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Bella ciao, un canto di resistenza che attraversa l’Italia e il mondo intero

Demonstrators during an anti-racism rally in Macerata, 10 February 2018. Few days ago an Italian Luca Trani shot with a gun on several coloured people down the streets of Macerata. ANSA/FABIO FALCIONI

Bella, vero, la nostra copertina di questa settimana? Bella e urgente dentro questo tempo di ferocia liberista e di rigurgiti fascisti. Bella ciao. Come le mondine, prima. Come i partigiani che di quelle mondine erano fratelli o fidanzati. L’ultima versione incisa, nientemeno, è di Tom Waits dentro un album del suo chitarrista Marc Ribot (Songs of Resistance 1942-2018) che ne intona in italiano l’incipit del ritornello e alcuni versi in una versione più lenta e struggente di quella tradizionale. Nel video ufficiale le immagini della Casa Bianca, delle prigioni Usa e delle manifestazioni di Black Lives Matter contro la discriminazione delle minoranze e la police brutality. Perché l’Onda nera parte da entrambe le rive dell’Atlantico e Bella Ciao è un canto di resistenza conosciuto ovunque. Quando Kobane fu liberata dall’Isis l’hanno cantata i combattenti kurdi festeggiando dopo mesi d’assedio. L’hanno cantata il 17 settembre in consiglio comunale a Massa per chiedere le dimissioni di un tizio di Forza Italia che aveva proposto lo spostamento del busto del partigiano Vico lontano dal municipio e qualcuno aveva incappucciato quel monumento nell’atrio.  Centinaia di antifascisti hanno fischiato contro la Lega e Fratelli d’Italia, gridando il numero dei morti per la libertà, chiamandoli «fascisti», fino a quando il consiglio comunale è stato interrotto per impossibilità di proseguire i lavori.

A ritroso nei giorni, domenica scorsa, oltre 130 coristi provenienti da vari Paesi europei hanno intonato anche Bella Ciao, alla Risiera di San Sabba, l’unico campo di concentramento italiano, nell’ambito delle manifestazioni cominciate nei giorni scorsi a Trieste per commemorare l’entrata in vigore delle leggi razziali il 18 settembre 1938. E martedì, nell’ottantesimo, hanno cantato con chi era voluto andare in piazza Unità d’Italia a portare un fiore dove si trova una targa commemorativa che ricorda l’annuncio fatto da Benito Mussolini della promulgazione delle leggi.

L’hanno cantata, poche settimane fa, in Abruzzo, a Vasto, per sfidare il tenutario di un locale che mandava “a palla” Faccetta Nera e qualche giorno dopo l’hanno sentita anche i migranti bloccati sulla Diciotti perché era cantata dagli antirazzisti che hanno forzato a Catania il cordone dei carabinieri sul molo. E alcuni di loro l’hanno riconosciuta a Rocca di Papa dalle voci di donne e uomini che erano andati ad accoglierli per dire che non siamo tutti come Salvini o come il 75% degli elettori M5s che approvano le sue politiche respingenti che fanno annegare le persone nel Mediterraneo e le perseguitano se hanno l’ardire di sopravvivere. Qualcuno (un consigliere comunale di centrodestra) ha storto il naso a Ruvo di Puglia quando l’ha ascoltata dalle Voci Bulgare Angelite al Talos Festival. Avrebbero voluto Faccetta Nera per par condicio come se la pace e la guerra, l’umanità e l’orrore fossero paragonabili. Ma vaglielo a spiegare. Chissà se l’ha riconosciuta Orban il giorno che è andato a trovare il fiero alleato Salvini a Milano e gliel’hanno cantata in Piazza Duomo.

Ritenute “socialmente pericolose” dalla questura un gruppo di donne che, lo scorso 20 maggio a Roma cantavano Bella Ciao alla Garbatella per protestare contro la presenza di un banchetto di Casa Pound. Era un poliziotto anche l’uomo che ha impedito all’attrice Ottavia Piccolo di entrare alla Mostra di Venezia con indosso un foulard dell’Anpi. Sempre a Roma è capitato che alcuni genitori si lamentassero per la scelta della canzone nella celebrazione del Giorno della Memoria in una scuola a due passi dal luogo dove iniziò la Resistenza romana. Chi non ha memoria non ha futuro e, infatti, il futuro non è più quello di una volta.

Ha fatto il giro del web anche la cena dei Bleus, i calciatori della nazionale francese, in cui i campioni del mondo hanno cantato proprio la canzone simbolo della resistenza al nazifascismo, che vive un’ennesima giovinezza grazie a una nota serie tv spagnola, La casa di carta, in cui “Bella ciao” fa da filo conduttore alla storia, cantata a squarciagola dai protagonisti mentre sono impegnati a stampare denaro nella sede della Zecca spagnola. La Casa di carta è la serie tv non in lingua inglese più vista della pur breve storia di Netflix: dopo la messa in onda sui social è scoppiata la mania e fioccano i video di reinterpretazioni casalinghe. Il 15 maggio la stessa Netflix per strizzare l’occhio al mercato arabo, realizza un video con fan sauditi della serie dal titolo “Bella Ciao: da Gedda a Berlino”, con la guest star Amine El Berjawi. Maitre Gims, popolare cantante franco-congolese ne propone anche lui una sua versione. Mario Gotze, uno dei più talentuosi centrocampisti tedeschi, intona il pezzo su Instagram, così come il suo collega calciatore Alexandre Pato. Magari, in giro per il mondo, ci sarà anche chi non ne afferra il senso e si mette a sculettare ascoltandone versioni remix (quella francese di Florent Hugel, 24 milioni di visualizzazioni su Youtube, 33 milioni su Spotify, o quella brasiliana, realizzata da MC MM e DJ RD con un testo modificato che al momento conta ben 171 milioni di visualizzazioni e 44 milioni di ascolti).

Ma resta un canto resistenziale che, per decenni, ha incarnato l’anomalia italiana quella di un Paese che s’era liberato dai nazifascisti e s’era dotato della più avanzata costituzione dal punto di vista dei diritti sociali. Ma in cui la resistenza era rimasta incompiuta per via della pesante ipoteca imposta dagli Usa, per la pervasività del Vaticano e per quell’amnistia di Togliatti che garantì, in sostanza, la continuità tra l’apparato statale del Ventennio e quello dell’Italia Repubblicana. Bella ciao fu cantata nel 1974 perfino al Congresso nazionale della Democrazia cristiana.

La storia di Bella Ciao «è un romanzo mai finito», ha scritto una ventina di anni fa Cesare Bermani, uno dei ricercatori e storici del canto e della cultura popolare. Addirittura per un periodo è stata un rompicapo perché non si riusciva a capire se le mondine lo avessero insegnato ai partigiani o viceversa. Se le ragazze l’avessero ripresa dal repertorio militaresco dei fanti della Grande guerra. Questa vicenda è contenuta in un saggio avvincente di Bermani pubblicato da Il De Martino, bollettino dell’omonimo istituto “per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario”. L’aria di Bella ciao era stata sentita in mezza Europa con varianti del testo «che si trasformano e si intrecciano con una serie di storie di gruppo o individuali. La ricerca delle sue origini ha visto sul campo intellettuali come Gianni Bosio, Roberto Leydi, Franco Coggiola, Ivan Della Mea. Il canto popolare è sempre stato materiale fluido che ha riciclato musiche di altri canti e trasformato le parole secondo le necessità del momento anche capovolgendone il senso originario. È successo anche a Faccetta nera in Francia: “bell’abissina, anche per te bandiera rossa s’avvicina, quando saremo vicino a te, la libertà noi ti daremo senza il re”.

