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Nel merito, oltre a Fedez

Proviamo a rimanere nel merito delle cose al di là di Fedez perché ci sono aspetti che vale la pena approfondire.

Quei vertici Rai sono stati nominati dal primo governo Conte: quindi Conte, M5s e Lega. Questo significa che se sentite qualcuno di questi lamentarsi delle nomine politiche in Rai senza avere il coraggio di dire almeno “abbiamo nominato persone che ora non ci piacciono più” manca un bel pezzo di onestà intellettuale. Scaricare la responsabilità solo sui dirigenti Rai assolvendo i politici che li hanno nominati è banale e superficiale.

Poi: ci sta che una rete televisiva chieda che tipo di interventi abbiano intenzione di fare gli ospiti. Questa si chiama linea editoriale, se solo ci fosse il coraggio di una linea editoriale (che infatti non c’è, ora ci arriviamo). Se un giornale non pubblica un mio pezzo perché non ha intenzione di parlare di quell’argomento o perché non condivide il mio punto di vista non è censura: è linea editoriale. I teatri che non comprano i miei spettacoli non mi stanno censurando: non gli piaccio. Qui il tema è un altro: a quanto pare l’unica linea editoriale della Rai è quella di preservare i politici da affermazioni pubbliche (e pubblicate) che loro stessi hanno fatto. I dirigenti Rai ci dovrebbero spiegare quindi quale sia la linea editoriale: è solo quella di “non fare i nomi dei politici”? Beh, allora per una linea editoriale così non servono nemmeno dirigenti, basta un algoritmo.

Poi: c’è una bugia di fondo. Il comunicato stampa della Rai subito dopo il concerto del primo maggio è falso, dice cose non vere. Può un’azienda pubblica affermare il falso? Anche questo è un bel punto. Qualcuno fa notare che la Rai sia stata smascherata rendendo pubblica una telefonata privata: quello che è giusto non è sempre legale (avere uno schiavo era legale, per dire) e quello che è legale non è sempre giusto (l’adulterio della moglie era previsto come reato ed era punibile con la pena di morte per mano del marito o dei familiari maschi). La faccenda di quella telefonata verrà nel caso affrontata in un tribunale ma che la Rai abbia detto il falso è una questione che invece ci interessa, eccome. Ci sono responsabilità enormi, ne vogliamo parlare?

Poi: Fedez non è un politico, prende posizioni su questioni politiche come accade a tutti. Di solito la maggior parte lo fa in ufficio o al bar (o dietro l’anonimato su un social) e lui ha deciso di farlo su un palco. Fedez non lo vota nessuno e sicuramente ha perso una fetta di pubblico per le sue posizioni: non si compra il disco di un cantante che non ci piace per convergenze politiche ma facilmente si smette di seguirlo se dice cose che non ci piacciono. Chi pensa che un artista prenda posizioni per “pubblicità”, soprattutto in un momento in cui è molto popolare, non ha capito molto il costo di prendere posizione in Italia. Discorso diverso per gli artisti di cui ormai non si ricordava più nessuno e che non avevano più mercato che si intestano battaglie (spesso demenziali) per provare a recuperare un po’ di briciole.

Infine, al concerto del primo maggio nella discussione generale si è perso l’intervento di Michele Bravi che dice: «È bello essere qua a celebrare e onorare i lavoratori, quelli dello spettacolo oggi più che mai. Volevo fare una piccola riflessione. In questi giorni si è parlato tantissimo dell’uso delle parole e qualcuno ha anche detto che l’intenzione è molto più importante delle parole che si usano» (ha premesso Bravi, facendo chiaramente riferimento al monologo di Pio e Amedeo). «Una cosa da cantautore la voglio dire. Uso le parole proprio per raccontare la visione creativa del mondo e per me le parole sono importanti tanto quanto l’intenzione. Le parole scrivono la storia. Anche quelle più leggere possono avere un peso da sostenere enorme. Ci ho messo tanti anni a trovare le parole giuste per raccontare il mio amore per un ragazzo e per me è un onore farlo adesso qua, su questo palco. Grazie a voi di avere ancora voglia di ascoltare gli artisti, di dare il giusto peso alle parole». Anche questa è una riflessione che conta a proposito del Ddl Zan.

Buon lunedì.

Siete nudi e applaudite?

