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Stessa mafia, stesso mare

Mentre Matteo Salvini vaga di spiaggia in spiaggia tra foto in costume e mojito in mano, c’è chi grazie proprio a villaggi turistici e stabilimenti balneari ha messo su un business milionario, a suon di estorsioni e teste di legno. Durante il beach tour del ministro dell’Interno – proprio quell’autorità che avrebbe il compito di combattere la criminalità organizzata – molto meglio dire che grazie al pugno duro leghista sotto gli ombrelloni «non ci sono vu cumprà che rompono». Fa nulla per l’efferata e spesso sottovalutata presenza malavitosa che minaccia, corrompe, incendia.

Secondo dati ricavati da relazioni della Direzione investigativa antimafia e ricostruiti dai Verdi, dal 2013 al 2017 sono stati 110 gli stabilimenti balneari sequestrati direttamente alle cosche. L’interesse dei boss per le spiagge e i litorali è dovuto al ricchissimo business che queste generano, senza dimenticare che è facilissimo riciclare denaro di provenienza illecita sul bagnasciuga grazie agli irrisori costi delle concessioni demaniali, che – secondo dati del ministero dell’Economia – incidono su meno del cinque per cento del fatturato degli stabilimenti balneari stessi. Un giro d’affari certificato dall’Agenzia delle entrate intorno ai 2 miliardi di euro.

«Il tema – commenta non a caso il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, che in passato è stato vittima anche di pesanti atti intimidatori (nel 2000 gli venne incendiata casa a Ostia, nel 2006 gli venne fatto trovare un fegato di animale sul pianerottolo) – è pesantemente sottovalutato dalle istituzioni. Eppure la gestione del demanio marittimo è sempre stato oggetto dell’attenzione della criminalità organizzata, proprio perché i canoni annui sono così bassi che ovviamente determinano utili molto elevati».
Luigi Bonaventura, oggi collaboratore di giustizia, è stato a lungo boss della cosca Vrenna-Bonaventura e per anni ha avuto nelle sue mani il controllo di gran parte della movida crotonese, tra stabilimenti balneari, discoteche e ristoranti. «In Calabria e in Sicilia – spiega – questo business è molto florido per due motivi…

L’inchiesta di Carmine Gazzanni prosegue su Left in edicola dal 23 agosto 2019


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Il consenso per Salvini si fonda sulla paura che lui alimenta narrando un’Italia che non esiste

