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Migranti, monta la protesta contro le politiche repressive di Trump

«Famiglie libere». «Gridatelo forte: qui i migranti sono i benvenuti». Argentati come le coperte dei rifugiati, sventolate come simbolo del dissenso alla politica del governo del loro paese, cantando e agitando manifesti, centinaia di donne e uomini hanno occupato il Senato a Washington.

Alla protesta nella capitale Usa contro la politica di “zero tolleranza” dell’amministrazione Trump ci sono stati quasi 600 arresti. È stata solo una delle tante manifestazioni organizzate dopo che le famiglie di migranti al confine con il Messico sono state separate dai loro figli.

«Chiediamo la fine della criminalizzazione dei migranti» ha detto Linda Sardour, leader dell’organizzazione Women’s March, la marcia delle donne, nata nel 2017, in seguito all’elezione del presidente Trump alla Casa Bianca.

Pramila Jayapal, membro del partito democratico Usa, ha detto di essere orgogliosa di essere stata arrestata alla protesta: «Siamo qui perché i bambini devo stare con i loro genitori, non nelle gabbie, non in prigione, ma liberi di vivere le loro vite».

Vite sospese. La violenza contro la migrazione minorile

L

a politica italiana e dell’Unione europea, qualunque ideologia rappresenti, ha affrontato il problema dell’immigrazione in maniera discutibile: sicuramente la lacuna maggiore ha riguardato i migranti minorenni non accompagnati. Anche l’informazione è colpevole di un disinteresse sistematico, se escludiamo la foto sensazionalistica di quel povero bambino morto sulla spiaggia che ha fatto il giro del mondo. Nessuno si chiede cosa succede ai ragazzi che senza i loro familiari sbarcano sulle nostre coste: essi hanno affrontato un viaggio lungo alcuni mesi a volte anche un anno in condizioni al limite della sopravvivenza, accompagnati da violenze, torture, schiavitù, privazioni per raggiungere un futuro migliore in Europa.

I giovani migranti quando fanno tappa in un Paese sono costretti a lavorare in condizioni di semi schiavitù per pagare i debiti contratti con i trafficanti, o per guadagnare il denaro necessario per continuare il proprio viaggio.

Ragazzi e ragazze di 14 e 15 anni sono diventati adulti troppo presto per aver vissuto esperienze traumatizzanti, che rimarranno a lungo dentro di loro: si tratta di personalità fragili che necessitano di un supporto specifico per superare i ricordi dolorosi e iniziare un percorso che consenta loro di integrarsi e costruirsi una nuova vita nel Paese di accoglienza. Un’attenzione particolare deve essere rivolta a coloro che, nonostante la giovane età e la scarsa conoscenza del contesto nel quale sono giunti, si sono allontanati dalle strutture che li ospitavano e hanno deciso di proseguire da soli il loro viaggio o, peggio, di affidarsi a sfruttatori per i quali lavorare e guadagnare subito il denaro necessario per saldare i debiti contratti durante i mesi precedenti. Sono particolarmente vulnerabili le ragazze ed i bambini che spariscono dal centro di accoglienza diventando spesso vittime di violenze o a rischio di essere coinvolti nel circuito della tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale. I bambini più piccoli che sbarcano da soli nei porti italiani per la loro giovane età richiedono di una particolare protezione e di un ambiente e di un’accoglienza adeguata alle loro esigenze.

Non tutti iniziano il loro viaggio da soli e, soprattutto i più piccoli, spesso perdono genitori, fratelli maggiori o altre figure di riferimento lungo il percorso o durante la traversata. Solo l’anno scorso in Italia si rendevano irreperibili 2.440 dei 15.779 minori giunti senza figure di riferimento nel corso del 2017.

I giovani migranti, dopo aver lasciato la propria casa o aver perso i genitori durante il viaggio, giunti in Italia, avendo vissuto esperienze e affrontato difficoltà molto più grandi della loro età, si trovano in una situazione di estrema vulnerabilità, senza poter contare sull’affetto e la guida dei propri familiari e in un Paese con una cultura, delle tradizioni e una lingua a loro estranee. Per i più piccoli se non si ristabilisce al più presto un rapporto affettivo che solo una famiglia affidataria può realizzare c’è il rischio di una catastrofe psichica; anche per i più grandi, per gli adolescenti, ci sono notevoli pericoli. L’adolescenza rappresenta un periodo trasformativo, uno dei momenti più creativi della vita di ognuno: forse proprio per questo tale epoca rappresenta anche una fase di particolare vulnerabilità per tutti i ragazzi, il cui tragitto verso la costruzione dell’identità assume spesso le caratteristiche di un percorso rischioso e incerto. Sebbene la maggioranza degli adolescenti…

