Home Blog Pagina 294

Sulle tracce di Armagèddon

Il bel volume di Eric Cline – La città perduta di re Salomone (Hoepli) – che racconta della famosa città di Megiddo legata inscindibilmente nell’Antico Testamento al figura eccezionale del Re Salomone, e soprattutto degli scavi che la videro protagonista, prende le mosse, direi inevitabilmente, da un famoso passo del libro dell’Apocalisse: «Poi dalla bocca del Drago, dalla bocca della Bestia e dalla bocca del Falso Profeta vidi uscire tre spiriti immondi, simili alle rane, cioè spiriti di demoni che avrebbero operato prodigi e si sarebbero messi a radunare i re di tutta la terra per la guerra del grande giorno di Dio, l’Onnipotente… E i tre spiriti radunarono i re nel luogo che in ebraico si chiama Armageddon».

Con queste parole nell’Apocalisse di Giovanni, omonimo ma probabilmente diverso dall’apostolo autore dell’ultimo dei Vangeli sinottici, ai versetti 14-16 che abbiamo qui sintetizzato e liberamente tradotto, si ricorda il luogo in cui i demoni, usciti dalla bocca della bestia e dei suoi seguaci, raduneranno i re della terra e dei quali dio decreterà poi la sconfitta per istituire alla fine della storia (il “grande giorno”) il suo regno infinito, la Gerusalemme celeste. Questo luogo è noto nella tradizione giudeo-cristiana, sulla base essenzialmente del passo citato, appunto come Armageddon.

Come tutti i vari, misteriosi aspetti di questo complesso ultimo libro del canone cristiano, anche il nome Armageddon è entrato prepotentemente nella cultura occidentale, accompagnato da una serie sinistra di meta-significati millenaristici (appunto, apocalittici), che sono molto cari anche alla cultura New Age contemporanea. Armageddon è, nella tradizione dell’Occidente sia colto che pop(olare), par excellence il luogo deputato alla “guerra”, anzi, è considerato il toponimo che racchiude simbolicamente in sé la quintessenza di tutte le guerre, fatte e fattibili, e ad esso gli uomini hanno fatto ricorso nella drammatica e crudele storia occidentale per descrivere sinteticamente e icasticamente quanto avveniva ai loro tempi (il nome è apparso, in epoca moderna, in relazione ad esempio alla due guerre mondiali e all’olocausto). E come per tutti gli altri “segni” che nel libro dell’Apocalisse si ritrovano, anche questo, considerato nella luce più pacata della realtà storica, rivela una premessa tutt’affatto drammatica.

Come mette in risalto da subito l’autore, Armagèddon (o meglio Harmagedòn, come si ritrova nella versione greca) è in realtà semplicemente la volgarizzazione greco-latina dell’espressione ebraica har megiddo, cioè il “monte della città di Megiddo” (si legga Armaghedon e Meghiddo, in ebraico non esiste la /g/ palatale), città cananaica realmente esistita, importante centro urbano sulla via che connetteva il levante e la Palestina da ovest alla valle di Jezreel verso l’Egitto, rotta utilizzata poi anche dai Romani, che la ribattezzarono come via maris, “la via del mare”: si tratta di…

L’articolo prosegue su Left dell’8-14 luglio 2022 

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

 

</a

Il popolo curdo di nuovo tradito

Jin Jiyan Azadi (Libertà di vita delle donne)

L’allargamento della Nato del 2022 nasce sotto il segno di Erdoğan e del sacrificio dei diritti umani. Il governo turco aveva manifestato in un primo momento (con grande risolutezza) la sua contrarietà all’ingresso di Svezia e Finlandia nell’alleanza atlantica perché che i due Stati scandinavi danno ospitalità e riparo ai militanti curdi del Pkk e delle formazioni che operano in Siria. A cavallo del vertice atlantico di Madrid di fine giugno, Erdoğan ha cambiato posizione e si è impegnato a votare sì all’ingresso dei due Paesi purché essi adottino leggi antiterrorismo sul modello di quelle dalla Repubblica turca e rispediscano in Turchia una serie di persone curde accusate di terrorismo in quanto ritenute vicine al Pkk. La richiesta riguarda anche i presunti appartenenti a Feto, l’organizzazione che secondo Erdoğan avrebbe messo in piedi il tentativo di colpo di stato del 2016.