Giurista, accademico italiano, docente della Normale di Pisa e giudice emerito della Corte costituzionale, Sabino Cassese è voce autorevole e lontana dalla bagarre politica attuale. Quando è passata anche al Senato la stretta autoritaria contenuta nel decreto sicurezza bis (che incurante dell’articolo 10 della Carta e del diritto internazionale criminalizza la migrazione e punisce le Ong che prestano soccorso) abbiamo chiesto al professore di aiutarci a comprendere i rischi che corre la democrazia italiana ai tempi del governo giallonero. Ma anche, alla luce del suo ultimo libro Il popolo e i suoi rappresentanti, di aiutarci a rintracciare le radici della crisi che la democrazia rappresentativa sta attraversando.
Professor Cassese come valuta questa seconda legge sulla sicurezza?
Sproporzionata rispetto alla situazione della sicurezza in Italia. Secondo le statistiche, l’Italia è un Paese relativamente più sicuro di altri. C’era bisogno di due leggi sulla sicurezza in un anno? C’è poi da chiedersi: è una norma legittima costituzionalmente e per il diritto internazionale? Ci sono bisogni di prevenzione che non sono soddisfatti da questa legge? La mia risposta – per ora provvisoria – è che la legge risponde più a esigenze elettorali della Lega che a bisogni sociali. Più in generale, l’enfasi posta sul tema della sicurezza è un fatto negativo: ha valore retorico-politico. Ripeto, la sicurezza in Italia è maggiore che in molti altri Paesi. Accentuare la preoccupazione per questo tema serve fondamentalmente a Matteo Salvini per raccogliere altri voti, facendo uso delle preoccupazioni che egli stesso alimenta con la sua “narrazione” delle condizioni del nostro Paese.
Il leaderismo e l’assenza di democrazia all’interno dei partiti sono due patologie che si esprimono al massimo nelle due forze di governo che pretendono di parlare a nome del popolo?
Purtroppo l’assenza di democrazia interna riguarda tutti i partiti. Basti pensare al ricorso alle cosiddette primarie. Riprendendo un istituto che era stato introdotto negli Stati Uniti proprio per contrastare la sclerotizzazione dei partiti, le primarie hanno supplito all’assenza di democrazia interna dei partiti. Ma, in questo modo, a una vita democratica continua nel partito si è sostituita una democrazia per lo più quinquennale, concentrata in un giorno.
Nel suo nuovo libro Il popolo e i suoi rappresentanti tratta una questione cardine oggi: la crisi della rappresentanza. Come si è determinata?
Con il passaggio dal suffragio ristretto al suffragio universale vi è stato bisogno dei partiti come tramite dei rapporti tra società e Stato. Quando i partiti sono entrati in crisi, questi rapporti sono a loro volta entrati in crisi.
In un passaggio del libro riporta che l’iscrizione ai partiti nel 1948 era otto volte maggiore rispetto ad oggi, benché fossimo 10milioni in meno. Qual è la causa della dissoluzione dei partiti tradizionali?
La storia dei partiti nel nostro Paese attraversa diverse fasi. La prima è quella costitutiva, che trova il suo acme nel periodo del secondo dopoguerra con una massiccia partecipazione dei cittadini ai partiti, partecipazione che si manifestava sia con le iscrizioni sia con la presenza nelle sezioni locali dei partiti. Poi i partiti sono diventati sempre più “chiese”, la democrazia interna dei partiti è andata diminuendo. Si è verificato quindi un paradosso: i partiti, strumento della democrazia, non erano a loro volta democratici al loro interno. Di qui la crisi e la trasformazione dei partiti da associazioni a ristrette camarille.
Lei ha scritto un importante libro sullo Stato fascista. Lo storico Luciano Canfora parla di proto fascismo oggi riferendosi non solo alle azioni squadriste di movimenti come CasaPound e Forza nuova, cosa ne pensa?
Non credo che si debba evocare il tema del fascismo. Anche questo finisce per nutrire preoccupazioni alimentate dalla Lega.


L’intervista è tratta da Left del 9 agosto 2019 

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Un vaccino per l’anti-politica

Italian Prime Minister Giuseppe Conte (C) is flanked by Deputy Prime Ministers Matteo Salvini (L) and Luigi Di Maio (R) as he addresses to the Senate about the government crisis, in Rome, Italy, 20 August 2019. ANSA/ ETTORE FERRARI

Ma com’è possibile che si sia arrivati a questo punto? Credo sia una domanda che molti si stanno ponendo in queste settimane, di fronte alle convulse vicende politiche di questo agosto italiano. Ed è una domanda inquietante, quale che sia lo sbocco immediato che potrà avere questa crisi. Se anche assumiamo che il voto europeo, e poi i sondaggi, non siano destinati ad essere confermati esattamente alle prossime elezioni politiche, rimangono alcuni dati di fatto: la forza politica, il consenso diffuso, una vera e propria egemonia culturale, che possiede ed esercita oggi nel nostro Paese una destra reazionaria, xenofoba, nazionalista, pericolosamente incline a stravolgere ogni vincolo costituzionale; e, di contro, un’area democratica debole, divisa, incapace di mettere in campo idee, risorse e organizzazione che possano contrastare quell’egemonia; ed in mezzo, una formazione politica, il M5s, a cui molti italiani si erano rivolti, con un misto di speranze e di risentimento, e che – dopo un anno di governo – mostra tutta la fragilità e l’inconsistenza delle sue basi ideologiche, l’assenza di una vera bussola di principi e ideali a cui ispirarsi.

E allora, di fronte a tutto questo, è possibile suggerire una qualche chiave di interpretazione che sfugga alla trappola dei retroscena giornalistici, e che ci permetta di capire qualcosa su ciò che accade effettivamente, e su cosa potrà accadere?