La Rai lottizzata dalla politica fa schifo. La repressione del diritto di espressione di un artista fa schifo, soprattutto quando non ci si prende nemmeno la responsabilità di farlo alla luce del sole ma si usano parole oblique come “contesto”, come “sistema” e come “opportunità” senza nemmeno avere il coraggio di dire “noi preferiremmo non esporci”. Almeno sarebbe stato coraggioso da parte della Rai, almeno quello, almeno riconoscere che in Rai il primo grande talento. E mica solo in Rai, anche in certi ambienti, in certe aziende, in certe fabbriche perfino nel mondo editoriale e teatrale, posso confermarvi.

Però questo centrosinistra che applaude Fedez senza accorgersi che è stato smutandato anch’esso un po’ mi lascia perplesso. Posso scriverlo o si offende qualcuno? Perché sulla legge Zan sono molti che per non disturbare il proprio elettorato moderato (nel centrosinistra ci sono vagonate di politici convinti di avere vagonate di voti moderati) hanno preso la strada della tiepidezza senza mai dirci esattamente come la pensino. E accade per tutti le leggi che questi reputano “divisive” (e nel corso degli anni è diventato perfino divisiva la Liberazione, tanto per dire quanto sia pericoloso questo giochetto) che quelli che dovrebbero combattere i bigotti, gli omofobi, i razzisti in realtà non riescono a essere più che tiepidi.

È la politica che dovrebbe assumersi la responsabilità di un servizio televisivo pubblico che sia libero, è la politica che dovrebbe avere la responsabilità di condannare la marcia e intollerabile campagna omofoba che circola contro gli oppositori della legge Zan, è la politica che dovrebbe fare diventare “pop” gli argomenti di Fedez. Se Fedez non è un semplice testimonial ma diventa addirittura un apripista significa che qualcuno quella strada non l’ha segnata e avrebbe dovuto farlo, no?

Applaudire senza accorgersi di essere tra gli scoperchiati è piuttosto comodo e facile. Siete nudi e applaudite? Dai, su, rivestitevi e fate il vostro dovere. In Parlamento e fuori.

Buona domenica.

Riscoprendo l’emozione della conoscenza

1979 MOSCA - VIAGGIO DI RODARI IN URSS - GIANNI RODARI STA SCRIVENDO UN LIBRO SUI BAMBINI SOVIETICI E SI TROVA NELLA CITTA' DI YAROSLAVL PER RENDERSI CONTO DELLA VITA QUOTIDIANA DEI BAMBINI, AUTORE, INFANZIA, SCOLARI, RUSSIA, UNIONE SOVIETICA, ANNI 70, B/N, 741898/2, 03-00001932

Prof 1 …Infatti non dobbiamo dare mai più nulla per scontato. E soprattutto, io credo che forse dovremmo tornare proprio alle basi. Hai presente quando sei stato un gran calciatore e tutti credono che lo rimarrai per sempre? Beh, io credo che la scuola italiana, e l’università, abbiano visto tempi d’oro, decenni d’oro. Ma ora siamo a un punto morto. Risorse che non arrivano mai, ricambio generazionale che non c’è, frustrazione, impazienza, rabbia. Insomma, questa pandemia, se una cosa ci ha insegnato, è che abbiamo smesso, dall’interno, di vederci seriamente come il fulcro della crescita di un Paese. Ed è chiaro che poi all’esterno del mondo scuola, è gioco facile trattarci come una sorta di Cenerentola, un qualcosa di gregario. Sbagliatissimo, Cenerentola, che sembra gregaria, è la protagonista della favola, non è una comprimaria. In un libro che mi è caro, e che ha ancora tanto da insegnarci nonostante la sua presunta aura di illeggibilità, l’Ulisse di James Joyce, il giovane insegnante Stephen Dedalus dichiara che Socrate ha appreso dalla propria madre «l’arte di mettere al mondo i pensieri». Io non la saprei descrivere meglio quella Magistra universalis, la Maieutica tanto cara al maestro di Platone, tre parole, ovvero tre iniziali: Mum. Troppo ingenuo ricominciare da qui?
Prof 2 No, se non si vuole tacciare di ingenuità tanti grandi maestri di un passato più recente, ma che appare purtroppo lontanissimo, come ad esempio Gianni Rodari. Io non me lo dimentico il suo capolavoro, la sua Grammatica della fantasia. Rodari, riprendendo l’esperienza del Movimento di cooperazione educativa, scrive che il maestro si deve trasformare in un “animatore”, in un promotore di creatività, cioè di un pensiero divergente, che rompe gli schemi e quindi non ammette gerarchie. Per far questo è necessario abbandonare la vecchia idea dell’insegnante che trasmette sapere in un modo acritico, sterile, ma che al contrario da adulto – tornato un po’ bambino, questo lo dico io – circondato da bambini favorisce la creatività, non la ostacola, e al tempo stesso impara dai bambini di nuovo come si fa, perché in età adulta si disimpara a esercitare la fantasia, l’immaginazione. E per un docente questo è molto più grave.