L’articolo della neonatologa e psicoterapeuta Maria Gabriella Gatti prosegue su Left
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La legittima difesa dai propri dolori

Se la politica fosse capace di diventare adulta, di uscire dalla nube tossica dei numeri (anche falsi, tanto valgono lo stesso) agitati per fomentare le percezioni allora la dichiarazione politica del giorno di ieri sarebbe lo sfogo (lucido come lo sono gli sfoghi dettati da laceranti dolori personali) di Luca Di Bartolomei, figlio di quell’Agostino storico capitano della Roma che nel 1994 si è ucciso sparandosi al cuore.

«Questa è una Smith& Wesson 38 special – ha scritto il figlio Luca sul suo profilo Facebook – uguale a quella che aveva Agostino. Quando la comprò negli anni 70 lo fece perché credeva che avrebbe così reso più sicura la sua famiglia.

Al 41% degli italiani che oggi vorrebbe acquistare un’arma più semplicemente per sentirsi più protetto vorrei raccontare – dati e studi alla mano – di come più pistole in giro significheranno solo più morti, più suicidi, più incidenti.



Ed alla obiezione che chi vuole suicidarsi lo fa comunque vorrei solo dire che, per andare oltre il burrone che pensiamo di avere davanti, basta un attimo.
E in quell’attimo non avere accesso ad un’arma può fare la differenza. Non lo dice una vittima lo dicono tutti gli studi disponibili.


Pensate ai vostri figlie ed ai vostri nipoti.
Una pistola non produce alcuna sicurezza.
Credetemi.»

In un’epoca in cui ogni notizia viene tacciata di essere strumentale o addirittura falsa, la semplice dichiarazione di un figlio, tra l’altro di un calciatore che è stato così amato, è la verifica e la conferma di quello che spesso i semplici numeri non riescono a comunicare. E a proposito di numeri, in queste ore di chiasso intorno alla richiesta di armi per legittima difesa varrebbe la pena sottolineare come la percentuale di italiani che dichiarano di avere una paura concreta nei confronti del fenomeno criminale è la stessa da circa 25 anni. Del resto è a quel tempo che si è cominciato a giocare sulla cosiddetta percezione di criminalità poiché i numeri continuano a smentire qualsiasi allarme (negli ultimi anni i reati sono in costante calo, anche se sembra impossibile crederlo). La percezione di criminalità vale più o meno come la sensazione di essere vip che ci può dare una foto indovinata sui social: zero, niente, nulla, nisba.

Da anni si coltiva la diffidenza sociale e la sfiducia istituzionale in nome di un rischio smentito dai fatti con buona pace di chi ostinatamente prova a ripetere i fatti separati dalle opinioni e dalle strumentalizzazioni. Poi, d’improvviso, arriva una testimonianza che dovrebbe indurre a pensare se la politica fosse capace di interpretare i dolori personali oltre agli slogan. Quella di Di Bartolomei è una legittima difesa, dai propri dolori.

Buon venerdì.

Bambini migranti e soli nel mirino di criminali e politici

ROME, ITALY - JUNE 20: On the occasion of World Refugee Day, anti-racist associations, migrants and refugees protest in front of the Prefecture to ask for rights and welcome for refugees and all citizens, on June20, 2018 in Rome, Italy. (Photo by Simona Granati - Corbis/Corbis via Getty Images,)

I migranti che rischiano la vita per cercare un futuro altrove, dopo essere fuggiti da miseria, guerra, e violenze di ogni tipo, sono estremamente vulnerabili. Tanto più lo sono i bambini migranti, costretti a lasciare gli affetti e ad affrontare, spesso da soli, un’odissea più grande di loro. Sulla loro pelle si gioca la politica egoista dell’Europa che non prevede corridoi umanitari, che non adempie alle ricollocazioni e ai ricongiungimenti familiari. Ancora più crudele è la politica italiana che vuole chiudere i porti e minaccia di non rispondere agli sos dei migranti in mare. È disumana la politica del governo a trazione leghista. Lo abbiamo scritto e continuiamo a ripeterlo. È inaccettabile e fuori dalla realtà.