Il Pkk è considerato organizzazione terroristica dalla Turchia e anche dall’Unione europea, nonostante una serie di pronunce in senso contrario di diverse giurisdizioni che hanno riconosciuto la sua natura di organizzazione che rivendica l’autonomia delle diverse aree in cui è stato suddiviso il Kurdistan e nelle quali la popolazione curda subisce persecuzioni e discriminazioni e si vede negare diritti fondamentali. I presunti terroristi di cui si chiede l’estradizione hanno avuto il riconoscimento in Svezia e Finlandia dello status di rifugiati politici, alcuni di essi hanno nel tempo acquisito anche la cittadinanza dei Paesi ospitanti. Se queste persone (che hanno ottenuto il riconoscimento del loro diritto al non respingimento ed all’asilo) saranno …

L’articolo prosegue su Left dell’8-14 luglio 2022 

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

 

</a

Con Pechino nel mirino

NATO Secretary General Jens Stoltenberg appears with the document 'The Strategic Concept', a key document for the Atlantic Alliance, during the first day of the NATO 2022 Summit at the IFEMA Trade Fair Center MADRID, June 29, 2022, in Madrid (Spain). The NATO 2022 Summit officially begins today and will conclude tomorrow, June 30. The celebration coincides with the 40th anniversary of Spain's accession to the North Atlantic Treaty Organization. The Russian invasion of Ukraine, the tensions between Moscow and the Alliance and the accession of Finland and Sweden mark the agenda of an event in which delegations from 40 countries participate and that turns Madrid into the epicenter of world politics during its celebration. 29 JUNE 2022;SUMMIT;NATO;DEFENSE;COUNTRIES;POLITICS EUROPA PRESS/E. Parra. POOL 06/29/2022 (Europa Press via AP)

Com’è ormai emerso in questi ultimi tre mesi grazie a una vasta documentazione, soprattutto di parte americana, l’allargamento della Nato agli ex Paesi del Patto di Varsavia rispondeva ad un preciso fine, che oggi appare perfettamente raggiunto: provocare un casus belli ai confini della Russia, far leva sull’orgoglio nazionalistico dei suoi gruppi dirigenti e impegnarla in una guerra aperta. L’aggressione di Putin all’Ucraina è, con ogni evidenza, il risultato di tale strategia, un successo lungamente perseguito dall’amministrazione americana attraverso la Nato, che oggi mostra tutti i suoi frutti.

Allargamento dell’Alleanza ad altri Stati europei, incremento delle spese militari di tutti i Paesi membri, mobilitazione su vasta scala di mezzi e uomini, maggiore coesione politica e ideologica. Senonché, come alcuni analisti avevano già fatto osservare – e tale aspetto è reso oggi più evidente dall’ingente impegno militare degli Usa a sostegno dell’Ucraina – la “guerra per procura” contro la Russia, è solo una tappa, un passaggio di un ben più ampio disegno strategico. Essa serve a destabilizzare uno dei contendenti dello spazio geopolitico mondiale, appunto il cuore dell’ex Unione Sovietica, ma l’obiettivo più ambizioso e più vasto è, fuori da ogni dubbio, la Cina. È il grande Paese asiatico che con la spettacolare crescita delle sue economie manifatturiere, l’espansione mondiale dei suoi commerci, il successo crescente nell’ambito delle alte tecnologie, è osservato sempre più dagli Usa come il contendente geopolitico più temibile e quindi – secondo la razionalità imperialista di gran parte dei suoi gruppi dirigenti – come il nemico da sconfiggere anche militarmente nel prossimo futuro.

Occorre avere ben chiara questa prospettiva, del resto esplicitamente…

L’articolo prosegue su Left dell’8-14 luglio 2022 

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

 

</a

Pericolo Nato

British communications officers take part in the Swift Response 22 military exercise at the Krivolak army training polygon in the central part of North Macedonia, on Thursday, May 12, 2022. Hundreds of NATO soldiers have presented on Thursday airborne operations followed by parachuting, helicopters and ground activities to the top country's officials and diplomats, as allied airborne forces exercise "Swift Response 22" has entered in its final phase at the military polygon "Krivolak" in North Macedonia. The exercise, that includes about 4,600 soldiers from Albania, France, Greece, Italy, North Macedonia, Montenegro, the UK, and the U.S., was to demonstrate the NATO states' ability to deploy anywhere around the world and that it's soldiers can operate together professionally and successfully. (AP Photo/Boris Grdanoski)

Il nuovo “concetto strategico” della Nato approvato dal vertice di Madrid di fine giugno è il punto d’arrivo di una traiettoria tesa come un proiettile che comincia col vertice di Roma del 1991. Allora, subito dopo la prima guerra del Golfo, venne prospettata l’espansione verso est e la professionalizzazione delle forze armate alleate come presupposto per la proiezione della forza oltre i confini dei Paesi membri. In un trentennio di belligeranza e di allargamento l’Alleanza ha fatto a pezzi il diritto internazionale, rilanciato la sua piattaforma militare globale, avviato una nuova guerra fredda e trainato la corsa agli armamenti.