Prof 1 Però poi, nell’età di Internet e delle post-verità, credere ancora che a scuola e nelle università, le maestre e i maestri, le professoresse e i professori siano o debbano essere tante mamme, tanti papà per alunni e studenti che con loro passano una parte importante del proprio vissuto, questo sì che suona ingenuo. Sembra tanto un assunto generale, e come tutti gli assunti generali, perché non eluderli e far finta che non esistano? Ma di assunti generali è fatta la nostra Costituzione, una delle più belle al mondo, ci dicono in molti, seppure non sempre tra le più rispettate, nei suoi principi cardine.
Prof 2 Articolo 34: «La scuola è aperta a tutti… I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di…


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Aldo Rossi: Ogni città è forma

Aldo Rossi è stato uno degli architetti italiani di maggiore influenza internazionale. La sua opera oggi può essere ripercorsa attraverso una ricchissima collezione di documenti, di plastici, di disegni al MAXXI di Roma. Ma quali sono le ragioni di così tanto successo? Innanzitutto il fatto che Rossi costruisce una via di uscita alla crisi che viveva la città della ricostruzione postbellica con periferie senza immagine e senza qualità se paragonate alla città storica.

Rossi sin dal titolo di un suo libro del 1966 – L’architettura della città – pone con chiarezza il problema. La crisi della città è causata dal «funzionalismo ingenuo», come lo definisce. Imposizioni di standard e dettami come la separazione dei traffici o l’autonomia dei fabbricati dal disegno delle strade creavano anonimi e ripetitivi complessi che non determinavano alcun significativo valore urbano.
Per Rossi invece ogni architettura deve essere prefigurazione di un fatto urbano, la città costituisce l’orizzonte e il destino dell’architettura e della sua forma. Le conseguenze che derivano sono fortissime.

La memoria di forme lontane e archetipe diventano alimento di questo nuovo immaginario urbano. «Nella mia infanzia disegnavo per lungo tempo delle caffettiere e delle bottiglie. Queste forme geometriche e fantastiche hanno riassunto per molto tempo il mio (senso) della bellezza. In esso ho previsto cupole, torri, minareti e altre costruzioni».
Riacquistata centralità alla forma, il secondo punto sviluppato da Rossi è la riproposizione della coppia di termini morfologia e tipologia. Rossi crea nuovamente un disegno di strade e piazze, all’interno del quale cala i tipi edilizi che derivano da una riproposizione dell’edilizia ottocentesca come le case a corte. L’approccio è esattamente opposto di quello propugnato dai Congressi internazionali di architettura moderna (Ciam) e dal manifesto La città di Atene ispirato da Le Corbusier e che effettivamente formulò le regole della ricostruzione post-bellica.

Ma le argomentazioni di Rossi non sarebbero sufficienti senza un vero e proprio elemento catalizzante che naturalmente è di natura formale e che per Rossi si trova nella riscoperta e nell’influenza fortissima della metafisica di Giorgio De Chirico sulla sua architettura.
Anzi, se si volesse fare il percorso inverso, si potrebbe sostenere che l’astrazione dalla funzione, la centralità della forma come momento chiave dell’architettura, la dualità tipologia/morfologia non sono che giustificazioni a posteriori rispetto a quella intuizione a-logica, «analoga» come la…


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Lagioia e quella Roma violenta

Colosseum by night, historical, arena Rome Italy Europe

Nella città di Roma accade tutto. E tutti vogliono raccontare Roma. Troppa letteratura, forse, nell’illusione che lontano da qui nulla possa davvero avere un significato. Ma in fondo la letteratura rischia sempre di essere troppa, per cui l’importante è non dimenticare mai che ogni storia è nient’altro che una versione possibile dei fatti. Nel suo ultimo libro Nicola Lagioia ha raccontato Roma. È la sua Roma, la Roma da cui è stato accolto e divorato, la Roma che lo ha sputato fuori e lo ha scagliato lontano, la Roma da cui, a un certo punto della vita, ha sentito di doversi separare. La Roma della quale però non ha smesso di fare parte, nemmeno quando la sua casa era diventata un’altra, in un’altra città italiana e bellissima che sembra la capitale di un’altra dimensione. Torino rigorosa e asettica, da cui alla fine Lagioia è scappato via. Per tornare a Roma, città dei vivi e dei morti, il suo posto nel mondo, per sbagliato che possa o possa non essere.