Dopo la Resistenza Bella ciao ha continuato a vivere e trasformarsi trovando negli anni del dopoguerra i propri canali di diffusione. Campeggi dei Pionieri che ne avevano una loro versione Mamma Ciao, festival internazionali della gioventù, le feste dei partiti della sinistra e nelle case del popolo, il lavoro delle corali, dei canzonieri sociali (come il Nuovo Canzoniere Italiano che intitolò  Bella Ciao uno spettacolo che debuttò al Festival di Spoleto ed ) con versioni in molte lingue e interpreti come Yves Montand, Gigliola Cinquetti, Anna Identici perfino Claudio Villa, fino alla versione combat rock più famosa ora, quella dei Modena City Ramblers. Sostiene Bermani che a metà degli anni 60 ci si trovò di fronte a quella che Hobsbawn definì “tradizione inventata”: il ricorso a materiali antichi per costruire tradizioni inventate destinate a fini altrettanto nuovi. Erano i tempi del primo centrosinistra, col Psi che pose come precondizione alla Dc il riconoscimento dei valori della Resistenza.

Nel ventennale della Liberazione, il 1965, l’Anpi sfilò in piazza il 25 aprile con i fazzoletti tricolore e iniziò una fase di imbalsamazione di quei valori, come se la Resistenza fosse stata «un’unità aconflittuale fra formazioni», osserva Bermani nell’imperdibile saggio La vera storia di Bella ciao: «Fischia il vento, la canzone di gran lunga più diffusa al Nord durante la Resistenza, non poteva certo essere il canto di quell’operazione politica di ricompattamento su posizioni moderate del partigianato attorno ai valori nazionali della Resistenza». Fischia il vento era il canto delle formazioni comuniste e socialiste, sulle note di una melodia russa inneggiava alla “rossa primavera”. Bella Ciao è orecchiabile, coinvolgente (si possono battere le mani nel ritornello) e, soprattutto, non allude allo scontro di classe ma solo ai valori dell’unità nazionale contro “l’invasor”, ecco perché – secondo lo studioso – si diffuse rapidamente nel nuovo quadro politico e sociale di quell’epoca.
Le cose cambiano e oggi Bella Ciao segnala un desiderio nuovo di resistenza e liberazione “anche se è ancora buio, appena prima dell’alba, ci aspettano ancora giorni cantati”.

La “nobiltà” del chiedere scusa

C’è questo tweet poco prima delle 21 di ieri sera che mi ha trafitto. Arriva da Luciano Nobili (chiedo venia, non sapevo chi fosse) che si descrive così:

“Deputato | Direzione Nazionale | Presidente | Romano, romanista, riformista. Al fianco di

Nella foto con cui si presenta c’è lui, Renzi che sorride sornione e Federica Angeli, giornalista coraggiosa che andrebbe preservata (anche) da foto come questa. Scrive Luciano Nobili:

“Non so cosa abbia bevuto stasera Bersani. Ma è inaccettabile che si esprima in modo così offensivo verso il dopo aver contribuito pesantemente alla sconfitta del centrosinistra a referendum e elezioni. Chieda scusa per le parole vergognose e per i danni che ha fatto.”

In sostanza il dirigente al fianco di Matteo Renzi ci tiene a farci sapere che la volatilità di un partito che va a liquefarsi di giorno in giorno dipenderebbe da quel buon uomo (politicamente ben poco influente) di Bersani che avrebbe contribuito alla sconfitta di un referendum apocalittico e sbagliato su cui quattro ceffi avevano scommesso tutto salvo poi rimangiarsi le promesse.

Però è nobile, Nobili, perché incarna perfettamente la linea autodistruttiva di un pezzo di Pd che è rimasto incagliato su decisioni prese (e non condivise dagli elettori) che dovrebbero dimostrarci quanto gli elettori siano una manica di cretini. Scemi!, continuano ad urlare ad ogni piè sospinto e intanto gli chiedono di tornare a votarli. Dare del cretino a chi sceglie la concorrenza deve essere un nuovo metodo di marketing. Geniale. Non c’è che dire. Bravi tutti.

Così come appare significativo questo voler rappresentare un presunto centrosinistra avendo aperto la strada alla destra. E, siccome so che andrà così, sarebbe anche il caso di parlare di questa contrizione per cui criticare il Pd sarebbe un favore a Salvini come se la merda che puzza meno abbia il diritto di essere rivenduta come cioccolata.

Un consiglio da amico: lasciate perdere i social compulsivi e imparate a fare elaborazione politica, seria, impegnata e strutturata. Lasciate perdere il grillismo declinato (fintamente) a sinistra e tantomeno la destra che si finge di sinistra. Rinchiudetevi. Rinchiudeteli. Studiate. Fate i seri. Ne guadagniamo tutti.

Buon venerdì.

Contro chi usa toni e metodi fascisti stile anni Trenta

Abbiamo ancora negli occhi la bella immagine di un gruppo di donne che, nel maggio scorso nello storico quartiere Garbatella a Roma, contestava i militanti di CasaPound cantando Bella ciao. Per quella protesta pacifica, giorni dopo, sono state “invitate” a presentarsi in questura. In base a un provvedimento riservato a persone socialmente pericolose previsto dal Codice anti mafia. Da sempre le destre hanno cercato di mettere a tacere le donne. Ai loro occhi sono pericolose e pericoloso è quel canto dei partigiani che, negli anni, è diventato internazionale. Tradotto in ogni lingua da chi combatte contro i vecchi e i nuovi fascismi, ora è diventato anche un inno anti Trump nella versione cantata da Tom Waits nel disco di Marc Ribot.

Proprio per le sue radici storiche resistenziali e per il suo respiro europeo e internazionale ne abbiamo fatto il titolo di copertina per una pacifica e forte chiamata alle armi (della critica e della politica di sinistra) contro l’internazionale nera che si va organizzando in vista delle europee. Deus ex machina di quella adunata che va da Salvini ad Orbán e alla Le Pen, è il cattolico integralista e suprematista Usa, Steve Bannon. Putin, Assad, e Trump ne sono i numi tutelari.

Particolarmente inquietante in questo quadro appare la ricomposizione all’asse Italia-Austria-Germania (dell’Afd). E la sinistra cosa fa? Come si organizza per dare battaglia? Abbiamo cercato di raccontarlo in questo sfoglio, non riportando soltanto le proposte che hanno avuto più visibilità mediatica (a cominciare da quella di Varoufakīs), ma dando voce a esperienze di sinistra radicate nei territori; esperienze di base, di sinistra progressista, laica, plurale, molte delle quali nate dalle lotte delle donne. Colpisce però che mentre la crociata xenofoba, misogina e ultra conservatrice avanza, qualcuno a sinistra, in Italia (Fassina) e in Germania (Sahra Wagenknecht che è arrivata a dire «prima gli operai tedeschi»!) si lasci abbagliare dal mito sovranista, chiudendosi in una antistorica visione nazionalista, proprio mentre gli avversari – per paradosso – non esitano a varare una loro internazionale nera.

Così con il movimento lanciato da Fassina si torna a parlare di patria; parola che ha un alone nero nella Penisola che ha vissuto il fascismo. Di patria parlava il nazista e cattolico Heidegger. “Dio, patria e famiglia” è sempre stato il motto delle destre di regime, da Franco a Videla. E quelle parole riecheggiano oggi nei comizi di ministri della famiglia e di sottosegretari del governo giallonero che minacciano di voler cancellare conquiste come la legge 194. Riecheggiano nei discorsi del ministro dell’Interno Salvini che soffia sul fuoco della paura e della xenofobia, diffondendo deliranti teorie che parlano di complotti orditi dalle Ong per la sostituzione etnica degli italiani con i migranti. La creazione di un nemico esterno su cui scaricare tutte le responsabilità e il malcontento popolare, il razzismo, il nazionalismo conservatore, l’assistenzialismo, (comprese le promesse di condoni mentre si abbatte il welfare), l’attacco ai diritti delle donne e alla libertà di stampa compongono un quadro pieno di inquietanti analogie con gli anni Trenta.