Non c’è alcuna invasione in atto diversamente da quanto ci raccontano. Anzi. Le cifre parlano chiaro: Fra 125 mila e 300 mila italiani vanno all’estero ogni anno a cercare lavoro (fonte Ocse). Sono invece 16.551 i migranti del mondo sbarcati in Italia nel 2018 (fonte ministero dell’Interno). Fra questi molti sono i minori. C’erano 123 minori soli sull’Aquarius. E non è una eccezione. È disumano chiudere le porte a bambini che hanno tutto il diritto di crescere circondati da affetto, di essere ascoltati e amati, di avere coetanei con cui giocare, di andare a scuola. Non accade così sui barconi della morte, ma non accade così nemmeno a terra se e quando – nonostante l’ostracismo dei ministri Salvini e Toninelli – riescono a mettere piede in Italia.

Quale sia il travagliato percorso che i minori non accompagnati devono affrontare lo raccontano le sconvolgenti inchieste pubblicate su questo numero di Left. Molti di loro spariscono nel nulla o finiscono nella tratta e nelle mani della criminalità organizzata. (La legge Zampa entrata in vigore l’anno scorso, resta nei fatti largamente disapplicata). Medici, operatori delle Ong, il garante per l’Infanzia e psichiatri in queste pagine denunciano una situazione drammatica. Le violenze fisiche e psichiche che i piccoli migranti subiscono determinano ferite profondissime che possono provocare una vera e propria catastrofe psichica in soggetti come loro che attraversano una delicata fase di sviluppo, che non si sanno difendere, che non sono ancora individui adulti e indipendenti. Sono sensibili, fragili, esposti a tutto e le nostre politiche intervengono per uccidere in loro ogni speranza.

Questo è nazismo, non ci sono altre parole. Lucidamente menzognera e criminale è la politica di chi – contro ogni evidenza documentale – dice che in Libia non ci sono lager per migranti. Negazionista è chi definisce «taxi del mare» motovedette guidate da torturatori e schiavisti. E chi chiama «pacchia» lo sfruttamento nei campi e «crociera» il viaggio di chi è lasciato alla deriva. Nel Mediterraneo dove annegano i migranti, naufraga così anche l’Europa, ostaggio dei sovranisti del gruppo di Visegrad e del lucido calcolo di Paesi fintamente europeisti come la Francia di Macron che chiude ai migranti economici e la Germania che seleziona le entrate in base a un feroce darwinismo sociale, che lascia fuori chi è più povero e non ha competenze utili ad aumentare il profitto tedesco.

La sinistra, se c’è, batta un colpo per dire no a un’Europa che è solo una unione di mercati; denunci con forza i danni di politiche neoliberiste che antepongono le merci alle persone. Ma rifiuti anche antistorici nazionalismi e sovranismi: dica no a chi vorrebbe riportarci in un impraticabile isolamento a colpi di dazi e a chi, con mire neocolonialiste, punta ad esternalizzare i confini europei creando hotspot ed enclave militarizzate in Africa. Una alternativa di sinistra a tutto questo passa attraverso un’opposizione forte e coerente. Nasce da un nuovo internazionalismo che metta in rete le realtà di sinistra più vive e vitali. Ma in Italia nasce anche dal non confondersi con il “fronte repubblicano”, che si annuncia come Union sacrée del centrosinistra che ha già governato facendo disastri.

Non dimentichiamo infatti che sono stati i governi Renzi e Gentiloni a rincorrere le destre sul loro terreno, soffiando sul fuoco della paura, brandendo la parola sicurezza come un’arma, criminalizzando i migranti. Non dimentichiamo che la legge Minniti-Orlando, con le politiche securitarie che ne sono seguite, ha aperto la strada alle politiche xenofobe e crudeli di Salvini-Toninelli. Abbiamo visto più volte in tv e su altri media il sostenersi a vicenda di Renzi, Minniti e Salvini, il quale ha fatto più volte apprezzamenti il lavoro di chi lo preceduto affermando di volerlo portare avanti.

In questa gara a rivendicare il peggio è comparso anche l’ex ministro dell’Interno, il leghista Roberto Maroni che in tv ha rivendicato di essere stato il primo a pensare concretamente di chiudere i porti, «ma l’Europa poi ha detto che non si può fare». Non sono bastate le condanne della Cedu che l’Italia ha collezionato. Incuranti del diritto umanitario, le politiche attuali vanno perfettamente a braccetto con quelle di Renzi e Gentiloni.

Come può essere credibile l’opposizione di chi nel centrosinistra ha preparato il terreno a tutto questo e ha tentato di manomettere la Costituzione?