Quello che stiamo vivendo è…

L’articolo di Antonio Floridia prosegue su Left in edicola dal 23 agosto 2019


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Come ricostruire l’Italia

Questo numero di Left ricorda il terremoto che il 24 agosto 2016 colpì l’Italia centrale con epicentro Accumoli ed Amatrice. Ricordiamo le vittime, che si aggiunsero alle tantissime dei moltissimi eventi naturali che colpiscono un Paese morfologicamente prezioso ma fragile e incapace di pensare l’unica Grande opera che serve: la sua messa in sicurezza.

Che poi è la messa in sicurezza del suo territorio, ma anche delle istituzioni che vi prepongono e delle attività che vi insistono. Proprio perché parliamo di «messa in sicurezza», la crisi politica che stiamo vivendo, i rischi che percepiamo, il suo difficile svolgimento chiedono una riflessione che sia di larga portata. Indispensabile se pensiamo che stiamo a ormai trent’anni da quello che è stato chiamato addirittura il passaggio ad una Seconda repubblica. Che doveva realizzare un “Paese normale”, stabile e senza avventure. Una Seconda repubblica che sorgeva dallo scioglimento dei partiti di massa in nome della governabilità fondata sul maggioritario bipolare non più gravato da ideologismi e da conflitti.

Sono passati trent’anni ed abbiamo conosciuto Berlusconi e il partito azienda, i ripetuti attacchi alla Costituzione, l’affermarsi dell’inesistenza di alternative, i populismi e il partito della Nazione di Salvini. Soprattutto, le condizioni di vita delle persone sono andate peggiorando, mentre si perdeva la speranza in un cambiamento.

Ed eccoci qua in piena crisi politica e con l’incertezza sulle soluzioni e sui rischi che si corrono. Mentre la recessione si affaccia minacciosa dagli Usa e dalla Germania, siamo a chiederci chi sia veramente Salvini, se l’uomo che “vuole tutto il potere” o colui che sembra, spaventato, voler tornare indietro sui passi fatti. Mentre si assiste in diretta all’ennesima tragedia sadica ai danni dei migranti sulla Open arms, addirittura si risente l’antica espressione andreottiana dei «due forni» per indicare la propensione dei cinquestelle a poter scegliere tra due possibili alleanze. Loro che non dovevano allearsi con nessuno perché espressione della rivoluzione dei cittadini. E il Pd, che doveva essere architrave del bipolarismo, quello forte perché ancorato al governo europeo, si trova diviso e ridotto a fare uno dei forni, come un partito socialista piccolo e “nenniano”.

Siamo in una situazione in cui l’incertezza, e la potenziale pericolosità degli esiti, mostrano tutta la fragilità dell’impianto della cosiddetta Seconda repubblica che ha mantenuto i difetti della Prima aggravandoli con la destabilizzazione dei corpi intermedi, la preclusione di scelte alternative nel merito, l’irruzione del populismo rapidamente degenerato in forme di neoautoritarismo.

Che in un quadro come questo si pensi ad una riduzione dei parlamentari come “lotta alla casta” è un ennesimo vulnus assai rischioso. In una democrazia impoverita come la nostra per la crisi dei corpi intermedi e della relazione di rappresentanza, nel mentre è cresciuta la complessità anche legislativa (si pensi a quella europea) che si riducano i parlamentari in un Paese come l’Italia che è già al 22esimo posto in Europa nel rapporto percentuale tra eletti e elettori è uno sbaglio. Tanto più grave vista l’assurda legge elettorale che premia minoranze trasformandole in maggioranze e subordina gli eletti ai capi. E oggi darebbe tantissimo potere alla Lega.

Trenta anni sono un tempo sufficiente per capire che una costruzione, quella della Seconda repubblica, è fallita. In questa crisi perigliosa, ciò che è sopravvissuto dell’impianto costituzionale e parlamentare – grazie a chi lo ha difeso dai ripetuti attacchi – è riuscito a opporsi a chi dice di volere tutto il potere. La crisi resta incerta. Si accavallano e si rincorrono ipotesi, dal «governo Ursula» sulla scia del voto di Pd e Cinquestelle (ma anche di Berlusconi) alla nuova Presidente della Commissione Europea, al rincontro tra Cinquestelle e Lega, alle elezioni volute da Salvini e non escluse da Zingaretti.

