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L’immagine della sinistra

Quando non si hanno argomenti per contrastare una tesi, sia essa culturale, politica o anche scientifica, bisognerebbe ascoltare e cercare di comprendere. Anche se è un’operazione difficile. Forse per una mancanza di empatia, per cui non si comprende l’altro. Oppure per una intelligenza che si è perduta nel tempo, avendo chiuso gli occhi troppo frequentemente.

Già perché chiudere gli occhi è ciò che rende l’essere umano stupido. Non voler vedere è non voler pensare. Non voler affrontare la crisi e magari il giudizio degli altri. Non sopportare la solitudine perché si ha paura del rimanere isolati. Perché si ha paura del restare da soli. Allora si crede e non si pensa più.

Mi ha colpito in questi giorni un articolo che è uscito sull’edizione online del Tempo. Prendeva di mira il test ideato da Michela Murgia per l’Espresso nel quale ci sono delle domande per stabilire il livello di fascismo del lettore. Il Tempo ha pensato bene di elaborare uno “zeccometro” per misurare invece il livello di comunismo del lettore. In verità è un articolo molto interessante perché permette di leggere quelli che sono i luoghi comuni che a destra si hanno verso chi è di sinistra.

Ed è un esempio di come viene elaborata la comunicazione di destra verso i propri elettori, avendo perfettamente chiaro come vengono percepite e pensate le persone di sinistra.

Allora ecco che accanto a stupidaggini assolute che non hanno nessun valore (“Si dice ‘ministra’”) ci sono cose che hanno effettivamente un valore reale (“Accogliere tutti gli immigrati è una dimostrazione di umanità”) e altre che sono chiaramente ciò che l’elettore di destra crede che quello di sinistra pensi di lui (“Se Salvini vola nei sondaggi è perché gli italiani sono un popolo di ignoranti”). È evidente che il “test” del Tempo punta a screditare la sinistra e chi vota a sinistra e a dare al lettore di destra la tranquillità di essere nel giusto.

La cosa però è interessante perché permette di leggere qual è l’immagine che ha la sinistra oggi, essendo ridotta ai minimi termini, per non dire scomparsa.

Purtroppo molto dell’immagine screditata che ha la sinistra è dovuta a chi dovrebbe rappresentarla,  a livello politico ma soprattutto a livello culturale.

Si legge chiaramente come la persona di sinistra viene considerata spocchiosa, antipatica, saccente, che vuole sempre dare una spiegazione complicata a cose semplici; che è una persona piena di contraddizioni e al fondo anche se dice di essere onesta è uguale a tutti gli altri e cioè disonesta.

È evidente che non è quasi mai così, si tratta di una semplificazione stupida. Ma c’è un quasi.

Prendiamo un esempio recente: il tweet di Gad Lerner, storico intellettuale di sinistra e uno dei fondatori del Partito democratico, a proposito della ragazza uccisa nel quartiere San Lorenzo di Roma.

«Dipendente da eroina, figlia di spacciatore italiano e madre quindicenne, vittima di pusher immigrati. Vicende tragiche che dovrebbero suggerirci qualcosa di più e di diverso dall’odio razziale».

Come si può cercare di dare una giustificazione al fatto che una ragazza sia stata uccisa? Il fatto che fosse drogata è forse un’attenuante?

La ragazza non è stata uccisa per odio razziale. Il motivo dell’omicidio sta nel fatto di avere una madre quindicenne? O un padre spacciatore? Cosa cavolo c’entra?

Io penso che il pensiero non detto di Gad Lerner non sia tanto il “se lo è cercata” di cui è stato accusato, ma il “era inevitabile che andasse così”.

Gad Lerner in realtà fa un discorso cattolico che è quello per cui l’essere umano è naturalmente violento e cattivo. I pusher immigrati non essendo stati educati a contenere gli istinti dall’educazione (perché immigrati) esprimono la realtà umana più nascosta che sarebbe la violenza e l’omicidio.

D’altra parte c’è il pensiero esistenzialista che dice che alcuni esseri umani sarebbero destinati irrimediabilmente al suicidio. Come nel caso Ellen West, per Binswanger era il suo destino. E come nel caso di Desirée, drogata, figlia di uno spacciatore…

In altre parole, per Gad Lerner non esiste possibilità di trasformare gli esseri umani perché avremmo un destino irrimediabilmente stabilito dal contesto familiare e sociale e a cui non ci si può ribellare in alcun modo.

Il fatto è che questo pensiero che non può essere considerato un pensiero di sinistra, viene espresso da un suo grande intellettuale!

Come può proporsi la sinistra di essere veramente trasformativa della società finché esisterà in essa il pensiero di una violenza innata e invincibile e di una natura umana immodificabile e di un destino altrettanto immutabile?