La Nato del 2022, come un mafioso che pretende di sedersi sullo scranno del giudice, si auto celebra entità morale globale senza dimostrare il minimo pudore rispetto a quell’immenso cumulo di macerie e disperazione lasciato in eredità ai popoli su cui ha puntato il suo micidiale mirino “democratico”. In perfetta aderenza con la narrazione mainstream e con recenti documenti europei come quello sulla cosiddetta “Bussola strategica”, risulterebbe infatti che il blocco euro-atlantico sia assediato da minacce formidabili. Minacce di ogni genere: simmetriche, asimmetriche, ibride, valoriali, statali, non statali, climatiche.

«…La nostra visione è chiara: vogliamo vivere in un mondo in cui la sovranità, l’integrità territoriale, diritti umani e il diritto internazionale siano rispettati e in cui ogni Paese possa scegliere il proprio cammino, libero da aggressioni, coercizioni o sovversioni. Lavoriamo con tutti coloro che condividono questi obiettivi. Siamo uniti, come alleati, per difendere la nostra libertà e contribuire a un mondo più pacifico…», si legge tra le tante asserzioni di principio contenute nel documento.

Nel frattempo si accetta l’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza in cambio della consegna dei curdi al dittatore Erdoğan (così lo ha definito Draghi) mentre gli si consente di…

L’articolo prosegue su Left dell’8-14 luglio 2022 

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

 

</a

Né acqua né corrente

A view of the Po riverbed under Ponte della Becca (Becca bridge) shows the effects of the drought, near Pavia, Italy, Monday, July 24, 2017. Sky TG24 TV meteorologists noted on Sunday that Italy had experienced one of its driest springs in some 60 years and that some parts of the country had seen rainfall totals 80 percent below normal. (AP Photo/Luca Bruno)

Per la prima volta da quando fu costruita, negli anni 50, la centrale idroelettrica di Isola Serafini, nel Piacentino, si è dovuta fermare. E non a causa di un guasto. La siccità che ha svuotato il fiume Po ha reso impossibile far girare le turbine, che pescavano sabbia anziché acqua. Diverse altre centrali idroelettriche in Italia sono state costrette a rallentare la produzione. Ma la scarsità dell’acqua non ha compromesso solo questo tipo di impianti. Anche le centrali termoelettriche, come quella di Moncalieri, in provincia di Torino, o quelle di Sermide e Ostiglia, nel Modenese, hanno dovuto fermarsi. In altri casi, la potenza degli impianti è stata notevolmente abbassata. Le centrali termoelettriche hanno anch’esse necessità di consistenti quantità d’acqua per raffreddare e far condensare il vapore che esce dalle turbine e completare così il proprio ciclo produttivo. Ma dopo il secondo giugno più caldo di sempre in Italia dopo quello torrido del 2003 e dopo i primi sei mesi dell’anno più siccitosi da quando vengono effettuate le registrazioni, mancano all’appello circa 40 miliardi di metri cubi di acqua, oltre il 40% rispetto alle attese. E guardando al futuro prossimo, diverse previsioni stagionali sono univoche nell’indicare che quella da poco iniziata sarà un’estate più calda e più secca della media.

Morale della favola: mentre il governo Draghi spinge in Europa per sanzionare gas e petrolio russo e Mosca stringe i rubinetti verso l’Europa, la crisi energetica in Italia si aggrava anche a causa del climate change. «I cambiamenti climatici hanno un grosso impatto sulle questioni energetiche, sotto diversi punti di vista – spiega a Left Sergio Ferraris, analista energetico e direttore della rivista QualEnergia -. Sicuramente mette a rischio la…

L’articolo prosegue su Left dell’8-14 luglio 2022 

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

 

</a

Contro il negazionismo climatico di Palazzo Chigi

05 March 2022, Berlin: Supporters and members of the environmental protection movement Extinction Rebellion have set up an oversized number on the Marshall Bridge, with the Reichstag building in the background. The number 1.5 stands for the goal of limiting the man-made global temperature increase due to the greenhouse effect to 1.5 degrees Celsius. By blocking the bridge, the 50 activists point out that in their opinion the goal of limiting the man-made global temperature increase due to the greenhouse effect to 1.5 degrees Celsius cannot be met on the basis of the latest world climate report. Photo by: Paul Zinken/picture-alliance/dpa/AP Images

Quando, nel corso del 2018, l’idea di Extinction rebellion cominciava a prendere quella forma che l’avrebbe portata il 31 ottobre alla prima grande dichiarazione di ribellione all’esterno del Parlamento britannico, era chiaro che sarebbe diventato un movimento radicato nei suoi principi ispiratori e radicale nelle sue modalità di contrapposizione all’intero sistema.