Conte, che nasceva comprimario, arriva a questo passaggio da assoluto protagonista. E il suo discorso in aula lo conferma. Un discorso che chiama in causa il ministro degli Interni, sulle responsabilità della crisi e da ultimo anche sull’uso dei simboli religiosi. Che prova a recuperare, nell’era dei social, molti fondamenti della cultura istituzionale. Che rivendica le cose fatte, non distinguendosi neanche sulle peggiori. Che guarda molto a ciò che è accaduto e che accadrà in Europa, la nuova Commissione, il “rischio” dei conti. Nulla sui migranti, che pure stanno in quel Mediterraneo di cui parla.

Salvini risponde con quello che sembra un discorso elettorale, con tutto il suo repertorio, ma forse resterà per ora all’opposizione. Di certo prima si abbandona il punto cardine della Seconda repubblica, e cioè quel maggioritario che doveva creare una stabile normalità e invece ha determinato rischi ripetuti e crescenti, meglio è. Il proporzionale appare come una messa in sicurezza democratica. Ma poi occorrono altre cose. Che si ricostruiscano partiti veri e partecipati, magari a dimensione europea, che sarebbe quella minima necessaria. Che riprenda una nuova capacità riformatrice. In questo numero di Left parliamo non a caso di una grande riforma per mettersi in sicurezza dai terremoti. Serve trovare le forze per farla.

L’editoriale di Roberto Musacchio è tratto da Left in edicola dal 23 agosto 2019


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John Fante, l’arte di separarsi dal padre

«Ho fatto un sacco di lavori al porto di Los Angeles perché la nostra famiglia era povera e mio padre era morto». Questa la frase di apertura de La strada per Los Angeles, il primo romanzo del quale John Fante completò la stesura, nel maggio del 1936, ma che venne rifiutato da una sequela di editori e messo da parte, per poi essere pubblicato postumo da Black Sparrow Press nel 1985. A parlare è Arturo Bandini, poco più di un ragazzo, e la sua voce è per molti versi già quella che i lettori di tutto il mondo hanno imparato a conoscere attraverso le pagine di Chiedi alla polvere: aspra, ironica, animata da un furibondo dinamismo, carica delle illusioni e della rabbia di chi combatte per un posto al sole nella fabbrica dei sogni, ma rimane un corpo estraneo.

Non è però Chiedi alla polvere il romanzo cui Fante si dedica, dopo aver messo nel cassetto la sua opera prima. La narrazione in prima persona viene temporaneamente accantonata, e il libro sul quale Fante torna a lavorare è un progetto antico, il cui primo titolo di lavorazione era Mater Dolorosa e il secondo, con inversione esemplare, Pater Doloroso. Acquistato dalla Viking Press sulla base di una sinossi, e con un anticipo di 150 dollari, Pater Doloroso sarà pubblicato nel settembre del 1938 con il titolo Aspetta primavera, Bandini, ottenendo un notevole successo e assicurando a Fante una posizione di rilievo sulla scena letteraria americana.
Questo l’incipit di Aspetta primavera, Bandini

Luca Briasco, americanista, editor, traduttore è tra gli ospiti del John Fante festival che si svolge dal 22 al 25 agosto a Torricella Peligna (Chieti)

L’articolo di Luca Briasco prosegue su Left in edicola dal 23 agosto 2019


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Le Ong scafisti delle foreste

epa07613380 Brazilian President Jair Bolsonaro takes part in the signing of the National Policy of Regional Development Decree, in Brasilia, Brazil, 30 May 2019. EPA/Joedson Alves

Dicono che l’Amazzonia sia il polmone del mondo. È una di quelle frasi fatte che comunque contiene verità: su un pianeta che continua a bollire ogni anno di più (e luglio è stato nel mondo il mese più caldo nella storia) la foresta amazzonica è un tesoro da custodire con cura.