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola


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Benvenuti in Italia

Minors wait to disembark from the Italian Coast Guard vessel "Diciotti" following a rescue operation of migrants and refugees at sea on June 13, 2018 in the port of Catania, Sicily. - Italian Interior Minister said on June 12, 2018, he would go to Libya -- the launchpad for many migrants and refugees fleeing war and poverty in Africa and the Middle East -- by the end of the month. "This situation (of migrants) needs to be resolved on the African continent," said Salvini, whose new populist government has vowed a tougher stance on immigration. He wants to cut the number of arrivals to Italy -- something already achieved by his predecessor thanks to a deal struck with Libyan authorities -- while accelerating the expulsion of "illegals". (Photo by GIOVANNI ISOLINO / AFP) (Photo credit should read GIOVANNI ISOLINO/AFP/Getty Images)

«Mia madre non voleva che fossi buttata per strada, ma mio padre mi diceva che se non avessi sposato quell’uomo mi avrebbe uccisa. Mi ha minacciata e picchiata con la cinghia». Per questo «sono fuggita dal mio paese», il Ghana. Abina (un nome di fantasia), è solo una delle giovani migranti arrivate in Italia a diciassette anni, grazie ai soccorsi in mare di Sos Mediterranée. L’Ong, prima vittima della politica dei porti chiusi portata avanti dal duo Salvini-Toninelli, due settimane fa ha visto “dirottare” nave Aquarius verso il porto di Valencia, col suo carico di 629 persone. Tra di loro anche 123 minori soli, senza parenti, a bordo. Adesso, il governo si appresta a rafforzare l’altolà alle organizzazioni umanitarie, di concerto con la Guardia costiera, delegando il coordinamento di buona parte delle operazioni di salvataggio in acque internazionali alle famigerate autorità del governo di al Serraj. Respingendo, di fatto, verso l’inferno libico un’umanità in fuga. Fatta anche di bambini e bambine. Come Abina.

«Dal Ghana alla Libia – prosegue la sua testimonianza – il mio viaggio è durato tre settimane. Non pensavo che fosse così difficile. Però attraversare il mare è peggio del viaggio nel deserto, lì, almeno, se cadi c’è la sabbia, nel mare tutti si spingono, sei schiacciata uno sopra l’altro, se cadi in mare nessuno ti raccoglie». La seconda epopea, quella verso l’Europa, Abina la affronta dopo aver provato a lavorare come domestica a Tripoli, per pagarsi gli studi. «Facevo le pulizie in casa di una donna araba che non mi ha mai pagata – racconta -, se le chiedevo i soldi mi picchiava». Le vessazioni, il razzismo vivissimo del Paese nordafricano, poi l’arrivo in Italia. E il futuro che torna a riempirsi di sogni. «Ho pensato che se mi fossi salvata avrei studiato per aiutare le persone in prigione», spiega agli attivisti che l’hanno portata in salvo, «perché anche noi vivevamo come in una prigione, ho visto che cosa vuol dire». Quella di Abina è una storia unica, ma – al tempo stesso – comune a tanti suoi compagni di viaggio.

«Gli ultimi ragazzini sbarcati a Pozzallo sono abbastanza piccoli. Tra di loro, un gruppo di quattro eritrei, dagli otto ai tredici anni». Arrivati da soli. A raccontarlo è…

L’inchiesta di Leonardo Filippi prosegue su Left in edicola


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Lifeline, le politiche per l’immigrazione si giocano sulla pelle dei migranti

La nave Mission Lifeline, con a bordo 203 migranti soccorsi in mare, è approdata a Malta. Dopo l’annuncio del capo del governo Giuseppe Conte, e il tweet del ministro dell’Interno Matteo Salvini (“E due! Dopo l’Aquarius un’altra nave di Ong che non vedrà mai più porto italiano!” ), anche il premier maltese Joseph Muscat, rassicurato definitivamente sul fatto che i migranti salvati saranno prontamente ricollocati tra sei Paesi, ovvero l’Italia in primis, poi Francia, Portogallo, Spagna, Germania, e Paesi Bassi, ha dato ufficialmente il via libera all’operazione ed è arrivato il permesso di attracco.

In poche settimane è già il terzo caso internazionale che si consuma sulla pelle di profughi raccolti e salvati in mezzo al Mediterraneo centrale. Prima la Aquarius, poi i 41 migranti salvati dalla nave da guerra Usa Trenton, che dopo oltre una settimana di trattative ha potuto attraccare a Lampedusa, infine c’è stato il mercantile danese Alexander Maersk, che ha sbarcato i migranti a Pozzallo, stando a quel che ha riferito il ministro Salvini, grazie al coordinamento con la guardia costiera italiana.

Dopo tanto parlare, e tanti rischi inutili corsi da donne e bambini ammassati sulle navi di soccorso, l’Italia ha dunque accolto nuovi migranti.

