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Lo chiameranno centrosinistra, sarà un’accozzaglia e invocheranno l’emergenza

Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, nel corso de 'L'intervista' di Maria Latella su Sky TG24, 5 febbraio 2017. ANSA/ UFFICIO STAMPA SKY +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

Alla fine ci è cascato anche Michele Emiliano, l’ultimo aspirante anti-Renzi, in un PD in cui si invoca il congresso per l’occultamento del Matteo segretario senza capire bene poi cosa cambierebbe davvero: dice Emiliano, in un’intervista a Libero, che si immagina una coalizione che tenga insieme la sinistra arrivando fino agli alfaniani (che chissà se esistono davvero degli alfaniani, oltre ad Angelino e al fratellino dirigente per cognome), rivendicando di avere qualcosa di simile già nella sua Puglia. Dice Emiliano (quello che dovrebbe cambiare verso al raglio renziano del post-referendum) che il Nuovo Centro Destra (sì, Alfano, sempre lui) dovrebbe fare un congresso per togliere la parola destra dal proprio nome: è solo quello che gli agita lo stomaco, l’acronimo. La nuova politica di centro destra, del resto, l’hanno già inventata loro.

Dicono in molti che l’Ulivo 4.0 sarà una rivoluzione: una nuova Democrazia Cristiana (che appunto tiene dentro tutti) in cui Renzi pare essere l’unico problema, come se Renzi fosse davvero (ce ne vorrebbero convincere) un inciampo piuttosto che il naturale approdo di una mutazione genetica che il PD ha cercato per anni. Il progetto politico degli antagonisti renziani, in fondo, è cancellare Renzi: le alleanze sono le stesse, le idee programmatiche non si sanno e chissà per quale trascendentale ispirazioni quelli che hanno votato il Jobs act dovrebbero essere gli stessi che lo cancellerebbero. Boh.

Altri, intanto, lavorano per sventolare l’allarme populismo ipotizzando un accordo Lega-M5s che è fantapolitica ma torna utile per fabbricare spettri. Così alla fine staranno tutti insieme per arginare il pericolo e, miracolo già visto, il senso del dovere diventerà la loro giustificazione. Faranno un’accozzaglia, la chiameranno centrosinistra e diranno di averlo fatto per senso di responsabilità. Programmi politici? Ma che ce frega, dei programmi.

Avanti così.

Buon mercoledì.

Se l’onestà del Movimento finisce sepolta dai guai di Virginia Raggi

Rome Mayor Virginia Raggi arriveas in Campidoglio, Italy, 03 February 2017. Rome's embattled Mayor Virginia Raggi said after emerging from eight hours of questioning by Rome prosecutors that she knew 'nothing' about a 30,000 euro assurance policy written out in her name by her former cabinet chief Salvatore Romeo. Raggi was questioned in a separate probe in which she is suspected of abuse of office for appointing Renato Marra, brother of her former right-hand man Raffaele Marra, as Rome tourist chief, ANSA/ GIUSEPPE LAMI

Non si arresta il fiume di sventure sulla giunta Raggi. Beppe Grillo non fa in tempo a pubblicare una lunga lista di di “successi di Virginia”, 43 per la precisione, che sulla sua beniamina romana piove un’altra tegola. È di oggi la notizia che Salvatore Romeo, ex capo della segreteria del sindaco, risulta indagato per concorso in abuso d’ufficio.
L’uomo, che “romanticamente” (almeno stando alla ricostruzione di Grillo) aveva intestato due polizze di 30mila e 3mila euro alla stimata Raggi, si trova ora fra le mani un invito a comparire domani in Procura. Più o meno quanto guadagnava da semplice funzionario pubblico quale era, prima che il primo cittadino pentastellato lo promuovesse ai vertici – con relativo balzo di stipendio che l’Anac ha “suggerito” di abbassare a soli 93mila euro. Dimessosi a dicembre, è mestamente tornato al dipartimento partecipate da cui proveniva (e al relativo stipendio di 39mila euro).