L’Amazzonia brucia. 74mila incendi nel 2019 (siamo al +84% rispetto all’anno precedente) e una crisi ambientale che non è solo brasiliana, come a qualcuno farebbe comodo credere, ma che interessa il mondo intero. E interessa a tutti quelli che hanno il cuore il proprio futuro: quindi a quasi tutti, si immagina.

Mentre l’Amazzonia brucia il presidente del Brasile Jair Bolsonaro riesce a dare l’ottimo esempio di come siano i sovranisti (tutti, di qualsiasi nazione) di fronte a una crisi ambientale: patetici. Del resto son quelli che della negazione della realtà fanno sempre il pilastro portante della propria propaganda e anche Bolsonaro si è affrettato a dire che no, che l’Amazzonia non brucia, che non è vero. Così quando l’Inpe, l’Istituto nazionale per la ricerca spaziale, ha comunicato che l’Amazzonia brucia più velocemente da quando si è insediato lui Bolsonaro non ha trovato di meglio che negare trattando i dati come “menzogne”. Negano, negano sempre, negano senza nessuna paura di essere ridicoli.

E quando non ha trovato più plausibile negare si è inventato che quegli incendi (badate bene, che prima per lui non esistevano) erano opera degli agricoltori che hanno bisogno di nuove terre. Ma non è finita qui: infine ha accusato persino le Ong, colpevoli di appiccare incendi perché il suo governo avrebbe tagliato del 40% i fondi. Le Ong scafisti delle foreste è una roba da mettersi le mani nei capelli.

Buon venerdì.

 

L’interrogazione sul respingimento segreto in Libia rimane senza risposta

Migrants arrive at a naval base in Tripoli, after being rescued in the Mediterranean on June 24, 2018. - Some five hundred African migrants were rescued in the Mediterranean by the country's coast guards on June 24, 2018, according to the Libyan navy. (Photo by MAHMUD TURKIA / AFP) (Photo credit should read MAHMUD TURKIA/AFP/Getty Images)

Secondo alcune testimonianze, il 2 luglio 2018 un cargo italiano ha ricondotto a Tripoli un gruppo di migranti soccorsi nel Mediterraneo. Una vicenda ancora oscura, che potrebbe costituire una grave infrazione delle norme internazionali sul diritto d’asilo e sul diritto del mare. E che ha segnato in negativo il destino di molti esseri umani. Ricondotti nei lager libici. Una vicenda che il nostro settimanale ha denunciato per primo, grazie ai contributi dell’attivista e scrittrice Sarita Fratini e del collettivo Josi & Loni project.

Ebbene, il 26 luglio scorso il deputato dem Matteo Orfini ha depositato alla commissione Affari costituzionali della Camera una interrogazione sul tema, indirizzata al ministro delle Infrastrutture. Nel documento si chiede di fare luce anche su un altro episodio, quello della Asso Ventotto, la nave commerciale di cui si occuparono le cronache il 30 luglio 2018 per aver riportato in Libia un gruppo di persone soccorse nel Mediterraneo in acque internazionali, su indicazione della marina di Tripoli. Un episodio che l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione definì «una delle più gravi violazioni del diritto internazionale ed europeo in materia di asilo mai avvenute».

Per il momento, con la caduta del governo giallonero, il quesito rimane senza risposta. Dal canto nostro, continueremo a indagare.

Per approfondire, l’inchiesta di Leonardo Filippi è stata pubblicata su Left del 14 giugno 2019


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Non chiamatela emergenza

Rescuers team walk near a house, destroyed in the earthquake in one of the more heavily damaged areas on August 22, 2017 in Casamicciola Terme, Italy. A magnitude-4.0 earthquake struck the Italian holiday island of Ischia early this morning during peak tourist season, killing two women. The earthquake occured just two days ahead of the first anniversary of an earthquake in central Italy in which 299 people died. (Photo by Marco Cantile/NurPhoto via Getty Images)

Negli ultimi decenni il nostro Paese ha assistito a tante cosiddette emergenze: catastrofi naturali che paiono interrompere bruscamente il naturale scorrere delle cose. Quando accadono, la macchina statale che si mette in moto, per tutelare la salute delle persone e riparare ai danni materiali, genera e consolida in tutto e per tutto una “retorica emergenziale”. Dalla produzione intensiva di norme “ad hoc”, tramite decretazione d’urgenza, alla narrazione dei media che amplifica il senso di pericolo incombente che tali eventi generano nella popolazione. Ma se guardiamo con attenzione a questi eventi è facile comprendere come in molti casi non si tratterebbe di emergenze, ma di problemi strutturali del nostro Paese. E, come tali, andrebbero affrontati.