A denunciarlo su queste pagine sono stati storici e filosofi come  Luciano Canfora Remo Bodei. Beninteso in Italia oggi le elezioni sono libere e non siamo sotto un regime, non c’è un partito unico né il duce. Ma noi denunciamo a tutta voce che è inaccettabile l’attacco ai diritti umani, civili e sociali a cui stiamo assistendo. I valori stessi della Costituzione sono minacciati. Basti pensare all’articolo 21. L’attacco alla libertà di stampa è cosa da regimi autoritari. Lo vediamo in Polonia e in Ungheria. E l’Italia non è esente. La Lega ha fatto di tutto per imporre come presidente Rai il sovranista Marcello Foa, sodale di Salvini ed estimatore di Bannon e Putin. E destano forte preoccupazione le dichiarazioni del sottosegretario Crimi che minaccia di mettere mano alle leggi sull’editoria per punire i giornali che mettono in cattiva luce l’azione del governo. Aleggiano fantasmi di bavagli e censure. Colleghi che fanno inchieste sulla corruzione e sul malaffare sono stati sottoposti a ripetute perquisizioni. Episodi denunciati anche dalla Fnsi. Lo stesso presidente della Repubblica nei giorni scorsi ha sentito il dovere di ribadire: «La libertà di informazione è architrave della Costituzione, essenziale per la democrazia, e bisogna contrastare qualsiasi tentativo di fiaccarne l’autonomia».

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola dal 21 settembre 2018


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Come si resiste all’onda nera

Italy's Interior Minister Matteo Salvini (R) shakes hands with Hungary's Prime Minister Viktor Orban at a press conference following a meeting in Milan on August 28, 2018. (Photo by MARCO BERTORELLO / AFP) (Photo credit should read MARCO BERTORELLO/AFP/Getty Images)

C’è un’Europa inquietante di cui avvertiamo dall’Italia l’esistenza spesso solo in prossimità delle scadenze elettorali. Ha i colori bruni di certe camicie, traduce la nostalgia per un passato di purezza razziale in un presente di paure e odio diffuso a piene mani e che ha contaminato le classi popolari.
Un’Europa in cui crescono forze politiche che sin dai nomi rimandano alla “nazione” di cui si ergono a unici reali difensori; a volte insinuanti, come Svezia democratica o Alternativa per la Germania, in altri casi utilizzando i colori della bandiera o la croce (una patria un dio). A volte non temono di richiamarsi ad una simbologia nazifascista, celebrando come eroi criminali di guerra degli anni Trenta. Simili forze, spesso, una volta entrate nelle istituzioni, tendono ad acquisire vesti di rispettabilità, lasciando a formazioni minori, estreme, il compito di svolgere il lavoro sporco, di pestare migranti, omosessuali e oppositori politici in cambio di sostegno economico o dell’elezione di esponenti a loro vicini.
Formazioni politiche diverse, che in comune sembrano avere solo l’appartenenza dei Paesi in cui sorgono all’Ue, e che di fatto stanno costruendo una sorta di nuova “internazionale nera”, con mezzi e possibilità forse mai avuti in passato. Se negli anni Sessanta e Settanta si trattava, infatti, di sparute cellule di reduci che contavano sull’appoggio dei regimi in crollo di Spagna, Portogallo e poi Grecia, se allora utilizzavano lo stragismo e l’eversione spesso con il tacito accordo Nato, nell’atmosfera della Guerra fredda, oggi…

L’articolo di Stefano Galieni prosegue su Left in edicola dal 21 settembre 2018


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De Magistris: «Nel quarto polo a sinistra ci sarò solo a determinate condizioni»

Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, durante il suo intervento all'assemblea congressuale del Movimento demA, Napoli, 25 maggio 2018. ANSA/CIRO FUSCO

«Fino a qualche tempo fa, avrei risposto che non c’erano le condizioni per impegnarci con una certa forza, se si mette in campo un ragionamento importante lo sapremo da qui a 30-40 giorni». È ufficiale, dopo tre riunioni “semipubbliche” il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha parlato pubblicamente in merito a una possibile partecipazione di DeMa alle europee anche per riempire lo spazio a cui aspirano anche le operazioni di restyling di quel che resta del Pd. «Spira in Europa un vento brutto che non ci piace – ha affermato – ma bisogna verificare se ci sono le condizioni per metterci insieme in tanti».

«Alle europee ci saremo se si verificheranno determinate condizioni», alle elezioni regionali «ci saremo sicuramente»: dunque, quello che anche Left ha definito “quarto polo”, una coalizione ampia della sinistra alternativa al Pd, è ancora solo una possibilità. Ma ora anche le risposte dovranno essere pubbliche. La riserva verrà sciolta di qui a un mese. Oltre alle europee, ma strettamente connessa, la questione dell’opposizione possibile al governo giallo-verde. «Se si guarda a mettere in campo coalizioni ampie e civiche, con chi in questi anni ha lottato – ha aggiunto – siamo i primi a ritenere che bisogna guardarsi attorno, confrontarsi e provare a mettere insieme una coalizione che ha nella difesa e nella attuazione della Costituzione un collante politico. Per noi c’è molta cautela, abbiamo impegni a cui pensare. Per le regionali è diverso perché si deve mettere in campo una coalizione più ampia rispetto a quella che oggi amministra Napoli ma sicuramente ci saremo».

De Magistris sembra chiudere con decisione ogni porta all’ipotesi Boldrini, ripresa in queste ore da Martina su un listone eventuale Macron-Pse-Tsipras: «Si discute in questi giorni per capire se ci sono le condizioni per creare un’alternativa politica a questo governo. Quando partecipiamo a questi dibattiti diciamo che siamo pronti alle sfide, purché ci siano determinate condizioni. È chiaro che le sfide non puoi vincerle con chi ha totalmente fallito e ha tradito politicamente». «Se si tratta – sottolinea de Magistris – di mettere in campo una coalizione ampia, molto civica con chi ha lottato e ha fatto dei diritti la propria battaglia principale, siamo i primi a ritenere che bisogna mettere insieme una coalizione che abbia nella difesa e nell’attuazione della Costituzione il punto cardine di collante politico. Se si mette in campo un ragionamento importante ci saremo, perché spira in Europa un vento brutto che non ci piace».

Uno «schieramento largo» alle elezioni europee «contro i fascismi», insomma, ma anche estraneo e antagonista all’europeismo liberista e al sovranismo seppure nelle improbabili versioni di sinistra. Gli interlocutori possibili c’erano quasi tutti a Roma, sabato scorso, per il terzo incontro a inviti a cui hanno partecipato le sigle della sinistra radicale, liste civiche, associazioni, un centinaio di persone nell’auditorium occupato dello Spin Time Lab. Al verificarsi di condizioni significative De Magistris ha assicurato il proprio «convinto impegno in campagna elettorale». La discussione sulla situazione politica italiana si è chiusa, appunto, «su una ipotesi di piattaforma da discutere in centinaia di assemblee allo scopo di arrivare a una ampia mobilitazione contro le politiche regressive e reazionarie dell’attuale governo».

La mobilitazione dovrebbe tenersi a metà novembre «con un occhio attento a incidere con temi sociali sulla discussione della legge finanziaria». Nei prossimi giorni verrà invece chiesto un incontro ai diversi movimenti che hanno preannunciato la volontà di organizzare manifestazioni nazionali «per verificare la disponibilità ad unificare il fronte di lotta».
«Giudichiamo molto positivamente la disponibilità di Luigi de Magistris e DeMa a partecipare a una coalizione larga che riunisca chi in questi anni ha lottato in difesa dai territori, dei beni comuni, dei diritti civili e sociali, per la difesa e l’attuazione della Costituzione – ha detto Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione comunista – con Luigi condividiamo dal primo momento l’esperienza napoletana che ha visto una coalizione plurale battere i vecchi sistemi di potere di centrodestra e centrosinistra, dimostrando una coerenza nel fare nettamente superiore a quella del M5s. Lavoriamo con convinzione per costruire uno schieramento popolare che raccolga a partire da Potere al popolo chi si pone in alternativa in Europa sia alle destre nazionaliste e razziste sia ai neoliberisti del Pd». Anche l’Altra Europa è uscita dallo Spin Time manifestando un «forte interesse», come dice a Left, Massimo Torelli, per le «tre parole chiave del discorso di De Magistris: l’antifascismo, l’opposizione ai sovranismi, il contrasto alle politiche liberiste di Bruxelles». Torelli, tuttavia, si interroga su come sarà possibile che non sia solo un cartello elettorale, «c’è anche un problema aperto di collocazione europea», ricorda. Infine, «non faremo nulla con chi pensa che gli immigrati siano importati da Soros», avverte Torelli, riferendosi ai settori che, proprio in queste settimane, hanno dato vita a iniziative per sdoganare una sorta di patriottismo euroscettico e di sinistra, tra citazioni togliattiane e rimandi attuali a Melenchon e Sahra la “rossa”.