La città dei vivi (Einaudi) è quindi la storia di Roma per Lagioia e di Lagioia a Roma. Ma prima di tutto è naturalmente la storia di Luca Varani, che a Roma è cresciuto, e a Roma è morto. La storia di Marco Prato, che a Roma è cresciuto e morto. La storia di Manuel Foffo, che a Roma è cresciuto e a Roma ha smesso di vivere senza morire. La città dei vivi, per l’esattezza, è la storia dell’ossessione di Lagioia per una vicenda terribile e drammatica, e di come quest’ossessione si è trasformata per lui in un’occasione per fare letteratura. Lagioia ha compiuto un’operazione canonica: pura autofiction, il resoconto letterario di come l’autore si è imbattuto nella sua storia e di come ha capito che quella era la storia che avrebbe voluto raccontare, e di come infine si è messo nelle condizioni di poterla raccontare, e di farlo in un certo modo. L’omicidio di Luca Varani, avvenuto il 4 marzo 2016, è uno dei fatti di cronaca nera più eclatanti degli ultimi anni. Morte, droga, alcol, sesso, omosessualità, una combinazione perfetta, un caso di scuola. Un episodio che…

*-*

L’autore: Giovanni Dozzini è scrittore e giornalista. Da poco è uscito il suo nuovo libro Qui dovevo stare (Fandango) 


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Vogliamo una scuola rivoluzionaria

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 27-11-2020 Roma , Italia Cronaca Studenti per scuola in presenza Nella foto: studenti durante la giornata del venerdì che vede la mobilitazione studentesca per il ripristino della scuola in presenza manifestano simbolicamente davanti la scuola elementare Giuseppe Parini in piazza Capri Photo Mauro Scrobogna /LaPresse November 27, 2020  Rome, Italy News Students for school in attendance In the photo: students during the day of Friday that sees the student mobilization for the restoration of the school in the presence symbolically demonstrate in front of the old headquarters of the Giuseppe Parini elementary school in Piazza Capri

Abbiamo chiesto ad alcuni liceali di città diverse di raccontarci come vorrebbero che fosse trasformata la scuola. Ecco le loro proposte e aspettative