A proposito di terremoti, il paradigma andrebbe completamente rovesciato: questi fenomeni non sono una emergenza in Italia. Il territorio della Penisola è attraversato da un complesso sistema di faglie che la espone quasi per intero al rischio sismico. Una situazione assai evidente sull’arco appenninico, che dall’Emilia Romagna alla Sicilia è teatro di eventi potenzialmente distruttivi. Ciò che rende però il terremoto pericoloso – è bene ricordarlo – non è il fenomeno in sé, bensì l’elemento umano, ossia costruzioni poco sicure e cura del territorio talvolta del tutto assente.

A seguito dei terremoti che dal 24 agosto 2016 hanno colpito il Centro Italia abbiamo assistito al consueto copione emergenziale e di conseguenza all’ennesima esperienza di gestione post-sisma fallimentare. Oggi – a tre anni di distanza – quei territori vivono ancora in un tempo sospeso. La ricostruzione è impantanata. L’emergenza sociale ed economica che sperimentano è fatta, prima di tutto, di spopolamento, crisi delle imprese, assenza di reddito e lavoro per chi decide di continuare a vivere quelle terre meravigliose.

Ma come si sono mossi i tre governi (Renzi, Gentiloni, Conte, ndr) che si sono succeduti in questi tre anni? Da un…

L’articolo di Riccardo Bucci prosegue su Left in edicola dal 23 agosto 2019


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Oltre la dittatura del presente, a sinistra

A Corazziere, member of the Italian Cuirassiers' Regiment (Reggimento Corazzieri) elite military and honor guard, is seen in the Quirinale Palace during the first round of formal political consultations following the resignation of Prime Minister Giuseppe Conte, in Rome, Italy, 21 August 2019. ANSA/ETTORE FERRARI

Non una parola sui decreti sicurezza nel discorso al Senato del premier Conte né sugli altri decreti anticostituzionali del governo giallonero. Anche se gli va riconosciuto che – seppur in extremis – ha accusato il vice premier e ministro dell’Interno Salvini di essere scappato dalla verifica in Aula, svicolando dall’obbligo di far chiarezza sul Russiagate.

Nella sua comunicazione in Senato il presidente del Consiglio uscente ha difeso l’operato del governo limitandosi a parlare di un generico nuovo umanesimo come stella polare, invocando un’Europa più solidale e – udite, udite – lui, devoto di padre Pio ha parlato laicità, mentre Salvini baciava il rosario e, come se fosse una cosa normale, parlava dei miracoli di Giovanni Paolo II, rincorso da Renzi che citava il Vangelo.

Anche nell’ultimo atto del governo giallonero in Aula non abbiamo udito una parola in difesa dei diritti umani (sociali e civili) e abbiamo assistito ad una antistorica e medievale gara a negare la laicità come principio supremo dello Stato (come ha scritto la Corte costituzionale nel 1989). Benché nei giorni precedenti Conte, con il ministro della difesa Trenta, avesse preso le distanze dal disumano divieto di sbarco di Salvini, il 20 agosto non ha argomentato il suo repentino cambio di rotta, dedicando solo qualche parola al tema dei migranti nella replica.

Per 19 giorni il ministro dell’Interno aveva usato il pugno di ferro con i naufraghi salvati dalla Open Arms allo stremo, fisicamente e psicologicamente. Al punto che alcuni di loro si erano tuffati in mare nella vana speranza di raggiungere Lampedusa a nuoto. Ora, finalmente, mentre andiamo in stampa, la procura di Agrigento ha disposto il sequestro della nave e lo sbarco immediato dei profughi a bordo.