Quanto alla Lifeline, ora verrà posta sotto sequestro, al fine di verificare l’effettiva bandiera di appartenenza (tedesca? olandese?), e per verificare il rispetto delle procedure internazionali di coordinamento dei soccorsi. In sostanza si dovrà capire se è stato commesso reato cercando assistenza nella guardia costiera italiana, senza prima cercare un contatto con quella libica. Si tratta, in parte, della stessa accusa che era stata rivolta nel marzo scorso alla Proactiva Open Arms. Un’accusa che non tiene conto del fatto che una zona Sar (Search and rescue) libica per il diritto internazionale non esiste. Frattanto, all’Aquarius è stato rifiutato l’approdo usuale a Malta, per rifornimento e cambio equipaggio.

Insieme ai migranti, salviamo l’Europa dal naufragio

epa06838211 A handout photo made available by German NGO 'Mission Lifeline' on 25 June 2018 shows migrants aboard the NGO's rescue vessel 'Lifeline' in the Mediterranean, 25 June 2018. Members of the German parliament Bundestag on 25 June reported from their visit to the ship saying they witnessed a 'catastrophic' situation. Both Italy and Malta deny the ship an entry to one of their country's ports. EPA/Felix Weiss / HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

Lo scorso 13 giugno si è tenuto a Strasburgo, durante la sessione plenaria del Parlamento europeo, un dibattito alla luce della drammatica vicenda dell’Aquarius, costretta a navigare fino a Valencia, dove è alla fine approdata col suo carico di oltre 600 vite umane. Un dibattito nel corso del quale non ho potuto fare a meno di manifestare la vergogna che avevo provato nell’essere italiana ed europea, nell’ascoltare il ministro degli Interni usare parole, pietre come «vittoria», «pacchia finita» (e poi «crociera»). Una vergogna in parte lenita dalla disponibilità di alcuni sindaci del Sud Italia, a partire da quello di Napoli, ad aprire i porti e dalle migliaia di persone che hanno manifestato in tutta Italia contro #portichiusi. La propaganda e la politica razzista di Salvini però continuano a ricevere sempre più consenso. È notizia recentissima “il sorpasso” nei sondaggi della Lega sul M5s, avvenuto proprio nel giorno in cui il vice-presidente del Consiglio ci regala un’altra pillola di odio: la proposta di censimento delle persone rom, nella consapevolezza che «quelli italiani ce li dobbiamo purtroppo tenere». I frutti di decenni di propaganda dell’ideologia della competizione neoliberista sono ora raccolti dalla retorica del “prima gli Italiani”.

Il capitale neoliberista, che divide la maggioranza delle sfruttate e degli sfruttati per poterli dominare, ha ancora una volta nell’invenzione della razza un suo alleato. E anche nell’uso di quel dispositivo della frontiera, che l’Ue prova sempre più ad esternalizzare, attraverso la costruzione di campi di concentramento fuori dai suoi confini, come in Libia e in Turchia. Assistiamo oggi a uno scontro tra quelli che in realtà sono due alleati: l’efficientismo securitario e l’esplicita propaganda xenofoba, che operano nel respingimento come nel concentramento. Salvini arriva al governo dopo le due tranche pagate alla Turchia di Erdogan per bloccare i flussi di persone migranti; dopo l’accordo di Minniti con la Libia e il protocollo sulle Ong, dopo il sequestro di Open arms; dopo i crimini della Gendarmeria francese a Ventimiglia; dopo Ceuta e Melilla. La logica della frontiera è la prosecuzione della logica della recinzione proprietaria: dalla recinzione dell’acqua, bene comune, alla recinzione del mare (che – cantava Lucio Dalla – come il pensiero, non si può recintare). Per questo non si può pensare di rompere la gabbia dell’Ue neoliberista senza rompere anche la gabbia di muri e frontiere, interne e esterne. Gabbia che il prossimo Consiglio di fine giugno, che discuterà della riforma del regolamento di Dublino III, rischia di rafforzare, consegnando l’Europa al naufragio. Eppure il Parlamento europeo ha avanzato una proposta, con una risoluzione approvata lo scorso novembre dalla plenaria, per la riforma dell’accoglienza delle e dei richiedenti asilo. Una risoluzione che certo non rompe, come invece sarebbe necessario, la logica della “Fortezza Europa” e i suoi dispositivi, ma segna degli avanzamenti importanti nel superamento di Dublino III: il superamento della logica del Paese di primo accesso (che insiste, come sappiamo, soprattutto su Italia e Grecia), l’istituzione di un meccanismo di ricollocamento permanente e obbligatorio senza soglie, un calcolo dell’equa responsabilità tra gli Stati membri dell’Ue in base a popolazione e Pil, l’agevolazione dei ricongiungimenti familiari, la copertura con bilancio Ue per l’accoglienza dei e delle richiedenti. Ripeto, non il ribaltamento che sarebbe necessario della logica di Dublino, ma una sua profonda riforma.