Ludovico Ottolina, Unione degli studenti – Milano
È ormai da più di un anno che la scuola è messa in fondo alle priorità del Paese… o forse sarebbe meglio dire che sono ormai anni. Sì, sono ormai troppi anni che la scuola viene definanziata, smantellata, decostruita in favore di un modello subordinato a un processo di privatizzazione che riforma dopo riforma si fa avanti. Un anno fa, poi, abbiamo avuto la prova schiacciante di ciò che ci trascinavamo dietro da molto: i bar sono aperti, i centri commerciali anche, ma le scuole vengono chiuse, ovviamente per prime, considerate non un bene di prima necessità. Si entra in emergenza, una pandemia inaspettata, non calcolabile e apparentemente senza via di uscita. Per i primi mesi tutto sembra immobile, poi si iniziano a riconoscere le responsabilità del sistema in cui viviamo di fronte a questo disastro.
I giovani vengono da subito visti come i responsabili, gli untori: si cerca di guardare il dito invece di vedere i veri motivi dei contagi; chissà… forse per paura, o forse, più probabilmente, perché molto più facile. In quei mesi di spartizione delle colpe si è avuto modo di percepire la prima forte contraddizione palesata dalla pandemia. Responsabili i giovani o il sistema che li educa? Negare gli assembramenti sarebbe un atto di cecità, ma risulta necessario indagare più alla radice il loro verificarsi. Gli studenti e le studentesse vivono una scuola che educa all’individualismo più sfrenato attraverso una valutazione alienante e una didattica che non vuole essere partecipata e partecipativa. Per questo non si richiede tanto l’apertura o la chiusura delle scuole, quanto più quindi un cambio radicale della didattica, che diventi cura del mondo che viviamo, educando alla responsabilità collettiva.
Introduciamo ora, invece, quella spaventosa parola che dal primo giorno di pandemia ci ha accompagnati: la Dad, la didattica a distanza, spacciata come strumento emergenziale per consentire l’accesso a tutti e tutte al diritto allo studio. Qui troviamo la seconda grande contraddizione, come può la Dad garantire il diritto allo studio se la scuola già di per sé non lo garantiva?
Durante la didattica in presenza ogni famiglia, solo per i libri, spende più di 400 euro in media, a cui si aggiungono i costi dei mezzi (non realmente pubblici e gratuiti), del materiale scolastico e del contributo “volontario” richiesto dalle scuole. Se siamo sull’orlo di una delle crisi economiche più grandi del secolo e se pensiamo che la scuola sia lo strumento per uscirne, dobbiamo fare sì che essa sia davvero accessibile a tutte e tutti, rendendola realmente gratuita e abbattendo il “caro trasporti” e il “caro libri”. Inoltre, per garantire realmente il diritto allo studio è necessario ripensare un’istruzione territoriale, facilmente raggiungibile, come strumento di autodeterminazione con l’utilizzo del reddito di formazione, già usato in altri Stati europei, che consente di liberarsi dal welfare di tipo familistico e di crescere liberi dalle proprie condizioni socioeconomiche.
Tra mille peripezie si è arrivati allo scorso settembre, il mese che avrebbe dovuto essere quello della ripartenza, pur essendo tutti e tutte consapevoli che sarebbe stato solo un ritorno a una normalità ancora più distrutta, proprio quella che contestavamo da tempo. Il ritorno a singhiozzo ha da subito dimostrato le sue inadeguatezze, trasporti affollati e classi pollaio, pericolose da un punto di vista sanitario, ma denunciate da anni per i problemi didattici che creano. Da settembre abbiamo iniziato a mobilitarci e a richiedere più trasporti e più scuole, più spazi, più organico per la stabilizzazione dei precari. Abbiamo iniziato con cortei e presìdi, poi abbiamo iniziato a occupare le scuole e ora da un mese abbiamo occupato il Piccolo teatro di Milano insieme ai lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo, costruendo un ragionamento che miri a percepire la cultura come nuovo fondamento per lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese.
Ora siamo tornati a scuola e l’intento è molto chiaro: si è tornati per essere valutati, perché questo è il vero obiettivo del sistema di istruzione ora; identificare ogni studentessa e ogni studente con un numero, per abituare a come si farà nel mondo del lavoro. Vogliamo una scuola che valorizzi e non giudichi, una scuola che abbia un ruolo trasformativo sulla società in cui viviamo e non insegni a viverci in modo subordinato, una scuola che cambi il lavoro, e non ne replichi le criticità.

Martino Bertocci e Giorgia Petracchi, studenti di liceo classico – Firenze
La più grande scommessa che ci troviamo di fronte è quella di non sprecare l’opportunità di cambiamento che ci offre in molti settori questa tragica pandemia. In Italia, Paese dell’Ue con il più alto tasso di Neet (persone che non studiano né cercano un impiego, e non si stanno formando, ndr) tra i 15 e i 29 anni, quelli più colpiti siamo stati noi giovani. Siamo stati privati – ovviamente per validi motivi – della nostra socialità e soprattutto delle nostre aule. Solo quando ci siamo trovati costretti in casa, esiliati dal nostro banco, ci siamo accorti, nella mancanza, di quanto fosse importante per noi e per la nostra crescita la scuola. Quest’ultima è infatti un luogo di maturazione…

nb. L’articolo prosegue con l’intervento di Bianca Chiesa, Unione degli studenti – Torino

 


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Scrivere per resistere… e riesistere

Queste che vi proponiamo sono solo tre delle centoventinove novelle che troviamo nel libro Scrivere per resistere. Il Decameron ai tempi del Covid
(L’Asino d’oro ed.) frutto di un lavoro di tessitura che la professoressa Alessia Barbagli ha svolto insieme alla sua classe. Un denso flusso di narrazioni in cui si intrecciano e si rincorrono le voci di ventiquattro ragazze e ragazzi di seconda media che durante il lockdown hanno ricreato il meccanismo del Decameron di Boccaccio. Alle novelle si affiancano delle riflessioni di alcuni studiosi e studiose – Simone Giusti, Elena Monducci e Patrizia Sposetti – che offrono letture diverse di questo lavoro. Il libro è aperto da una appassionata e appassionante prefazione di Franco Lorenzoni