Il caso della Ong catalana è uno dei tanti che hanno punteggiato lo scellerato governo Lega-M5s. Un anno fa scoppiò quello dell’Aquarius a cui la Spagna offrì un porto sicuro, come ora ha fatto con Open Arms. La Ong trasse in salvo anche la signora Josefa, contro la quale si accanirono i fascioleghisti nostrani, negando che fosse una sopravvissuta per lo smalto rosso sulle unghie, che attiviste le avevano regalato. Clamoroso fu poi il caso della motovedetta Diciotti per il quale Salvini è stato accusato di sequestro di persona scampando il giudizio grazie alla memoria difensiva presentata dal premier Conte a cui si è accodato il ministro delle infrastrutture Toninelli. Non pago, Salvini ha accusato la capitana Carola Rackete, arrestata per aver portato in salvo i migranti a bordo della Sea Watch 3! Ricavandone l’ennesimo autogoal, poiché la magistratura ha riconosciuto lo stato di necessità e di urgenza in cui la capitana ha dovuto attraccare, dopo 17 giorni di stallo in mare.

Abbiamo sommariamente ricordato qui solo alcuni dei moltissimi episodi nefasti che hanno caratterizzato il governo legastellato, basato su un inaccettabile contratto di governo. Inaccettabile anche per la formula dell’accordo di natura privatistica. Per tutti questi 14 mesi non abbiamo mai smesso di denunciare la cinica e falsa narrazione propalata da Salvini e dai professionisti dell’odio che hanno costruito ad hoc un nemico, individuandolo nei migranti, gridando all’invasione, agitando paranoicamente lo spettro di una fantomatica sostituzione etnica quando – come ribadisce Giuliana Sgrena in questo sfoglio – l’immigrazione non è mai stata così scarsa. Notoriamente sono più i giovani italiani costretti a lasciare il Paese per trovare un lavoro, che gli immigrati in arrivo.

L’auto nominato “governo del cambiamento” è stato un totale disastro per il Paese che ora rischia una manovra lacrime e sangue, l’esercizio provvisorio e l’aumento dell’Iva. Lungi dall’aver abolito la povertà il governo giallonero ha varato un reddito di cittadinanza che, al più, è una misura assistenziale, un’elemosina e talmente bassa che molti vi hanno rinunciato. Per non dire di quei malcapitati navigator, precari essi stessi, che dovrebbero trovare ad altri un’occupazione. Avevano promesso l’abolizione della Fornero e hanno prodotto una fallimentare “Quota cento”, che penalizza le donne e che non porta ricambio generazionale.

Il fallimento politico del governo giallonero era da tempo sotto gli occhi di tutti. L’unica risposta che ha saputo dare alle questioni sociali è stata autoritaria, con i due decreti Salvini che, oltre a mettere in atto politiche criminali verso i migranti, reprimono manifestazioni pubbliche di dissenso. Spingendosi pericolosamente sulla strada dell’emulazione di Mussolini, dalle spiagge Matteo Salvini ha preteso «pieni poteri», suscitando una viscerale e profondissima rivolta fra quanti – e siamo tanti – non hanno annullato la storia antifascista di questo Paese e considerano come stella polare i valori della Costituzione nata dalla Resistenza. Ora è giunto il momento in cui l’opposizione deve non solo rifiutare ogni forma di governo antidemocratica, ma proporre con coraggio una propria visione, puntando ad elaborare un progetto egemone per costruire un’Italia più giusta, laica, moderna e democratica. Il governo giallonero ha parlato a vanvera di sicurezza senza fare nulla riguardo alla vera sicurezza che manca in questo Paese: sul lavoro, nelle aree vessate dalle mafie (come in questo numero documentano Gazzanni e Iorio), nelle famiglie dove le donne sono vittime di violenza, nei territori a rischio sismico.