È allora ovvio che le persone comuni, che sono molto più sane e intelligenti di quello che si crede, rifuggiranno da questi pensieri dissociati e violenti.

Una ragazza di 20 anni, qualunque sia la sua condizione familiare, sociale, psichica, affettiva, economica non può e non deve essere uccisa! Non esiste giustificazione né destino!

La reazione della destra è facile ed ha un fine elettorale. Si accusano gli immigrati che sarebbero non del tutto umani, essendo questo il vero motivo della violenza. Il pensiero è lo stesso (natura umana violenta) ma si cerca di intervenire fisicamente, per bloccare la violenza pensando di averne individuato l’origine nel diverso colore della pelle o nella diversa origine che sarebbero i sintomi di una minore umanità e una maggiore animalità.

Come abbiamo visto però la reazione della “cultura” di sinistra è purtroppo molto più stupida.

Se vogliamo veramente ricostruire una sinistra vera bisogna essere puliti. Bisogna avere idee corrette sulla realtà umana. Non si può avere al fondo lo stesso pensiero sull’essere umano della destra!

I grandi intellettuali che dalle pagine di Repubblica pontificano di realtà umana e di come dovrebbe girare il mondo sono ciò che fa indigesta la politica di sinistra.

Ed è per questo che la sinistra non esiste più in questo Paese. Per colpa di intellettuali che uccidono la speranza di milioni di persone.

Allora è necessario ricostruire l’immagine della sinistra, togliendola a coloro che l’hanno sfregiata.

Perché la verità umana è l’amore per gli altri che si esprime come volere che essi realizzino se stessi avendo la certezza che ciò è possibile.

Basterebbe solo questo per creare la Sinistra.

L’editoriale di Matteo Fago è tratto da Left in edicola dal 9 novembre 2018


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Perché il Brasile è nelle mani di Bolsonaro

La vittoria di Bolsonaro è l’epilogo di un lungo processo in tre atti: il primo è un golpe istituzionale, il secondo è un golpe giudiziario, il terzo è il momento elettorale, con il quale si è data parvenza di legittimità democratica ai primi due, dopo aver utilizzato ogni mezzo necessario a raggiungere questo scopo. Anzitutto il Parlamento ha disarcionato Dilma Rousseff dalla presidenza della Repubblica con un procedimento di impeachment per il quale mancava qualsiasi presupposto giuridico-costituzionale; poi il Supremo tribunale federale ha reso possibile l’arresto di Lula, in modo da impedire la sua partecipazione per il Pt al voto delle presidenziali, nelle quali era dato vincente da tutti i sondaggi.

Come nel caso di Dilma, ciò è avvenuto in totale assenza di prove, dopo un processo imbastito su indizi e una campagna mediatica sistematicamente realizzata con un preciso scopo: generare riprovazione generale e preparare l’opinione pubblica a una profonda svolta politica nel Paese. Le elezioni sono state precedute da una campagna martellante dei mezzi di comunicazione di massa che, in tutti questi anni, ha diffuso a piene mani odio “antipetista”, manipolando e avvelenando l’opinione pubblica offrendo una unica narrazione della realtà. In un quadro segnato dalla profonda crisi di egemonia delle forze politiche tradizionali, Bolsonaro, nella sua scalata, ha potuto contare sulle complicità e l’appoggio diretto delle classi dirigenti nazionali, sulla mobilitazione capillare delle potentissime reti evangeliche e, infine, sul sostegno diretto di tanti “imprenditori”, interessati a sfruttare egoisticamente i vantaggi di una politica economica di mercato a favore di privatizzazioni selvagge e leggi antipopolari.

Crisi liberale e moderno cesarismo
Per leggere la crisi brasiliana, ma più in generale, questa fase di riflusso democratico a livello internazionale, torna molto utile l’analisi di Antonio Gramsci e…

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Gli altri articoli dello SPECIALE BRASILE

Contro l’onda nera una nuova sinistra internazionalista
Intervista di Giuliano Granato al vignettista satirico Carlos Latuff

La sinistra erede di Gramsci nel mirino del presidente
di Yuri Brunello – da Fortaleza

Il fascista Bolsonaro minaccia gli indios
Intervista di Simona Maggiorelli a Yurij Castelfranchi, docente dell’Universitade federal de minas Gerais

 

Lo SPECIALE BRASILE prosegue su Left in edicola dal 9 novembre 2018


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Profughi e diritti negati, una truffa di governo

Un momento della manifestazione 'Stop al razzismo', promossa dal Movimento Migranti e Rifugiati di Caserta, con un gruppo di immigrati in corteo a Castelvolturno, nel casertano, in risposta alla concomitante manifestazione di Milano "Stop Invasione", organizzata dalla Lega Nord e dal segretario Matteo Salvini, 18 Ottobre 2014. ANSA/ CESARE ABBATE

«I 35 euro al giorno per i migranti diventeranno molti di meno, abbiamo messo a punto un documento d’intesa con l’Autorità nazionale anticorruzione e il presidente Cantone». In diretta Facebook dal suo ufficio al Viminale lo scorso 2 novembre il ministro Salvini ha annunciato in questo modo un provvedimento che può dare il colpo di grazia al più efficace e virtuoso sistema di accoglienza per profughi: il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar).

