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Più socialisti che mai

NEW YORK, NY - OCTOBER 19: Democratic presidential candidate, Sen. Bernie Sanders (I-VT) holds hands with Rep. Alexandria Ocasio-Cortez (D-NY) during his speech at a campaign rally in Queensbridge Park on October 19, 2019 in the Queens borough of New York City. This is Sanders' first rally since he paused his campaign for the nomination due to health problems. (Photo by Kena Betancur/Getty Images)

Una campagna a tappeto portata avanti da migliaia di volontari, 96 milioni di dollari in piccole donazioni raccolti finora, uno slogan che più eloquente non si può, Not me, Us (Non io, noi/gli Stati Uniti): così Bernie Sanders si è presentato alla prima sfida diretta delle primarie Democratiche in vista delle elezioni presidenziali del 2020. I caucuses dell’Iowa sono fondamentali non tanto per il numero di delegati che assegnano, il cui compito è rappresentare il candidato alla convention di partito dove si sceglie il vincitore, quanto per il loro significato simbolico di essere il primo momento in cui sono gli elettori stessi a far sentire la loro voce, non i sondaggi. Al momento di andare in stampa il Partito democratico non ha ancora comunicato i risultati ufficiali, che solitamente sono disponibili dopo poche ore, a causa di problemi nella ricezione dei dati provenienti dai vari caucuses e incongruenze non meglio specificate. I risultati non ufficiali, raccolti dai volontari presenti nei caucuses, darebbero comunque Bernie Sanders in testa.

Il senatore del Vermont non è al suo primo “Iowa”: già nel 2016 aveva provato a battere Hillary Clinton, perdendo per un pugno di voti. Quattro anni dopo è tornato, più socialista che mai, con l’ambizioso obiettivo di convincere gli americani che è lui l’alternativa all’attuale presidente Donald Trump, in corsa per il secondo mandato nonostante un processo per impeachment. Come fa notare lui stesso in uno spot elettorale accompagnato dalle note di Seven nation army (il motivetto che accompagnò gli Azzurri nei mondiali di calcio del 2006), la campagna di Sanders fa paura a Trump, che suo malgrado è costretto a parlarne, sia solo per attaccarlo. Solo qualche anno fa un candidato che si proclamava apertamente socialista non avrebbe avuto scampo negli Stati Uniti, dove l’intervento del governo federale è visto come il male assoluto. Con i millennials e la Generazione Z ad avere le schede elettorali in mano non sembra essere più così.

La tendenza verso il cambiamento è…

L’articolo di Alessia Gasparini prosegue su Left in edicola dal 7 febbraio

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Cosa stona a Sanremo

Foto Matteo Rasero/LaPresse 05 Febbraio 2020 Sanremo, Italia spettacolo Festival di Sanremo 2020, seconda serata. Nella foto: Fiorello Photo Matteo Rasero/LaPresse February 05th, 2020 Sanremo, Italy entertainment Sanremo music festival 2020, second evening. In the photo: Fiorello

No, no, niente pagelle sui cantanti in gara e nessun articolo sull’abbigliamento degli ospiti. La nota davvero stonata di Sanremo la cita Peppe Vessicchio, storico volto direttore d’orchestra a Sanremo, che in un’intervista a Repubblica racconta qual è il problema della musica di Sanremo: «La paga degli orchestrali. Vorrei lanciare la campagna ‘Adotta un violinista di Sanremo’. Mi riferisco in particolare agli ‘aggiunti musicisti’, quelli che non appartengono all’orchestra sinfonica. Le condizioni in cui vivono sono da fame. Se qualcuno li incontra per strada e gli offre un piatto caldo fa un’opera di bene. Guadagnano 50 euro al giorno per dodici ore di lavoro. All’estero si metterebbero a ridere».

L’orchestra del Festival di Sanremo è composta dall’Orchestra sinfonica stabile di Sanremo e dagli strumentisti che fanno riferimento invece alla Rai. L’orchestra sinfonica stabile di Sanremo è sovvenzionata da soldi pubblici (come gran parte delle orchestre sinfoniche in Italia) e come viene facile immaginare la disponibilità economica diminuisce di anno in anno. Hanno cominciato a lavorare il 3 gennaio, hanno turni di lavoro di circa 10 ore al giorno (ma nei giorni che precedono il Festival hanno lavorato anche 12 ore) e guadagnano 50 euro lordi (lordi!) al giorno.