*

Giornata I, Regina Gea, argomento: Storia di due persone che per uno sfasamento di tempo possono solo vedersi ma non incontrarsi

Autore Michelangelo

Una giungla di sogni «Credere che il mondo reale sia finto e tuffarmi nel mio mondo è il mio più grande vizio. Non capisco perché non lo facciano tutti. Un mondo senza regole, senza pensieri. Io, se potessi, mi ci trasferirei subito. Ma, invece, sono solo criticato da questa insensata società, che non guarda in faccia nessuno e se sei di intralcio, ti abbatte, come se niente fosse. La vita per uno come me è difficile. Considerato da tutti quelli come voi nullafacente. Ma quello che voi non sapete è che noi abbiamo due vite». Bruno Andori amava queste frasi.

Erano del suo libro preferito, Dreamer, e lui ci si rispecchiava dentro. Quello era lui, pensava. Le pronunciava Mr. Foxie. Era il dialogo finale che Mr. Foxie rivolgeva a tutti i presenti nella sala delle conferenze stampa della multinazionale Bifruiy. Assorto nei suoi pensieri Bruno non si accorse della crescita improvvisa di alcuni rampicanti nella sua casa. Guardava sbalordito i rampicanti crescere, quando si trovò la manica della maglietta che aveva addosso zuppa. Si trovava di fronte al camino che in quel momento da cascata di fuoco si trasformò in una cascata d’acqua.

Il signor Bruno si alzò di scatto dalla poltroncina su cui era seduto e appoggiò il libro che teneva in mano sulla mensola del camino. Si girò quindi per cercare di capire ciò che stava accadendo nella sua casa, ma subito la sua attenzione fu richiamata dal tonfo che fece il libro candendo per terra. La mensola non c’era più, ma il signor Bruno non poté soffermarsi troppo su questo particolare che la camera si infestò di animali di ogni tipo: dai rettili, agli insetti, dai felini fino ai mammiferi. La sua piccola casa in via dei Platani 124 si era trasformata in un’immensa giungla abitata da ogni sorta di animale. In quello stesso momento udì un suono in lontananza. Pensò a una spaventosa creatura o al verso di un animale, ma si accorse che era solo il postino che bussava alla porta.

D’un tratto tutto quello che si trovava intorno a lui sparì e fece spazio alla sua piccola dimora.

*

Giornata X Regina Alice, argomento: Una relazione a distanza tra un ragazzo e una ragazza

Autrice Marta

La stradina Solamente una stradina li separava. Un semplice tratto di terreno ricoperto di cemento e una manciata di terra per riempire le aiuole. Era una strada con poche macchine e poca gente, ma frequentemente illuminata dal sole. Non sarebbe stato per niente difficile incontrarsi, ma erano stati chiusi in casa. I due giovani ragazzi furono, quindi, costretti ad imparare a sentirsi senza vedersi e, per quanto fossero lunghe e difficili, le giornate passavano. Lei andava avanti grazie al solo pensiero di rivedere lui e abbracciarlo.

In pochi potevano capire quel senso che provava lei di mancanza di qualcuno che ti capisce e che ti sostiene sempre. La solitudine è brutta. Non si erano mai accorti di quanto ogni pomeriggio passato insieme potesse fare la differenza, se ne rendevano conto solo ora, adesso che anche un attimo insieme sarebbe bastato. Ma sapevano che era solo un brutto periodo e quando sarebbe finito non avrebbero più sottovalutato un abbraccio.

*

Giornata XXII, Re Rodrigo, argomento: La vita di un ragazzo o di una ragazza cambia per qualcosa accaduto durante la quarantena

Autrice Gea

Vita al sottile In una mattina di settembre…

*

L’immagine è di Chiara Melchionna, Officina B5, “Libro aperto”


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Generazione Yangon

YANGON, MYANMAR - MARCH 24: Hundreds of young people released, most of them students, who were detained for protesting the army's seizure of power on 1 February, from Insein Prison in Yangon, Myanmar on March 24, 2021. (Photo by Stringer/Anadolu Agency via Getty Images)

Quando all’alba dell’1 febbraio le forze armate del Myanmar hanno rovesciato il governo civile della Lega nazionale per la democrazia, la promessa del generale golpista Min Aung Hlaing è stata chiara: questa volta sarebbe stato «diverso» dalle giunte militari che per oltre mezzo secolo hanno spadroneggiato nel paese dell’Asia sud-orientale. Invece, a tre mesi dal colpo di Stato, sappiamo che la strategia del terrore usata dal Tatmadaw è stata la stessa di sempre in Birmania.