Alcune ore dopo il ministero ha lasciato filtrare i dati relativi al taglio: la spesa pro capite giornaliera per l’accoglienza dei migranti potrà oscillare da 19.33 a 26 euro. La cifra, riportata dal portale stranieriinitalia.it, varierà a seconda del numero di migranti ospitati nei centri. Il documento è stato presentato il 7 novembre (quando noi saremo andati in stampa da qualche ora, ndr) in un tavolo ad hoc presieduto dal ministro con Regioni, Province, Comuni ed esperti del settore.

Il mantra che circola sui social amplificato dalla propaganda del ministro dell’Interno è che il taglio dei fondi al sistema Sprar serve per colpire chi lucra sulla pelle dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Un mantra che è arrivato il 6 novembre anche in Senato. Durante la discussione sul decreto “Sicurezza e immigrazione” di Salvini, il sottosegretario leghista all’Interno Nicola Molteni ha portato come esempio le cooperative di Mafia capitale. In realtà accadrà esattamente il contrario. Se qualcuno…

L’articolo di Federico Tulli è tratto da Left in edicola dal 9 novembre 2018


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Al via la mobilitazione contro il Ddl Pillon

Sabato 10 novembre l’Italia antirazzista e anti oscurantista scende in piazza. Due mobilitazioni nazionali distinte, una a Roma contro il decreto sicurezza fortemente voluto da Matteo Salvini e l’altra, da Milano a Palermo passando per Bologna, Firenze, Genova, Bari, Roma, Napoli, contro il disegno di legge del senatore leghista Simone Pillon sulla riforma del diritto di famiglia, unite dalla volontà di ribadire che esiste un Paese diverso da quello immaginato dal Governo giallonero. Approvato con il voto di fiducia il decreto sicurezza, le donne scendono in piazza per chiedere il ritiro del ddl Pillon e degli altri tre disegni di legge ad esso collegati. Tante le associazioni che hanno aderito: Unione donne in Italia, Cgil, Uil, Arci, Centro ascolto maltrattanti, Casa Internazionale delle donne, Coordinamento maltrattamento all’infanzia, Non Una di Meno, Telefono Rosa e altre ancora. Le Donne in rete contro la violenza (Di.Re) hanno anche promosso una petizione online raggiungendo finora più di centomila sottoscrizioni.
“Donne e migranti sono le due categorie che da sempre sono, o sono considerate, le più deboli e quindi da sopraffare”, dice Ilaria Scalmani presidente dell’Unione donne in Italia (UDI) di Roma. Quanto al disegno di legge Pillon torniamo indietro di cinquant’anni. È una riforma che non presenta alcun aspetto positivo. Deve essere ritirata”. Scalmani non usa mezzi termini per dichiarare la contrarietà al testo Pillon, definito un “disegno di legge confusionario che crea molti problemi alle donne e ai figli in quanto non prende in considerazione il punto di vista dei bambini in caso di separazione dei genitori e, anzi, questi sono visti come strumento di rivendicazione contro le madri. Il testo relega il coniuge economicamente più debole, che ancora oggi risulta essere la donna, in una condizione di sudditanza realizzando una vera e propria vendetta nei confronti di tutti i diritti e le libertà conquistate negli ultimi cinquant’anni dalle donne e, in quanto tale, si pone come primo tassello verso quella restaurazione reazionaria della società che pare essere l’obiettivo di chi sostiene questa riforma”.
“È bene ribadire anche – precisa Giulia Potenza, avvocata e attivista dell’UDI – che non è un disegno di legge necessario, perché una legge sull’affido condiviso esiste già, ma con tutta evidenza gli scopi della riforma sono altri, di natura utilitaristica e ideologica. È utilitaristico in quanto, su un tema così importante e controverso, i primi articoli della legge, che si pone l’obiettivo ambizioso di porre al centro della riforma il minore, si preoccupano al contrario di disciplinare la figura del mediatore familiare, le sue qualifiche e soprattutto i suoi compensi. È una figura non meglio definita, piuttosto aleatoria ma al contempo obbligatoria anche nel caso di separazione consensuale. Fa sorridere pensare- continua Potenza- che il primo firmatario della legge è un mediatore familiare, e non sembra affatto casuale. È inoltre una riforma ideologica perché si fonda sul preconcetto che le donne utilizzino le denunce di maltrattamento per ricevere un assegno di mantenimento più consistente dai mariti e ottenere l’esclusiva responsabilità genitoriale dei figli”. La questione più rilevante disciplinata dal disegno di legge “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità” riguarda infatti l’obbligatorietà della mediazione familiare sia nei casi di separazione consensuale sia in quelli di violenza nei confronti del coniuge: “Nel primo caso la mediazione è inutile se non addirittura dannosa in quanto i coniugi, d’accordo nel volersi separare, devono tuttavia sottoporsi alla pratica della mediazione allungando i tempi per la sentenza e aumentando i costi complessivi della separazione; nei casi di violenza la mediazione familiare è espressamente vietata dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulla donna, ratificata dall’Italia, in quanto è impensabile chiedere ad una donna vittima di abusi o maltrattamenti di riconciliarsi con il coniuge”.
Un altro aspetto fortemente contestato della riforma è l’istituzionalizzazione della cosiddetta sindrome di alienazione parentale (PAS), una teoria elaborata da un medico statunitense, non scientificamente riconosciuta, che consisterebbe nell’insorgenza di disturbi psicologi nei bambini contesi nelle controversie di separazione e riconducibile ad una sorta di “programmazione” dei figli da parte di un genitore patologico, definito “alienante” a discapito dell’altro, nei confronti del quale il bambino sarebbe così indotto a provare astio e disprezzo ingiustificato. ”La PAS sarebbe una sorta di lavaggio del cervello dei figli da parte della madre, per cui se il bambino si rifiuta di frequentare il padre è perché ha subito delle pressioni psicologiche dalla madre. Oltre ad essere una teoria non scientificamente provata, ed essere stata sconfessata dalla Cassazione,- precisa ancora Potenza- è una pratica che si basa su una logica meschina in quanto non riconosce al bambino una capacità decisionale autonoma. Non vengono indagati i motivi del rifiuto del figlio, che magari ha paura di incontrare un padre violento, si sposta semplicemente l’attenzione sulla madre etichettandola come “alienante”. In questo caso il pericolo della riforma è duplice: in primis istituzionalizza la PAS e in secondo luogo viene codificato il falso mito delle denunce strumentali, impedendo l’emersione della violenza ”. Nella nota diffusa dalle Donne in rete contro la violenza si legge in proposito: “Con questo articolo il ddl Pillon minaccia apertamente le donne che osano denunciare o anche solo parlare di violenza. Le donne che denunciano sono meno del 20% e la Commissione Femminicidio ha lanciato l’allarme per l’aumento delle archiviazioni dovute all’inadeguatezza del sistema giustizia a riconoscere la violenza, accogliere e supportare la vittima”. Gli altri punti contestati della riforma sono il cosiddetto “mantenimento diretto” e la bigenitorialità: “Con l’introduzione del mantenimento in forma diretta viene chiesto ai genitori di contribuire in maniera paritaria al sostentamento dei figli, eliminando in quel caso l’attuale assegno di mantenimento, e tale meccanismo è proposto come migliore attuazione del principio di bigenitorialità, ipotizzando che ciascun genitore sia lavoratore, dal reddito equivalente e in grado di provvedere direttamente ai bisogni del minore. Anche alla base di tali disposizioni- aggiunge l’avvocata Potenza- si nasconde l’idea che il genitore economicamente più debole, di solito le madri, utilizzi il contributo economico al mantenimento del figlio per finalità personali, ignorando la realtà italiana contraddistinta dagli elevatissimi tassi di disoccupazione femminile e la differenza salariale tra uomini e donne, oltre al fatto che le madri continuano a essere espulse dal mercato del lavoro per la carenza di servizi in grado di conciliare scelte genitoriali e professionali”. Infine, con la pratica della bigenitorialità “che può sembrare al primo sguardo un’idea accattivante, si costringono in realtà i bambini a cambiare continuamente casa indipendentemente dalle valutazioni dei genitori trasformandoli in piccoli migranti settimanali senza tener conto del fatto che la stabilità della propria stanza e della casa è un bisogno fondamentale per ogni essere umano, in particolare per i bambini” precisa Potenza.
“Il disegno di legge Pillon è un testo irricevibile, anche se emendato, e anacronistico- conclude Potenza- e deve essere ritirato. Chi lavora nei tribunali o a contatto con la violenza di genere, dagli assistenti sociali agli avvocati, sa che è una riforma estremamente sbagliata e dannosa. La difesa dei diritti delle donne e dei bambini è una battaglia di civiltà, ed è per questo che sabato scenderemo tutte in piazza”.

