dei radicali: «cattivi capitalisti», «modello senza cuore», «selvaggia società del benessere», «ostaggio del capitalismo», e via dicendo.

Mentre lo smantellamento della sanità pubblica non viene minimamente percepito come un problema, secondo il direttore del Foglio alla base dell’anticapitalismo di questi giorni vi sarebbe piuttosto una questione personale: «Il rancore verso la ricchezza», scrive, «non produce benessere ma produce povertà». Si tratterebbe quindi del classico rancore misto ipocrisia di chi non potendo guadagnare tanti soldi nella vita – ma sotto sotto in verità lo vorrebbe – dice agli altri che i loro soldi sono ingiusti. A sostegno invece della bontà massima del capitale viene ricordato «il numero impressionante di privati che hanno donato soldi per la sanità», dimenticandosi però degli sforzi dei volontari, delle ong, dei medici cubani e di tutti gli altri, che non vengono neanche nominati. E, soprattutto, dimenticandosi che se i ricchi venissero tassati in maniera adeguata probabilmente non ci sarebbe bisogno delle donazioni private.

La tesi principale è questa: «le società meglio attrezzate per combattere le epidemie sono quelle in cui vi è un capitalismo ben sviluppato». Questo incredibilmente viene presentato come un dato di fatto, quando ciò a cui stiamo assistendo casomai è il contrario: il Paese con il numero più alto di morti per coronavirus al mondo sono gli Stati Uniti. In Europa invece l’impresa del Portogallo, Paese con un governo di sinistra e socialista, è stata addirittura definita da Repubblica come “il miracolo del governo rosso”. Fregnacce anche queste? Ma andiamo avanti, perché Cerasa poi, nella sua invettiva anacronistica, scrive che i discorsi sulla responsabilità sociale degli imprenditori sono solo sciocchezze. E la storia dell’imprenditore che due settimane fa è stato arrestato per aver messo in piedi una truffa da 15 milioni di euro sull’appalto di 24 milioni di mascherine approfittandosi della crisi sanitaria, una sciocchezza anche questa?

Infine, il manifesto del liberismo progressista: «la tecnologia non aiuta a distruggere solo posti di lavoro, ma aiuta a distruggere anche i virus – e sono proprio le società che provano a combattere la povertà senza combattere la ricchezza quelle meglio attrezzate per proteggere i cittadini». A parte il fatto che non si capisce in che modo il capitalismo cerchi di combattere la povertà (generandone altra forse?), ci teniamo a sottolineare che essere critici nei confronti di questo modello economico non significa essere nemici della tecnologia (semmai dell’uso classista che se ne fa) né combattere la ricchezza (semmai la sua distribuzione marcatamente disomogenea o lo sfruttamento tangibile su cui si fonda gran parte di essa). È la vana pretesa degli ultraliberisti, non avendo altro a cui aggrapparsi, quella di essere i depositari del progresso, del benessere e dello sviluppo scientifico. Questo però significa una cosa sola: non prendere sul serio le istanze del proprio tempo.

L’arte di uscire dalla crisi: Matteo Bergamini

Cosa succederà al mondo dell’arte nel momento in cui sarà passata l’emergenza Covid-19 e riapriranno gli studi degli Artisti, i Musei, le Fondazioni, gli spazi no-profit, le gallerie private, le fiere d’arte?

Ci sarà stato un cambiamento della fruizione dell’arte, soprattutto di quella contemporanea? Si riuscirà a sostenere anche gli Artisti visivi e performativi che creano la bellezza, ma che nonostante questo sono senza Albo professionale e senza Associazioni di categoria e con difficoltà troveranno accesso alle misure governative di sostentamento?

Gli artisti si ritroveranno ad affrontare senza strumenti un’economia globale malmessa che difficilmente li considererà degni di tutela, questione con cui anche le gallerie private, curatori e direttori di Musei dovranno fare i conti. Si può sperare, come è successo in passato, che dopo una mostruosa crisi segua una grande ripresa economica, ma le riprese economiche non avvengono da sole. Gli addetti ai lavori dell’arte stanno cercando una “cura” che oltre alla guarigione possa strutturare anticorpi?

Matteo Bergamini Direttore responsabile di exibart risponde ai quesiti di Alessio Ancillai

Ho abbastanza difficoltà a scrivere un pezzo su questa situazione: ci ho provato molte volte in questi giorni, per exibart, ma non ho mai trovato una sintesi che mi convincesse. Penso sia ancora molto presto per parlare di cosa potrà succedere a livello di percezione generale, di rapporto con la vita e con l’altro. Come fare giornalismo sarà conseguente, anche è ben diverso fare giornalismo dalla propria camera, o sul campo.

Sinceramente mi auguro che non passi l’abitudine all’isolamento, e nutro la vana speranza di una riflessione da parte dei quotidiani e dei media generalisti che negli ultimi tempi hanno operato uno splendido lavoro di diffusione di paura e ansia, una “pratica” che, in teoria, non appartiene alle regole deontologiche (astrazione pura!) della nostra professione, come ben esplicitato anche dall’Ordine dei giornalisti italiani.