Qualcuno potrebbe pensare che abbiano almeno un rimborso spese: sì, certo hanno preso 180 euro per l’intero periodo (circa 40 giorni) che gli consente di spendere la bellezza di 4,50 euro al dì, immaginate che lusso. Forse sarà proprio per questo che solo un quarto dei musicisti dell’orchestra sinfonica hanno accettato di partecipare al Festival.

La domanda che si pone è molto semplice: la produzione televisiva più nazionalpopolare che abbiamo davvero può permettersi di trattare così i musicisti? Non sarebbe il caso che qualcuno si indigni? Non sentite quanto sia stonata questa musica?

Dai, buon venerdì.

Le nuove coraggiose

Rep. Alexandria Ocasio-Cortez, D-N.Y., campaigns for Democratic presidential candidate Sen. Bernie Sanders, I-Vt., on the campus of Iowa Western Community College in Council Bluffs, Iowa, Friday, Nov. 8, 2019. (AP Photo/Nati Harnik)

Lo sguardo sensibile, lungimirante e inclusivo delle donne sulla politica e sulla società è ciò che può dare nuova linfa alla sinistra. Lo dimostrano tante esperienze concrete che stanno prendendo corpo in giro per il mondo e anche da noi. Non ci riferiamo solo al pur importantissimo movimento internazionale Non una di meno. Ma anche a singole donne che portano avanti battaglie che non sono solo di genere, che in politica riescono a fare rete, promuovendo un nuovo patto internazionale, riuscendo a intersecare e a fare incontrare mondi diversi e lontani.

Sono tanti gli esempi che potremmo fare. Legandoci alla cronaca di queste settimane, per questo numero ne abbiamo scelte simbolicamente tre: Alexandria Ocasio-Cortez, giovane astro liberal del Partito democratico Usa, eletta lo scorso novembre al 116esimo Congresso degli Stati Uniti (sconfiggendo a sorpresa Joseph Crowley), Kshama Sawant, ingegnere informatico, leader di Socialist Alternative che a Seattle è riuscita a battere il candidato sostenuto finanziariamente da Amazon e l’ex parlamentare europea Elly Schlein che ha lanciato Emilia Romagna coraggiosa alle regionali e potrebbe farne un progetto nazionale.

Insieme all’americana di origine somala Ilhan Omar, deputata al Congresso e pro Bernie Sanders, le prime due hanno avuto un ruolo importante nel sostenere il maturo senatore del Vermont alle primarie del Partito democratico statunitense in Iowa (dove si è registrato uno strano caso di tilt nei conteggi e poi è stato occultato da molti media il vero risultato finale: Sanders 44,753, Buttigieg 42,235, Warren 34,312, Biden 23,051, Klobuchar 20,525) ma ci interessano soprattutto perché stanno portando avanti un discorso di nuovo socialismo e battaglie radicali in Nord America, dove il socialismo e l’ateismo sono temuti più della peste!

Giovani, preparate, competenti, femminili Alexandria e Kshama, diversissime fra loro, si dichiarano orgogliosamente socialiste, dando a questa parola un significato ampio di inclusione, di lotta alle disuguaglianze, di rifiuto del razzismo, di attenzione all’ambiente e di critica al capitalismo che distrugge non solo l’habitat in cui viviamo, ma anche i rapporti sociali.

La loro visione e prassi politica punta a rimettere al centro le persone, sconfiggendo la paura del diverso, mostrando concretamente, a partire da sé, la ricchezza culturale e l’ampiezza di visione che deriva dall’essere nate e cresciute all’incrocio di culture diverse. Un fertile “meticciato” di cui va orgogliosa anche Elly Schlein, italiana con ascendenze svizzere, che si è fatta le ossa da giovanissima lavorando per la campagna presidenziale di Obama ed è stata parlamentare europea impegnandosi molto per i diritti dei migranti e per la riforma del trattato di Dublino.

Nelle settimane scorse Elly ha aiutato la vittoria del centrosinistra in Emilia Romagna, portando a casa il 3,8 per cento di consensi con la lista Emilia Romagna coraggiosa, ma soprattutto proponendo un metodo diverso nel formare le liste a partire dall’associazionismo di base e da chi lavora sui territori. L’abbiamo incontrata anche per capire quali sviluppi potrebbe avere quella esperienza.

La settimana scorsa abbiamo parlato invece con Laura Parker che è stata alla guida di Momentum, l’ala giovane del Labour party che ha sostenuto Corbyn. Altre ne incontreremo nelle prossime settimane. Sono le nuove “coraggiose” o se preferite le nuove partigiane che potrebbero far uscire la sinistra dall’impasse che sta vivendo, non solo in Italia. Volendo evitare generalizzazioni le racconteremo una ad una contestualizzando l’originalità e l’importanza delle loro battaglie.