Certo, se qualcosa è chiaro ormai nella tragicomica vicenda romana a cinque stelle, è che il sindaco ha qualche problema nella scelta dei collaboratori. Salvatore Romeo, assieme a Daniele Frongia membro “onorario” del cosiddetto “Raggio magico”, è sempre al suo fianco. In ogni foto, in ogni conferenza stampa. Perfino quella di scuse riguardanti la nomina di Raffaele Marra a capo del personale, il giorno in cui venne arrestato per corruzione (16 dicembre). È Romeo ad aver presentato l’ex uomo macchina al sindaco, cosa di cui si è detto pentito. Ed è sempre Romeo a selezionare gli assessori insieme alla Raggi, a consigliarla sulle nomine, e perfino, pare, a elaborare assieme a Marra il dossier per far fuori il collega di scranno Marcello De Vito, allora sfidante della Raggi alle comunarie. Alcune responsabilità sono agli atti, altre sono ancora da dimostrare.

Ma se di Marra (indagato anche per abuso d’ufficio in concorso con Raggi per la nomina del fratello Renato a capo del dipartimento Turismo), Virginia ha potuto affermare, pur con qualche imbarazzo: «è solo uno dei 23mila dipendenti», e che «era solo un tecnico» non interno al Movimento, per Romeo questo non sarà possibile. Se è vero che l’intestazione delle polizze di cui la prima cittadina si è vista beneficiaria (rivelata da il Fatto Quotidiano e da l’Espresso), sarebbe avvenuto “a sua insaputa”, meno credibile è che Salvatore Romeo fosse solo uno dei 23mila dipendenti pubblici: nell’intestazione stessa delle polizze al sindaco Raggi è scritto per “motivi affettivi”, come ha scoperto la Procura. Della sua relazione con il sindaco sia di tipo più intimo si vocifera, fin dai tempi della famosa foto che li ritraeva insieme sul tetto di palazzo Senatorio.

Virginia Raggi ritratta sul tetto di Palazzo Senatorio insieme al suo capo segreteria Salvatore Romeo in una foto scattata da un fotografo portoghese in vacanza a Roma e pubblicata sull’account del fotografo Frederico D. Carvalho e poi ritwittata dal giornalista José Miguel Sardo.
(foto Ansa)

Ma anche se poco importa, lui si sente di doverlo specificare, nel lungo post di chiarimento sulle polizze.

A quanto uscito dall’indagine in corso, infatti, Romeo risulterebbe avvezzo alla pratica: sono circa una decina le polizze intestate a parenti e attivisti 5s, nelle quali il funzionario avrebbe investito circa 130mila euro. Su questo e sulle dubbie nomine avvenute in Campidoglio verterà l’interrogatorio. E cos’altro abbia combinato, lo dovrà spiegare domani ai pm.

Mentre Virginia dovrà spiegare al Movimento – nonostante la svolta garantista inaugurata proprio grazie alle vicende capitoline -, nella migliore delle ipotesi, l’ennesima scelta errata (e lautamente stipendiata con soldi pubblici, direbbero loro).

Un Movimento tenuto a bada a fatica, come dimostra la strategia di mandare avanti i big in difesa del sindaco: proprio ieri il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio ha annunciato l’intenzione di querelare Emiliano Fittipaldi, giornalista dell’Espresso, per aver ipotizzato un giro di corruzione legata alle polizze. Il deputato campano ha anche richiesto, sempre a nome del Movimento, le scuse dell’Ordine dei giornalisti. La storia delle polizze sarebbe tutta una bufala, e soprattutto: «Noi non dobbiamo sentirci in colpa di niente, perché non abbiamo rubato un euro a nessuno», striglia i suoi. Vero, ma certo stipendiare lautamente un dirigente arrestato per corruzione e triplicare lo stipendio a un altro, oggi indagato, non è esattamente sintomo di oculatezza e cura nella gestione del denaro dei cittadini. «Facciamo degli errori», si è difeso Di Maio «cosa che capita quando non si ha esperienza». Ma una domanda, resta: se al posto di Raggi ci fosse stato un amministratore Pd o di qualsiasi altro partito, sarebbe scattata la colpevolezza a priori. Sicuri sia un atteggiamento onesto?

Siria, la denuncia di Amnesty: migliaia di impiccati in carcere

Dopo la presa di Aleppo da parte delle truppe siriane sostenute da Russia e Iran, la Siria sembra scomparsa dai radar. Se non per parlare della guerra all’Isis. Ci sono stati colloqui ad Astana che hanno fissato un cessate il fuoco tra le parti, ma la tregua viene violata di continuo, protestano quasi tutte le parti coinvolte. In questi giorni si svolgono colloqui tecnici tra Iran, Russia, Turchia e Siria per capire come verificare la tenuta della cessazione delle ostilità – la Turchia è il garante dei ribelli e gli scambi diplomatici tra Russia e Turchia si intensificano: la settimana prossima il ministro degli Esteri turco sarà a Mosca.