L’offerta giornalistica di una testata legata all’arte contemporanea si muove con le stesse oscillazioni della sua materia di osservazione: se i musei sono chiusi e riprogrammano le loro attività online, è chiaro che dovremmo seguire questi nuovi corsi. Lo spazio pubblico è interdetto, ma quello virtuale è più vivo che mai. È l’unico che ci è concesso, oggi.

Per questo, come redazione di exibart, abbiamo deciso di essere – per quanto più possibile – vicini alla cittadinanza: regalando Pdf dei nostri numeri on-paper; parlando con addetti ai lavori di varia natura in dirette instagram tre volte alla settimana (un po’ di calibrazione, per evitare di essere gli ennesimi stalker nell’offerta ben più che bulimica e mentalmente e psicologicamente deconcentrante della rete); abbiamo anche indetto un questionario in forma completamente anonima per tutti i lavoratori dell’arte, per capire quali sono le problematiche legate a queste professioni tanto affascinanti quanto precarie, che prima o poi dovranno essere regolamentate precisamente dalle istituzioni.

È chiaro, e tutti lo sappiamo, che l’arte si presta a essere territorio del sommerso, ma è proprio tirando fuori la testa dalla palude che, forse, si può sperare di ottenere qualcosa.

Ora il problema è, più che dei singoli giornali, di un vero e proprio comparto che nella sua identità è completamente sbarrato, ovvero i musei, le gallerie, le fondazioni, le mostre, tutto quello che comprende una fruizione che per sua identità – più che per statuto – deve essere “dal vivo”, è interdetto.

Ancora una volta ci tengo a sottolineare che dobbiamo apprendere quanto più possibile da questa impossibilità non solo per poterci lavorare nel presente, ma soprattutto in futuro.

La dimensione della fruizione virtuale non scomparirà, anzi, ma un’altra speranza (sempre vana, credo) è che possa essere usata in maniera più intelligente.

Di fronte a un blocco temporale e spaziale come questo sarebbe utile immaginarsi di nuovo fuori, a contatto con la vita e le opere con la propria presenza fisica. Sarebbe utile iniziare a immaginare che, usciti dalla propria stanza, lo smartphone per scrivere 38 cazzate al minuto e postare foto brutte e inutili potrebbe essere lasciato a casa. Ovviamente non solo molto fiducioso: durante questa quarantena è definitivamente esploso TikTok, social network che fino a sei mesi fa era pressoché sconosciuto, e che permette di realizzare divertenti video dalla propria stanzetta – seguendo dei trend topic – con una serie di cut up ed “effetti speciali”. Vediamo se qualcuno riporrà le armi del rincoglionimento di massa quando si potrà tornare all’aria aperta.

Per concludere penso che vi sarà un prima e un dopo: ci ricorderemo di questi mesi molto a lungo. Dovremmo elaborare il lutto, l’ansia, la depressione che in queste settimane ci sono state gettate addosso.

E non si tratta di essere stolti, o di non vedere la realtà, si tratta solamente di modalità di comunicazione e di gestione del pensiero. Per quanto riguarda l’arte penso che per un po’ vedremo lavori “minimi” – che non vuol dire brutti, o sciatti – ma realizzati con poco, piccoli, “domestici” insomma. Ma mi auguro di vedere anche immensi progetti, sintomo della sconfitta della paura. Per questi ultimi, però, sono un po’ più scettico.

Lo dico anche pensando ai galleristi, impossibilitati a realizzare le loro mostre, a partecipare a fiere, a progetti, a incontrare artisti “come si faceva una volta”, ovvero non in skype o in FaceTime. Avranno un grande bisogno di vendere, ma immagino che saremo tutti più poveri – collezionisti inclusi – e passerà l’idea psicologica di potersi permettere esclusivamente qualcosa in formato cartolina, low price.

Dovremmo ripartire con il fiato sul collo, se ci atterremo alle “regole” che conoscevamo prima o, un’altra ipotesi che mi piace pensare, ma che non vedo particolarmente praticabile, dovremmo ripartire con più coscienza di chi siamo e da cosa siamo stati annientati in questo modo. Bisognerebbe studiare, prendersi la responsabilità – parafrasando un titolo di Teresa Macrì – di avere un pensiero discordante.

Ricostruire, gettare nuovi ponti, avere più rispetto del mondo, potrebbe essere facilissimo. O potremmo dimenticarlo appena voltato l’angolo.

*

L’arte di uscire dalla crisi – Leggi le altre interviste

Manifesto per una rinascita verde, firmato Fridays for future

Foto Vincenzo Livieri - LaPresse 29-11-2019 - Roma Cronaca Fridays for future. Quarto sciopero globale contro i cambiamenti climatici Photo Vincenzo Livieri - LaPresse 29-11-2019 Rome News Fridays for future. Fourth global strike against climate change

Il 23 aprile si tiene il primo #GlobalDigitalStrike. Anche se la crisi sanitaria ci ha costretti alla limitazione, al momento necessaria, di alcune delle nostre libertà, lo sciopero globale di Fridays for future si è solo spostato online; ragazzi e ragazze, lavoratori e lavoratrici: a migliaia manifesteremo sotto Palazzo Chigi, grazie ad uno strumento di geo-localizzazione, con un solo messaggio: giustizia climatica. Ora.