Le espresse esigenze di fermare la devastazione ecologica si intrecciavano già allora con istanze più larghe di inclusione praticata nel quotidiano, pace costruita mediante la nonviolenza e giustizia fondata sulla condivisione. Quelle modalità di azione non solo sono rimaste, ma si sono anche potenziate in modo del tutto naturale con la crescita a livello internazionale del movimento, la cui energia aumenta  in maniera esponenziale ogni volta che un gruppo di Extinction rebellion prende vita nelle comunità locali, che da area di sfruttamento capitalista, diventano zone  pulsanti di resistenza.

Questo originario e costante legame di Extinction Rebellion con le aspirazioni dei differenti  territori e con gli obiettivi di diverse lotte è risultata ancora più evidente quando le crisi che hanno investito l’ambiente, l’energia, le migrazioni, la salute ed i diritti fondamentali hanno recentemente rivelato tutta la loro interconnessione ed hanno spogliato i governi della più grande dote della quale si ammantavano: la capacità di tenere la situazione sotto controllo.

Ormai anche i massimi organismi sovranazionali riconoscono apertamente il livello di estremo pericolo che corriamo e i danni che già subiamo, e di conseguenza ammettono l’…

L’articolo prosegue su Left dell’8-14 luglio 2022 

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

 

</a

Antonello Pasini: Così il Green new deal rischia di fallire

A demonstrator holds up a sign with writing reading "There isn't a spare planet' during a Fridays for Future rally demanding more action be taken to save the environment, in Rome, Friday, April 19, 2019. (AP Photo/Alessandra Tarantino)

«Quando ho visto nero su bianco il Green new deal dell’Unione europea, devo dire che mi sono quasi commosso. È la prima volta, mi sono detto, che un intero continente, per contrastare il cambiamento climatico, fa qualcosa di quegli interventi che noi scienziati chiediamo da trent’anni». Antonello Pasini, fisico climatologo del Cnr e docente di Fisica del clima all’Università di Roma Tre ricorda quel momento – era la fine del 2019 – in cui l’Europa aveva preso la «strada corretta» verso la decarbonizzazione. «Poi, però, la guerra ha guastato molto, ha sparigliato le carte», aggiunge. I cambiamenti climatici Pasini li studia da anni: nel 2020 ha scritto per Codice L’equazione dei disastri e insieme a Grammenos Mastrojeni Effetto serra, effetto guerra (Chiarelettere, 2017 e la nuova edizione nel 2020). Un testo, quest’ultimo, dove è evidente il nesso tra crisi ambientale e crisi sociale rappresentata dal sorgere di conflitti, da violazioni dei diritti umani e dal fenomeno dei migranti climatici: 200 milioni previsti, scrivono gli autori, entro il 2050.

Con Pasini approfondiamo il nodo cruciale di come si inserisca la guerra della Russia contro l’Ucraina e le conseguenti politiche energetiche nello scenario in cui la lotta al cambiamento climatico aveva mosso i primi passi. Il fisico climatologo ci tiene a fare subito una premessa, per far capire quanto sia importante limitare le emissioni di gas serra. «Durante il lockdown inizialmente si pensava che…

L’articolo prosegue su Left dell’8-14 luglio 2022 

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

 

</a

Colpa sua che si è fatta stuprare

Foto LaPresse - Claudio Furlan 11/04/2017 Milano ( IT ) Presidio della rete milanese 'Non una di meno' per denunciare l'inadeguatezza delle modalita' processuali e la mancanza di preparazione di giudici nel tutelare le vittime dei reati di violenza

A Torino un uomo condannato in primo grado per violenza sessuale è stato assolto dalla Corte d’Appello perché la vittima, si legge nella sentenza, avrebbe indotto l’imputato a «osare».

Eppure in tutta questa storia c’è una frase sostanziale della ragazza: «Gli dissi chiaramente: non voglio». Per questo ora la sentenza è stata impugnata dalla Corte di Cassazione.