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola dal 7 febbraio

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«Così ho sconfitto il capo di Amazon», la lezione di Kshama

In this photo taken Nov. 4, 2013, Socialist candidate for Seattle City Council Kshama Sawant poses for a photo outside City Council chambers in Seattle. Sawant is challenging four-term Councilman Richard Conlin. (AP Photo/Ted S. Warren)

«Penso che quello che stiamo vedendo è che gli elettori del Partito democratico hanno un’immaginazione politica molto più grande dell’establishment del partito, sia a livello federale che nelle macchine politiche locali», ha ripetuto spesso Julia Salazar, ora senatrice del 18mo distretto dello Stato di New York. Come la più nota AOC, Alexandra Ocasio-Cortez, Salazar fa parte della leva di giovani, donne e socialiste, che stanno dando corpo a un’immaginazione politica a lungo proibita da quella parte dell’Atlantico, quando socialista significava “antiamericano”.

Se qui il premier Conte incontra una ventina di big manager di multinazionali – è accaduto alla Luiss il 17 gennaio – per assicurare stabilità, deregulation e sconti sulle tasse, a Seattle una giovane immigrata dall’India ha battuto il candidato di Amazon, in carica da 16 anni, nel distretto 3 del Seattle City Council. La sua campagna reclamava la tassazione delle multinazionali per finanziare un programma di edilizia popolare e il welfare cittadino in una città in cui gli sfratti sono una vera epidemia. È la prima socialista a entrare nel consiglio comunale dal 1916 e lo fa con un mandato storico per la Amazon Tax.

Si chiama Kshama Sawant, ingegnere informatico, insegnante di economia, classe 1973. Ed è marxista. Socialist Alternative, la sua organizzazione, sostiene Sanders: «Siamo molto chiari sul fatto che il Partito democratico non sarà il veicolo con cui i lavoratori conquisteranno l’assistenza sanitaria per tutti perché l’establishment del Partito democratico non si differenzia dal repubblicano per il suo forte accordo con la billionaire class», spiega Sawant raggiunta da Left mentre a Nieuwpoort, nelle Fiandre, partecipa al congresso del Committee for a Workers’ International di cui Socialist Alternative è parte.

«C’è qualcosa di importante che sta accadendo con Sanders che si dichiara socialista. La sua battaglia per l’assistenza medica per tutti, università pubbliche gratuite e di moratoria del debito degli studenti, tassando Wall Street e per un New deal verde che affronti il climate change, ha catturato l’immaginazione di milioni di persone in tutto il Paese. È estremamente importante che…

L’intervista prosegue su Left in edicola dal 7 febbraio

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Meravigliosa Giulia, partigiana e ribelle

Qualche giorno fa è mancata una cara amica e una compagna di una vita. Giulia Ingrao era la sorella del più che famoso Pietro Ingrao. Uno dei grandi padri del Pci. Un eretico che è però sempre rimasto fedele alla linea del partito. Non ne è mai uscito.
Giulia, sua sorella, è stata un’insegnante di scuola. Quando era bambina ha fatto la staffetta per i partigiani a Roma, nella guerra non guerreggiata che si faceva a Roma.
Portava lettere e pacchetti da una parte all’altra della città, rischiando la vita tutti i giorni. Lo racconta lei stessa in alcuni video che si possono vedere in rete in questi giorni.
Lei stessa racconta di come il suo fosse un inconsapevole eroismo. Il suo era un amore per il fratello. Che vedeva come qualcuno di grande, di straordinario, di impegnato in qualcosa di grande. Qualcuno che aveva l’ambizione di cambiare il mondo.

Giulia era una donna bellissima. Energica, mai ferma. A 85 anni diceva: «Io non ho fatto abbastanza, sento di poter fare di più». La depressione era una cosa a lei sconosciuta.
I suoi occhi grandi e il suo sorriso avevano una forza speciale. Era una donna che amava le persone. Tutte le persone a cui voleva bene in un modo assoluto. Giulia aveva una fiducia sconfinata negli altri.
A me e a Lorenzo Fagioli, editori dell’Asino d’oro, quando ci incontrava, in occasione delle grandi presentazioni che organizzavamo per i libri di Massimo Fagioli, diceva sempre: «Voi siete grandi! Continuate così! È importante quello che fate!» guardandoci con un sorriso che riempiva il cuore… e i suoi occhi grandi e spalancati… commossi per l’amore per la vita e per la realizzazione degli altri.
Giulia era la gioia di vivere fatta persona. Metteva sempre davanti a tutto una umanità a cui non rinunciava mai. Mai, in nessun caso.