Il Paese vitale

E finalmente, il 10 novembre, si torna in piazza, per un corteo nazionale, plurale, pacifico e di massa che ci si augura ampiamente partecipato, contro il razzismo, rappresentato oggi soprattutto dal Decreto Salvini, contro l’operato di questo governo, non dimenticando affatto le pessime linee guida lanciate, non solo in materia di immigrazione, da quello precedente e contro le diseguaglianze sociali in perenne crescita. Aumentano di ora in ora le adesioni collettive e individuali, le notizie di pullman che porteranno a Roma persone da tutto il Paese (partenza alle ore 14 da Piazza della Repubblica e arrivo a piazza S. Giovanni), si moltiplicano le iniziative intermedie nei territori per spiegare in cosa consistano le 80 pagine di una norma piena di elementi di incostituzionalità, in grado di produrre danni micidiali sulla vita delle persone, a dimostrazione di quanto mobilitarsi sia urgente.

Segnali positivi provenienti da una parte di Paese, più o meno organizzata, che non è disponibile ad accettare le dinamiche di imbarbarimento dilaganti, che chiede altre risposte incompatibili con quelle cariche di odio e di caccia al capro espiatorio, ampiamente dominanti oggi. Le donne e gli uomini che si riconoscono in Riace e in Mimmo Lucano, nella solidarietà ai bambini figli di migranti esclusi a Lodi, coloro che pensano ancora che la povertà, il non avere un lavoro, una casa, una vita dignitosa, non costituiscono una colpa ma sono il risultato di scelte politiche sbagliate e criminali. Tuttavia una riflessione sulla piazza, nel 2018 è importante. È necessario domandarsi a cosa serve, cosa può cambiare e come può influire nella quotidianità che poi ci si ritrova ad affrontare il giorno dopo.

Tanti anni fa, grazie anche ad un ruolo profondamente diverso dei partiti, del Parlamento, dei corpi intermedi, le piazze facevano anche cadere governi, imponevano mediazioni, portavano a risultati spesso concreti. Restando nel tema dell’antirazzismo non bisogna andare neanche troppo lontano nel tempo. L’omicidio del rifugiato sudafricano Jerry Masslo nelle campagne di Villa Literno (agosto 1989) portò due mesi dopo ad una immensa manifestazione e sei mesi dopo alla “legge Martelli”, forse una delle meno proibizioniste prodotte in Italia. Negli anni successivi le manifestazioni di massa…

L’articolo di Stefano Galieni prosegue su  Left in edicola dal 9 novembre 2018


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«Perché lo ha fatto?» La ricerca sul femminicidio è un capitolo ancora da scrivere (video)

“Non si muore per amore. La violenza invisibile e visibile alle donne” è il titolo di un convegno di cui Left è media partner, che si è svolto a Roma il 9 novembre 2018. Ne parliamo con due dei relatori: Paolo Fiori Nastro (psichiatra e psicoterapeuta) e Massimo D’Orzi (regista e scrittore). In studio Simona Maggiorelli (direttrice Left) e Leonardo Filippi (redattore Left).

Per approfondire, Left in edicola dal 9 novembre 2018


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Così lo Stato non difende le donne

Alla Capitale servono «più fondi per la prevenzione dei reati, in particolare quelli contro le donne», ribadiva il vicepremier Di Maio all’indomani dell’assassinio della sedicenne Desirée Mariottini, nel quartiere di San Lorenzo a Roma. A distanza di quasi un mese dalla tragedia, l’unica forma di “prevenzione” adottata dalla sindaca Raggi è lo stop all’alcool in strada alle 21. Di «tolleranza zero» parlava invece l’altro vicepremier Salvini, prima di recarsi sul luogo del delitto, e ribadire che le urgenze sono: più polizia e più sgomberi. Non una parola, naturalmente, sulla speculazione edilizia che svuota le città e crea ghetti, sulla mafia che gestisce lo spaccio, sull’insufficienza dei servizi sociali e sulla cultura maschilista che sta alla base degli stupri. E infatti, non a caso, pochi giorni dopo sui social lo ritroviamo a festeggiare la vittoria in Brasile del leader di estrema destra Bolsonaro. Colui – per intenderci – che ad una collega deputata rispose senza tentennamenti: «Non ti stuprerei perché non te lo meriti».

Anche da questo breve spaccato, traspare in controluce quale sia la ricetta del governo sul tema della lotta alla violenza di genere: un mix di annunci e di reali provvedimenti misogini. Ben lungi dal migliorare la situazione già drammatica in cui vivono le donne nel Paese. «Scarsa preparazione e formazione sul fenomeno della violenza» di forze dell’ordine e personale socio-sanitario, interventi di prevenzione e protezione sui territori «a macchia di leopardo», il «vuoto» che riguarda la condizione delle donne con disabilità, i disastri potenziali nell’ambito dei diritti femminili del ddl Pillon e quelli attuali del decreto Salvini: a tracciare con dovizia di particolari il quadro sconcertante in cui ci troviamo è il rapporto ombra che una trentina di associazioni hanno da poco presentato al Grevio. Ossia al gruppo di esperte sulla violenza di genere del Consiglio d’Europa, che si occupa di monitorare l’applicazione della Convenzione di Istanbul (nata proprio per contrastare violenza sulle donne e violenza domestica, e ratificata dall’Italia nel 2013).