Mentre i soci di Leu sono alle prese con «una discussione sui fondamentali, senza una tabellazione precisa, prima del congresso costituente», Sinistra italiana «dà un giudizio positivo» sul percorso eventuale con il sindaco di Napoli: «È necessario aprire spazi comuni di opposizione a questo governo – spiega a Left, Nicola Fratoianni, segretario di Si -, utile l’obiettivo di una proposta politica convergente contro la deriva del Paese». Un quadro «di frammentazione e competizione» non sarebbe utile a nessuno ma per invertire la tendenza, Fratoianni ritiene che serva «una chiarezza di profilo per un terzo spazio che si opponga all’onda nera, senza sommare tutto e il suo contrario – dice – senza chi ha favorito quell’onda». No a fronti repubblicani e no a sovranismi di sinistra: «Senza banalizzare posizioni diverse – spiega ancora – sarebbe un errore assumere la centralità nazionale in cui la destra esercita un’egemonia quasi naturale. È una soluzione improbabile sul piano degli effetti e perdente. Il tema da porre è quello della democrazia, della sovranità democratica, sul livello necessario». «Preoccupano le cose quando sono indefinite – avverte Viola Carofalo, portavoce di Potere al Popolo – ho grande stima per De Magistris, ma la proposta va definita. In questo momento le cose sono instabili anche sul quadro europeo».

PaP, infatti, ha aderito al Patto di Lisbona, lanciato da Melenchon, Iglesias e i portoghesi del Bloco de Isquierda (a cui s’è aggiunta la tedesca Aufstehen), e la discussione italiana, infatti, si svolge mentre il leader di France Insoumise prova a scrollarsi di dosso le accuse di ambiguità sulla questione migrante (ha sconfessato pubblicamente Djordje Kuzmanovic, uno dei suoi portavoce, dopo che aveva sparato a zero contro il buonismo di sinistra: «Il punto di vista che esprime sull’immigrazione è strettamente personale. È impegnato in polemiche che non sono mie», ha dichiarato) mentre prova a stringere rapporti con un pezzo del suo ex partito, il Ps. In parallelo Benoît Hamon sta facendo lo stesso con il Pcf con cui Melenchon ha rotto i ponti. In questo quadro PaP procede verso la propria mobilitazione del 20 ottobre lanciata assieme a Usb: «Saremo molto attenti alla costruzione di altri momenti di piazza che saranno necessari – conclude Carofalo – l’importante è non fare i portatori d’acqua a chi vuole fare un po’ di maquillage al Pd». In rete, un esponente dell’ex Opg, si pone una domanda: «Mettiamo che De Magistris lavora alla costruzione di una lista unitaria in cui convergono DeMa, ciò che rimane di Leu, qualche transfuga del Pd, Diem e una serie di sindaci tipo Pizzarotti, Orlando etc…».

Il dibattito è apertissimo e si intreccia con il processo, a tappe più o meno forzate, della costruzione di PaP dove, dietro il dibattito sul tipo di statuto (e se sarà necessaria, nelle votazioni elettroniche, una maggioranza semplice o dei 2/3 per assumere le decisioni) ci sono molte altre questioni: la natura e la linea politica di una esperienza che era nata come «un movimento di lavoratrici e lavoratori, di giovani, disoccupati e pensionati, di competenze messe al servizio della comunità, di persone impegnate in associazioni, comitati territoriali, esperienze civiche, di attivisti e militanti, che coinvolga partiti, reti e organizzazioni della sinistra sociale e politica, antiliberista e anticapitalista, comunista, socialista, ambientalista, femminista, laica, pacifista, libertaria, meridionalista che in questi anni sono stati all’opposizione», come si legge nel manifesto iniziale. Si legge, infatti, sul sito ufficiale: «Con l’apertura della campagna di adesioni individuali, a metà luglio, si è avviato il percorso costituente di Potere al popolo! che è adesso nella sua fase cruciale e decisiva. In seguito al campeggio di Marina di Grosseto sono stati definiti i tempi e i modi dei passaggi che porteranno Potere al popolo! a costituirsi come soggetto politico indipendente, basato sul principio “una testa un voto”, con portavoce e coordinamento nazionale eletti democraticamente e una struttura organizzativa leggera, che dia centralità alle assemblee territoriali e sappia anche utilizzare gli strumenti messi a disposizione dalle nuove tecnologie informatiche».

Le domande semplici, da non dormirci la notte

Silvio Berlusconi saluta i partecipanti all'incontro politico tenutosi nella sua villa di Arcore tra cui il ministro dell'Interno Matteo Salvini. Arcore, 16 Settembre 2018. ANSA/FLAVIO LO SCALZO

Ogni tanto sogno di essere un giornalista. Sogno di porre delle domande e, nel sogno, di avere addirittura delle risposte. Mi sveglio tutto sudato e non riesco nemmeno ad ascoltarle, le risposte. Così poi tutto il giorno mi trascino con gli interrogativi in testa, che mi martellano.

Ad esempio: ma a voi sinceramente sembra normale che uno dei due vicepremier vada a cena dal proprietario della più importante azienda televisiva del Paese, una cena senza streaming e senza twitter e senza nemmeno uno straccio di diretta Facebook, noi non sappiamo nulla di quello di cui hanno parlato e il giorno successivo si sblocchi la nomina della più importante figura della televisione pubblica?

Poi: ma a voi sinceramente sembra normale che nessuno chieda dove siano finiti i 49 milioni di euro di contributi pubblici che un partito (che è al governo) dichiara semplicemente finiti? Ma se fosse un vostro figlio a dirvi li ho finiti nessuno di voi gli chiederebbe dove, come? Niente? A posto così?

E poi: ma a voi sembra normale che una nave militare italiana (la Caprera) che era stata pugnacemente spedita a controllare che non arrivassero migranti dalle coste libiche sia stata beccata con settecento chili (700 chili) di sigarette di contrabbando quando in Italia? 3.600 stecche chiuse in 72 scatole? In nome della lotta agli scafisti?

E poi: è possibile in un Paese laico (almeno sulla carta) essere sommersi per tutto il giorno dalle diverse cronache del “miracolo di San Gennaro” senza che nessun titolista, caporedattore, direttore o anche semplice lettore incazzato chieda di mettere la parola “miracolo” tra virgolette? Sembra un’inezia, lo so, ma l’ecologia lessicale è sempre un ottimo viatico per quella sociale.

E poi: ma la ministra che si è spesa come avvocatessa in difesa delle donne davvero non ha niente da dire sul medievale Ddl Pillon? Non ha niente da dire sui cinquanta (50, eh) femminicidi avvenuti quest’anno? Ma davvero i reati cambiano consistenza e gusto in base al governo in carica?

E infine: ma ve li ricordate tutti quelli che hanno difeso Formigoni e ci hanno governato insieme vent’anni? E, per curiosità, sapete in che governo è stato eletto Presidente della 9ª Commissione Agricoltura del Senato della Repubblica?

Ecco. Basta così.

Buon giovedì.

La guerra del carbone in Germania fa il primo morto, ad Hambach un attivista è caduto da un albero

Un uomo, probabilmente un mediattivista, è morto nel bosco di Hambach, teatro da giorni, in Germania, delle proteste degli attivisti che tentano di ostacolare il disboscamento da parte del colosso energetico Rwe. La versione ufficiale afferma che non sarebbero state in corso operazioni della polizia di Aquisgrana quando l’uomo è precipitato, poco prima delle 16, da 14 metri da un ponte sospeso tra due case sugli alberi. È morto per le ferite riportate mentre veniva portato via in elicottero verso l’ospedale di Colonia. Le operazioni di evacuazione sono state sospese. Il gruppo militante “Hambi Bleibt” sembra smontare la versione tranquillizzante delle autorità: «un amico che ci ha accompagnato giornalisticamente per un lungo periodo nella foresta oggi è caduto da un ponte sospeso di oltre 20 metri a Beechtown ed è morto. Al momento la polizia e RWE stanno cercando di liberare il villaggio di case sull’albero. Il SEK (Spezialeinsatzkommando), le squadre speciali in assetto antisommossa) stava arrestando un attivista vicino al ponte sospeso.