Dopo oltre tredici settimane di scioperi e manifestazioni quotidiane in tutto il Paese – dalla capitale commerciale Yangon fino ai villaggi etnici alle pendici dell’Himalaya – il bilancio delle vittime della brutale repressione delle forze armate si avvicina agli 800 morti, mentre in migliaia languono nelle tristemente famigerate carceri del Myanmar: non solo i volti più noti del partito di Aung San Suu Kyi e attivisti politici, ma anche giornalisti, esponenti della società civile, artisti che avevano osato criticare la presa del potere dei militari. Online circolano i video che testimoniano la cieca violenza delle forze di sicurezza – personale medico picchiato selvaggiamente per aver tentato di assistere i feriti, colpi di armi da fuoco esplosi contro le finestre delle case, pestaggi indiscriminati per le strade – mentre i cadaveri di alcuni attivisti sono stati restituiti alle famiglie una manciata di ore dopo l’arresto lividi per le torture.

Al di là delle speculazioni su cosa abbia spinto Min Aung Hlaing a mettere in atto il golpe – Brama di potere? Timori che i privilegi delle forze armate fossero ridimensionati? Un disperato tentativo di salvare la faccia? – quel che è sicuro è che il Tatmadaw non aveva previsto una risposta così massiccia e determinata di ogni settore della società birmana contro la brusca fine dell’ultimo decennio di transizione verso la democrazia. Certo, è fin dai giorni del colonialismo britannico e dell’occupazione giapponese che il Paese ha conosciuto movimenti di resistenza guidati dagli studenti. Poi ancora nell’estate del 1988 le strade delle principali città birmane tornarono a riempirsi di manifestanti pro-democrazia che furono presto falciati dalle armi automatiche dei soldati che aprirono il fuoco sulle proteste: almeno 3mila le vittime, migliaia di attivisti della «Generazione 88» costretti a lasciare il Paese, mentre lì nacque il mito di…


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Il senso di Draghi per l’istruzione

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 26-04-2021 Roma Politica Camera dei Deputati - Comunicazioni del Presidente del Consiglio Mario Draghi sul Recovery plan Nella foto Mario Draghi Photo Roberto Monaldo / LaPresse 26-04-2021 Rome (Italy) Chamber of Deputies - Communications by Prime Minister Mario Draghi on the Recovery plan In the pic Mario Draghi