Siamo davanti a un bivio, la crisi economica causata dall’emergenza coronavirus ci mette di fronte alla scelta più grande mai presa: ricominciare, o rinascere. Noi scegliamo di rinascere. Scegliamo di ripensare il nostro sistema, di riuscire a garantire un lavoro ben pagato a tutte e tutti e porteremo avanti delle proposte che siano in grado di affrontare entrambe le crisi: quella economica e quella climatica. Due crisi: una soluzione. E la soluzione è un ritorno, sì. Ma che sia un #RitornoAlFuturo, che sia una rinascita. Un nuovo inizio per la nostra società.

Per questo, infatti, lanciamo la più grande e ambiziosa campagna per la #ripartenza post-coronavirus, insieme a molte altre realtà della società civile (e tante altre si uniranno a noi nel percorso). Dopo la lettera indirizzata a tutta Italia della scorsa settimana siamo pronti a lanciare i 7 punti per il #RitornoAlFuturo

La riconversione ecologica dovrà necessariamente essere il cuore e il motore di questa nostra rinascita, essa assicurerà posti di lavoro e potrà garantirci un futuro in cui vivere. La crisi climatica ci sembra sempre un fenomeno lontano, nel tempo e nello spazio, ma non è così. Essa è già qui: è nelle temperature che superano i 20 gradi in Antartide, è nella siccità che strangola i nostri agricoltori e i nostri allevatori, è nelle tempeste che si abbattono sul nostro Paese, è nelle guerre e nelle desertificazioni che costringono decine di milioni di persone ad abbandonare tutto e scappare dalle proprie case.

Non solo la ripartenza economica non è in contraddizione con l’ecologia, ma anzi ripensare il nostro sistema è il modo migliore per uscire tutti insieme da questa crisi e impedire che il collasso climatico ponga fine alla nostra società. E così come per la crisi sanitaria le misure che prendiamo oggi per affrontare la crisi climatica avranno effetto domani, non in tempi di 15 giorni ma di decenni. Gli effetti delle scelte di oggi le vedremo tra 10, 15, 20 anni. Non prima.

Ed è oggi che dobbiamo agire, perché questa è l’ultima possibilità che abbiamo per ridare speranza ed evitare che crisi sempre peggiori possano tornare a mettere a rischio la nostra vita. Abbiamo bisogno di un Ritorno al futuro, se vogliamo andare avanti. Ecco quindi quali sono i nostri 7 punti per una rinascita (potete trovarli in versione estesa in calce all’articolo, ndr), che ci porti sulla strada della giusta transizione. La vita è possibile solo in un mondo migliore. È giunto il momento di costruirlo.

1. Rilanciare l’economia investendo nella riconversione ecologica
Creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro puntando su energia rinnovabile diffusa, mobilità sostenibile, efficientamento energetico degli edifici.

2. Riaffermare il ruolo pubblico nell’economia
Stimolare l’economia con sussidi pubblici vincolati alla riconversione ecologica e istituire una programmazione precisa per una rapida riconversione verso imprese sostenibili.

3. Realizzare la giustizia climatica e sociale
Tutelare i lavoratori e le lavoratrici, i territori e le fasce della popolazione più esposte alle conseguenze della crisi economica e climatica.

4. Ripensare il sistema agroalimentare
Promuovere la transizione verso un’agricoltura che salvaguardi i suoli e gli ecosistemi e che sia più sostenibile a livello climatico.

5. Tutelare la salute, il territorio e la comunità
Promuovere la tutela e la messa in sicurezza dei territori, implementare opere che garantiscano la riduzione dell’inquinamento e la revisione sostenibile dell’intera filiera produttiva.

6. Promuovere la democrazia, l’istruzione e la ricerca
Aumentare il finanziamento dell’istruzione pubblica e della ricerca assicurandone l’accesso e garantendo che siano condotte in maniera trasparente e libera da conflitti di interesse.

7. Costruire l’Europa della riconversione e dei popoli
Aumentare la portata del Green Deal europeo, al fine di alzarne i target climatici, e superare il paradigma dell’austerità a livello europeo.

Cara Italia, è il momento di farci sentire, è il momento del #RitornoAlFuturo. Per partecipare al GlobalStrike visita il sito dedicato e posiziona il tuo avatar sotto Palazzo Chigi. Fai sentire la tua voce.


Alla campagna aderiscono, assieme a Left

Wwf Italia, Legambiente, Greenpeace, Stop Ttip Italia, Terra, Cgil, Rete della conoscenza (Uds, Link), Rete degli studenti medi, Udu, A sud, Attac, Solidarius, Bilanci di giustizia, Associazione per la decrescita, Slowfood Italia, Climate save movement, Comune-info, Sbilanciamoci, Transform! Italia


I sette punti della campagna #RitornoAlFuturo, in versione integrale

1. Rilanciare l’economia investendo nella riconversione ecologica
Creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro puntando su energia rinnovabile diffusa, mobilità sostenibile, efficientamento energetico degli edifici.
Per rilanciare l’economia è necessario un imponente piano di finanziamenti pubblici nella transizione ecologica. Ciò rappresenta un interesse strategico nazionale in ambito economico, occupazionale e climatico. Occorre investire nella conversione delle industrie inquinanti, nell’efficientamento energetico degli edifici, nelle infrastrutture per le energie rinnovabili, nell’economia circolare e in una mobilità sostenibile, accessibile e capillare. Dobbiamo interrompere la dipendenza del nostro Paese dai combustibili fossili e puntare a raggiungere l’alimentazione energetica con fonti al 100% rinnovabili. I 19 miliardi di sussidi ambientalmente dannosi devono essere gradualmente eliminati e devoluti a misure di compensazione per evitare ricadute sociali ed occupazionali. Il piano per la riconversione è in grado di creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, ben retribuiti, di qualità e con tutele sindacali. È fondamentale assicurare la formazione ed il ricollocamento dei lavoratori e delle lavoratrici nei nuovi posti di lavoro. Non deve esistere contrapposizione tra lavoro e salute, lavoro e ambiente, lavoro e sostenibilità.