Lei stessa racconta di come in gioventù, ad una riunione con i compagni del Pci a cui aveva aderito entusiasticamente durante e dopo la guerra, aveva litigato con chi diceva che era più importante la linea del partito che attivarsi e fare delle cose per gli studenti di una scuola che avevano bisogno di aiuto. «Se non si può discutere di queste cose che sono importanti, allora vaffanculo!». E se ne andò per sempre dal partito. Per lei le persone e le loro esigenze venivano prima di tutto.

Potremmo dire che lei e il fratello hanno rappresentato qualcosa di grande per la sinistra italiana. Dico la sinistra italiana e non gli ex-comunisti soltanto perché entrambi hanno avuto un significato molto al di là degli iscritti e votanti il Pci.
Ma tra i due c’era una differenza sostanziale.
Giulia aveva capito che la realizzazione umana non è solo nella soddisfazione dei bisogni. Non è solo una questione razionale. Venivano prima le esigenze!

Pietro aveva sicuramente fatto dei passi in quella direzione ma era sempre rimasto nel Pci, non aveva mai rifiutato il partito e i compromessi di pensiero che il partito ha fatto nel corso della sua storia. Primo fra tutti il compromesso con il Vaticano fatto da Togliatti quando accettò di ratificare i patti lateranensi dopo la guerra. Pietro aderì all’ordine di scuderia. Giulia no. Per Giulia venivano prima le persone e le loro esigenze. Viene prima la realizzazione e poi semmai la soddisfazione.

Giulia ha partecipato per tantissimi anni all’Analisi collettiva di Massimo Fagioli. Ha fatto la sua formazione e ricerca nell’Analisi collettiva. Ha cercato e trovato un’identità di donna che sa ribellarsi e sa realizzarsi. Nonostante la figura di un fratello così importante e con un’immagine pubblica così grande e che però, forse, non era riuscito del tutto proprio perché non aveva avuto la forza di ribellarsi ad un pensiero, quello del Pci, incapace di comprendere gli esseri umani.
Giulia ha rappresentato tanto per la sinistra. Era una immagine nota a tutti anche se non “famosa” come il fratello.

Noi dobbiamo ora prendere la sua eredità di ribelle sorridente e silenziosa e farla nostra. Ricordare il suo amore per la vita. Ricordare i suoi occhi grandi e il suo sorriso che ti riempiva il cuore. Ricordare la ragazzina partigiana e ribelle che è stata fino a 98 anni: innamorata della vita e degli altri.
Grazie per la tua meravigliosa vita, splendida Giulia.

L’editoriale di Matteo Fago è tratto da Left in edicola dal 7 febbraio

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Non il reddito: il salario, di cittadinanza

Spain's caretaker Prime Minister Pedro Sanchez, right and Podemos party leader Pablo Iglesias clasp hands after signing an agreement between the two parties in the Spanish parliament in Madrid, Spain, Monday, Dec. 30, 2019. Sanchez hopes to form center-left governing alliance to take office in the country in the coming days. (AP Photo/Paul White)

Il governo spagnolo ha aumentato del 5,5% il salario minimo: era uno dei più bassi in Europa, l’aumento porta la remunerazione a 950 euro per 14 mensilità. L’ambizione del governo, che nei giorni scorsi aveva annunciato anche un aumento delle pensioni, è quella di fissare il salario minimo al 60% dello stipendio medio entro la fine del mandato, il che equivarrebbe in termini pratici a circa 1.200 euro. In Francia Macron (sempre contestato perché in Francia hanno questa abitudine di manifestare facendo qualcosa in più di lagnarsi sui social) è stato costretto a ritoccarlo al rialzo: il salario minimo è di 1.521 euro. La Germania ha introdotto il salario minimo da poco e l’anno scorso l’ha ritoccato verso l’alto.

L’Italia? In Italia ogni volta che si discute di un salario minimo sembra che debba cascare il mondo. E non è un caso che siamo uno dei pochi Paesi europei a non avere un salario minimo. Forse varrebbe la pena considerare che la dignità passa attraverso un reddito dignitoso, benché questi ci vogliano convincere che bastino belle parole e buoni propositi.