Cosa si aspetta da #NextGenerationItalia Priorità alla scuola (Pas) è quasi banale: si aspetta che venga data priorità alla scuola. Una scuola in presenza e in sicurezza, dotata di presidi sanitari per portare la sanità laddove sono cittadine e cittadini; stabile e stabilizzata con l’assunzione dei precari storici, perché è nell’acqua alta, cioè nel vivo della didattica, che si impara a nuotare, non nei corsi di formazione; in cui ci siano spazi adeguati alla didattica, che le classi pollaio non sono; inserita in un territorio che, a partire dai trasporti, garantisca la sicurezza in condizioni di pandemia, e la dignità in condizioni normali, che non è tutelata in bus e treni locali stipati come carri bestiame.
Su questo, Pas ha elaborato, davanti al Piano nazionale ripresa e resilienza del governo Conte, un documento critico, che quantifica voce per voce le risorse necessarie per la riduzione delle classi, l’adeguamento e messa in sicurezza degli edifici, l’assunzione di personale necessario alla riduzione del sovraffollamento e al dimensionamento dei plessi, e l’adeguamento dei salari. Un investimento di circa 38,2 miliardi, che produrrebbe più di 206mila posti di lavoro, rispetto al quale il Piano di Conte proponeva solo 28,5 mld, dei quali la metà erano nei fatti finanziamenti alle imprese, a vario titolo.
Da Conte a Draghi cosa cambia? Ben poco, e quel che c’è di nuovo è peggiore rispetto al precedente Piano. Sul piano contabile, da Conte a Draghi il settore istruzione perde 1,51 miliardi; un taglio mascherato col banale trucco dello spostamento dei 3,90 mld per la messa in sicurezza degli edifici scolastici nella voce “istruzione” (in precedenza era inserita in “rivoluzione verde e transizione ecologica”), dove però erano 6,37 mld: quindi 2,47 in meno. In totale, per la messa in sicurezza, la costruzione di nuovi spazi e l’adeguamento tecnologico ci sono circa 6 miliardi: meno di un terzo del necessario, stando ai conti di Pas. Scorrendo le voci, nulla che lasci pensare all’attuazione di presidi sanitari – infermerie scolastiche con personale medico-infermieristico – nel bilancio Istruzione, men che meno nella “missione” Salute (una delle sei previste nel Piano, ndr): dove la versione definitiva attesta un taglio di oltre 4 mld rispetto alla bozza presentata alle Camere a marzo.
Dal dettaglio al quadro generale, quale scuola è prefigurata dal Piano Draghi? Per comprenderlo bisogna partire dall’assenza di qualsivoglia critica dei reali processi che hanno determinato la crisi pre-Covid accresciuta dalla pandemia: le passate politiche scolastiche sono stigmatizzate solo per il taglio delle risorse, non per i loro disegni intenzionalmente regressivi di penalizzazione dell’istruzione pubblica. Così come la crisi occupazionale, in particolar modo dell’occupazione femminile, giovanile e meridionale: il Piano Draghi-Von der Leyen non prova neanche…

*

L’autore: Girolamo De Michele è insegnante, fa parte del movimento “Priorità alla scuola”


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Come si è conciata l’ex rossa Toscana

La Toscana è scossa in questi giorni da una inchiesta della magistratura che non lascerà nulla come prima. Per i risvolti penali: presenza strutturale della criminalità organizzata nello smaltimento illecito dei rifiuti della conciatura della pelle del secondo distretto italiano.
Sono coinvolte nell’inchiesta Keu (dal nome tecnico delle ceneri prodotte dal trattamento termico dei fanghi di depurazione) e nel sistema illecito di smaltimento dei rifiuti famiglie e società operanti in Toscana riconducibili direttamente a una famiglia di grandissimo spessore ’ndranghetista come quella di Nicolino Grande Aracri. Il quale, attualmente in carcere per svariati omicidi e molteplici reati, sembra stia iniziando un percorso di collaborazione con la giustizia. E qualche domanda sulle attività in Toscana e sul mondo dei colletti bianchi necessari per tali operazioni sarebbe assai utile ed interessante. Giova ricordare che già nel 1997 Carmine Schiavone, camorrista e collaboratore di giustizia, metteva agli atti della Commissione parlamentare sulla Terra dei fuochi di aver illecitamente smaltito in Campania rifiuti provenienti da Santa Croce sull’Arno, occupandosi direttamente anche del trasporto.

Tornando all’oggi si ipotizza che tonnellate di rifiuti tossici e di liquami siano stati liberati nell’ambiente ed interrati sotto la strada che da Empoli attraversa luoghi che hanno fatto l’immagine e la storia della Toscana nel mondo. Rifiuti contenenti fuori soglia solfati, cloruri, nichel, rame zinco, arsenico, cadmio, selenio ed idrocarburi e soprattutto acido cromico.
Una riflessione sulla concia naturale invece che chimica delle pelli sarebbe quanto mai opportuna, vista la diversa ed assai minore pericolosità ambientale dei residui con quest’ultima modalità di trattamento. Per l’asservimento e la permeabilità che – sempre secondo l’accusa – il sistema politico-istituzionale avrebbe mostrato nei confronti dei vertici dell’Associazione conciatori, veri dominus della vicenda. Merita particolare attenzione quanto riportato dalla stampa che segnalerebbe la messa in atto di reiterate condotte di interferenza e pressione sull’azione delle pubbliche amministrazioni, Regione Toscana, Comune di Santa Croce ed Arpat, l’agenzia regionale per la protezione ambientale. Pressioni per ottenere atti autorizzativi in deroga e un alleggerimento rispetto alle autorizzazioni ambientali necessarie, l’elusione dei controlli ambientali sugli impianti di depurazione e sugli scarichi, orientando gli…


L’articolo prosegue su Left del 30 aprile – 6 maggio 2021

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