«La nostra è una “pagella” della società civile, che abbiamo presentato in contemporanea a quella dello Stato italiano», spiega Marcella Pirrone, avvocata della rete dei centri antiviolenza Dire, che ha coordinato la stesura del testo. «Letti i due rapporti, entro marzo le esperte del Grevio faranno visita in Italia, poi verso luglio stenderanno un resoconto finale, da trasmettere al Consiglio d’Europa». Sfogliando le oltre sessanta pagine del report ombra, ciò che balza subito all’occhio è…

 

L’articolo di Leonardo Filippi prosegue su Left in edicola dal 9 novembre 2018


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Il reato di favoreggiamento cinematografico

Piccola nota introduttiva piuttosto banale, barbosa e che sarebbe pleonastica in un Paese con un dibattito salubre, almeno potabile per ecologia intellettuale: sì lo so, lo sappiamo, l’Arma dei Carabinieri, quello di buono che fanno e che hanno fatto e che continueranno a fare, la gloriosa e tutto il resto. Mi tocca ogni volta precisare che per gli ingloriosi casi della vita con le forze dell’ordine ho condiviso e condivido i miei anni e gli sono sempre grato per la protezione. Quindi no, non attacca. E del resto nessuno sfegatato fan dei geometri si è mai sentito in dovere di precisare che non tutti i geometri siano tossicodipendenti quando sente parlare della vicenda Cucchi. Andiamo avanti.

Quello che è successo a Siderno però merita di essere raccontato ancora una volta perché a forza di sottovalutare i segnali ci si rischia di annegare. Succeda quel che succeda ma non si dica che gli indizi dell’autoritarismo possano essere trattati con la leggerezza e con l’indifferenza che sono sempre stati il balsamo dei prepotenti. I fatti, innanzitutto: a Siderno, Reggio Calabria, succede che in una libreria dove si proietta il (bellissimo) film “Sulla mia pelle” che racconta gli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi alcuni carabinieri hanno chiesto alla titolare “la lista dei presenti” e quando hanno scoperto che non non esiste il check-in per entrare in una libreria hanno pensato bene di dedicare due ore del loro prezioso tempo in servizio per assistere alla serata. «Ogni tanto i due si affacciavano nella saletta per ascoltare, ma non sono mai intervenuti. Non c’è mai stata alcuna intimidazione, sia chiaro» ha affermato la libraia, Roberta Strangio. «Dopo la conclusione del dibattito ho ripensato a cio che è successo e mi sono sentita un po’ intimidita. Ma solo in un secondo momento» ha detto invece la giornalista Maria Teresa D’Agostino che ha curato il dibattito dopo la proiezione.

Il colonnello a Locri Gabriele De Pascalis si è giustificato così: «I carabinieri erano lì – ha detto l’ufficiale – per attività di routine e hanno interloquito con gli organizzatori per sapere se c’era qualcuno delle istituzioni o autorità, in un’ottica di ordine e sicurezza pubblica. A noi non interessa alcun elenco, soprattutto in una manifestazione che non aveva alcun rischio di ordine pubblico. Noi siamo sempre tra la gente e non vogliamo che l’accaduto venga strumentalizzato, specie in una vicenda triste e delicata come quella di Stefano Cucchi.»

La domanda allora sorge spontanea: se non c’era nessun problema di ordine pubblico e non c’era nessuna autorità presente perché dei carabinieri (peraltro in una zona criminalmente problematica come è la patria degli ‘ndranghetisti Commisso e delle famiglie Rumbo, Galea, Figliomeni, Correale, Crupi) hanno dedicato tempo e energie per vigilare la proiezione di un film? Quanto manca alla stesura del reato di favoreggiamento cinematografico di vittime dello Stato? Non sarebbe stato meglio dire “scusate, su questa cosa abbiamo tutti un po’ i nervi a fior di pelle e converrebbe cautela da tutte le parti, soprattutto dalle istituzioni”? Non varrebbe la pena ripassare l’articolo 18 della Costituzione (a proposito dell’amor di patria) che dice “i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”?

Perché, tra l’altro, piacerebbe sapere anche a noi i nomi di chi ha avuto questa brillante idea. Ci passate l’elenco?

Buon venerdì.