In Europa si continua ad assistere a governi che hanno il coraggio di prendere decisioni che qui da noi risultano impraticabili. Se qui qualcuno proponesse un salario minimo ci sarebbe una schiera di politici amici di certa imprenditoria che ci disegnerebbe un futuro nero e un’invasione delle cavallette.

Non so se vi accorgete che su molti temi che qui vengono blindati con la solita frammetta del “non c’è alternativa” le alternative invece continuano a esserci e essere praticate nel resto del mondo. Forse ci sarebbe proprio bisogno di un partito che rilanci sul salario minimo per i lavoratori, sul diritto alla casa e su tutte quelle cose che negli ultimi anni sembrano diventate antiquariato politico (perché sono stati bravissimi a convincerci che è così) e che invece disegnerebbero un Paese attento davvero ai più poveri. Forse sarebbe anche un argomento su cui si potrebbe ritrovare la maggioranza che è al governo.

Ma ci hanno insegnato a fare sogni bassi, piccoli, stretti stretti.

Avanti così.

Buon giovedì.

Signora Merkel, è inaccettabile che in Germania si sdogani l’estrema destra

È possibile che in un land della Germania venga eletto un presidente del partito liberale non solo con i voti della Cdu di Angela Merkel ma con il concorso decisivo dei rappresentanti della estrema destra? Purtroppo è accaduto, nello stupore generale. Nel land il presidente uscente era della Linke, qui anche primo partito. Un presidente molto apprezzato che ha portato la Linke stessa a crescere di quasi due punti raggiungendo il 31%. Purtroppo il forte calo della Spd e l’avanzata della destra di Afd ha tolto la maggioranza assoluta a Linke, Spd e Verdi.

I tre hanno comunque raggiunto un accordo di governo approvato dagli iscritti certi di poter confermare il presidente visto l’impegno di tutte le forze democratiche a non coalizzarsi con l’estrema destra. Invece al momento della votazione è successo un fatto gravissimo con un candidato liberale che ha preso i voti della Cdu e accettato quelli della estrema destra. Questo fatto non può essere considerato locale. E neanche solo tedesco. Sdoganare l’estrema destra in Germania è inaccettabile. E potrebbe compromettere il governo federale e il ruolo della Germania in Europa. Merkel deve assumersi le proprie responsabilità e sconfessare questa scelta del suo partito. È ciò che chiede la petizione che riportiamo. Analoga richiesta va avanzata al partito liberale in Germania e in Europa.


 

 

Sardine, Benetton, Mapuche

Dicono le sardine che si scusano con i famigliari delle vittime di Genova se si sono sentiti toccati dalla loro foto con i Benetton. Quell’improvvida foto è stata subito associata alle tensioni tra governo e la società che gestisce le autostrade italiane (di cui i Benetton fanno parte) che proprio in queste settimane entra nel confronto più aspro.

Ma sui Benetton forse sarebbe il caso di accendere la luce sulla questione Mapuche e su ciò che avviene in Patagonia. Su Left ne abbiamo parlato molte volte, dedicando al tema reportage e approfondimenti. Per riassumere brevemente la vicenda, potremmo citare ciò che ha scritto Massimo Venturi Ferriolo, filosofo, professore ordinario di Estetica al Politecnico di Milano, che era membro della Fondazione Benetton studi ricerche e che proprio per lo scontro con i Mapuche decise di rassegnare le dimissioni.

Racconta Venturi Ferriolo di essere venuto a conoscenza di questi fatti dai suoi colleghi argentini dell’Universidad de Buenos Aires: «L’azienda Benetton acquisisce nel 1991 la compagnia Tierras De Sur Argentino, divenendo proprietaria di 924.000 ettari di terra. La maggior parte di queste costituiscono il territorio ancestrale degli indigeni Mapuche argentini, che vengono sfollati dai luoghi dove hanno da sempre vissuto, anche se alcuni saranno impiegati come lavoratori dall’azienda. I Mapuche, il cui nome indica uomo della terra, rivendicano il loro antico possesso ancestrale e la reclamano nonostante la repressione e l’accusa di terrorismo. Nella repressione di una pacifica manifestazione contro la Benetton e la detenzione di un loro leader, Francisco Facundo Jones Huala, il 1 agosto 2017 è scomparso Santiago Maldonado, difensore dei diritti dei Mapuche. Su questi fatti c’è una ricca documentazione raccolta da Tristan Bauer nel suo film documentario El camino de Santiago (distribuito ora in Italia da Antropica, ndr)».