2. Riaffermare il ruolo pubblico nell’economia
Stimolare l’economia con sussidi pubblici vincolati alla riconversione ecologica e istituire una programmazione precisa per una rapida riconversione verso imprese sostenibili.
È importante riaffermare il ruolo del settore pubblico nell’economia, nella produzione di beni e servizi essenziali e soprattutto nella transizione, affinché prevalga l’interesse collettivo sul profitto personale. Gli enormi pacchetti di stimolo economico che verranno varati devono essere garantiti solo a seguito di impegni vincolanti verso la riconversione ecologica. È fondamentale che lo stato diventi un attore primario di indirizzo nel processo della transizione su tutto il territorio e quindi coordini, supporti e controlli le aziende – in particolar modo le partecipate – affinché rispettino i target climatici dell’Ipcc. La crisi petrolifera crea il momento perfetto perché il controllo del settore energetico torni in mano pubblica, in modo da puntare verso una rapida e totale riconversione. È necessario infine contrastare con decisione l’evasione fiscale, per mettere a disposizione pubblica più risorse per il benessere della collettività, e per assicurare una tassazione più equa e inferiore in special modo sul lavoro.

3. Realizzare la giustizia climatica e sociale
Tutelare i lavoratori e le lavoratrici, i territori e le fasce della popolazione più esposte alle conseguenze della crisi economica e climatica.
La riconversione deve avvenire tutelando i lavoratori e le lavoratrici ed il suo costo deve gravare su coloro che hanno le maggiori disponibilità economiche, nonché le maggiori responsabilità nella crisi climatica. È inoltre necessario predisporre un piano di aiuti economici per le persone ed i territori che subiscono direttamente le conseguenze degli stravolgimenti climatici. Lo Stato deve tornare a garantire davvero la salute di tutti i suoi cittadini, indipendentemente da reddito e status, e a tal fine deve rifinanziare in modo consistente il sistema sanitario nazionale, indebolito drasticamente negli ultimi anni dai tagli alla spesa pubblica. È inaccettabile il finanziamento dell’industria bellica, e tali fondi devono essere devoluti al welfare state e alla riconversione. La crisi climatica infine, oltre a minacciare la salute del nostro paese, ha conseguenze perfino peggiori sui Paesi più poveri. La siccità, la scarsità di cibo, la desertificazione alimentano tra l’altro le migrazioni di massa e i conflitti armati.

4. Ripensare il sistema agroalimentare
Promuovere la transizione verso un’agricoltura che salvaguardi i suoli e gli ecosistemi e che sia più sostenibile a livello climatico.
Attualmente oltre un terzo del bilancio UE finanzia sussidi agricoli nell’ambito della Pac: questo denaro pubblico deve essere trasferito per finanziare lo sviluppo di un’agricoltura più sostenibile nei vari Paesi. È fondamentale che il governo promuova il passaggio a un sistema alimentare meno impattante, più locale, più trasparente e a base principalmente vegetale, disincentivando il consumo dei prodotti di origine animale e favorendo la riconversione delle aziende e il ricollocamento dei lavoratori e delle lavoratrici. E’ inoltre fondamentale lottare contro lo spreco alimentare, che in Italia ammonta a 1.6 mln di tonnellate di alimenti ogni anno (equivalenti a 15 mld di euro). È infine vitale abbattere tutte quelle piaghe che caratterizzano il nostro sistema produttivo alimentare, a partire dal caporalato, una vera e propria forma di sfruttamento, continuando con il sovrautilizzo e l’inquinamento idrico, l’eutrofizzazione, la deforestazione e l’uso non sostenibile dei suoli.

5. Tutelare la salute, il territorio e la comunità
Promuovere la tutela e la messa in sicurezza dei territori, implementare opere che garantiscano la riduzione dell’inquinamento e la revisione sostenibile dell’intera filiera produttiva.
Lo Stato deve tutelare la sanità pubblica garantendo condizioni ambientali salutari e deve impegnarsi a superare l’attuale modello produttivo che mette a rischio le persone e gli ecosistemi. Acqua e aria pulite sono diritti che devono essere universalmente garantiti. È necessario interrompere la costruzione di ogni infrastruttura legata ai combustibili fossili, evitando investimenti sempre più sconvenienti dal punto di vista economico e climatico. Serve riconvertire ogni impianto inquinante attualmente operativo, come l’Ilva, utilizzando le risorse finanziarie previste dal Green Deal europeo e garantendo la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici. Sono inoltre fondamentali la messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale, per contrastare il dissesto idrogeologico, ed una lotta più incisiva all’abuso edilizio, al consumo di suolo e alla deforestazione. Deve infine essere implementato il piano nazionale di gestione dei rifiuti, massimizzando il riciclo e riducendo la quantità di rifiuti prodotta. Per raggiungere questi obiettivi, lo Stato deve affrontare senza timore la criminalità organizzata, che tiene in ostaggio la salute del nostro Paese.