Daniele De Michele: Cucinare è cultura e conoscenza. E resistenza contro chi alza muri e chiude porti

Quando si è piccoli e si ha la fortuna di avere i nonni o gli zii che vivono in campagna, si cresce con la memoria di alcuni momenti irripetibili. Svegliarsi la mattina e bere una tazza di latte fresco, prendere le uova direttamente dal pollaio mentre si rincorrono le galline oppure raccogliere i pomodori dell’orto da mettere nell’insalata per il pranzo. Si cresce con la spensieratezza di quei giorni vissuti in mezzo alla natura. Eppure dietro tutto quello star bene dei più piccoli, c’è dietro la fatica immensa che fanno i grandi per tenere in piedi tutto quanto. Nel film I Villani ritroviamo la fatica, ma anche la passione che contadini e pescatori mettono nel coltivare un pezzo di terra, nel produrre dei prodotti genuini, nell’allevare il bestiame in un certo modo. Passione che va oltre le leggi del mercato. Il film inizia con una rapida presentazione dei personaggi all’alba, attraverso una forte caratterizzazione degli spazi in cui lavorano. Un viaggio che percorre l’Italia da Nord a Sud: Sicilia, Puglia, Trentino e Campania e si immerge nella vita di Totò, Luigina, Modesto e dei fratelli Santino e Michele. «I personaggi – racconta a Left il regista, Daniele De Michele – sono stati scelti dopo centinaia di interviste. Per cinque anni ho girato l’Italia intera tra campagne, porti, allevamenti, cucine perse in luoghi remoti. L’idea era di mostrare che la cucina italiana si fosse costruita nei secoli attraverso un meccanismo di condivisione delle conoscenze da parte del popolo e che dunque ogni persona avesse in se gli strumenti di riproduzione di quel sapere».

Il viaggio prosegue raccontando il modo di vivere dei personaggi, persone semplici, ma con una grande umanità. «Sono persone generose, orgogliose, consapevoli della battaglia in corso con la modernità e della determinazione che ci vuole per affrontarla» prosegue De Michele. «Hanno scelto di fare ciò che amano a costo di morire di fame, perché per loro è giusto così pur di non vedere il loro sapere e le loro terre distrutte da veleni, cemento, schiavismi, omologazione».

Dall’alba al tramonto in compagnia dei personaggi non solo durante il lavoro, ma anche nei momenti di svago come quando vediamo Totò, il cantastorie che ci incanta con la sua musica. Il tutto contornato da una fotografia bellissima e attenta ai dettagli. Questi personaggi li ritroviamo in tutta l’Italia, ma anche in ogni parte del mondo.

«Viaggiando molto – racconta il regista – mi è capitato di fare interviste a nonnine di tantissime nazioni diverse. I processi cognitivi all’origine del cucinare sono gli stessi in qualsiasi parte del mondo. Ho assaggiato cose con similitudini sorprendenti in luoghi a migliaia di chilometri di distanza. Per tale ragione ho spesso lavorato, soprattutto in Francia, sul tema del meticciato. La cucina è figlia di continue evoluzioni grazie alle influenze di altre culture. L’intera cucina italiana si basa su questo assioma. In questa epoca, in cui le società si incontrano e scontrano a ritmi vertiginosi, è affascinante vedere che l’occidente smemorato, per rigenerarsi, ha bisogno di ispirazione da culture che hanno conservato meglio la loro identità culinaria. Per fortuna la cucina italiana è meno razzista del popolo italiano e diventerà ancora più meticcia di quanto già sia».

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I Villani, un film di Daniele de Michele Aka Donpasta. Dal 14 novembre al cinema

sceneggiatura: Daniele De Michele, Andrea Segre, fotografia: Salvatore Landi, montaggio: Donatella Ruggiero, musica: Marco Messina, Sasha Ricci, suono: Luca Ranieri, produzione: Malia, produttori: Giorgio Magliulo, Alessandra Acciai, co-produttori: Antonio Badalamenti, Davide Nardini.

In collaborazione con: Rai Cinema, in associazione con: Evernex Italia, Unipol Banca, Blumax

La violenza sulle donne e in famiglia: è sempre più necessaria una battaglia culturale

Un momento della manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne "Non una di Meno", Roma, 26 novembre 2016. ANSA/ANGELO CARCONI