La relazione Wikström sulla riforma di Dublino è stata approvata lo scorso 16 novembre con 390 voti favorevoli. Tra i 175 voti contrari ci sono quelli del M5s, che pure nella fase iniziale dei lavori di negoziato avevano dichiarato di volere lavorare a un allargamento delle vie legali e sicure dell’accesso in Ue (non pervenuta durante le 22 sessioni negoziali la Lega, come è stato giustamente ricordato in aula da Elly Schlein). Lo scorso 13 giugno, durante il dibattito su Aquarius, il M5s di governo, senza proferire una sola parola di presa di distanza dalle scelte di Salvini, è arrivato a chiedere richiami al regolamento contro una deputata che aveva accusato Salvini di xenofobia. Ben altre invece le parole che sono state dette dalla manifestazione del 16 giugno a Roma, promossa dalla Federazione sociale Usb e da Aboubakar Soumahoro, che ha parlato della necessità di unire la lotta dei braccianti migranti con quella dei riders, di combattere contro la logica repressiva dei decreti Minniti-Orlando. Non c’è giustizia sociale senza antisessismo, antirazzismo, antifascismo, solidarietà, ha ricordato Abou. A rendere chiaro ancora una volta che il movimento reale è oggi sempre più quello migrante; quello che attraversa il Mediterraneo e che attraversa l’Europa da Sud a Nord; internazionale e intersezionale. Ed è la speranza per rifondare l’Europa e salvarla dal naufragio.

Eleonora Forenza è europarlamentare Gue/Ngl

La riflessione di Eleonora Forenza è tratta da Left n. 25/2018


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Lo spauracchio dell’invasione nasconde l’incapacità delle destre

Una foto tratta dal profilo Twitte di Lifeline TWITTER LIFELINE +++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA+++

Molti italiani non sanno nemmeno dov’è Dublino ma sanno che in quella città è stato firmato un trattato cui attribuiscono ogni responsabilità per “l’invasione dei migranti”. Del resto ad una popolazione che crede all’oroscopo, che crede alle stimmate farlocche di padre Pio, che crede ai miracoli e alle madonne che piangono, e anche se è non credente, mostra pur sempre di essere forgiata in modo da neutralizzare la propria capacità critica, puoi anche fargli credere che stiamo subendo una pericolosa invasione.

È inutile stargli a spiegare che i dati e le statistiche dicono il contrario, ormai gli italiani sono incartati nella involuzione di una malvagia credenza collettiva che potrà trovare un freno solo nel momento in cui l’istigazione all’odio razziale che ne scaturisce, incontrerà il contenimento delle sanzioni penali. Fino ad allora, l’odio razziale continuerà ad essere uno sport nazionale.

Tornando a Dublino, capitale dell’Irlanda, nel 1990, fu firmata una Convenzione tra 12 Paesi e prevedeva regole comuni per “la determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità europee”. Con quella Convenzione, che tuttavia entrò in vigore nel 1997, si stabilivano regole e parametri in base ai quali, una volta accertato lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, la domanda di asilo poteva essere esaminata anche da uno Stato diverso da quello dove era stata richiesta.

La regola generale prevedeva che lo Stato nel quale si aveva l’ingresso, regolare o meno, del richiedente asilo, nell’ambito del territorio dell’Unione, era quello responsabile dell’esame della domanda, indipendentemente da dove la stessa fosse stata presentata. Motivi umanitari, fattori culturali e particolari condizioni familiari avrebbero potuto consentire l’esame della domanda anche in uno Stato diverso da quello nel quale si aveva ingresso.

La Convenzione di Dublino del 1990 era in perfetta aderenza all’articolo 10 della nostra Costituzione, posto che la concessione dell’asilo in caso di impedimento dell’esercizio delle libertà democratiche, includendo la persecuzione per discriminazione sessuale o razziale, è uno dei nostri Principi Fondamentali.

Nel 2003 venne adottato il Regolamento di Dublino II che riconfermò i criteri generali circa l’esame delle domande di asilo, introdusse ulteriori specifiche sulla gerarchia dei criteri di esame dei requisiti, sulla cooperazione amministrativa tra gli Stati e, al fine di agevolare l’identificazione del richiedente asilo, fu introdotta la schedatura attraverso le impronte digitali con l’estensione del sistema Eurodac , il database europeo delle impronte digitali.