I rapporti tra Mosca e la Washington di Trump prendono una strada tortuosa: i due si difendono costantemente. l’ultima è stata la difesa del presidente Usa durante un’intervista con Bill O’Reilly, che alla domanda “Ma Putin è un killer?”, ha risposto “neppure noi siamo poi così buoni”. Risposta corretta se si parla di Cile o Argentina o Iraq. Ma data così, da un presidente che ritiene la tortura uno strumento efficace, l’argomento non sembra essere quello dei diritti umani. Sembra che il prossimo ambasciatore russo a Washington sarà il vice ministro degli Esteri Anatoly Antonov, faccia russa della guerra in Siria e figura soggetta a sanzioni personali da parte degli Stati Uniti. Una scelta fatta all’epoca in cui a Mosca prevedevano avrebbe vinto Clinton, ottima per costruire una cooperazione militare contro il terrorismo – che è il punto di incontro tra l’amministrazione Trump e il presidente Putin. Consolidare la cooperazione non sarà così facile: sull’Iran le posizioni sono diverse, e la cosa significa problemi in Yemen e anche in Siria.

Un rendering della prigione di Saydnaya (Amnesty International)

Già, è in Siria che combina Assad? Un’idea possiamo farcela leggendo il nuovo rapporto di Amnesty International sulle impiccagioni di massa e le esecuzioni extragiudiziali nella prigione Saydnaya. Tra il 2011 e il 2015, ogni settimana gruppi di persone, fino a 50, sono state portate fuori dalle loro e impiccate. In cinque anni sarebbero ben 13mila, la maggior parte dei quali oppositori civili del regime di Assad.

Nella stessa prigione i detenuti erano tenuti in condizioni disumane, venivano torturati e deprivati di cibo, acqua, medicine e cure mediche. Ci sono molti elementi che fanno ritenere i ricercatori di Amnesty che le pratiche descritte nel rapporto siano ancora moneta corrente nelle carceri di Assad. I detenuti non vengono sottoposti a processo ma a una rapida messa in scena, che dura pochi minuti e si svolge in un campo da tennis. Di solito le persone rinchiuse a Saydnaya sono vittime di sparizioni forzate, spesso firmano confessioni sotto tortura, non hanno diritto ad avvocati e non sanno che saranno uccisi fino a quando non vengono portati al patibolo.


Due detenuti nel carcere di Saydnaya, prima e dopo la detenzione

 

«Gli orrori rappresentati in questo rapporto rivelano una pratica mostruosa, autorizzata ai più alti livelli del governo siriano, una vocazione a reprimere brutalmente ogni forma di dissenso», ha dichiarato Lynn Maalouf, Vice Direttore presso l’ufficio regionale di Amnesty International a Beirut. «Chiediamo alle autorità siriane di cessare immediatamente le esecuzioni extragiudiziali e le torture. Russia e Iran, gli alleati più stretti del governo siriano, dovrebbero fare pressione affinché si metta fine a queste pratiche». Amnesty chiede un’inchiesta Onu che verifichi la violazione del diritto internazionale e prefiguri il reato di crimine di guerra.

Il rapporto si basa su un’indagine di un anno, con interviste di prima mano a 84 testimoni, comprese guardie a Saydnaya, personale delle ferrovie, funzionari, detenuti, giudici e avvocati, oltre che esperti nazionali e internazionali in materia di detenzione in Siria.

Il mattatoio umano: l’animazione di Amnesty che racconta gli orrori di Saydnaya

Spd primo partito in Germania. Schulz batte Merkel nelle preferenze individuali

epa05751991 (FILE) - A twofold combo picture shows former president of the European Parliament, Martin Schulz (L) in the Social Democrats of Germany (SPD) party's headquarters in Berlin, Germany, 24 January 2017 and German Chancellor Angela Merkel (R) of the Christian Democratic Union (CDU) at the Royal Palace in Brussels, Belgium, 12 January 2017. Schulz and Merkel run for Chancellor in the German federal elections that will take place on 24 September 2017. EPA/FELIPE TRUEBA / STEPHANIE LECOCQ

Secondo un nuovo sondaggio Insa, il Partito socialdemocratico tedesco (Spd) ha superato per la prima volta l’Unione cristiano democratica (Cdu) di Angela Merkel.  L’Spd raggiunge il 31 per cento delle preferenze, rispetto al 30 per cento della Cdu. Tutto merito di Schulz? Probabilmente sì. L’ingresso dell’ex Presidente del Parlamento europeo nella campagna per le elezioni politiche tedesche del 2017 ha avuto un effetto dirompente, almeno a guardare i numeri.