«Siamo profondamente scossi. Tutti i nostri pensieri e desideri sono con lui. La nostra compassione va a tutti i parenti, amici e persone che si sentono preoccupati – si legge sul sito del gruppo – esortiamo la polizia e RWE a lasciare immediatamente la foresta e a fermare questa pericolosa operazione. Nessuna altra vita potrebbe essere in pericolo. Ciò che è necessario ora è un momento di tranquillità». Gli ecologisti consigliano agli attivisti di proteggersi e non rilasciare dichiarazioni, nemmeno alla polizia: «L’incidente deve essere riparato, ma la polizia non è il posto giusto per farlo. Il suo interesse è dare la colpa ai manifestanti».

L’incidente arriva mentre l’evacuazione dello Zad dalla foresta di Hambach è in corso dallo scorso giovedì per fare spazio all’estensione di una miniera di carbone RWE, la prima compagnia energetica tedesca. Un’operazione fortemente contestata dall’opposizione e dalla stampa tedesca.

Le operazioni della polizia sono iniziate il 13 settembre. I manifestanti ecologisti oppongono una resistenza passiva alle manovre delle forze dell’ordine: gli attivisti sono appollaiati su alberi alti circa 25 metri, e portarli via, in modo sicuro, per le forze dell’ordine è impresa complicata. Infatti c’è scappato il morto. Le operazioni sono iniziate alle 8.20 di giovedì scorso, quando gli agenti hanno dato un ultimatum, chiedendo, con i megafoni, di lasciare libera l’area nel giro di 30 minuti. Gli attivisti non hanno rispettato la scadenza. «Riteniamo che questa operazione durerà diversi giorni – ha detto il presidente della polizia locale allo Spiegel – e porterà immagini anche drammatiche. Abbiamo 60 case sugli alberi da sgomberare. Prendere queste persone dalle case sugli alberi è una grande sfida».

Si è conclusa con 14 dimostranti arrestati e 8 feriti, di cui 3 poliziotti, la manifestazione di domenica scorsa contro l’abbattimento di una porzione della foresta di Hambach per lasciare spazio ad una miniera di carbone del gruppo energetico RWE, nell’ovest della Germania. La polizia ha ripreso con lo sgombero delle casette costruite dai manifestanti sugli alberi: al momento ne sono state sgomberate 28 su 50, e 19 di queste sono state demolite. Alla manifestazione hanno partecipato 4000 manifestanti, secondo la polizia, tra le 5000 e le 9000 persone, secondo le organizzazioni ambientaliste. La foresta di Hambach è diventata, intanto, per le diverse organizzazioni ambientaliste un simbolo della resistenza contro la politica energetica basata sul carbone.

Le autorità hanno cercato per giorni di fare sgomberare gli ambientalisti che si sono incatenati a delle case sugli alberi e ai tronchi degli arbusti. I manifestanti sperano che una commissione nominata dal governo per esaminare il futuro dell’industria carbonifera tedesca consigli di bloccare la distruzione della foresta.

«Ci stiamo battendo per gli obiettivi sul clima a livello globale e nell’interesse del futuro di tutti», ha spiegato uno degli attivisti di Hambach. Nel corso di una conferenza stampa i militanti hanno chiesto che il governo tedesco «si impegni subito» con misure concrete a favore del clima.

Il carbone è il combustibile fossile più sporco. Gli enormi escavatori estraggono dalla terra il brown coal – la lignite. Questo combustibile fossile ammonta ancora a circa un quarto del mix energetico tedesco. Proprio domani, giovedì, attivisti e ambientalisti avevano in programma di presentarsi al premier della Renania Settentrionale-Vestfalia, Armin Laschet, con una petizione firmata da 500.000 cittadini che chiedono al governo del Land di intervenire e salvare la foresta.

Ha passato dossier segreti ai neonazisti, chi è il capo delle spie rimosso dalla Merkel

Angela Merkel e Hans-Georg Maassen,

Ha mentito, dicendo che erano false le immagini della caccia all’immigrato a Chemnitz da parte di attivisti di estrema destra, e forse ha simpatie per AfD, il partito neonazista. Così, da stasera, Hans-Georg Maassen non è più il capo del Bundeamt fuer Verfassungschutz, i servizi di sicurezza interna della Germania. Ma non sarà sanzionato, solo promosso a un altro incarico quello di segretario di Stato al ministero dell’Interno: la decisione controversa del governo durante un vertice di coalizione cui hanno preso parte la cancelliera Angela Merkel, il suo ministro dell’Interno e presidente della Csu, Horst Seehofer e la presidente del Spd, Andrea Nahles. Ironia in rete: «Hans-Georg Maaßen lo sa: nella sua nuova posizione non deve più lasciarsi andare incautamente. Altrimenti sarà Ministro degli Interni», si legge sui social antifa dove decine di commenti si chiedono come sia possibile che un funzionario accusato di aver passato informazioni riservate a un leader nazista non venga mandato a casa.
A volere la testa di Maassen sia la cancelliera Merkel sia la leader socialdemocratica Nahles. Maassen gode invece dell’appoggio del ministro dell’Interno Seehofer, quello che vorrebbe fare “asse” con Salvini e il collega austriaco e di cui la Linke chiede le dimissioni. Dopo i fatti di Chemnitz, in un’intervista alla Bild, Maassen ha contestato che vi fosse stata una “caccia al rifugiato” nella cittadina della Sassonia, dove i noenazisti hanno provocato tumulti, sostenendo fra l’altro che i video pubblicati da mediattivisti fossero fake concepiti per distogliere l’opinione pubblica dalla morte del 35enne tedesco, deceduto in una rissa con migranti. Parole con cui il capo dei Servizi, tra l’altro, ha messo in discussione le affermazioni della cancelliera: e dunque un affronto. Successivamente ha ridimensionato le sue dichiarazioni, affermando anche di essere stato frainteso. Il vero capo d’accusa che lo colpisce sono però le presunte simpatie per AfD tirate fuori da una trasmissione tv (Aspekte), che avrebbe anticipato dei dati sugli islamisti pericolosi in Germania al partito di Alexander Gauland. Se è vero che ha incontrato tre volte Gauland, come lui stesso ha ammesso, Dpa scrive che sono 237 i colloqui avuti con esponenti politici di tutti i partiti.
Intanto, è di oggi la notizia che verrà rilasciato il richiedente l’asilo iracheno arrestato dopo l’uccisione di un cittadino tedesco il 26 agosto a Chemnitz, in Sassonia. I leader delle due formazioni politiche sorelle, Cdu e Csu, avevano avuto prima un incontro per tentare di trovare un compromesso.
La polemica su Chemnitz è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, in una Germania dove i servizi di sicurezza sono stati accusati in varie occasioni di contiguità o eccessiva indulgenza con l’estrema destra. Maassen aveva pubblicamente criticato la politica di apertura ai rifugiati abbracciata dalla Merkel nel 2015, tanto che la cancelleria lo aveva sollecitato a moderare le sue parole. Il leder dell’intelligence interna si era poi sentito rafforzato dall’arrivo al ministero dell’Interno del bavarese Seehofer, deciso sostenitore di una stretta sui migranti. Ma nuove polemiche erano sorte quando erano emersi suoi incontri con leader del partito populista anti immigrati Alternativa per la Germania (AfD). Maassen si era difeso dicendo che incontrava esponenti di tutte le formazioni politiche. Massen aveva assunto nel 2012 la guida dei servizi del BfV – il cui nome significa Ufficio federale per la protezione della Costituzione – dopo che la reputazione di questo organismo era stata gravemente danneggiata dalla vicenda dei delitti del kebab. Allora era emerso che negli archivi del BvF erano stati distrutti alcuni files relativi alla serie di assassini di immigrati, di cui fu poi trovata colpevole una cellula neonazista rimasta a lungo ignorata dai servizi.
A maggio dello scorso anno un altro scandalo negli ambienti militari con ispezioni in tutte le caserme ordinate dai comandi tedeschi in seguito alla scoperta dell’esistenza di una presunta rete neonazista, al sequestro di cimeli del Terzo Reich in due caserme e soprattutto all’arresto, a Illkirch, vicino al confine francese, di un ufficiale, Franco A., accusato di aver ordito un piano per colpire, fra gli altri, l’ex presidente della repubblica Joachim Gauck e l’attuale ministro federale della Giustizia, Heiko Maas. «L’ispettore capo della Bundeswehr (l’esercito federale, ndr) ha ordinato questa ispezione di tuttgli immobili dell’esercito per verificare se vi si trovino reliquie della Wehrmacht (l’esercito ai tempi del nazismo, ndr) e di farle eventualmente sequestrare». La ministra delle Difesa ancora in carica, Ursula von der Leyen ha ordinato il massimo rigore nei confronti delle manifestazioni di simpatia per il nazismo nelle forze armate.
Le tendenze neo-nazi non rappresentano un caso isolato nelle forze armate teutoniche: tra il 2012 e il 2016 sono stati 18 i militari accusati e sospesi dal servizio ma ben 280 sarebbero sotto indagine. “ Che ci fossero problemi di sottocultura nazista nella polizia era stato chiaro, in Italia, quando la Germania ha deciso – proprio per dare un segnale – di ritirare l’onorificenza proposta per Cristian Movio e Luca Scatà, i due poliziotti italiani che il 23 dicembre 2016 bloccarono e uccisero in un conflitto a fuoco a Sesto San Giovanni Anis Amri, l’attentatore che quattro giorni prima a Berlino si era lanciato con un tir sulla folla uccidendo 12 persone e ferendone 55. I saluti romani e le foto di Mussolini sui profili social dei due agenti italici sono stati considerati un’apologia imbarazzante per un paese che, a differenza dell’Italia, cerca di sradicare quella subcultura piuttosto che incoraggiarla.