Il Regolamento di Dublino II fu firmato dall’Italia quando Il presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi e i suoi ministri erano della Lega Nord. Le impronte digitali, nell’immaginario collettivo, sono generalmente associate alla identificazione del criminale, e quindi averle introdotte all’interno di un sistema di identificazione di migranti richiedenti asilo, per la destra leghista costituiva il raggiungimento di un traguardo importante nella ideazione complessiva della sottocultura volta alla criminalizzazione dello straniero.

Con il Regolamento di Dublino III, sottoscritto durante la presidenza del Consiglio di Enrico Letta, venne introdotto il criterio della obbligatorietà per lo Stato ove avveniva il primo ingresso, di esaminare la domanda di asilo del rifugiato. L’Italia, per posizione geografica, è un naturale primo approdo, e l’atavica incapacità di gestire l’ordinario, ha mandato tutti in fibrillazione rispetto alla necessità di gestire un flusso migratorio più consistente, interpretato in modo demenziale da molti come “tutta l’Africa in Italia”.

Tuttavia in Italia non arrivano solo rifugiati, arrivano anche stranieri che non fanno domanda di protezione internazionale. Il rifugiato è colui che «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale Paese». Il migrante è invece colui che decide di lasciare la propria terra d’origine alla ricerca di condizioni di vita migliori, proprio come fanno circa 250mila italiani ogni anno.

Lo Stato italiano ha istituito i Cie (Centri di identificazione) dove vengono rinchiusi i migranti che non possono fare richiesta di protezione internazionale, e i Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) dove gli ospiti sono in condizione di semidetenzione, potendo uscire di giorno, ma rimanendo sotto monitoraggio fino a quando le loro domande non verranno accolte, e quando invece vengono respinte non hanno altra scelta che restare nella irregolarità.

Il nostro ordinamento concepiva soltanto la detenzione penale a seguito della commissione di reati, ed ora invece è stata introdotta la detenzione amministrativa, che è una autentica aberrazione giudica. Le forze governative soffiano sul fuoco razzista, ben consapevoli che, nella impotenza della propria inadeguatezza, distolgono l’attenzione dalla incapacità politica di elaborare una soluzione strutturale che pacifichi la nazione nella solidarietà.

Alle opposizioni, che non si rassegnano alla Weimar italiota, resta il difficile compito di smarcarsi dalla mistificazione che l’ha etichettata come “élite distante dai bisogni concreti”, e di imporsi come forza politica in grado di riconoscere, in un afflato internazionalista, la riorganizzazione della società in senso economico e sociale, restando umani.

Carla Corsetti, è segretario nazionale di Democrazia atea e fa parte del coordinamento nazionale di Potere al popolo

L’articolo di Carla Corsetti è tratto da Left
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Hai mai bussato al tuo vicino?

«Hai mai bussato al tuo vicino?» è la domanda che mi ha cortesemente posto ieri un’antica signora, una di quelle che qui da noi incrociamo come fantasmi con borse della spesa troppo pesanti, portafogli tenuti stretti, scalini del bus troppo alti e semafori terribilmente veloci. Nonostante per mestiere mi capiti di leggere storie, talvolta scriverle, e auscultare i fatti del mondo ogni volta che parlo con un anziano mi cade addosso un mondo che mi pare di avere messo troppo presto nei cassetti delle notizie passate, come se quei modi che furono non contengano in fondo anche le chiavi di lettura per il presente.

Quando ho chiesto di rimando perché dovrei andare alla porta del mio vicino lei mi ha chiarito il concetto: «Per sapere come sta, se ha bisogno di qualcosa, se è infastidito da qualche nostra abitudine a cui magari non facciamo caso e non pensiamo che possa essere di disturbo», mi ha risposto lei.

E l’ho trovata una frase piena di luce nel buio dei porti chiusi, delle grette disperazioni che ci inducono a rimpicciolire gli spazi di cui avere cura e di questo livore che insozza i social, i discorsi nei bar (perché sì, ci sono le persone dietro ai social, anche se a qualcuno fa comodo dimenticarselo) e i dialoghi della politica.

E mi è venuto da pensare (è un pensiero mio, da appoggiare nel buongiorno di questa mattina) che oltre alla solidarietà è successo che sia andata completamente fuori moda la gentilezza. Essere gentili (nelle sue diverse declinazioni, compresa la buona educazione) è lentamente diventato un sinonimo di debolezza nella sua accezione peggiore: sono rampanti gli amministratori delegati, sono feroci gli avversari politici, sono vendicative le cosiddette grandi firme dei giornali, sono doverosamente incazzati i commentatori in internet, sono simpatici coloro che trovano le perifrasi più sconce per irridere gli altri, sono buoni padri di famiglia  quelli che eccedono nella difesa sparando nel mucchio.