L’”effetto Schulz” si può notare soprattutto se si guarda alla distribuzione temporale delle preferenze. Dal 24 gennaio a oggi i trend per i due principali partiti tedeschi sono esattamente opposti. Inoltre, il “sorpasso” della Spd non si verificava dal 2010.

In ogni caso i dati Insa rappresentano soltanto uno dei punti di riferimento statistici. Le rilevazioni di altre società –  Forsa, Gms, Allensbach – potrebbero non confermare il dato riscontrato e pubblicato ieri. Alcuni esperti si sono infatti detti “perplessi” del cambiamento repentino dei risultati delle rilevazioni. Inoltre, è bene ricordare che il 2016 è stato notoriamente un anno difficile per i sondaggisti, colti in fallo sia sulla Brexit che su Trump.

Dati più solidi sono quelli legati ai livelli di popolarità dei singoli candidati. Soprattutto perché il divario tra Merkel e Schulz è molto grande. La prima ottiene un “magro” 34 per cento di preferenze, mentre il secondo tocca addirittura il 50 per cento.

Ovviamente, dai circoli della Spd, si alzano voci spavalde. Su Die Welt, si legge che un rappresentante locale del partito socialdemocratico, Johannes Kahrs, avrebbe paragonato la situazione del Cancelliere uscente con quella di Helmut Kohl nel 1998, anno in cui Gerhard Schröder vinse le elezioni.

Nel frattempo, la Cdu cerca di abbattere la retorica di Martin Schulz. Julia Klöckner (Cdu) ha sentenziato: “Chi, come Martin Schulz, afferma che in Germania ci sia soltanto ingiustizia, parla come l’Alternativa per la Germania (AfD, partito populista e xenofobo di destra) e rafforza indirettamente questa ultima formazione”.

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Una nocciolina in cambio di un permesso di soggiorno

Il viceprefetto di Savona Andrea Santonastaso, attuale commissario prefettizio al Comune di Borghetto Santo Spirito, in un fermo immagine tratto da Youtube. Roma, 6 febbraio 2017. ANSA/ YOUTUBE +++ NO SALES - EDITORIAL USE ONLY +++

C’è dentro un pezzo d’Italia, la fetta peggiore di questo tempo di bisognosi e avvoltoi, dentro l’inchiesta che ieri ha portato all’arresto del viceprefetto Andrea Santonastaso, il poliziotto Roberto Tesio, Carlo Della Vecchia (membro dello staff del Referente responsabile per la trasparenza e l’integrità della Prefettura, pensa te) e altri nel savonese, accusati di almeno 30 (trenta!) episodi di corruzione che sono stati accertati nel corso delle indagini.

Il clan di avvoltoi (secondo le accuse di corruzione, traffico e influenze illecite, peculato, truffa aggravata ai danni dello Stato, rivelazione di segreti d’ufficio, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e falso) avrebbe facilitato il rilascio di permessi di soggiorno (ma anche porto d’armi, recupero punti sulla patente e addirittura facilitazioni per il registro anagrafico) in cambio di prosciutti (prosciutti!), frutta secca, abiti, riparazioni meccaniche per le proprie auto, assunzioni di amici e altre regalie.

La cessione di diritto in cambio di un favore è il reato più odioso che si possa immaginare perché fiacca la credibilità dello Stato, logora i cittadini ma soprattutto spezza il filo su cui si regge una democrazia civile: il riconoscimento dei bisogni e delle sofferenze.

E il fatto che Santonastaso sia stato più volte commissario prefettizio in alcuni comuni (nel 1993 a Rosta (Torino), nel 1994 a Celle Ligure, dal 1997 al 1999 ad Albenga, dal 2012 al 2013 a Carcare, nel 2016 a Spotorno, nel Savonese) pone una questione non da poco: davvero per più di vent’anni questo Paese si è affidato a un personaggio di tale etica per risolvere i problemi amministrativi e per guidare delle comunità? Sì, stando alle accuse, parrebbe proprio di sì.