6. Promuovere la democrazia, l’istruzione e la ricerca
Aumentare il finanziamento dell’istruzione pubblica e della ricerca assicurandone l’accesso e garantendo che siano condotte in maniera trasparente e libera da conflitti di interesse.
Vogliamo una società in cui esista maggiore partecipazione democratica nelle scelte collettive. La democrazia si basa anche sulla possibilità di informarsi da fonti affidabili e indipendenti. La formazione di ogni livello e la ricerca devono ricevere un consistente rifinanziamento e devono essere condotte in maniera trasparente, corretta e libera da influenze terze, per scongiurare conflitti di interesse. La ricerca dev’essere di interesse collettivo. Il sistema scolastico deve essere ripensato per assicurare il diritto allo studio, combattere le disuguaglianze sociali e formare cittadini e cittadine capaci di guidare una riconversione ecologica dell’economia. Negli insegnamenti vanno integrati princìpi di ecologia e corretto uso delle risorse al fine di garantire giustizia intergenerazionale.

7. Costruire l’Europa della riconversione e dei popoli
Aumentare la portata del Green deal europeo, al fine di alzarne i target climatici, e superare il paradigma dell’austerità a livello europeo.
È necessario un piano di investimenti pubblici a livello europeo per la ripartenza e la riconversione di tutti i Paesi dell’Ue. Il Green Deal europeo va nella giusta direzione ma è ancora ampiamente insufficiente, tanto per le risorse stanziate quanto per gli obiettivi perseguiti. Crediamo inoltre che l’Unione europea debba dimostrare di essere veramente fondata su sentimenti di solidarietà e condivisione e debba superare il paradigma cieco e sterile dell’austerità – che si è dimostrato un macigno per le economie e per le fasce più deboli dei popoli europei, come denunciato a gran voce da moltissimi economisti – adottando invece iniziative coraggiose e che guardino al futuro. Allo stesso modo, deve essere evitata la firma di trattati commerciali che inaspriscono gli effetti della crisi climatica e le disuguaglianze economiche e sociali.

La mia Liberazione, tra memoria e attualità

Ero adolescente, oggi ho 92 anni. Posso ricordare e riflettere sul significato che quel 25 aprile ebbe per tutti noi, antifascisti ed esuli in Argentina dopo le leggi razziali del ‘38, la fine di quel bieco ventennio e, ovvio, con la Liberazione, la nascita in Italia della Repubblica democratica. Tutto questo, per noi ancora ragazzi, investiva i nostri sogni, idee ed impegni politici tesi alla costruzione di un mondo più giusto per tutti. Si militava nei licei o nelle università e qualcuno si beccò anche qualche giorno di arresto; tra i miei amici vi era anche Giorgio Jarach, già allora mio fidanzato e poi compagno di tutta la vita.

In famiglia, la guerra e la Shoah erano preoccupazione quotidiana: il dolore di sapere cosa stava accadendo con le deportazioni, la tristezza della lontananza da parenti ed amici. Si palpitava per la Resistenza e dopo l’allontanamento di Mussolini venne l’occupazione nazista dell’Italia e si seguiva, giorno per giorno, con ansia l’avanzare degli alleati. Ho due ricordi di locali manifestazioni celebrative: quella della liberazione di Parigi e, per noi ebrei italiani, le riunioni festive un po’ dappertutto. I festeggiamenti non durarono a lungo, perché si venne a sapere del tragico destino di tanti familiari. Per la mia famiglia fu la deportazione di mio nonno materno. Ma grande era l’angoscia di non sapere cosa stesse accadendo a Firenze, dove erano rimasti i miei zii e la nonna materna. Lo sapemmo dopo… Si erano nascosti nella boscaglia, con tanti patimenti e la nonna era morta a Talla, in una casa di contadini. Fu sepolta lì, in un piccolo cimitero dove andai, nel mio primo viaggio in Italia.

Qui a Buenos Aires durante la guerra c’era comunque, per fortuna, mio padre. Per lui antifascista, già prima dell’armistizio badogliano vi era il desiderio di unirsi alla lotta: dare di nuovo, lui mutilato della prima guerra mondiale, il sangue all’Italia. Questo lo seppi solo qualche anno fa, con il ritrovamento negli archivi dell’associazione Unione e Benevolenza di una sua lettera indirizzata al presidente di Italia Libera. E scriveva puntando su un tema che era in lui ricorrente e che mi trasmise quale valore essenziale: quello del rispetto della Dignità dell’essere umano.