Alla vicenda di Santiago Maldonado Left dedicò una storia di copertina. Il suo corpo è stato poi ritrovato a fine ottobre 2017 in un fiume a 70 metri, meno di un isolato, dal luogo in cui i gendarmi avevano attaccato i Mapuche il primo di agosto, come ha scritto Marcelo Figueras sulle nostre pagine. Sul caso non si è mai arrivati ad una verità giudiziaria, e lo scorso settembre si è riaperto il processo.

Ma non è tutto, scrive ancora Venturi Ferriolo «Nelle terre di Benetton vengono allevati 260 mila capi di bestiame, tra pecore e montoni, che producono circa 1 milione 300 mila chili di lana all’anno i quali sono interamente esportati in Europa. Nello stesso terreno sono allevati 16 mila bovini destinati al macello. Inoltre, dalle notizie ricavate da documenti pubblici reperibili in internet, nel 1996 inizia lo sfruttamento di giacimenti di oro e di argento attraverso la Compañia Mineras Sur Argentino S.A.»

E ancora: «La Benetton investe 80 milioni di dollari in diverse attività, tra cui l’installazione di commissariati per il controllo della zona, la realizzazione di una stazione turistica e l’apertura del Museo Leleque. Per la creazione di quest’ultimo un’intera famiglia Mapuche è stata sfrattata, nonostante l’azienda abbia destinato il museo al racconto e alla conservazione della memoria della Patagonia e degli abitanti originari Mapuche. Questo museo è stato curato dal contestato antropologo Rodolfo Casamiquela, tacciato di razzismo, e considerato offensivo dalle comunità mapuche in quanto nega la loro preesistenza e le oppressioni subite dal colonialismo europeo.»

Fino ad uno degli episodi di maggior conflitto con le popolazioni indigene, raccontato sempre da Venturi Ferriolo: «La contesa Benetton-Mapuche ha avuto il momento più drammatico, direi anche terribile, con la violenta cacciata da parte della Gendarmeria della famiglia mapuche Curiñanco dall’Estancia Santa Rosa, dove si erano stabiliti nel 2002 avvisando il commissariato locale e avvalendosi del diritto ancestrale. Qui iniziano ad allevare bestiame, creano un sistema di irrigazione e risistemano lo steccato. Risultato: dopo la causa perduta in tribunale nonostante le leggi che avrebbero potuto tutelarli, il 2 ottobre del 2003 i coniugi con i figli vengono sgomberati dagli agenti della gendarmeria, intervenuti a seguito di una denuncia da parte di Benetton. I campi e la casa distrutti, gli animali uccisi e le persone trascinate per i capelli. Questo fatto è l’inizio di una causa impopolare che ha contrapposto i Mapuche a Benetton».

C’è anche una lettera aperta di Adolfo Pérez Esquivel, al signor Benetton del 14 luglio 2004, dove il premio Nobel per la Pace chiede la restituzione dei 385 ettari di Santa Rosa ai legittimi proprietari, «un gesto di grandezza morale». Esquivel chiede soprattutto a Luciano Benetton di andare in Patagonia perché «incontri i fratelli Mapuche e che divida con loro il silenzio, gli sguardi e le stelle».

E poi, rivolgendosi alla proprietà, Esquivel – come ha ricordato Checchino Antonini su Left – proseguiva: «Lei si sta comportando come i signori feudali che alzavano muri di oppressione e di potere nei loro latifondi (…). Deve sapere che quando si toglie la terra ai nativi li si condanna a morte, li si riduce alla miseria e all’oblio. Ma deve anche sapere che ci sono sempre dei ribelli che non zoppicano di fronte alle avversità e lottano per i loro diritti e la loro dignità come persone e come popolo». Alla missiva i Benetton risposero: «Abbiamo semplicemente seguito le regole economiche in cui crediamo: fare impresa. Innovare, operare per lo sviluppo, continuare a investire per il futuro».

Ecco, forse le sardine potrebbero prendere spunto dal loro errore per raccontare una storia che sembra così difficile da raccontare. No?

Buon mercoledì.

Cari leghisti, fatevi avanti!