Il fatto sarebbe avvenuto nel bagno di un locale di Torino. La ricostruzione dei giudici è da brividi. Scrivono che la ragazza «alterata per un uso smodato di alcol (…) provocò l’avvicinamento del giovane che la stava attendendo dietro la porta», che «si trattenne in bagno, senza chiudere la porta, così da fare insorgere nell’uomo l’idea che questa fosse l’occasione propizia che la giovane gli stesse offrendo. Occasione che non si fece sfuggire». L’imputato «non ha negato di avere abbassato i pantaloni della giovane» rompendo addirittura la cerniera: secondo il giudice della Corte d’appello, tuttavia, «nulla può escludere che sull’esaltazione del momento, la cerniera, di modesta qualità, si sia deteriorata sotto forzatura».

Il sostituto procuratore generale Quaglino nel suo ricorso definisce la sentenza «illogica» confermando che il dissenso della ragazza è stato espresso ripetutamente con «parole e gesti».

La sentenza, ci permettiamo di dire, oltre che illogica è pericolosa perché è l’ennesima porcata nel Paese in cui ci si ostina a dire alle donne “denunciate” e poi si raccolgono i cocci di un sistema che le rivittimizza senza pietà.

Buon venerdì.

Nella foto: presidio di “Non una di meno” per denunciare l’inadeguatezza delle modalità processuali e la mancanza di preparazione di giudici nel tutelare le vittime dei reati di violenza, Milano, 11 aprile 2017

Per un clima di pace

Ormai l’abbiamo capito: la crisi climatica – come ogni forma di degrado ambientale – causa e accelera i conflitti. La sparizione e dislocazione di servizi basilari dell’ecosistema, come la pioggia o la fertilità, ovviamente apre la strada ai litigi. Inoltre, molto peggio, il fatto che le risorse naturali in un clima impazzito non giungono più secondo cicli, ritmi e sequenze prevedibili disorganizza le economie e le società, le rende fragili soprattutto quando sono già fragili per altri motivi storici o istituzionali.

È ovvio: un clima che accumula ogni giorno l’energia equivalente all’esplosione di più di 400mila bombe di Hiroshima per effetto serra si comporta in modo caotico, disordinato e imprevedibile; come fa, allora, l’agricoltore a decidere quando seminare se non ha più nessuna certezza sull’andamento delle temperature o su quando arriverà la pioggia? E non è solo un problema per remote regioni rurali: come fa il gestore dell’acquedotto di Torino a pianificare la distribuzione d’acqua se non ha più alcuna certezza sull’innevamento delle Alpi? Tutto questo disorganizza i cicli produttivi, apre competizioni e nei casi peggiori conflitti costringe le persone a migrare in massa.

Quindi, effetto serra = effetto guerra. Ma l’uguaglianza – lo impariamo in aritmetica alle elementari – è una relazione biunivoca, vale nei due sensi poiché ovviamente il conflitto a sua volta distrugge l’ecosistema. Ovviamente… ma anche ben oltre l’ovvietà. Banalmente, anzitutto, l’uso delle armi moderne e la distruzione che esse creano provocano direttamente e indirettamente un’enormità di emissioni di CO2 e molte altre forme di degrado naturale e inquinamento.

Inoltre – un po’ meno banale ma sempre una conseguenza di superficie – il conflitto frammenta quell’unità fra Stati e popoli che oggi è essenziale per scongiurare tutti assieme il rischio di oltrepassare alcune soglie di non ritorno oltre le quali il sistema naturale collassa, forse al punto da non poter più sostenere il genere umano. Sono soglie molto vicine ed è ora o mai più, se non cooperiamo tutti è la fine per tutti: bell’idea, allora, farsi la guerra proprio adesso.
E c’è di più: i…

*L’autore: Grammenos Mastrojeni insegna Ambiente e geostrategia in vari atenei e si dedica da oltre vent’anni al tema dei cambiamenti climatici. Già coordinatore per l’ambiente della Cooperazione allo sviluppo, dal 2019 è segretario generale aggiunto dell’Unione per il Mediterraneo, con sede a Barcellona. Con il fisico Antonello Pasini ha pubblicato Effetto serra, effetto guerra (Chiarelettere).