Questi sono solo ricordi; ciò che più importa, ieri ed oggi, è associare alla celebrazione del 25 aprile la riflessione su quanto ci dice la Storia e cioè la triste ripetizione di tante tragedie sofferte dall’umanità. Quello che ci dice il presente e lo sguardo che possiamo dare al futuro è che usiamo, torniamo ad usare sempre delle parole militaresche: guerra, lotta, ma anche Resistenza alle dittature, ovviamente. Parliamo di sconfitte e vittorie. E oggi, ovunque nel mondo, le parole militari ritornano pure nell’affrontare la tragedia di questa pandemia, guerra contro un tremendo nemico virale… Osserviamo e riflettiamo sulle ripetizioni storiche che, in questo caso, ci fanno tornare a vecchie e mai dimenticate letture che ci hanno raccontato altre epidemie, con caratteristiche simili, ma vissute in tempi diversi. I Promessi sposi e il Decamerone, La peste di Camus. In Argentina una tremenda peste della Febbre gialla. Tanti libri, perfino uno dello stesso autore di Robinson Crusoe… e nell’antichità, un libro che non ho letto, ma è spesso citato, di Tucidide.

Tante storie con simili passi: quello iniziale delle incertezze, poi la paura, gli isolamenti, il cercare le colpe altrui, i capri espiatori… E poi, finalmente, si esce dagli incubi.

Ma oggi, 25 aprile, ricordiamo le vittorie contro il nazifascismo e celebrando quella Liberazione, non voglio tralasciare di ripetere ciò che sia in Italia che qui in Argentina, sottolineo sempre: nella storia che si ripete appaiono non solo tante violenze, tante guerre, tante persecuzioni, tanti razzismi, ma il ritorno delle ideologie fasciste, delle dittature… e rimane purtroppo la tremenda disuguaglianza fra ricchi e poveri, la fame di una parte enorme dell’umanità. Questo non dobbiamo dimenticarlo e stare molto attenti a quanto accade. Ce lo dice anche l’esperienza di questa pandemia… Tra il male e il bene la storia, e anche il presente, ci parla di indifferenze ma anche di solidarietà, di odio scatenato, ma anche di impegno disinteressato, di speranze e di energie volte al conseguimento di mete degne di noi esseri umani, mirando alla salute e alla vita, senza dimenticare le necessarie strategie contro la miseria e, pensando al dopo epidemia, a risollevare le società, liberandola da tante difficoltà e privazioni, tante ingiustizie ma anche scommettendo su un futuro simile a quei nostri sogni adolescenziali e di sempre. Vicina a voi, come sempre, vi abbraccio con un Viva l’Italia!
                                                                                                                                                                            Vera

Per gentile concessione della associazione 24Marzo Onlus – www.24marzo.it

L’AUTRICE Vera Vigevani Jarach è nata a Milano nel 1928 e dieci anni più tardi dovette emigrare in Argentina a causa delle leggi razziali. Qui è diventata una giornalista dell’Ansa. Il 26 giugno 1976 sua figlia Franca, di 18 anni, scomparve e di lei non si seppe più nulla fino a poco tempo fa, quando una donna che era sopravvissuta alle torture dell’Esma le ha raccontato che «era stata buttata giù da un aereo, buttata a mare». Vera appartiene al movimento delle Madres de Plaza de Mayo fin dai primi mesi della sua fondazione, le piace definirsi «una militante della memoria».

L’editoriale è tratto da Left in edicola dal 24 aprile 

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SOMMARIO

Belli, ciao

Così come ogni anno si addensano gli avvoltoi sul 25 aprile. Quest’anno riescono addirittura a fare peggio e impugnano i morti del presente per provare a riscrivere la storia passata. È così tutti gli anni, tutte le volte e i protagonisti sono sempre gli stessi: quelli che vorrebbero convincerci che la nascita della nostra democrazia e della nostra Costituzione sia qualcosa di vecchiopassato di moda, qualcosa di secondario rispetto alle urgenze del presente e ogni volta il presente viene usato come clava.

Così anche questo 25 aprile ci dobbiamo sorbire la nipote di Mussolini che viene a darci lezioni di libertà, fingendo di dimenticare che proprio grazie alla Liberazione ha lo spazio e il modo per esprimere la propria opinione e per presiedere un ruolo politico: ai tempi di suo nonno la mancanza di libertà sanguinava addosso e non era un tema di dibattito di certe trasmissioni del pomeriggio.

Anche questo 25 aprile ci dobbiamo sorbire l’ex ministro dell’inferno che ci invita a lavorare piuttosto che cantare Bella Ciao. Bella forza Salvini in quarantena: un uomo che non ha mai lavorato in vita sua (lo sancisce una sentenza, eh) che si finge operoso pur di sputare sul 25 aprile. Un guitto che solletica gli sfinteri dei fascisti per ottenere uno spicchio di luce e che affonda nelle sue contraddizioni. Chissà se qualcuno gli ha fatto notare che i suoi sondaggi sono in picchiata e che rimbalza ormai come un disco rotto.

Eppure quest’anno resistere assume un significato più profondo: resistere significa avere la schiena dritta per mettere insieme la libertà alla responsabilità, per ringraziare la Costituzione che nelle emergenze disegna la strada su cui muoversi e resistere significa sentire la responsabilità di essere una comunità. È una Festa della Liberazione che va vissuta con la mano ferma senza farsi svirgolare dalla condizione del presente. I padri costituenti ci avevan raccomandato di essere vigili e ora ci tocca essere vigili per salvarci.