Franco A. conduceva una «doppia vita»: in una, era sottotenente dell’esercito tedesco, nell’altra, un finto profugo siriano. 28 anni, di Offenbach, l’uomo è stato arrestato, per il sospetto di voler commettere un attentato, insieme a un complice, un ragazzo di 24. I due sarebbero stati spinti dall’odio xenofobo. L’arresto del sottotenente è avvenuto a Hammelburg, dove stava partecipando ad un corso, collegato alla sua professione ufficiale. Nella Bundeswehr, dovranno chiarire come sia possibile che un militare potesse essere stazionato in Francia, ad Illkirch nella brigata franco-tedesca, e riuscire regolarmente a sparire, per recitare il ruolo di richiedente asilo in Baviera. Difficile spiegare come sia potuto accadere che un uomo, che neppure parla arabo, sia stato ritenuto credibile, quando ha affermato di essere un profugo siriano ed aver ricevuto un riconoscimento ufficiale e tutti gli aiuti del caso. Il primo fermo di Franco A. è avvenuto a Vienna il 3 febbraio: in un bagno dell’aeroporto, il soldato aveva nascosto una pistola, la security se n’è accorta e gli ha teso una trappola. Così è stato colto sul fatto mentre la recuperava. Un’arma posseduta senza autorizzazione: e quindi la prima accusa che lo ha colpito è la detenzione illegale. Inoltre il ventottenne dovrà rispondere di frode, per essersi appunto spacciato come profugo. Nella casa del complice, invece, sono state trovate altre armi, e perfino dell’esplosivo. Nel corso delle perquisizioni di 16 appartamenti, avvenute tra Francia, Germania e Austria – 90 gli agenti impegnati complessivamente nell’operazione – sono stati sequestrati anche laptop, telefonini e documenti. Proprio dallo scambio di messaggi fra i due arrestati, che erano in contatto per mail, è emerso il movente dell’attacco violento che avevano in programma: l’odio per gli stranieri. Nei loro scambi, nel mirino, stando alla Welt, c’erano richiedenti asilo arabi. Già in passato è trapelato il timore fra gli addetti alla sicurezza, in Germania, che fra i militari tedeschi potesse essersi infiltrato anche qualche aspirante attentatore.
Il caso di Franco A. arrivò dopo una serie di scandali emersi nei mesi precedenti di mobbing e maltrattamenti a sfondo sessuale alle reclute. Von der Leyen parlò di «problemi di atteggiamento» nella Bundeswehr, di «spirito di corpo mal interpretato» e di «scarse capacità di comando». Situazione complessa quella tedesca dove il rigore antinazista delle istituzioni si scontra con decisioni della Corte federale tedesca che ha respinto più volte la richiesta proveniente dai Länder di messa al bando del Npd, la principale formazione nazi.
Tornando all’oggi, l’attuale crisi istituzionale e politica è uno scoglio da non sottovalutare per la tenuta del governo a Berlino, che ha già vacillato prima della pausa estiva, a causa dell’impuntatura di Seehofer sul respingimento al confine dei migranti. Neanche due mesi dopo, ricomincia il film già visto dei vertici per sanare gli strappi.

Finalmente, la scatoletta di tonno

Beppe Grillo, fondatore del M5s, esce dall'Hotel Forum, Roma, 1 luglio 2018. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

«Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno» urlava Beppe Grillo. Bel personaggio, Beppe, per quelli che si ritrovano a lavorare sui palchi: è un comico che è stato preso sul serio, il che la dice lunga sullo stato della nostra classe dirigente (perché dovrebbe essere questa la riflessione, più che il divertimento di offendere banalmente Grillo) che ancora oggi continua a essere più comica dei comici che prova a sbertucciare e intanto quelli risultano più credibili.

Però la scatoletta di tonno mi è tornata in mente per una notizia di cronaca che arriva direttamente da Viterbo ma sembra scritta da Gianni Rodari per i suoi contenuti, per la morale e per tutte le sfaccettature. Un cittadino viterbese viene fermato a un normale controllo della polizia. Ha una mano sanguinante. I poliziotti (bontà loro) gli chiedono cosa sia quella ferita. Il guidatore ci pensa. Elabora. E poi racconta di essere stato accoltellato da un extracomunitario. Una storia perfetta. Degna dell’ennesimo tweet a forma di sputo di quel gradasso che da ministro dell’inferno rovista come un rom nei cassonetti della cronaca locale per un paio di voti in più.

I poliziotti però indagano (bontà loro) e scoprono che non è vero niente: l’italiano viterbese (prima i viterbesi!) si era tagliato con una semplice scatoletta di tonno. Nessun eroismo nella manona sanguinante ma un semplice lamierino. E allora perché inventarsi la storiaccia del negraccio con un coltellaccio? Presto detto: il viterbese dal sangue italico aveva un’alta concentrazione di vino e per distogliere le forze dell’ordine dal problema reale ha pensato bene di cavalcare un’emergenza nazionale.

È una frottola? Sì. Ma è una cavolata, potrebbe fare notare qualcuno. Sì, ma funziona. Ci si diventa ministri. Con l’appoggio (per uno scherzo del destino) proprio di quelli che volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. Il comico, intanto, non so se l’avete notato, nel suo blog è diventato serissimo: anche la comicità alla fine ormai è mainstream.

Buon mercoledì.