Foto Stefano Cavicchi/LaPresse 01 febbraio 2020 Vignola, Modena - Italia politica Matteo Salvini alla festa a Vignola, nel Modenese, in compagnia di Lucia Borgonzoni per ringraziare gli elettori dopo le elezioni regionali in Emilia Romagna.Nella foto: il leader della Lega Matteo Salvini, Lucia BorgonzoniPhoto Stefano Cavicchi/LaPresse February 01, 2020 Vignola, Modena - Italy polics Matteo Salvini in Vignola with Lucia Borgonzoni to thank thevoters after the elections in Emilia Romagna.In the pic: Matteo Salvini, Lucia Borgonzoni

Cari amici (si usa così dalle vostre parti) che avete votato con molto trasporto la candidata presidente della Lega Lucia Borgonzoni, ho una notizia da darvi. Innanzitutto, non so se lo sapete, non avete votato Salvini anche se avete visto Salvini dappertutto, la candidata era un’altra, quella che ora è responsabile per la cultura nella Lega. So che la parola cultura associata a Lega vi mette i brividi. Infatti la nomina è arrivata dopo per non indispettirvi.

Comunque, vi avevano detto che la Lega avrebbe liberato l’Emilia Romagna, vi è andata male, e vabbè, capita. Ma vi avevano anche detto che la Borgonzoni sarebbe rimasta comunque a fare opposizione in consiglio regionale nel caso in cui non avesse vinto? Ve lo ricordate? Del resto non c’è niente di più triste di quelli che partecipano alle elezioni solo se vincono, no?

Bene, vi hanno mentito. La Borgonzoni rimane a Roma. Ciao ciao. Bacioni, come si usa dalle vostre parti. Continua a fare la parlamentare con il suo lauto stipendio e con tutti i giornalisti a disposizione: non vorrete che si sporchi con il lavoro del consiglio regionale che non interessa quasi a nessuno, no?

E badate bene: non l’ha mica deciso lei. No, no. L’ha deciso il gran visir Salvini che ha detto che si era sbagliato e che la preferisce a Roma. E lei, ovviamente, ubbidisce: non sia mai che rischi di dare un’idea di donna determinata, no?

In pratica: se non si vince si abbandona il territorio, come nelle migliori tradizioni dei viziatelli che si portano a casa il pallone.

Però in tutto questo c’è anche un segnale positivo e significativo: la Borgonzoni è quella che si vantava di non avere letto un libro negli ultimi tre anni quando era sottosegretaria alla Cultura. E grazie alle sue competenze è diventata responsabile per la cultura nella Lega e candidata alla presidenza dell’Emilia Romagna. La buona notizia è questa: se avete letto tutto questo articolo avete già più competenze di lei. Fatevi avanti!

Buon martedì.