Diceva Calamandrei: «la Liberazione fu veramente come la crisi acuta di un morbo che finalmente si spezzava dentro il nostro petto, come lo strappo risoluto con cui il popolo italiano riuscì con le sue stesse mani a svellere dal suo cuore un groviglio di serpi che per venti anni lo aveva soffocato».

Io lo trovo modernissimo, questo 25 aprile.

Non volete festeggiarla? Belli, ciao.

Buon venerdì.

 

Valentina Cuppi: Antifascismo è un’Italia solidale

Il 25 aprile «diventi la giornata del ricordo di tutte le vittime delle guerre da coronavirus», ha detto Ignazio Benito Maria La Russa, senatore di Fratelli d’Italia. La leader di FdI, Giorgia Meloni, propone di sostituire Bella ciao con la canzone del Piave. E sul web infuriano attacchi squadristi alla memoria storica della festa della Liberazione dal nazifascismo e data di nascita della nostra democrazia. L’anno scorso, da ministro e vice premier, Matteo Salvini aveva disertato le celebrazioni pubbliche e quest’anno le destre ci riprovano.

«Proprio mentre gli italiani sono alle prese con la pandemia questo è un modo squallido di riproporre il solito tentativo di voler elevare alcuni a martiri, di voler equiparare i morti fascisti a quelli partigiani e alle vittime del fascismo», commenta Valentina Cuppi, sindaca di Marzabotto, Comune simbolo della lotta partigiana.

Questo 25 aprile, su invito dell’Anpi, parteciperemo alla festa della liberazione in modo virtuale, che significato assume sindaco?

La liberazione continua ad essere un momento da festeggiare, assolutamente. Quest’anno sarà un modo anche per resistere alla condizione in cui ci troviamo. Non dobbiamo abbassare l’attenzione su questa data fondamentale, che deve essere ricordata insieme alla festa della Repubblica. Prima che fossimo travolti da questa emergenza, non dimentichiamolo, sono stati molti i tentativi di riportarci al passato, gli episodi di neofascismo, le parole a sostegno di realtà come CasaPound e Forza Nuova. Tutto ciò non è sparito. Festeggiare il 25 aprile è resistere a chi vorrebbe mettere da parte la nostra storia e calpestarla, approfittando ora dell’emergenza sanitaria.

Come si è preparato alla festa della Liberazione 2020 Marzabotto, Comune medaglia d’oro?

Abbiamo lanciato un appello chiedendo in primis ai ragazzi di telefonare ai nonni e ai bisnonni per chiedere della Resistenza. Anche per superare questa non facile separazione fra nipoti e nonni causata dal necessario distanziamento sociale. È un proposta per dare un risvolto positivo, per sentirsi vicini anche in questa trasmissione di racconto. È un modo per fermarsi a pensare e ad ascoltare le storie, per raccogliere tutta la memoria che è possibile raccogliere. Vogliamo riportare le persone più anziane al centro dell’attenzione, dell’ascolto della vita vissuta.

È anche un modo per opporsi al cinismo di politiche che “dimenticano” gli anziani con risultati drammatici come abbiamo visto nella Gran Bretagna dell’ultra liberista Boris Johnson o nella Lombardia del leghista Fontana?

Una immane tragedia, come fosse selezione naturale… Al contrario il nostro appello nasce per dare valore a tutte le persone che conservano la memoria storica, che hanno costruito la nostra libertà che oggi riscopriamo tanto importante. Dover seguire delle regole anche per preservarci è una cosa nuova per molti, specie per i più giovani e non lo fai solo perché te lo impongono. È una grande lezione di cittadinanza e di senso civico. È un gesto di attenzione verso chi è più a rischio che va nella direzione opposta rispetto ad affermazioni come «preparatevi a perdere i vostri cari», pronunciata da Johnson. Spontaneamente facciamo tutto ciò che possiamo per tutelare chi è più fragile. Facciamo di tutto per salvarli. Mi sembra molto bella questa connessione che oggi vivono le persone, bisogna ascoltare ciò che sente e dice il “popolo”, se vogliamo chiamarlo così.

Prima le persone” abbiamo sempre scritto su Left. L’emergenza ha messo questa esigenza sotto gli occhi di tutti. Per esempio ha reso evidente l’importanza del sistema sanitario pubblico e nazionale. Quanto è importante una regia centrale per il diritto alla salute?

È una questione cardine. Ci deve essere necessariamente una regia nazionale. È già in atto una riflessione su come riuscire a trovare un sistema per mettere in equilibrio autonomia regionale e centralità di decisione in mano allo Stato. Non possiamo procedere se ognuno segue le proprie idee o una propria strategia pensata in autonomia, perché a rimetterci è la salute delle persone. La fase della cosiddetta ripartenza va assolutamente ripensata subito. La possibilità di decidere..

L’intervista prosegue su Left in edicola dal 24 aprile 

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Fase due, Liberazione

Il 25 aprile ci trova a metà del guado tra quella che possiamo definire la resistenza al virus e la speranza della liberazione. Tra tante metafore fastidiosamente guerresche che ci vengono proposte scelgo invece di attingere alla nostra storia. Non a caso Resistenza, Liberazione, antifascismo non sono il passato ma elementi permanenti che ispirano un agire.