Il 9 novembre, al Palladium di Roma si svolge il convegno contro la violenza di genere dal titolo “Non si muore per amore” che vede operatori culturali, medici psichiatri, giornalisti e docenti confrontarsi sul problema della violenza, psicologica e fisica, contro le donne. Come dimostrano le statistiche e i recenti fatti di cronaca, le numerose richieste di aiuto causate da violenza domestica, stalking, abusi sessuali parlano di un fenomeno in crescita che assume i connotati di una vera piaga sociale. Al fenomeno dichiarato, si aggiunge l’insieme di violenze private non denunciate dalle mogli, dalle lavoratrici di aziende pubbliche e private, dalle minorenni per paura delle conseguenze. Nonostante le difficoltà e la scarsità di risorse, il mondo delle associazioni da tempo ha osservato il fenomeno ed ha cominciato ad organizzarsi per tutelare le donne dalla violenza individuale e sociale. È stato affermato in più occasioni pubbliche che il fenomeno dovrebbe vedere tutte le forze politiche, sociali e associazionistiche impegnate in un’azione di contrasto e di prevenzione soprattutto culturale, a cominciare dalle scuole e dagli organi d’informazione e formazione.
Si è osservato inoltre che l’orientamento a inasprire le pene non risulta essere un deterrente a commettere il reato. Chi sta esercitando una violenza nei confronti di una donna, non si pone il problema delle pene a cui andrà incontro successivamente.
In un’ottica di prevenzione, quando una donna con coraggio che non bisogna considerare scontato, decide di rivolgersi a qualcuno per chiedere aiuto, lo Stato deve prevedere e istituire nei servizi competenti, una procedura d’urgenza, che la sappia tutelare da tutti i punti di vista e accompagnare in un percorso di protezione, qualificato per i tempi e qualità della risposta.
È da rifiutare il termine di violenza sessuale in quanto la sessualità non ha nulla a che vedere con la violenza ed il pensiero che l’uomo sia guidato nel rapporto intimo con la donna, da un impulso irrefrenabile di tipo animale.
Una recente sentenza del Tribunale di Milano ha stabilito che in un Paese come l’Italia, dove un quarto degli omicidi volontari riguarda casi di femminicidio, uno stalker può essere trattato alla stregua di un mafioso ed essere sottoposto a misure di sorveglianza speciali, tra cui quella di “mantenersi ad almeno mille metri di distanza” dalla donna perseguitata, non avere con lei contatti telefonici, telematici o altro, non allontanarsi dalla propria abitazione senza preavvisi, vivere onestamente e cercarsi un lavoro.
Ma allo stesso tempo, come ho letto su Left il 28 settembre scorso, in un’intervista a Lella Paladino (presidente Dire ndr) fatta da Donatella Coccoli, assistiamo di questi tempi ad un attacco reazionario alla Convenzione di Istanbul , che mina, con il decreto Pillon sull’affido condiviso e l’obbligo di madiazione familiare, la possibilità di separarsi da un marito violento per il ricatto sui figli, esponendo i bambini alla violenza assistita. La difesa del vincolo e contratto matrimoniale, in astratto, indipendentemente dalla realtà degli affetti e di un progetto di vita comune, lede non solo le donne ma anche gli uomini perché espone i bambini, futuri uomini, a rapporti violenti, mettendo a rischio il loro benessere psichico.
I minori vittime di reati in Italia sono stati 5788 nel 2017, l’8% in più del 2016, il 43% in più rispetto a 10 anni fa quando erano 4061. Abusi e violenze si abbattono soprattutto su bambini e ragazzi che sono il 60% delle vittime. È in forte crescita il numero dei minori vittime di reati legati alla pedopornografia, che coinvolge per l’84%, bambine e adolescenti.
Il nuovo dossier della campagna “Indifesa 2018” di Terre des Hommes riporta che la violenza sessuale aggravata (nella cui fattispecie ricadono diverse aggravanti, tra cui l’età inferiore ai 14 anni) è in aumento dell’8% e l’83% delle vittime sono ragazze o bambine. I casi di maltrattamento in famiglia che hanno richiesto l’intervento delle forze dell’ordine, sono stati 1723 in un solo anno. Uniche note positive, cala il numero di vittime di prostituzione minorile (-35%) e di sottrazione d’incapace (-18%). Questo significa che quando c’è maggiore vigilanza, controllo e sensibilizzazione, il fenomeno diminuisce. I programmi di intervento sono legati al fare rete perché solo unendo le forze tra famiglie, attori privati, istituzioni pubbliche e scuole, possiamo produrre un impatto reale nella vita dei ragazzi, delle donne e delle bambine.
In conclusione mi sento di sottoscrivere in pieno la citazione di Massimo Fagioli stampata nel retro della locandina del convegno al Palladium: «Vedo e sento la voce delle donne che da sempre piangono perché non sono riuscite a ribellarsi alla violenza che impone loro di non cercare mai identità e libertà», perché quando osservo che gran parte della società continua a volere la donna sottomessa, che misoginia e religione a braccetto, sono dure a morire e che solo il 47% delle donne lavora, penso che l’uguaglianza sia un obbiettivo e una sana utopia possibile, ancora da cercare e raggiungere.

Gabriella Terenzi è psicologa-psicoterapeuta

Il convegno “Non si muore per amore” si svolge venerdì 9 novembre dalle ore 16 alle 19 al Teatro Palladium di Roma (piazza Bartolomeo Romano, 8). Partecipano Paolo Fiori Nastro, Emanuela Lucarini, Sandra Santomauro, Nicolò Trevisan, Ornella Galeotti, Gabriella Terenzi, Massimo D’orzi. Modera Simona Maggiorelli, direttore responsabile di Left. Chiude l’evento Angela Antonini, opere artistiche di Alessio Ancillai.

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