Forse in fondo (è quasi una speranza) ci comprime così tanto essere diventati quotidiani coltivatori domestici di bile che un Salvini quasi ci consola, come succede ai servi quando si convincono di somigliare al proprio padrone: la scomparsa di gentilezza condona la nostra rabbia e siamo contenti così.

Per questo basta un’anziana sconosciuta fedele alla gentilezza per farci balbettare come se ci avessero rubato quel vocabolario che pure dovrebbe essere comune. In fondo è ciò di cui si occupa da tempo il Manifesto della comunicazione non ostile (lo trovate qui) e altri che resistono al cattivismo. Ma essere gentili, di questi tempi, è anche un atto politico: è gentile colui che ha ancora la lucidità di avere fiducia nei suoi simili e se ci pensate è già una rivoluzione. Piccola, certo, ma terribilmente concreta. Oggi ho deciso che busserò al mio vicino.

Buon giovedì.

Immigrazione: la legge Minniti-Orlando (che tanto piace a Salvini) è discriminatoria. In Cassazione il ricorso di Asgi e altri giuristi

Il decreto legge numero 13 del 17 febbraio 2017 sull’immigrazione, meglio noto come Decreto Minniti-Orlando, convertito in legge ed entrato in vigore nell’agosto dello stesso anno, che sancisce, tra le righe, la discriminazione razziale attraverso la legge, con l’esecutivo da poco insediatosi, rischia di diventare ancora più pernicioso. Ma rischia (è l’auspicio), anche, di essere dichiarato incostituzionale.

Il 27 giugno, infatti, la Corte di Cassazione, in una udienza pubblica, alla presenza anche di numerosi giuristi e studenti universitari, si è data un mese per decidere se rimettere alla Corte Costituzionale il giudizio della sua legittimità costituzionale. I difensori sono soddisfatti della discussione, e fiduciosi che il Collegio decida nel senso indicato.

In punta di diritto, Asgi, Arci, A buon diritto e Giuristi democratici contestano un diminuito diritto alla difesa (unicamente) per i richiedenti asilo, i soli soggetti a non poter godere dei tre gradi di giudizio. Rimettendo il verdetto a una commissione territoriale e, al massimo, basando la sentenza sulla videoregistrazione di una prima pseudo udienza. Visto che a loro è precluso l’appello: paradossalmente, fa più passaggi in tribunale chi deve pagare una multa rispetto a chi deve preservare la propria vita, già piena di abusi e violenze e carente di diritti. Assenza ribadita e confermata con il decreto in questione che ha silenziato la voce dei richiedenti asilo durante il procedimento, violando il giusto processo.

«Le questioni di incostituzionalità sono cinque: la prima è l’utilizzo della formula del decreto legge che non si può far entrare in vigore, con carattere di urgenza, per un tema tanto complesso che abbraccia l’intero sistema di protezione internazionale; la seconda attiene al rito camerale, mancando udienza e appello; e poi, c’è tutta una serie di profili processuali e rilievi che riguardano la parità delle parti, chiaramente sbilanciata a favore del governo e penalizzante il richiedente asilo a cui limita la possibilità di difendersi», spiega a Left, l’avvocato dell’Asgi, Antonello Ciervo.

«Io credo che nemmeno gli obiettivi della velocizzazione e semplificazione della procedura, espressamente dichiarati nella riforma Minniti- Orlando, possano essere realmente raggiunti con questa grave compressione dei diritti e delle garanzie. Infatti, da una parte si genera un aumento esponenziale dei ricorsi in Cassazione; dall’altra un processo ingiusto rischia di incidere sulla vita di persone estremamente vulnerabili, che molto spesso finiscono ai margini, in strada, prive di ogni forma di tutela. Insomma, ci si limita a mettere la polvere sotto al tappeto. Peraltro, tutto questo aumenta, e non certo diminuisce, il senso di percepita insicurezza sociale», precisa l’avvocato dell’Asgi, Margherita D’Andrea. Con la speranza che il decreto che ha sancito la trattazione sommaria delle domande di protezione dei richiedenti asilo e ha introdotto l’origine legale della criminalizzazione dei difensori dei diritti umani e della solidarietà abbia vita breve.

Qui il video della conferenza stampa di Asgi e altri