La musica degli etruschi. In un nuovo progetto di archeologi e musicisti

omba dei Leopardi, Tarquinia con suonatore di auloi e lyra, 470 a.C. circa

Musica etrusca ricreata dallo studio di fonti antiche, da qui nasce Rasenna Echoes, il progetto musicale, tradotto anche in cd, che parteciperà con la sua performance all’iniziativa finanziata e promossa dalla Regione Toscana “La Giornata degli Etruschi” il 21 settembre alla Biblioteca civica di Massa Marittima (Gr) e il 22 settembre al Museo archeologico e d’arte della Maremma a Grosseto. Il progetto “Rasenna Echoes” nasce nel 2016 dall’incontro di tre diverse esperienze e professionalità. Francesco Landucci, musicista polistrumentista e produttore musicale, che da circa dieci anni si occupa di musica etrusca e romana insieme ad archeologi specializzati nel settore, sperimenta strumenti che si costruisce da sé e che spesso abbina alla musica elettronica. Sabina Manetti, cantante e insegnante, da circa trent’anni nel campo vocale, sempre alla ricerca di nuove sonorità, tecniche e stili da tutto il mondo, ha maturato col tempo la passione per il mondo etrusco. Cinzia Murolo, archeologa, dal 2001 curatrice del Museo archeologico di Piombino, con esperienza di scrittura creativa, ha sviluppato negli ultimi anni particolare interesse per la musica e la lingua etrusca. Insieme danno vita al progetto Rasenna Echoes, unico nel suo genere, che intende non solo ricreare (e soprattutto reinterpretare) le sonorità del mondo etrusco, ma anche immaginarsi dei possibili canti che parlino degli usi e costumi di questo originale popolo. Il progetto, oltre ad avere finalità di sperimentazione e spettacolo, ha come obiettivo la produzione di cd musicali su vari aspetti del mondo etrusco e romano.
“Vieni oh Fufluns” è dunque l’inizio di questa appassionata ricerca.

ilievo chiusi con musica e danza

Come nascono i brani di “Vieni oh Fufluns”
L’idea di una compilation “Vieni oh Fufluns” nasce con l’invito nel 2016 a partecipare con una performance musicale a “Blu etrusco”, festival ideato dal Comune di Murlo, con la collaborazione della Fondazione Musei Senesi, la Soprintendenza, la rivista Archeo e associazioni locali. Il tema centrale è il simposio. Il consumo del vino costituisce infatti un rituale fondamentale per gli Etruschi, soprattutto perché è strettamente legato al culto del dio Fufluns, corrispondente a Dioniso greco e Bacco romano, anche se con caratteristiche proprie. Nel contesto simposiaco etrusco (come in quello greco) la musica è una costante: i musicisti e gli stessi partecipanti al banchetto si esibiscono da soli o in gruppo in performance le cui modalità sono ancora perlopiù sconosciute. Se non sappiamo quali fossero le melodie suonate, perché nessun spartito dell’epoca è arrivato fino a noi, e non ci sono pervenuti testi che permettano di fare luce sui temi delle loro canzoni o poesie, le affinità riscontrate con la cultura musicale greca e romana (ma anche il confronto con i canti popolari senza tempo) ha spinto a intraprendere una strada mai percorsa. Cinzia ha così ideato dieci testi a sfondo simposiaco, totalmente di fantasia ma con una genesi ben precisa, dove il dio del vino e dell’irrazionalità ha un ruolo chiave. I temi si ispirano alle numerose scene di banchetto che popolano la vasta iconografia etrusca, ai miti greci reinterpretati e illustrati sugli specchi e sulla ceramica, e a quanto desunto dai rinvenimenti archeologici. Hanno così preso forma, in lingua italiana, odi d’amore, inni politici, canti ispirati a episodi tratti dal mito rivisitato in chiave locale, a leggende indigene che devono aver accompagnato i suoni vibranti ed intensi degli strumenti e suoni del mondo etrusco. Successivamente si è pensato di introdurre in ogni testo alcune parole etrusche che avessero un’attinenza al singolo tema. I brani sono stati poi provati vocalmente da Sabina con l’accompagnamento della musica di Francesco, scegliendo accuratamente per ognuno di essi gli strumenti, i toni, le melodie e i ritmi. Per naturali esigenze ritmiche i testi sono stati riadattati, e le parole in etrusco inserite in modo da conseguire un suggestivo effetto vocale e sonoro.

La musica degli etruschi
Che la cultura etrusca attribuisse una particolare importanza alla musica lo si può evincere sia dalle fonti letterarie greche e latine, che dallo studio dell’iconografia e dei reperti archeologici: pitture parietali delle tombe, ceramica, incisioni su specchi, ciste, lamine e statuette di bronzo, rilievi su sarcofagi, cippi, stele e urne funerarie, lastre decorative di terracotta. Gli autori antichi tramandano come con la musica gli etruschi scandissero praticamente tutte le attività quotidiane. Purtroppo però non ci è arrivato nessun documento scritto o notazione musicale che ci possa illuminare sui modi in cui i musicisti etruschi, per lo più professionisti, suonassero i loro strumenti. È certo che come in ogni civiltà i generi musicali si trasformarono con il passare del tempo. È concorde che gli etruschi avessero una preferenza per gli strumenti a fiato. Quello più diffuso era a doppia ancia come il moderno oboe, ma costituito da due canne, corrisponde al doppio aulós greco e le tibiae romane e doveva chiamarsi suplu. Un’invenzione invece di origine etrusca è la lunga tromba detta “tirrenica” (sálpinx in Grecia e tuba a Roma), ideata originariamente per scopi bellici. Altri tipi corrispondenti ai moderni ottoni sono il cornu, uno strumento a fiato del tipo a bocchino, che aveva una canna conica interamente ricurva, e il lituus con il solo padiglione ricurvo che era anche insegna di potere. Nelle raffigurazioni è frequente il cosiddetto flauto di Pan (syrinx in Grecia e fistula a Roma), mentre raramente attestato è il flauto traverso. Gli strumenti a corda diffusi sono la lýra e la cetra del tipo detto “a culla” per la peculiare conformazione della cassa armonica. Costruite in legno e altro materiale deperibile, non hanno lasciato tracce, ma numerosi plettri in avorio e in osso sono stati recuperati nelle necropoli di vari centri etruschi. La lýra ha la cassa di risonanza formata dal guscio della tartaruga, compare soprattutto in processioni di carattere funerario, in scene di banchetto e di danza rituale, ed è suonata principalmente dagli uomini. In età classica lo vediamo nelle mani anche degli dei, soprattutto di Apollo e di Artemide, e di eroi, come Orfeo e Faone. La kithára più diffusa era del tipo “a culla”, utilizzata in processioni, cortei, banchetti e danze. Infine è attestata una notevole varietà di “idiofoni”: sonagli, piccole campane e piattini in bronzo e tintinnabula metallici di varie forme, e i krótala, un tipo di nacchere spesso rappresentato nelle mani delle danzatrici. I tamburi, frequentissimi nel mondo greco e romano nei rituali orgiastici, compaiono raramente e sono in scene a carattere dionisiaco.

Il culto del dio Fufluns in Etruria
Fufluns tra tutti gli dei è quello più presente nel mondo etrusco, ed è l’unico a comparire assieme ad Ade, al quale verrà assimilato nel IV secolo a.C., nelle pitture funerarie. È lui tra tutti gli dei etruschi che viene identificato con il Dioniso greco. La sua diffusione avviene tra VI e V secolo a.C. Essere suoi seguaci, diventare degli “iniziati” al suo culto, passando anche attraverso la pratica del simposio, voleva dire accettare una trasformazione continua, quindi anche quella finale, la morte. Per questo le sue tracce si trovano molto spesso associate al mondo funerario. Nelle stele funerarie “fiesolane” per esempio (segnacoli tombali di rango diffusi nel mugellano, fiorentino e pistoiese) il defunto maschio si identifica con Dioniso stesso, oppure viene eroizzato attraverso un viaggio con il carro verso l’aldilà, mentre la donna, con Dioniso, alle volte in forma di Sileno che sostituisce Hermes psycopompo, va incontro alla morte con la metafora del matrimonio o del ratto. Anche la seconda nascita di Dioniso dalla coscia di Zeus è un tema che aveva per gli Etruschi un grande fascino e che si trova spesso inciso sugli specchi, oggetti tipici del mondo femminile. Insomma, l’aspetto funerario/salvifico sembra essere predominante nel mondo etrusco. Strettamente legato al dio e al suo corteggio non è solo il consumo del vino (anch’esso simbolo di trasformazione) ma anche la musica.