La corruzione dilaga lì dove la disperazione (e l’ignoranza) concede spazi per scavalcare le regole: svendere un permesso di soggiorno per delle noccioline è il gesto più razzista, vigliacco e becero che si possa immaginare. Ma, vedrete, se ne parlerà poco o niente. Ai corruttori per disperazione, forse, farebbe bene il ministro Minniti a raccontargli che no, davvero, non dovrebbe funzionare così.

Buon martedì.

Ragioni del sì contro ragioni del no. Breve storia di uno Stadio molto romano

Un rendering del progetto dello stadio dell'As Roma, in una immagine del 30 maggio 2016. ANSA/UFFICIO STAMPA +++EDITORIAL USE ONLY - NO SALES+++

Il capitano giallorosso lancia un appello al primo cittadino con l’hashtag #Famostostadio. E lei risponde. Perché nonostante i guai giudiziari e gli imbarazzi politici che accompagnano l’attuale giunta capitolina, bisogna far vedere che #RomavaAvanti.

Dopo il secco no alle Olimpiadi 2024, ecco un’altra partita che il sindaco Raggi deve giocarsi con estrema delicatezza. Perché i romani sono pronti a scherzare su tutto, ma guai a prendersi gioco della “maggica” (o, a seconda de casi, degli aquilotti). E qui s’inserisce la risposta a Francesco Totti: «Ti aspettiamo per parlarne», ha scritto la prima cittadina pentastellata. Sebbene “il Pupone” certo un ingegnere non sia. E sebbene l’idea sia sul tavolo dal lontano 2001, quando Walter Veltroni ancora non era nemmeno sindaco – né candidato presidente alla Lega Calcio. Soprattutto, dietro alla costruzione c’è il mondo delle società calcistiche che si intreccia a quello dei costruttori romani, che di soldi ne fanno girare parecchi.

Ma i romani – e non solo – vanno tranquillizzati, e la risposta del sindaco, fa questo. Ci dice che lo Stadio è sul tavolo. O meglio, anche sul suo tavolo (dopo quello di tutte le amministrazioni precedenti), quello a Cinquestelle. Cosa che in realtà – nonostante la sua opposizione quando di Roma era solo una semplice consigliera di opposizione – sapevamo già, come ci racconta la sedia tremolante dell’assessore all’Urbanistica Paolo Berdini, fra i più agguerriti oppositori del progetto. Alla base degli attriti con il sindaco ci sarebbe proprio la sua guerra all’impianto calcistico.

Certo, ufficialmente la nuova struttura che l’americano James Pallotta e il costruttore romano (e romanista) Luca Parnasi vorrebbero realizzare a Tor di Valle per ora è stata bocciata dal Comune. Ufficialmente. I contatti con la società, però, continuano assidui. Così come i lavori di Palazzo Senatorio, che ha chiesto una sospensione di 30 giorni rispetto alla data definitiva (1 febbraio 2017) per l’approvazione da parte della conferenza dei servizi – interrottasi a un passo dalla decisione il 31 gennaio scorso: «Sul progetto definitivo dello stadio della Roma c’è la volontà ad andare avanti per analizzare il dossier», spiegano dal Comune in una nota ufficiale.

Ma, sebbene Raggi cerchi di dissimulare, spiegando che bisogna «rispettare il piano regolatore» e la conferenza dei servizi perché «la decisione spetta a loro», dagli uffici tecnici del Comune arriva un bel no: «Il parere unico di Roma Capitale sul progetto definitivo dello Stadio della Roma è non favorevole» (si legge sul documento consultabile qui). Il progetto è considerato “non idoneo” da parte di quasi tutte le strutture interessate (dipartimento Pianificazione territoriale, dipartimento Tutela Ambientale, dipartimento Viabilità, quello dello Sviluppo e immancabilmente quello dell’Urbanistica).

Ragioni del No
“Condizioni di sicurezza non garantite”, “pericolosità idraulica dell’area”, dubbi sull’approvvigionamento idrico ed elettrico, “carenza di documentazione” (“nonostante le reiterate richieste di integrazione”) e una serie di ingenti “problemi di viabilità” sono solo alcune delle lacune individuate.