Di resistenza abbiamo bisogno. Non solo contro un virus ma contro un modo di essere del mondo che lo ha reso più forte ed ha invece reso meno disponibili quelle capacità di difesa che pure abbiamo assai più che nel passato. Una cattiva globalizzazione, al servizio di un pessimo modello di economia e di società e di un potere più arrogante che capace. Ferite all’ambiente come non mai. Capacità di far circolare merci ma non ciò che serve a difendersi dal contagio. Politiche liberiste e di austerity che hanno distrutto le difese sociali, sanitarie, pubbliche. Conoscenze sulle pandemie rimaste lettera morta ed inazione. Tutto ciò ha reso il virus più forte. Così come il fascismo si nutrì delle ingiustizie del mondo e della codardia delle democrazie.

Possiamo dire che i popoli stanno resistendo al virus con forza e dignità? Io penso di sì. L’indulgere dei mass media sui “furbetti” che vanno a fare jogging lo trovo un modo anche un po’ odioso di non fare inchiesta su ciò che il virus mette in mostra e cioè la bancarotta politica (e forse anche morale) delle classi dirigenti del…

L’articolo prosegue su Left in edicola dal 24 aprile 

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Ribelli! [docufilm]

Ribelli! Gli ultimi partigiani raccontano la Resistenza. Di ieri e di oggi di Domenico Guarino e Chiara Brilli (Infinito Edizioni, 2011) è un libro-dvd che contiene il documentario Ribelli! di Massimo D’orzi e Paola Traverso.
Le storie e i volti degli uomini e delle donne che hanno regalato all’Italia la democrazia nelle riflessioni di quindici partigiani che hanno fatto la Resistenza. Nel libro e nel documentario si raccontano, rievocano con lucidità ed emozione, confrontando la loro esperienza con l’Italia del presente.

Dal 23 aprile il docufilm Ribelli! è in visione gratuita

Ribelli! from Il Gigante cinema on Vimeo.

Siamo liberi?

A girl and her dog look out from a window during one of the many flash mobs taking place these days in Rome, Sunday, March 15, 2020. The nationwide lockdown to slow coronavirus is still early days for much of Italy, but Italians are already showing signs of solidarity with flash mob calls circulating on social media for people to ''gather'' on their balconies at certain hours, either to play music or to give each other a round of applause. For most people, the new coronavirus causes only mild or moderate symptoms. For some, it can cause more severe illness, especially in older adults and people with existing health problems. (AP Photo/Alessandra Tarantino)

Il 13 aprile scorso il filosofo Giorgio Agamben proponeva una domanda: «Com’è potuto avvenire che un intero Paese sia senza accorgersene eticamente e politicamente crollato di fronte a una malattia?». In sostanza Agamben teme la nascita di un nuovo dispotismo che, secondo lui, sarà peggiore di quello passato. Secondo Agamben abbiamo accettato «soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare, che le persone che ci sono care e degli esseri umani in generale non soltanto morissero da soli, ma che – cosa che non era mai avvenuta prima nella storia, da Antigone a oggi – che i loro cadaveri fossero bruciati senza un funerale», «abbiamo conseguentemente accettato, soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare, di sospendere di fatto i nostri rapporti di amicizia e di amore, perché il nostro prossimo era diventato una possibile fonte di contagio» e la Chiesa e i giuristi sarebbero i grandi assenti in questa fase di tracollo.

La posizione di Agamben è interessante perché si sovrappone all’idea di certa destra sovranista in giro per il mondo (con Trump in testa) e non è un caso che proprio il filosofo sia stato intervistato a tutta pagina dal quotidiano La Verità. Che poi i sostenitori i politici nostrani sostenitori di Orban siano gli stessi che ci impartiscono lezioni di libertà lascia più che perplessi.

Ma la risposta più interessante a Agamben arriva da Tiziano Scarpa. Dice Scarpa: «Si sta rinunciando a una quota della propria libertà per tutelare non i più giovani e forti, o i bambini, ma i più vecchi (nonostante dei vecchi sia stata fatta strage per un’insensata e colpevole gestione delle case di riposo). Non so quante volte questo sia accaduto nella storia umana. Perfino se le misure che sono state adottate in queste settimane dovessero rivelarsi, in futuro, un eccesso di cautela, trovo che quel che si sta facendo sia eticamente meraviglioso, perché dimostra che, in situazioni di necessità, un’intera società è disposta consapevolmente ad agire soprattutto in favore dei più deboli, pur sapendo di pagare per questo un prezzo altissimo, sia nel presente che in futuro. A me questo sembra il contrario della barbarie, mi sembra il vertice della civiltà, una magnifica smentita culturale alla ferocia del darwinismo naturale e alla sopravvivenza del più adatto, un segno di speranza nell’umanità e nelle sue risorse morali fattive, e sono fiero di dare il mio contributo personale a questa enorme impresa collettiva».

Poi, mentre leggevo questo dibattito sul senso della libertà mi è capitato di alzare gli occhi e ascoltare le frasi e i ragionamenti della nostra classe dirigente: quella divisa in un acritico aprite tutto contro il chiudete tutto. E mi è venuto da pensare che sarebbe bello pretendere un po’ di profondità, in questo tempo così sospeso. Sarebbe bello sfruttare questa pausa per rendersi conto, ognuno con le proprie sensibilità, che è un argomento che non dovrebbe concedersi agli slogan, la libertà.

Buon giovedì.