L’articolo prosegue su Left dell’8-14 luglio 2022 

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

 

</a

 

Effetto guerra, effetto serra. Una lunghissima estate calda

Burning world map made up of matches

La tragedia della Marmolada è una ferita aperta in primis per le vite umane perdute. Qualcuno dice che non si sarebbe potuta prevedere. Ma non possiamo negare che non si è voluto vedere cosa stava e sta accadendo: i ghiacciai alpini che ogni anno si ritirano mediamente di 30 metri, la lenta agonia delle montagne, il troppo caldo in quota (i dieci gradi registrati anche nel giorno della sciagura significano che il permafrost se ne va e sotto il ghiaccio si formano veri e propri fiumi d’acqua che portano via tutto).

Non si è potuto/voluto vedere che questo fenomeno andava avanti da tempo. «Non deve accadere più», ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi, «dobbiamo prendere provvedimenti». Ma intanto, rispondendo in maniera regressiva alla crisi energetica innescata dall’invasione di Putin all’Ucraina, il governo di larghe intese programma la riapertura delle centrali a carbone, trivelle nell’Adriatico e va a caccia di fonti fossili stipulando accordi con Stati che sono altrettanto dittatoriali della Russia. Tristemente, non ci si rende conto che serve una radicale inversione di marcia. Nei modi di produzione, nelle politiche, negli stili di vita, come scrivono gli attivisti di Extinction rebellion, su questo numero di Left. E non basta agire a livello nazionale, come spiegano il diplomatico Grammenos Mastrojeni e il fisico Antonello Pasini, autori del libro Effetto serra, effetto guerra (Chiarelettere) che hanno collaborato al nostro dossier. I cambiamenti climatici generano conflitti, esodi biblici.

Ma al tempo stesso la guerra, e quella che si sta consumando nel cuore dell’Europa in modo particolare, ha scatenato la guerra del gas, del petrolio, delle materie prime, oggetto oggi più che mai di grandissime speculazioni. Se l’aggressione all’Ucraina è stata feroce, pessima è stata la risposta da parte dei governi occidentali pronti a inviare armi, ma non altrettanto solleciti nell’applicare con coerenza sanzioni alla Russia e investire su rinnovabili e fonti alternative. La stessa Europa che nel bene e nel male ha cercato una risposta complessiva al covid (mettendo in comune il debito e investendo massicciamente sulla ricerca di vaccini) sulla questione energetica e della lotta al climate change non ha ancora preso provvedimenti sistematici e incisivi. Ogni Stato fa per sé, procedendo in ordine sparso, con la Francia che investe sul nucleare e la Germania che riapre le centrali a carbone. Non rendendosi conto che i fenomeni climatici estremi vanno aumentando e che serve un approccio globale come denunciano da tempo i ragazzi dei Fridays for future. Per farsene un’idea basta anche solo ripercorre le notizie dei mesi scorsi: a marzo i poli Nord e Sud hanno registrato temperature record. E un’ondata di calore ha colpito molte parti del mondo.

A Delhi, nel mese di maggio, facevano già 49 gradi. Quello che di solito era il picco dell’estate ora è la nuova normalità. Studi scientifici ci dicono che la megalopoli ha perso il 50-60% delle sue zone umide e dell’ecosistema naturale che aiutava a moderare le temperature. E nemmeno la tradizionale fuga dal caldo insopportabile della città verso la montagna offre più tregua. La feroce siccità che l’India sta vivendo porta con sé la distruzione dei raccolti (del grano in modo particolare), ma porte anche un aumento notevolissimo dei consumi energetici per il massiccio e impattante uso di condizionatori. Va detto che gli effetti di questa situazione non colpiscono tutti allo stesso modo. A soffrire di più di queste ondate di calore sono soprattutto i più poveri che vivono in case affollate e prive di climatizzatori, costretti a fare lavori di fatica avvolti in una bolla di calore che non lascia scampo. E non è un problema che riguarda solo il continente indiano.

Gli effetti del climate change si fanno sentire anche negli Usa, dalla Florida alla Louisiana, dal Mississippi al Kansas, dal Missouri al Minnesota e oltre. Le morti a causa del calore sono in aumento anche da questa parte del mondo. Tante altre volte abbiamo parlato – e torneremo a farlo – degli effetti devastanti del climate change sul grande continente africano, che sta già provocando desertificazioni e esodi di massa, soprattutto interni al continente, creando conflitti. Il recente rapporto dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite) torna a ribadire che queste temperature da record non sono un evento naturale. Sono largamente determinate dall’influenza umana sul clima. Dobbiamo fermarci prima che sia troppo tardi.

L’editoriale è tratto da Left dell’8-14 luglio 2022 

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

 

</a