  • Sicurezza: il parcheggio e la viabilità della struttura non consentirebbero la sicurezza della circolazione (es. uscite in curva con scarsa visibilità e manovrabilità per auto e bus, percorsi pedonali che non ne garantiscono incolumità, etc)
  • Idraulica: l’attuale classificazione dell’area comprende zone a rischio idrico, una pericolosità che determinerebbe la non compatibilità della struttura con l’area in cui vorrebbe essere situata
  • Carenza di funzionalità: verrebbero a crearsi una serie di snodi che aumenterebbero il traffico in zone strategiche come l’ingresso nel Gra e l’inadeguatezza dei trasporti parametrati all’aumento di persone
  • Carenza documentale

Tuttavia, il documento produce anche possibili soluzioni per uscire dall’impasse: ridefinire il perimetro delle zone. In 30 giorni dunque l’As Roma dovrebbe ribaltare quasi completamente il progetto.

Parnasi e la Roma si dichiarano fiduciosi: «Il parere unico […] sebbene scritto in maniera che ingenera dubbi – scrivono in una nota Ansa – riporta solo minime richieste di modifica che i proponenti potranno adempiere facilmente, in modo da ottenere un parere favorevole e quindi procedere con l’approvazione del progetto».

Tutto un bluff, dunque?

La risposta potrebbe essere contenuta sempre nella suddetta nota, secondo la quale la posizione del Comune sarebbe “solo” «di natura amministrativa e non costituisce posizione politica», assicura l’asse Boston-Trigoria.

Dettaglio non da poco. Perché popolo romano, società e costruttore non sono gli unici soggetti da tenere a bada: la prima cittadina capitolina deve anche capire bene come farla ingoiare questa storia ai Cinquestelle. Che certo non sono pro-cemento, e ai quali quel milione di cubature previste per realizzare non solo l’impianto sportivo (che varrebbe solo il 14% del totale), ma tutto ciò che vi è previsto attorno – e che rappresenta il cuore dell’affare, tant’è che alla proposta di Berdini di far saltare il più delle cubature, la società ha risposto che così non se ne sarebbe fatto nulla – non sarà facile da spiegare.

E dunque Stadio si, stadio no?

Le ragioni del Si

Mentre qualche 5 stelle (non tutti: c’è chi allo stadio tiene, come Frongia), Berdini e alcuni comitati locali spiegano che altre zone potevano esser più idonee e che si poteva anche considerare la via dell’adeguamento dell’Olimpico, l’As Roma ha intensificato la sua propaganda di parte. Spalletti, Totti, tutti i campioni giallorossi sono stati impegnati per ripetere i mirabolanti benefici che lo stadio (e il centro commerciale, e gli uffici destinati a Unicredit) porterebbe:

  • Investimento di 1,6 miliardi di euro
  • Conseguente aumento del Pil: si parla di un aumento di 5,7 miliardi di euro nei primi tre anni, 12,5 miliardi entro sei anni e 18,5 miliardi entro il 2026.
  • Aumento di 1,4 miliardi di gettito fiscale nell’arco dei prossimi nove anni – circa 150 milioni di euro all’anno che il comune potrà reinvestire per altre necessità
  • 1500 operai nella fase di costruzione e ulteriori 4000 posti di lavoro man mano che il progetto diventa operativo. Una volta a pieno regime, saranno circa 20.000 le persone che lavoreranno nello stadio e nell’area business

Palla a Raggi.

 

In mostra al Museo di Capodimonte i due Van Gogh ritrovati in un fondo della camorra

I due dipinti di Vincent van Gogh rubati quattordici anni fa dal Museum Van Gogh di Amsterdam e ritrovati dalla Guardia di Finanza sono esposti al Museo di Capodimonte a Napoli, al centro di una mostra aperta al pubblico del 26 ebbraio. Si tratta de La spiaggia di Scheveningen, del 1882 e di Una congregazione lascia la chiesa riformata di Nuenen del 1884, opere suggestive, legate a una vena poetica e malinconica, un mare d’inverno e una scena di villaggio; opere che Van Gogh non riuscì a vendere in vita  ( geniale e anticipatrice gran parte della sua produzione  rimase invenduta ) e che oggi si stima valgano 100mila dollari.