Morte non accidentale di un anarchico

Una lunga ricerca di archivio su carte recentemente desecretate, che ha portato alla luce nuovi elementi, e la toccante testimonianza delle figlie di Pinelli, Silvia e Claudia, rendono il nuovo libro di Paolo Brogi Pinelli l’innocente che cadde giù (Castelvecchi) una lettura necessaria, essenziale, indispensabile, direi. Oltre a ricostruire la verità dei fatti, Brogi ci restituisce un ritratto di Giuseppe Pinelli a tutto tondo, non solo il “caso” Pinelli, ma l’uomo, il suo mondo di affetti e i suo impegno come staffetta partigiana, ferroviere, anarchico, esperantista, attivista nonviolento.
«Ancora oggi di quella vicenda mi colpisce la costruzione, avvenuta nelle ore successive alla strage di piazza Fontana, del “mostro” da sbattere in prima pagina. Valpreda arrestato, Pinelli “suicida” reo confesso nella notte tra il 15 e il 16 dicembre. Che mostruosa invenzione!», dice a Left il giornalista e scrittore che in questo lavoro ha messo acribia di ricercatore e passione civile. «Pino Pinelli era un uomo mite e perfino nonviolento – ricorda Brogi -, attento alle ragioni degli altri, un lavoratore, con una famiglia, la moglie Licia e due bambine piccole. Un bersaglio scelto dalla polizia per essere gettato nel tritacarne delle istituzioni come un misero capro espiatorio. Colpisce la solennità con cui la Costituzione all’articolo 13 declama che la libertà personale è inviolabile, dopodiché si constata come sia possibile farne lettera morta».
Alcune ore dopo lo scoppio della bomba in piazza Fontana, Pinelli era stato portato in questura e trattenuto con un fermo illegale che si era protratto ben oltre le 48 ore, ci ricorda Brogi. «Colpisce che, di fronte alla sua inconcepibile morte, media importanti funzionarono allora come buca delle lettere per le orribili menzogne che il Questore Marcello Guida disse a ridosso di quel volo mortale giù dal quarto piano di quella sua Questura di Milano mentre era in corso un interrogatorio. Un innocente, come disse finalmente il presidente Giorgio Napolitano dieci anni fa, “vittima due volte, prima di infondati sospetti e poi di un’oscura morte…”. Una ferita che è rimasta ancora aperta, dopo cinquant’anni».
Pinelli entrò vivo in commissariato e morì “cadendo” dalla finestra. Stefano Cucchi è stato ucciso di botte da esponenti delle forze dell’ordine che avrebbero dovuto garantire la sua incolumità. Ci sono delle analogie?
Non si può e non si deve morire quando si è in custodia dello Stato. Almeno non si dovrebbe. Eppure è successo e si è ripetuto orrendamente nel corso del tempo. Perché? Perché le istituzioni non si occupano adeguatamente di questi orribili abusi? Perché a farsi carico della ricerca della verità, poi, devono essere quasi sempre e solo i poveri familiari delle vittime? Non ci sono elementi di garanzia che dentro le istituzioni facciano i conti con gli abusi che vengono commessi? Tutte domande che a ancora oggi stentano a ricevere degne risposte… Dunque c’è un abuso che continua, diciamo fisiologico. Con Pinelli l’abuso è stato commesso dentro un piano che prese nome di “teorema anarchico”, la pianificazione di una copertura ai terroristi golpisti ottenuta scaricando i loro misfatti su altri, in quel caso gli anarchici. I servizi costruirono impunemente la pista anarchica.
La storia dei servizi in Italia è annosa e in buona parte ancora da chiarire?
Nel nostro Paese qualcuno ha prodotto l’assurda definizione “Servizi deviati”. Una sorta di salva capra e cavoli per far andare avanti il sistema. La Divisione affari riservati del Viminale, che nel mio libro così come in altre ricerche come quella di Paolo Morando si mostra come l’artefice prima del “teorema degli anarchici” su cui scaricare la responsabilità delle stragi, è stata la cabina di regia con cui coprire lo stragismo fascista golpista e con cui colpire invece capri espiatori come gli anarchici allora. Ebbene, questa Divisione da cui dipendevano in tutta Italia gli Uffici politici delle questure (poi Digos) consisteva allora in meno di cento funzionari, al 90% addetti a mansioni esecutrici. E il restante 10%? Dirigenti, molto coesi e coordinati, con all’interno personaggi davvero inquietanti come Silvano Russomanno (ex repubblichino, ndr), il numero due del servizio, che ritroviamo a Milano nelle ore in cui muore Pinelli… Come si fa a definirlo un servizio deviato? Erano loro, senza altre sfumature o alternative, e il potere politico aveva delegato carta bianca.
Governo, ufficio affari riservati, servizi, fascisti, americani…quale
 fu la trama dei rapporti e delle responsabilità?
Ci restano al momento alcune affermazioni di cui vorremmo proprio chiedere conto. Prendete il senatore Taviani, già ministro dell’Interno. Ha dato alle stampe prima di morire diari in cui riferisce che l’esplosivo usato a piazza Fontana era stato portato in Italia da un agente segreto Usa, dell’esercito, da una base in Germania e dato agli ordinovisti neri della cellula veneta. Il bello è che l’ex ministro lo sa e lo scrive, come fosse il fatto più scontato possibile… Come diceva Norberto Bobbio noi abbiamo vissuto e forse viviamo ancora tra due livelli, quello sopra delle istituzioni e quello sotto, definiamolo operativo, che fa in apparente libertà tutto ciò che vuole, livelli interdipendenti a tutto vantaggio dei secondi. Allora nel ’69 la sudditanza dei ministri e del governo rispetto a questi uomini era assai evidente: il ministro per fare dichiarazioni o quant’altro chiamava al mattino il capo di fatto della Divisione affari riservati, Federico Umberto D’Amato, e si faceva dire…
C’erano stati dei precedenti come scrive Morando in Prima di piazza Fontana la prova generale (Laterza). Fu un piano ordito lucidamente, qual era l’obiettivo delle stragi fasciste? Stava emergendo un cambiamento sociale che doveva essere stroncato?
L’obiettivo era un colpo di Stato. Volevano costringere il presidente del consiglio Mariano Rumor a decretare sull’onda delle stragi le leggi eccezionali, l’emergenza. Gli Affari riservati sono uno dei gangli di questo piano, il Sid (i servizi segreti italiani dal 1966 al 1977, ndr) ne è comprimario, una fitta rete di eversori attraversa armi e istituzioni varie. Se non ci sono riusciti lo dobbiamo anche alla reazione di quel vasto movimento che si era formato tra il ’68 e il ’69 in Italia. Dobbiamo ringraziare ad esempio gli operai della Breda e della Pirelli a Milano che per primi si mobilitarono in piazza.