I contenuti dei testi
Nella mondo antico la musica era quasi sempre associata al canto e alla danza. Tuttavia le immagini nel mondo iconografico etrusco di persone colte nell’atto del cantare, sia associate ad uno strumento musicale oppure no, sono piuttosto rare. Rare sono indubbiamente le immagini di personaggi ritratti con la bocca semiaperta, dalla quale a volte escono lettere, anche ripetute, a simboleggiare un suono prolungato. Fa eccezione l’immagine, su una nota anfora del cosiddetto Pittore dell’Eptacordo (prima metà del VII secolo a.C.), di un citaredo con la bocca socchiusa che suona, e verosimilmente canta, alla presenza di cinque personaggi impegnati in una danza acrobatica; una serie di segni ad onde tra le figure potrebbero rappresentare graficamente la propagazione delle onde del suono. Alcune epigrafi rinvenute in Etruria sembrano invece attestare l’esistenza di segni grafici di natura ritmica: è probabile che l’interpunzione sillabica, presente in alcune iscrizioni, indicasse una notazione metrica e melodica, con l’introduzione di lettere impiegate per dare un certo ritmo. Potrebbe essere il caso di alcune sequenze di parole che si trovano nella più lunga iscrizione etrusca pervenuta, il Liber Linteus (III secolo a.C.), noto testo rituale scritto su fasce di lino, riutilizzate come fasciatura per la mummia di una giovane donna. Anche il testo della nota lamina d’oro di Pyrgi della fine del VI secolo a.C. doveva presupporre il ritmo. Anche la vita di tutti i giorni doveva essere necessariamente scandita da canti trasmessi per lo più oralmente, che animavano i momenti di festa come quelli del banchetto, riservato alle classi sociali più agiate, che detenevano anche un sapere intriso di cultura greca. Alcuni temi mitologici provenienti dal mondo greco e rappresentati sugli specchi, soprattutto le vicende dell’eroe Eracle e della nascita degli dei (la preferita è proprio quella di Fufluns), gli amori divini come quelli tra Afrodite e Adone, Peleo e Teti, o tratti dall’Iliade come Paride e Elena, presentano alcune varianti delle versioni più note di cui non ci è arrivato niente di scritto, se non le didascalie associate ai personaggi stessi e che quindi permettono una sicura interpretazione. Queste versioni “originali” etrusche probabilmente erano trasmesse attraverso il canto, dovevano esistere vere e proprie saghe, declamate o cantate durante i convivi e banchetti. Cinzia per la costruzione dei testi ha fatto riferimento a fonti iconografiche e archeologiche databili in un ampio lasso di tempo che va dal periodo villanoviano al tardo etrusco (VIII-III secoli a.C.), intrecciandole con temi specifici di questo popolo: il viaggio per mare, la preparazione del vino e del pasto, le pratiche divinatorie, il canto per la prima notte di nozze, l’emancipazione femminile… Il tema dell’amore e della politica è stato lo spunto per scrivere due omaggi ai cantanti lirici più famosi dell’antichità greca, i poeti Saffo e Alceo, che probabilmente non erano sconosciuti agli Etruschi. La sequenza dei canti è stata ordinata come se lo spettatore/auditore si trovasse a partecipare in un reale contesto simposiaco, dalla preparazione dello stesso al termine della festa, passando attraverso i vari momenti della serata. Parole e musica vogliono portare ad un’immersione negli antichi paesaggi sonori, in un’atmosfera di festa che conduca nel mondo poliedrico di Fufluns, in una riflessione sui vari aspetti della vita, sull’importanza del cambiamento e della trasformazione della psiche. Esemplificativo è l’ultimo brano, “Immortali”, un’ultima preghiera a Fufluns affinché doni ai mortali “sogni leggeri come ali di cigno, ristoratori come l’acqua di fonte… i nostri pensieri non più uguali, allora ci sembrerà di essere immortali”. Perché è la razionalità che “ci impedisce di vedere l’invisibile”.

Ricostruire gli strumenti musicali e il loro suono
Nella ricostruzione di uno strumento musicale antico risulta indispensabile lavorare in équipe con professionisti che abbiano competenze diverse: archeologhi, storici, musicologhi e musicisti. Un conto è la ricostruzione dello strumento, un altro è saperne saggiare tutte le possibilità sonore. Da tenere presente poi sono le varietà strumentali areali, le diverse situazioni nelle quali si faceva musica (matrimoni, funerali, feste religiose etc.) e il lungo periodo storico in cui fiorì la civiltà etrusca.
Per la ricostruzione degli strumenti Francesco si è avvalso della sua ormai ventennale esperienza in musica etnica, senza mai prescindere dal confronto con i maggiori studiosi di musicologia antica. Possiede una personale collezione di strumenti da tutto il mondo, alcuni dei quali con caratteristiche di costruzione simili a quelle degli strumenti antichi. Ha avuto la possibilità di visionare attentamente strumenti come il Krar, il Kissar, il Kerar, la Begana, della famiglia delle lire, che sono ancora oggi in uso ad esempio in Africa, dove si sono mantenute le tradizioni e le caratteristiche strutturali costruttive più rudimentali e simili a quelle antiche, come ad esempio l’utilizzo dei carapaci di tartaruga. Dopo averne sperimentato il suono abbinato a corde in budello e tavole armoniche in pelle animale, Francesco ha ricostruito, essendo la tartaruga un animale protetto, i gusci in resina che hanno una consistenza dura, simil ossea, con un sound molto simile. Per la costruzione degli strumenti antichi utilizza non solo materiali naturali in senso filologico ma anche materiali moderni sperimentali, ad esempio corde di budello ma anche corde che hanno caratteristiche più versatili per l’esibizione. Per la costruzione degli strumenti si è ispirato ad iconografie del mondo etrusco estraendo dalle immagini, mediante calcoli matematici, le proporzioni, e verificandone con software grafici le misure. Ha ricreato strumenti a fiato grazie anche allo studio dei rari strumenti originali ritrovati in sepolture e relitti. Inoltre si è cimentato nella ricostruzione di diverse tipologie di ance. A livello di composizione musicale lascia ampio spazio alla creatività ed all’artisticità compositiva, basate però su tecniche derivate da studi delle musiche del passato e del presente, anche di varie etnie che hanno ancora oggi l’uso di linguaggi musicali non mantenuti nella moderna cultura occidentale. Utilizza quindi anche suddivisioni tonali più piccole del semitono, come nella musica orientale. Con la cetra sta sperimentando la tecnica della “pennata” che si ottiene con il plettro, che spesso vediamo utilizzato dai citaristi etruschi. La scelta degli strumenti per i singoli canti ha ovviamente tenuto in considerazione i contenuti. Infine i brani in fase di registrazione sono stati associati ad un paesaggio sonoro con i suoni della natura e d’ambientazione, considerando che la musica veniva eseguita soprattutto in spazi aperti.

L’interpretazione canora
Sabina ha avuto il difficile compito di arrangiare i testi per le esigenze ritmiche e foniche. Li ha trasformati in strofe tra declamato e cantato, a tratti simmetrico, a tratti fluente come un discorso, ipotizzando un canto a volte educato secondo le influenze greche, in altre situazioni usando uno stile libero e anticonformista. Nelle invocazioni a Fufluns ha alterato la voce come quasi invasata dal dio; in altri contesti, come nella preparazione del banchetto, la voce scandisce le azioni e mima la danza. Alcuni testi sono stati invece rielaborati per andare passo-passo con la lýra, la cetra e il doppio aulós. Su di lei ha influito moltissimo l’esperienza acquisita in venticinque anni di studi, di rielaborazione e diffusione di canti di popoli da tutto il mondo, comprese piccole tribù che hanno vissuto isolate fino ad oggi e mantenuto le loro eredità artistiche quasi intatte. Con Cinzia ha infine scelto le parole etrusche non solo per il loro significato, ma perché creassero profonde suggestioni sonore ed evocazioni ancestrali.