Dopo il clamoroso furto del 2002  seguì un lungo silenzio. Dei quadri si erano perse completamente le tracce. Come se fossero spariti nel nulla. Fino a quando le indagini della Guardia di Finanza coordinate dalla Procura di Napoli li hanno scovati, nel settembre dell’anno scorso, in uno scantinato di Castellammare di Stabia. Le due tele esposte all’umido ha retto alle condizioni difficili riportando, per fortuna, danni riparabili.

Per venti giorni le due opere in cui prevalgono i toni soffusi, legati alla tradizione nordica, si possono vedere al Museo e Real Bosco di Capodimonte a Napoli al secondo piano del museo accanto alla Sala del Caravaggio ( fino al 26 febbraio, catalogo Electa), poi saranno restituiti al museo di Amsterdam, che li avrà indietro grazie a un’operazione di recupero che ha pochi eguali. Più importanti sono i quadri, più famosi sono, più è difficile per i ladri venderli . Come  racconta Thomas D. Bazley nel  libro Crimes in the Art World  più del  90 per cento delle opere d’arte rubate non viene più  ritrovato. Il caso dei due Van Gogh, come quello dei quadri del Museo di Castelvecchio ritrovati in Ucraina e da poco tornati in Italia, rappresentano casi piuttosto eccezionali. Anche perché la maggior parte dei Paesi non ha forze specializzate, la maggior parte dei servizi di polizia non si interessa molto dei furti d’arte”. Anche perché non esiste un database internazionale e molti paesi non hanno corpi speciali dedicati ai furti d’arte. In questo l’Italia fa eccezione: dal 1969 il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, che per lunghi anni è stato guidato dal Generale di Divisione Roberto Conforti.

 

Germania, le condizioni della Linke per un’alleanza a sinistra con Verdi e Spd

epa05718560 German politicians of the Left party (Die Linke) Sahra Wagenknecht (L) and her husband Oskar Lafontaine walk together after visiting the grave of German revolutionary socialist Rosa Luxemburg at a memorial site commemorating her and other socialists in Berlin, Germany, 15 January 2017. Luxemburg was executed for her political beliefs on 15 January 1919. EPA/OLIVER WEIKEN

«Una politica estera di distensione verso la Russia, una politica europea non incentrata sulla competizione al ribasso fra Paesi membri, la ricostruzione dello stato sociale»: sono queste le condizioni alle quali Die Linke potrebbe scendere a compromessi, nel quadro di un’alleanza di governo. Ad affermarlo è Oskar Lafontaine, ex-leader socialdemocratico tedesco, nonché fondatore di Die Linke, durante un’intervista con il quotidiano tedesco Die Welt.

In altri termini, esistono delle condizioni minime precise per potersi immaginare un governo a tinta R2G, l’alleanza tra socialdemocratici (Spd), Verdi e Die Linke, durante la prossima legislatura.

Peccato che sia lo stesso Lafontaine, durante l’intervista, a ricordare che «Katrin Göring-Eckardt e Cem Özdemir, i leader dei Verdi, sostengono una politica estera del tutto diversa». Die Linke, più che spingere per la fine della Nato, propone «un’architettura di sicurezza che comprenda anche la Russia». «Sarebbe un vantaggio anche per gli Stati baltici che oggi temono un ritorno della Guerra fredda», sostiene i leader della sinistra.

E per quanto riguarda le politiche sociali? «Chiedo alla Spd di dimostrare le sue intenzioni ancora prima del voto», afferma Lafontaine. Come? Lavorando a un aumento delle pensioni, per esempio. Sarebbe possibile? Tecnicamente sì: «Spd, Verdi e Die Linke hanno già i numeri per una maggioranza in Parlamento».

Per quanto riguarda l’Europa, secondo Lafontaine, «l’euro è semplicemente troppo debole per l’economia tedesca e troppo forte per quella di altri Paesi del Sud Europa». C’è insomma bisogno di un «sistema monetario che preveda dei margini di svalutazione» per alcune zone dell’Europa, un sistema monetario che «tenga unito il Continente, invece di dividerlo».

Incalzato riguardo ai consensi crescenti tra i lavoratori per il partito “Alternativa per la Germania” (AfD) in Germania, il fondatore di Die Linke sottolinea che, a differenza al Front National di Le Pen, l’AfD « sostiene una politica economica neoliberista» che prevede «l’abbattimento dei salari e il taglio delle pensioni».

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