Nulla è stato fatto per la messa in sicurezza del territorio, come raccontiamo in questa storia di copertina che traccia un quadro drammatico a tre anni dall’ultimo distruttivo terremoto. Dopo un governo che ha contribuito ad aumentare la forbice delle disuguaglianze, che con lo Sblocca cantieri e i condoni ha fatto la fortuna degli speculatori, mentre lascia sul tavolo centinaia di crisi aziendali, è tempo che la sinistra alzi la testa, cominciando a parlare di politiche per uno sviluppo sostenibile, Green new deal, investimenti sulla scuola e sulla ricerca, misure di welfare universale e di protezione dei ceti più poveri, patrimoniale, diritti sociali e diritti civili (cancellazione del ddl Pillon, una legge sul fine vita, abolizione di quel che resta della legge 40, campagne di prevenzione contro la violenza sulle donne ecc.). Per cominciare. Mentre si riaffacciano alla ribalta vecchi “campioni” del neoliberismo pronti a riproporre fallimentari ricette di austerity, la sinistra faccia un bagno di realtà ma tentando anche uno scatto di immaginazione, provando a guardare oltre la dittatura del presente. è accaduto perfino nei periodi più bui, è accaduto sotto il fascismo, è accaduto dietro le sbarre a Ventotene.

Liberiamoci dal tatticismo e da quest’inerzia mortale che ci consegna a una subalternità totale, stritolati nella tenaglia fra il populismo sovranista e il “partito” di Ursula von der Leyen che, per quanto sia argine ai nuovi fascismi, è stata un criticatissimo ministro in Germania, ha espresso posizioni più conservatrici di Schäuble. Perciò non è stata votata né dai Verdi né dalla Gue.

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola dal 23 agosto 2019


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Il dovere all’empatia

Se dovessi scegliere un punto del prossimo contratto di governo, qualsiasi governo, con qualsiasi traballante e improbabile alleanza, tipo se qualcuno mi suonasse al citofono e mi dicesse «buongiorno mi può proporre un punto per il contratto con gli italiani?» e io «certo, volentieri, venga pure, le offro un bicchiere d’acqua fresca», ecco, se succedesse una cosa così, certo che non succede ma se succedesse, chiederei di inserire, nel contratto da presentare tutti mielosi da Bruno Vespa con il profumo di dopobarba che scivola fuori dai teleschermi degli italiani imbambolati davanti a Porta a Porta, un nuovo dovere: il dovere all’empatia.

Il dovere costituzionale di essere capaci e di essere volenterosi di mettersi nei panni degli altri, qualsiasi panno sia chiaro, che siano stracci oppure quei bei completi giacca e cravatta che non cascano nemmeno di un millimetro sulle spalle, oppure quelli di chi ha sempre addosso il grembiule che profuma di tutto il cibo cucinato per tutti i figli e per tutti i nipoti. Provare a liberarsi dalla tossicità di questi ultimi mesi con la capacità di indossare le scarpe degli altri, di riuscire a tenere nel palato i dolori e le speranze di chi vive una vita lontana da noi con la capacità e l’intelligenza di non cadere nella tentazione di credere che la nostra vita, il nostro paradigma, i nostri pensieri, il nostro ordinario, il ritmo cardiaco della nostra giornata, siano le uniche chiavi possibile per leggere il mondo.

Capire che ognuno vive un contesto che è un fardello, ce lo trasciniamo addosso come un sacco di iuta pieno di barattoli, quelli che fanno rumore attaccati ai paraurti posteriori delle coppie che si sposano, e siamo sempre convinti, sicuri, con una sicumera insopportabile oltre che stupida, che il nostro sia l’unico modo di intendere il mondo. Ci hanno convinto che il nostro buonsenso sia l’unico buonsenso possibile senza sapere e senza insegnarci che il variopinto ventaglio di sensi è il valore di una società eterogenea capace di annusare le diversità degli altri e di trasformarsi in acquolina in bocca per crescere e viaggiare negli incontri che facciamo.

Provate a pensarci: se di colpo diventasse obbligatoria l’empatia, come l’educazione fisica o la matematica a scuola, sarebbero fuori gioco tutti quelli che usano la miopia come clava per bastonare i deboli. Perché anche noi saremmo deboli. Capaci di essere deboli. Con tutti i vocabolari che servono per leggere le difficoltà e le disperazioni.

Buon giovedì.